sentenza 10 luglio 1997; Pres. Baglione, Est. Galluzzi; Cassa di risparmio di Pisa, Casse delTirreno, Cassa di risparmio di Pisa (Avv. Russo, Cordiero Guerra) c. Direzione regionale delleentrate della ToscanaSource: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 11 (NOVEMBRE 1997), pp. 551/552-557/558Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191549 .
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PARTE TERZA
attestante possibili relazioni tra pregiudizi alla salute subiti in concreto e l'attivazione degli impianti, debba cautelarmente ri tenersi prevalente l'interesse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente sospen sione interinale dell'atto impugnato.
Ritenuto, altresì, in relazione a dubbi prospettati dall'Omni tel sulla interpretazione delle precedenti ordinanze cautelari tem
poraneamente adottate da questa sezione, di dover puntualizza re che la misura cautelare ha ad oggetto non solo la realizzazio ne delle opere, ma anche la loro attivazione.
Per questi motivi il Tar del Lazio (sezione prima) accoglie la suindicata domanda incidentale di sospensione ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione Vili; de cisione 22 novembre 1996, n. 5818; Pres. Corazzini, Est. Sca
la; Colombo c. Ufficio imposte dirette di Milano.
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE;
Tributi in genere — Accertamento — Notifica — Domicilio eletto nella dichiarazione annuale — Efficacia (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, art. 60).
L'elezione di domicilio effettuata dal contribuente nella dichia razione annuale dei redditi è efficace per tutte le notifiche successive alla presentazione di questa e quindi non solo per le notifiche relative alla predetta dichiarazione. (1)
Fatto e diritto. — Con ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Milano, Trotta Giannetto si opponeva all'av viso a contribuente moroso, emissione gennaio 1982, relativo a Irpef-Ilor 1974 e Irpef 1978, sostenendo che non gli era stato notificato avviso di accertamento né precedente cartella esat toriale.
Faceva presente, inoltre, di aver comunicato, all'ufficio delle
imposte dirette di Milano, l'elezione di domicilio fiscale presso lo studio Folino di Milano, mediante la dichiarazione dei reddi ti relativa al 1977 e che pertanto la mancata notifica non era a lui imputabile. Concludeva chiedendo l'annullamento dell'av viso a contribuente moroso. L'ufficio resisteva.
La commissione di primo grado disattendeva l'eccezione del l'ufficio circa la mancata trasmissione all'ufficio di copia del ricorso in quanto già nelle deduzioni scritte depositate il 26 aprile 1986, l'ufficio delle imposte dirette di Milano contrastò tutte le questioni prospettate nel ricorso e con riferimento alla norma di cui all'art. 60 d.p.r. 600/73 rigettava il ricorso del contribuente.
Il Trotta proponeva appello che veniva respinto dalla Com missione tributaria di secondo grado di Milano.
(1) In nota a Cass. 10 febbraio 1992, n. 1473, Foro it., 1993, I, 1203 — ad avviso della quale, ai fini della notifica di un avviso di accertamento, non è equiparabile alla elezione di domicilio la dovuta indicazione nella dichiarazione dei redditi del domicilio del contribuente — si era posto in evidenza come la facoltà riconosciuta al contribuente dall'art. 60, 1° comma, lett. d), d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 di eleggere, in sede di dichiarazione dei redditi, domicilio per la notifica zione degli atti, potrebbe — a maggior ragione, se usata in modo spre giudicato — rendere estremamente complessa, se non praticamente im possibile, la notifica degli avvisi di accertamento da parte dell'ufficio delle imposte, certamente non in grado, a causa del cronico ritardo nello spoglio delle dichiarazioni annuali, di avere per tempo materiale contezza dell'elezione di domicilio.
Nella probabile consapevolezza di tal rischio, una parte della giuris prudenza di merito (v. nota a Cass. 1473/92, spec. par. II) aveva cerca to di individuare limiti sistematici all'uso della facoltà in parola.
Con la decisione in epigrafe, la Commissione tributaria centrale fa propria un'intepretazione favorevole alle ragioni del contribuente, rav visando l'illegittimità di un avviso di accertamento (relativo all'anno 1978) notificato nel 1980 ad un domicilio diverso da quello eletto con la dichiarazione dei redditi del 1977, presentata nel giugno del 1978.
Sul problema se la notificazione debba essere obbligatoriamente ef fettuata al domicilio eletto, v. la giurisprudenza citata in nota a Cass. 1473/92 (spec. par. III).
Il Foro Italiano — 1997.
Ricorre a questa Commissione centrale, contestando l'avviso di accertamento relativo al 1974, Adele Prudenza Colombo, quale erede legittima di Giannetto Trotta, Trotta Micaela Massimilia
na, quale erede del Trotta e della Adele Prudenza Colombo, ha proposto istanza di trattazione. All'udienza le parti non so no comparse.
L'assunto della commissione tributria di secondo grado circa la legittimità dell'omessa notifica al domicilio eletto da parte del contribuente non può essere condiviso.
Infatti, l'avviso a contribuente moroso, emissione 1982, pre supponeva un accertamento definitivo, e il resistente nella spe cie per vizio di notifica, in quanto l'ufficio non aveva tenuto conto del domicilio eletto dal contribuente con annotazione ap posta sulla dichiarazione dei redditi del 1977, presentata nel giu gno 1978. Non appare quindi regolare la notifica dell'accerta mento effettuata dall'ufficio il 13 dicembre 1980, quando l'av venuta elezione di domicilio era stata comunicata da oltre due anni all'ufficio stesso. Né può essere condivisa l'interpretazione data nella decisione impugnata in cui si sostiene che, in base all'art. 60 d.p.r. 600/73 l'elezione di domicilio effettuata sulla dichiarazione redditi per il 1977 vale solo per le notifiche ri
guardanti la predetta dichiarazione. Infatti l'interpretazione letterale dell'art. 60, lett. d), del cita
to d.p.r. non stabilisce la limitazione che la commissione ha creduto di ravvisare, senza tener conto del contenuto della nor ma che non fornisce alcun elemento di rilievo a sostegno del l'assunto della commissione di secondo grado.
Pertanto, il ricorso del contribuente è fondato e va accolto.
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI FIREN ZE; sentenza 10 luglio 1997; Pres. Baglione, Est. Galluzzi; Cassa di risparmio di Pisa, Casse del Tirreno, Cassa di ri
sparmio di Pisa (Avv. Russo, Cordiero Guerra) c. Direzio ne regionale delle entrate della Toscana.
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI FIREN ZE; sentenza 10 luglio 1997; Pres. Baglione, Est. Galluzzi;
Tributi in genere — Esenzioni ed agevolazioni — Fondazioni casse di risparmio — Dividendi percepiti sulle azioni delle so cietà casse di risparmio partecipate — Ritenuta — Esonero — Esclusione (L. 29 dicembre 1962 n. 1745, istituzione di una ritenuta d'acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle società e modificazioni della disciplina della nominatività ob
bligatoria dei titoli azionari, art. 10 bis; 1. 30 luglio 1990 n. 218, disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico, art. 2).
Le fondazioni casse di risparmio non possono godere dell'eso nero dall'applicazione della ritenuta sui dividendi percepiti sulle azioni delle società per azioni casse di risparmio partecipate. (1)
(1) La Commissione tributaria provinciale di Firenze esclude che Je fondazioni casse di risparmio di cui alla 1. 30 luglio 1990 n. 218 (c.d. legge Amato) possano rientrare nel novero delle fondazioni «che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica», alle quali l'art. 10 bis 1. 29 dicembre 1962 n. 1745 (vigente ai sensi dell'art. 73 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600) accorda il beneficio dell'esonero dalla ritenuta sugli utili percepiti. Per il giudice toscano tale conclusione discende dalla considerazione che l'oggetto della fondazione/ente conferente «consiste nella gestione di partecipazioni ban carie e finanziarie, dirette ed indirette, ed assume una rilevanza prima ria rispetto alle finalità da perseguirsi, inevitabilmente subordinate, al meno in termini cronologici, alla realizzazione dell'oggetto dell'ente».
Il beneficio dell'esonero dalla ritenuta sui dividendi è escluso anche da min. fin., circ. 4 ottobre 1996, n. 238/E, Rass. trib., 1997, 427, con nota critica di E. Nuzzo, Agevolazioni fiscali e fondazioni banca rie: gestione del patrimonio e scopi perseguiti (il quale esprime l'avviso che la gestione della partecipazione rappresenta «compito e non scopo delle fondazioni»; di questo a., v. anche Partecipazione di maggioranza in società bancaria di una fondazione: profili fiscali dell'iscrizione in bilancio, in Banca, borsa, ecc., 1995, I, 694). Auspica l'introduzione di una disposizione analoga a quella di cui all'art. 10 bis 1. n. 1745 del 1962 che escluda l'applicazione delle ritenute alla fonte sui dividendi percepiti dalle fondazioni casse di risparmio, A. Fantozzi, Prime espe
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Fatto. L'ente fondazione Cassa di risparmio di Pisa, con istan
za presentata alla direzione regionale delle entrate per la Tosca
na, chiedeva all'amministrazione finanziaria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 10 bis 1. 29 dicembre 1962 n. 1745, l'esonero
dall'applicazione della ritenuta sui dividendi percepiti sulle azioni
delle società per azioni cassa di risparmio partecipata, ritenendo
che la fondazione ricorrente rientrasse tra gli enti ammessi a
beneficiare della riduzione dell'Irpeg ai sensi dell'art. 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601.
L'art. 10 bis 1. 29 dicembre 1962 n. 1745 dispone che «gli utili spettanti a persone giuridiche pubbliche o fondazioni, esenti
dall'imposta sulle società, che hanno esclusivamente scopo di
beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica
sono esonerati dalla ritenuta prevista dall'art. 10 1. n. 1745, a condizione che il rappresentante legale dell'ente, entro il mese
di ottobre dell'anno precedente quello in cui è deliberata la di
stribuzione degli utili, abbia presentato al competente ispettora to compartimentale delle imposte dirette la distinta delle azioni
possedute, attestando per iscritto che gli utili relativi sono di
esclusiva pertinenza dell'ente».
Il ministero delle finanze — dipartimento delle entrate dire
zione centrale per gli affari giuridici e contenzioso tributario — emanava in data 4 ottobre 1996 la circolare n. 238 in materia
di trattamento tributario delle fondazioni casse di risparmio con
specifico riferimento all'applicazione del beneficio previsto dal
l'art. 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 alle predette fondazioni.
La circolare n. 238 recepiva il parere n. 103 del Consiglio di Stato (sezione III 24 ottobre 1995) secondo cui:
— le fondazioni casse di risparmio non sono né istituti di
istruzione o di studio, né fondazioni e associazioni storiche, let
terarie, scientifiche aventi scopi esclusivamente culturali, né enti
di assistenza dato il carattere eventuale ed accessorio di tale
attività rispetto all'attività principale consistente nella gestione della partecipazione nella società per azioni conferitaria;
— l'elencazione contenuta nell'art. 6 d.p.r. 601/73 (essendo norma di esenzione anche parziale e di agevolazione rispetto ad un obbligo di natura generale) è di stretta interpretazione e non consente quindi ricorso a criterio ermeneutico estensivo
o analogico; — dall'esame degli statuti si evince che le fondazioni prose
guono e costituiscono continuazione storica e giuridica delle casse
di risparmio (scopo principale dell'ente è la gestione del confe
rimento). Con la circolare in argomento il ministero delle finanze affer
rienze tributarie nell'applicazione della legge Amato, in Riv. dir. trib., 1991, I, 462; analogamente, F. Gallo, La natura ai fini fiscali dell'ente
che ha conferito ad una s.p.a. la propria azienda creditizia, ibid., 537
ss., spec. 550. La questione risolta dalla sentenza odierna rimanda al problema —
strettamente connesso — del riconoscimento in capo agli enti de quibus del beneficio dell'Irpeg ridotta previsto dall'art. 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601. Tale agevolazione è stata esclusa (oltre che da min. fin., circ. n. 238/E del 1996, cit.) dal Consiglio di Stato, sez. Ili, con il
parere n. 103/95 reso all'adunanza del 24 ottobre 1995, Fisco, 1996, 10705, sul rilievo che le fondazioni casse di risparmio «non sono né istituti di istruzione o istituti di studio, né fondazioni e associazioni
storiche, letterarie, scientifiche di esperienze e ricerche aventi scopi esclu
sivamente culturali, né si possono inquadrare tra gli enti di assistenza
dato il carattere eventuale ed accessorio di siffatta attività rispetto al
l'attività principale che consiste nella gestione della partecipazione nella
società per azioni conferitaria». Contra, e quindi per l'applicabilità del la aliquota Irpeg ridotta alle fondazioni casse di risparmio, M. Miscali,
Appunti in tema di regime fiscale delle fondazioni bancarie, in Riv.
società, 1995, 1059; Nuzzo, Agevolazioni fiscali e fondazioni bancarie:
gestione del patrimonio e scopi perseguiti, cit. Sull'agevolazione di cui
all'art. 6 d.p.r. 601/73, v., più in generale, Cass. 8 marzo 1995, n.
2705, Foro it., 1995, I, 3511, e Dir. e pratica trib., 1995, II, 1345, con nota di M. T. D'Annunzio, per la quale non può goderne l'ente
che — seppure istituzionalmente rivolto a finalità di assistenza e benefi
cenza — svolga in via esclusiva o principale attività commerciali.
In dottrina, sulla disciplina fiscale delle fondazioni casse di rispar
mio, v. anche G. Pizzonia, Sulla qualificazione fiscale degli enti pub blici conferenti nella c.d. legge Amato, in Riv. dir. fin., 1996, I, 97; F. Paparella, Profili tributari delle operazioni societarie disciplinate dalla «legge Amato», Milano, 1993; Id., Prime considerazioni tributa
rie in margine alla legge «Amato bis», in Riv. dir. trib., 1994, I, 75; F. De Leonardis, Aspetti tributari e principi contabili nella ristruttura
zione ed integrazione degli istituti di diritto pubblico, in Dir. e pratica trib., 1991, I, 1757.
Il Foro Italiano — 1997 — Parte 111-20.
mava che le fondazioni casse di risparmio non sono riconduci
bili fra i destinatari della riduzione a metà dell'Irpeg individuati dall'art. 6 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 e che, conseguente
mente, le stesse fondazioni non possono beneficiare dell'esone
ro dalla ritenuta sui dividendi disposta dall'art. 10 bis 1. 29 di
cembre 1962 n. 1745 (art. 73, 2° comma, d.p.r. 29 settembre
1973 n. 600). Pertanto, in relazione delle suesposte considerazioni, la dire
zione regionale per le entrate comunicava alla fondazione istan
te che la domanda di esenzione non poteva essere accolta.
Avverso il suddetto atto di diniego dell'agevolazione ex lege n. 1745, l'ente fondazione propone, ora, ricorso ai sensi del
l'art. 19, lett. h), d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 chiedendo che
questa commissione tributaria provinciale si pronunci per l'ille
gittimità dell'atto impugnato, annullando, ove occorra, e con
seguentemente accerti che spetta alla fondazione ricorrente il
diritto all'esonero da ritenuta di cui all'art. 10 bis 1. n. 1745
del 1962. (Omissis) Diritto. — (Omissis). Nel merito della domanda, questa com
missione ritiene che l'esito del ricorso debba dipendere dal ri
sultato dell'opera di ricostruzione ed inquadramento giuridico dell'ente fondazione cassa di risparmio e dalla «messa a fuoco»
dell'oggetto che ne qualifica l'attività istituzionale.
Secondo la lettera dell'art. 10 bis 1. 29 dicembre 1962 n. 1745
«gli utili spettanti a persone giuridiche o pubbliche o fondazio
ni .. . che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educa
zione, istruzione, studio e ricerca scientifica, sono esonerati dal
la ritenuta . . .».
La 1. 30 luglio 1990 n. 218, dettando disposizioni in materia
di ristrutturazione ed integrazione patrimoniale degli istituti di
credito di diritto pubblico, ha avviato una complessa opera di
riordinamento del nostro sistema creditizio, anche in riferimen
to al processo di integrazione internazionale in corso, con una
razionalizzazione strutturale finalizzata ad affrontare, in posi zione di parità, l'impatto della intensificata concorrenza inter
nazionale.
Tale opera di riordinamento si incentrava, secondo gli inten
dimenti espliciti della legge ed in riferimento agli aspetti orga
nizzativi, sia sull'agevolazione di processi di aggregazione, sia
sul riordinamento degli enti creditizi pubblici mediante l'ado
zione di moduli organizzativi societari idonei a consentire il ri
corso diretto al mercato finanziario per operare ripatrimonializ zazioni finalizzate a consentire a favorire i processi di crescita.
In tale ottica e con tali intendimenti, anche le casse di rispar mio non potevano non essere coinvolti nel processo di innova
zione e riordinamento e tale innovazione veniva identificata nel
lo scorporo dell'azienda bancaria, costituita in società per azio
ni, e nella conferma dell'ente originario riportato al ruolo, tecnicamente corretto, di fondazione.
Come esplicitamente sottolineava la relazione della VI com
missione permanente della camera sul progetto di legge origina
rio, doveva restar ferma la regolamentazione vigente in materia
di organizzazione degli enti-fondazione, dovendo gli statuti di
tali enti individuare il loro oggetto sociale nella «gestione di
partecipazioni bancarie e finanziarie, dirette e indirette», e «il
loro scopo in finalità ispirate a quelle della fondazione origina ria». Come si dirà, questa distinzione fra oggetto sociale e fina
lità dell'ente, autorevolmente prospettata in sede parlamentare,
presenta particolare interesse per definire le funzioni, strumen
tali e finali, delle attuali fondazioni.
La 1. 218/90 delegava il governo ad emettere entro tre mesi
dalla sua entrata in vigore le norme attuative necessarie alle
operazioni di fusione, incorporazione e conferimenti, e a ciò
veniva effettivamente provveduto, con d.leg. 20 novembre 1990
n. 356, recante disposizioni per la ristrutturazione e per la disci
plina del gruppo creditizio.
Con riferimento al punto che qui interessa, l'art. 1, n. 1,
del suddetto decreto, riprendendo identica disposizione della 1.
218/90, confermava la possibilità per gli enti creditizi pubblici iscritti nell'albo istituito con l'art. 29 r.d.l. 12 marzo 1936 n.
375, di operare trasformazioni e fusioni purché dirette a dar
luogo a società per azioni operanti nel settore del credito.
La situazione risultante dalla operazione di conferimento del
l'azienda bancaria, non del tutto chiarita dalla 1. n. 218, veniva
poi ulteriormente disciplinata dai titoli III e IV del d.leg. 356/90, dedicati l'uno all'ente conferente, l'altro alla società bancaria
conferitaria dell'azienda. Per quanto riguarda in particolare gli enti conferenti — cioè le casse di risparmio del precedente ordi
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PARTE TERZA
namento — ne veniva precisata la natura pubblicistica e la ne
cessità di dotarsi di statuti aventi un contenuto necessario indi
cato dall'art. 12 del ridetto decreto.
La relazione illustrativa di tale normativa precisava, per quanto
qui interessa, che la complessa regolamentazione degli enti con
ferenti risulta «articolata su tre livelli: quello legislativo prima rio, rappresentato dalla legge delega e dalle altre norme dell'or
dinamento da quest'ultima espressamente fatte salve; quello sub
primario del decreto delegato ... ; quello normativo secondario
degli statuti che, a loro volta, debbono attenersi alle linee-guida sancite nelle disposizioni delegate».
Quanto agli statuti delle fondazioni-enti conferenti, la rela
zione illustrativa in discorso chiariva che «per gli enti con fon
do di dotazione a composizione non associativa è previsto che, una volta dismessi gli impegni connessi allo svolgimento diretto
dall'attività bancaria, essi possono dedicarsi al sostegno e alla
promozione di quei settori di rilevante interesse scientifico, cul
turale e sociale nei quali si manifesta l'esigenza di integrare o
sostituire l'intervento dello Stato e segnatamente nella ricerca
scientifica, nell'istruzione, nella sanità e nella tutela del patri monio artistico-culturale del nostro paese».
Tali enti «potranno inoltre mantenere le originarie finalità di assistenza e di tutela delle categorie sociali più deboli».
Infine, ed è l'attività di maggior rilievo sostantivo, gli enti
conferenti, in quanto azionisti di rilievo della s.p.a. conferita
ria, «avranno la finalità di amministrare la partecipazione in
discorso, finché ne siano titolari».
Di fronte al riassunto quadro normativo e alle illustrazioni
autorevolmente fornite in sede parlamentare delle disposizioni
più rilevanti, si avverte subito la necessità di una definizione
il più possibile accettabile è coerente con il sistema complessivo dei nuovi enti, sia per la loro natura giuridica che per la loro
struttura e per le finalità che debbono e possono perseguire. Partendo dalla natura giuridica degli enti conferenti sembra
prevalente il loro carattere pubblico, sia perché tali li definisce
la legge (art. 11 d.leg. 356/90 e intitolazione del titolo II), sia
perché pubblici sono gli indici di riferimento della loro qualifi
cazione, della nomina degli amministratori alle finalità perse
guite, alla vigilanza cui sono sottoposti. Deve egualmente affermarsi che ci si trova in presenza di enti
pubblici istituzionali, dovendosi escludere in via di massima una
loro natura associativa salva l'ipotesi prevista dall'art. 12.2 d.leg. 356/90.
La definizione di «fondazioni» con la quale vengono per lo
più indicati gli enti conferenti conferma questa conclusione.
Deve anche escludersi che possa trattarsi di enti pubblici eco
nomici, almeno nella più accreditata accezione della categoria. Gli enti conferenti, infatti, di regola non esercitano attività im
prenditoriali. Non possono, per esplicita prescrizione normati
va, esercitare direttamente l'impresa bancaria, pur potendo com
piere le operazioni finanziarie, commerciali, immobiliari e mo
biliari eventualmente necessarie per il conseguimento dei loro
scopi. È evidente che singole operazioni mobiliari o immobiliari non
potrebbero conferire natura economica agli enti conferenti mentre
qualche dubbio potrebbe sorgere in caso di attività commerciali
idonee a conferire un carattere imprenditoriale all'attività
dell'ente.
Si tratta però, a parere di questa commissione, di ipotesi re
mota, non vietata e anzi ipotizzata dalla richiamata normativa, ma che sembra di difficile realizzabilità anche per considerazio ni organizzative non facilmente superabili e per la difficoltà di
far rientrare l'eventuale attività commerciale/imprenditoriale nel
quadro della complessiva posizione giuridica dell'ente e dei con
trolli cui può esser soggetto. Si è scritto che gli enti in discorso sono enti di erogazione
e questo ha portato a concludere che, una volta conferita l'a
zienda bancaria, l'ente è divenuto un rentier.
Questa conclusione riduttiva degli enti conferenti potrebbe es
sere suggerita dalla graduazione delle finalità di tali enti opera ta dal d.leg. n. 356 che sembra privilegiare le finalità erogative sulle finalità amministrative degli enti. Da un punto di vista
quantitativo può essere che sia così, ma non par dubbio che
dal punto di vista qualitativo l'amministrazione della partecipa zione nella società per azione conferitaria risulta di gran lunga
più rilevante, contribuendo a determinare l'entità degli utili che
poi finanzieranno le attività di erogazione dell'ente conferente.
L'ente conferente, dunque, non è un rentier nell'accettazione
propria del termine, nel senso che esso non si limita a ricevere
Il Foro Italiano — 1997.
i redditi da altri prodotti limitandosi ad erogarli, ma contribui
sce, pur non esercitando direttamente attività bancaria, alla rea
lizzazione di tali redditi amministrando la partecipazione nella
società conferitaria.
Queste considerazioni introducono il discorso sulle attività degli enti conferenti e sulle finalità da essi perseguite.
Anzitutto — nonostante la collocazione nell'art. 12.1 d.leg. 356/90 — gli enti conferenti amministrano la partecipazione nella
società per azioni conferitaria finché ne sono titolari.
Questa attività di amministrazione è stata per lo più sottova
lutata, sia per una sua pretesa eventualità o non necessarietà,
collegata all'ipotesi di alienazione delle azioni previste dall'art.
12.1 appena ricordato, sia per la considerazione che il decreto
delegato, precludendo all'ente conferente l'esercizio diretto di
attività bancaria, gli impedirebbe anche ogni ruolo di guida stra
tegica della società bancaria scorporata. Entrambe le considerazioni sembrano però di fragile fon
damento.
Così la prima, per la quale si dà maggior rilievo a quanto
potrebbe accadere che non a quanto accade realmente, posto
che, in oggi, gli enti conferenti sono titolari della totalità o qua si delle azioni delle società conferitane e molti statuti stabilisco
no che, comunque, anche in caso di alienazione di queste, la
maggioranza delle azioni dovrà restare alla fondazione/ente con
ferente. Sul punto non è inutile ricordare che l'art. 2.1 c) 1.
218/90, distingue correttamente fra oggetto e finalità dell'ente
conferente. L'oggetto, infatti, consiste nella gestione di parteci
pazioni bancarie e finanziarie, dirette o indirette, ed assume una
rilevanza primaria rispetto alle finalità da persegursi, inevitabil
mente subordinate, almeno in termini cronologici, alla realizza
zione dell'oggetto dell'ente.
Così la seconda, che confonde l'esercizio di attività bancaria
diretta con l'amministrazione della partecipazione nella società
conferitaria.
Escludere che l'ente conferente possa esercitare attività ban
caria diretta significa, a norma di legge, che tale ente non può
procedere alla raccolta del risparmio tra il pubblico né esercita
re il credito, essendo tali attività riservate alle banche e agli istituti indicati nel 2° comma dell'art. 1 della legge bancaria
(r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375 e successive modificazioni) e, da
ultimo, t.u. approvato con d.leg. 1° settembre 1993 n. 385.
Bisogna allora chiarire cosa significa l'amministrazione della
partecipazione azionaria nella società conferitaria, dovendo at
tribuirsi un significato sostantivo alla disposizione normativa.
L'amministrazione di un pacchetto azionario, soprattutto quan do è almeno di maggioranza assoluta, significa controllo delle
assemblee societarie e dunque assunzione, in sede assembleare, delle decisioni operative che, pur non interferendo con l'auto
nomia gestionale della banca e con la sua neutralità allocativa, il codice civile rimette all'azionista ivi compresa, e non è affare
di poco conto, la nomina e l'eventuale revoca degli amministra
tori e degli altri organi della società.
E poiché spetta all'assemblea degli azionisti approvare il bi
lancio che non è solo un elenco di dati contabili ma il risultato
di una politica aziendale illustrata dalla necessaria relazione de
gli amministratori (art. 2423 c.c.) che l'azionista può condivide
re o meno, come può negarsi non solo in termini giuridici ma
ancora prima di logica elementare che in tale sede e in tale oc
casione l'azionista, proprietario dell'azienda, possa esprimere valutazioni e dettare indirizzi ai quali l'azienda bancaria dovrà
necessariamente adeguarsi se non vorrà rischiare la reiezione del
successivo bilancio? Può dirsi che questo integri esercizio di at
tività bancaria?
Il tutto, senza tener conto degli altri poteri dell'assemblea
ordinaria e dei poteri che la legge conferisce all'assemblea straor
dinaria in materia di atto costitutivo.
Riprendendo una terminologia invalsa in giurisprudenza può dirsi che l'ente conferente, sia pur nei limiti del protocollo di
autonomia, è il «socio sovrano» dell'assemblea della società con
feritaria, avendo la possibilità di esprimere una volontà deter
minante per l'attività sociale, «e quindi dominare la società»
con tutto quanto ne deriva in ordine ai rapporti fra la fondazio
ne e banca/società per azioni.
Questa commissione condivide, pertanto, le argomentazioni svolte in sede consultiva dall'avvocatura di Stato, secondo cui
l'art. 12, 1° comma, lett. b), d.leg. 20 novembre 1990 n. 356
(richiamato anche dal successivo 2° comma) prevede come es
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
senziale, autonoma e necessaria attività (l'art. 2, 1° comma, lett. c, 1. n. 218 del 1990 usa la parola «oggetto») di ciascun
ente cassa lo amministrare la partecipazione nella società confe
ritaria dell'azienda bancaria finché ne (della partecipazione) so
no titolari. Una attività questa — come anche lo «acquisire e
cedere partecipazioni di minoranza al capitale di altre imprese bancarie e finanziarie» e lo esercitare per quanto non vietato
la «capacità di diritto privato» (art. 11 d.leg. n. 356 del 1990) — che è senza dubbio oggettivamente «commerciale»; alla qua
le, di poi, si affiancano le finalità «di interesse pubblico e di utilità sociale» di cui alla lett. a) dello stesso comma; quanto alle finalità di assistenza e di tutela dei più deboli, esse sono
soltanto «mantenute» e soltanto se e per quanto «originarie». A tale proposito la Suprema corte di cassazione (sez. I 29
marzo 1990, n. 2573, Foro it., Rep. 1990, voce Impiegato dello
Stato, n. 270) ha affermato che «la natura dell'attività in con
creto esercitata dall'ente (elemento oggettivo) prevale, sul fine
dichiarato (elemento soggettivo), anche se si tratti di un fine
non di lucro, e ciò si comprende considerando che lo scopo di ripartire, oppure no, utili ai partecipanti all'iniziativa com
merciale costituisce un momento successivo alla produzione de
gli utili stessi, che non fa venir meno il carattere commerciale
dell'attività e non rileva ai fini tributari, essendo indifferente
la destinazione che venga data agli utili eventualmente prodotti». Per quanto sopra motivato in ordine all'attività primaria del
l'ente fondazione, deve concludersi che nella fattispecie viene
a mancare il requisito di esclusività richiesto come condizione
necessaria ma non sufficiente per il godimento dell'agevolazio ne di cui alla 1. 29 dicembre 1962 n. 1745.
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONA LI; provvedimento 16 settembre 1997, Pres. Rodotà.
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONA LI; provvedimento 16 settembre 1997, Pres. Rodotà.
Persona fisica e diritti della personalità — Trattamento dei dati
personali — Normativa in tema di accesso ai documenti am
ministrativi e diritto di cronaca — Abrogazione — Esclusione — Accessibilità di dati relativi alla retribuzione di dipendenti di concessionari di pubblici servizi — Limiti (L. 7 agosto 1990
n. 241, norme in materia di procedimento amministrativo e
diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22; 1. 31
dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti
rispetto al trattamento dei dati personali, art. 43).
Posto che la normativa in tema di tutela dei dati personali non
ha abrogato le disposizioni in materia di accesso ai documen
ti amministrativi, di pubblicità degli atti parlamentari, di dif fusione dei contratti collettivi e di esercizio del diritto di cro
naca, sono conoscibili da parte delle competenti autorità pub bliche e da chiunque vi abbia interesse, attraverso l'applicazione delle richiamate normative, i dati personali concernenti le classi
stipendiali, le retribuzioni e gli altri emolumenti corrisposti ad amministratori, dirigenti e lavoratori dipendenti ed auto
nomi di concessionari di pubblici servizi (quali ad esempio le Ferrovie dello Stato s.p.a. e la Rai s.p.a.); resta ferma, in tema di diritto di cronaca, la necessità che tali dati siano
esatti, completi ed acquisiti correttamente (art. 9 l. 675/96) e che siano invece mantenuti riservati i dati più specifici che
derivano dalla considerazione di vicende diversificate dalla re
tribuzione tipo e che possono avere anche natura sensibile
(es. : esistenza di determinate ritenute previdenziali e assisten
ziali; cessioni di stipendio; deleghe per iscrizioni ad associa zioni sindacali). (1)
(1) Il provvedimento odierno, diretto alla ricognizione delle norme
abrogate dalla 1. n. 675 del 1996 in forza della clausola di cui all'art.
43 (in punto di caducazione delle disposizioni anteatte incompatibili),
rappresenta la sortita della neonata Autorità nel groviglio delle relazio
ni tra una legge tutta imperniata sulla difesa a tutta oltranza della riser
vatezza ed il quadro normativo pregresso (cfr., in particolare, la disci
plina in tema di accesso e di diritto di cronaca), per converso ispirato
Il Foro Italiano — 1997.
Visti gli atti d'ufficio in ordine alla pubblicità dei dati riguar danti le retribuzioni e le altre indennità corrisposte dai conces sionari di pubblici servizi;
considerati alcuni interrogativi posti anche attraverso dichia
razioni alla stampa, volti a chiarire se, ed in quale misura, le
informazioni riguardanti le retribuzioni e le altre indennità cor
risposte dai concessionari di pubblici servizi siano conoscibili
e possano essere oggetto di diffusione attraverso mezzi di co
municazione; Osserva: La 1. 31 dicembre 1996 n. 675, considera anche tali
informazioni come «dati personali», qualora esse siano collega te a persone fisiche identificate o identificabili.
L'applicabilità di tale legge non comporta tuttavia un regime di assoluta riservatezza dei dati, dovendosi verificare caso per caso se sussistono altri diritti o interessi meritevoli di pari o
superiore tutela.
La 1. n. 675 (art. 43) ha abrogato le disposizioni incompatibi li con la nuova normativa o con i relativi principi fondamentali.
Peraltro, tra le disposizioni non abrogate rientrano, certamente,
quelle concernenti la pubblicità degli atti parlamentari, dei con
tratti collettivi di lavoro e dei documenti amministrativi, o che
riguardano il controllo da parte della Corte dei conti o il legitti mo esercizio del diritto di cronaca.
In questo quadro, i dati personali concernenti le classi stipen
diali, le retribuzioni, le indennità e gli altri emolumenti corri
sposti ad amministratori, dirigenti e lavoratori dipendenti ed
autonomi da concessionari di pubblici servizi (quali, ad esem
pio, le Ferrovie dello Stato s.p.a. e la Rai s.p.a.) sono da rite
nersi conoscibili da parte delle competenti autorità pubbliche e di chiunque vi abbia interesse, attraverso:
a) la lettura degli atti parlamentari nei quali sono documen
tate le doverose risposte fornite ad interrogazioni e ad interpel lanze parlamentari, ovvero in sede di riscontro a richieste di
chiarimenti provenienti dalle commissioni di vigilanza o di au
torità di controllo;
b) l'esame dei contratti collettivi, destinati per loro stessa na
tura ad un regime di diffusa conoscibilità;
e) l'accesso ai documenti amministrativi che la 1. 7 agosto 1990 n. 241 rende accessibili da parte di chiunque vi abbia un
interesse giuridicamente rilevante, personale e concreto (art. 22
1. n. 241; art. 2 d.p.r. 352/92), nonché da parte di amministra
al principio della permeabilità di atti e notizie di rilievo sociale. Il Ga
rante, nel riconoscere (senza dimenticare il limite dei dati sensibili), l'ac cessibilità dei documenti relativi alle retribuzioni corrisposte dai conces
sionari di pubblici servizi, conclude nel senso che la normativa in tema di tutela dei dati personali non ha abrogato le disposizioni in materia di accesso ai documenti amministrativi, di pubblicità degli atti parla mentari, di diffusione dei contratti collettivi e di esercizio del diritto
di cronaca. Per un commento alla prima decisione del Garante del 28 maggio
1997 si veda Foro it., 1997, III, 317, con nota di R. Pardolesi, con
ampi riferimenti bibliografici. Per una disamina organica della normativa del 1996, si segnala G.
Buttarelli, Banche dati e tutela della riservatezza, Milano, 1997, non ché R. Imperiali - R. Imperiali, La tutela dei dati personali, Milano, 1997.
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Riservatezza ed accesso ai documenti amministrativi a cavallo tra pa rametri costituzionali ed oscillazioni legislative.
I. - L'avvento della l. 675/96 nel quadro dei valori costituzionali. Il varo della 1. 675/96, e successive modifiche in tema di tutela della
privacy informatica, costituisce occasione assai ghiotta per scrutinare
gli sbocchi sperimentati in sede normativa ed interpretativa al fine di
sciogliere il nodo gordiano del contrasto tra interesse pubblico all'infor
mazione e aspirazione privata alla riservatezza in ordine ai dati intimi
della vita privata e relazionale. Il contrasto in questione, dietro il quale si cela la contrapposizione talora frontale tra i valori scolpiti dagli art.
21 e 2 Cost., traspare nelle volute della disciplina da una molteplicità di angolazioni.
Nella prima, più immediata visuale, la legge del 1996, nell'irrigidire i limiti enucleati dalla giurisprudenza a far tempo dalla celeberrima sen
tenza del decalogo, impone un brusco stop alla libertà di informazione
tutte le volte che la stessa si imbatta in dati personali tutelati, con parti colare riguardo al microcosmo dei dati definiti «sensibili», ossia dei
dati «idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religio
se, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a parti
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