sentenza 14 gennaio 1985; Pres. Di Salvo, Est. Giribaldi; Piazza e altri (Avv. Occhionero) c.Arciconfraternita della Santissima Trinità (Avv. Boverio, Todeschini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2421/2422-2425/2426Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178018 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
A scioglimento della riserva che precede, va pregiudizialmente rilevato in rito alla luce delle difese in punto svolte dalle parti costituite e dalle sommarie informazioni assunte: 1) che l'espres sione di cui. all'art. 409 c.p.c. (controversie relative a rapporti di
lavoro subordinato) contempla ogni controversia in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi ad un rapporto di lavoro sia
esso in atto ovvero estinto ovvero ancora soltanto da costituirsi
(Cass. 12/6/1982, n. 3592, Foro it., 1983, I, 113); 2) che il
richiesto provvedimento ex art. 700 c.p.c. si innesta in giudizio di
merito risarcitorio ex art. 2043 c.c. (responsabilità aquiliana)
promosso nei confronti di dipendenti messi dall'azienda in aspet
tativa retribuita previa declaratoria di illegittimità del « presi
dio-occupazione » dai medesimi attuato nei locali magazzino a
mezzo blocco delle operazioni di carico e scarico merci; 3) che — come chiaramente si evince agli atti —- tale comportamento —
per quanto sicuramente sanzionabile nella misura in cui attenti il
diritto costituzionale garantito della libertà di iniziativa economi
ca e della integrità del patrimonio aziendale — si configura come
forma di lotta delle maestranze per dar maggior peso alle loro
rivendicazioni (riciclaggio del personale di magazzino nella ri
strutturazione dall'azienda) disattese dagli accordi regionali ratifi
cati dalla maggioranza del c.d.f. ma rispetto alle quali pende attualmente vertenza avanti al giudice del lavoro (vedasi punti 3
e ss. delle conclusioni del ricorso colà introdotto da taluni dei
prevenuti) sicché appare suscettibile di inquadrarsi in esercizio —
sia pur anomalo — del diritto di sciopero come puntualizzato dai
resistenti in comparsa di risposta (sub 1 di motivi): anche questo
g.i. non potrebbe comunque esimersi dal valutarne le modalità ai
fini del fumus boni iuris vantato dal ricorrente (il preteso diritto allo sgombero presupponendo un giudizio di implicita illiceità del presidio-occupazione posto in atto ex adverso sicco me d'altronde richiesto dalla stessa attrice in via ordinaria sub a
di conclusioni di citazione); 4) che infine — per costante
giurisprudenza di merito e di legittimità — costituiscono contro
versie di lavoro anche quelle relative a veri e propri fatti illeciti
connessi in relazione od anche solo in occasione dello svolgimen to del rapporto di lavoro, purché siano in gioco la costituzione o
la permanenza del vincolo lavorativo e le sue vicende come ha
precisato la sentenza 5 aprile 1982, n. 2093 (id., 1982, I, 2521) ricordata dalla s.pja. Euroclub solo apparentemente difforme —
per quanto quivi interessa — al consolidato indirizzo testé
ricordato (si badi! che in quella fattispecie non era affatto io
discussione — per concorde riconoscimento di litiganti — pro blematica alcuna sullo sciopero e sulle immediate sue conseguen ze sulla rispettiva posizione contrattuale) e comunque — a parere di questo g.i. poco convincente — stante l'obiettiva difficoltà di
avvalersi ai fini della competenza dei sottili criteri ivi suggeriti che sembrano logicamente contrastare con una più corretta ten
denza di favorire interpretazioni' dell'art. 409 c.p.c. idonee a ridurre
al minimo le incertezze nell'ambito di applicazione del rito del
lavoro caratterizzato non solo dalla specialità del procedimento ma anche e soprattutto dalla specialità del giudice che lo applica.
Per quesiti motivi, declina la propria competenza a provvedere sul richiesto provvedimento d'urgenza essendo in punto competente il pretore in funzione di giudice del lavoro.
troversia individuale di lavoro » di cui all'art. 409 c.p.c., v. Pret. Firenze 14 febbraio 1984 e Pret. Roma 16 aprile 1983, Foro it., 1984, I, 1405, con nota di richiami e, da ultimo, anche Cass. 11 feb braio 1985, n. 1156, id., 1985, I, 690, con nota di richiami di C. M. Ba
rone, secondo cui rientra nella competenza del pretore in funzione
di giudice del lavoro (la cognizione del)la controversia promossa da isti tuti di credito contro gli eredi del direttore generale per accertare la cor
rettezza della gestione fuori bilancio di sómme di denaro (c.d. fondi ne
ri) allo stesso affidata per fini dell'istituto ed ottenere il relativo rendi conto.
Nella decisione della sentenza in epigrafe sono richiamate, in senso
conforme, Cass. 12 giugno 1982, n. 3592, id., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 37 (e in Giur. it., 1983, I, 1, 50, con nota di P. Lambertucci); e Cass. 5 aprile 1982, n. 2093, Foro it.,
1982, I, 2521, con osservazioni critiche di A. Proto Pisani, la quale afferma la competenza del giudice ordinario a conoscere della doman
da di risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale in
relazione a fatti commessi dai lavoratori ma soltanto occasionalmente
connessi con l'esercizio del diritto di sciopero e con il rapporto di lavo
ro, ritenendo competente il pretore in funzione di giudice del lavoro nel
le sole ipotesi in cui vengano poste in discussione la costituzione o il
perdurare del vincolo lavorativo, nonché, a quanto pare, in quelle in
cui venga in discussione il diritto di sciopero e le sue modalità di
attuazione.
Il Foro Italiano — 1985.
TRIBUNALE DI ASTI; TRIBUNALE DI ASTI; sentenza 14 gennaio 1985; Pres. Di
Salvo, Est. Giribaldi; Piazza e altri (Avv. Occhionero) c.
Aroiconfraternita della Santissima Trinità (Avv. Boverio, To
deschinl).
Donazione — « Modus » — Adempimento — Risarcimento danni
(Cod. civ., art. 793).
Tra il donatario modale e i terzi beneficiari sorge un rapporto
obbligatorio in forza del quale questi ultimi sono titolari di un
diritto soggettivo azionabile in giudizio per ottenere l'adempi mento del modus od il risarcimento del danno. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il
19 maggio 1983 Giancarlo Pianzo, Angelo Alluto in proprio e
quale legale rappresentante della figlia minore Giuliana Alluto, Francesco Ferrerò, Margherita Cigna, Aldo Tortia, Gianluigi Co
stello in proprio e per i figli minori Andrea e Marco Costello, Laura Corsino in proprio e per la figlia minore Cristina Lupo, Marcellina Terzano in proprio e per i figli minori Diego e Luca
Sarbonari, Luisa Ugliono in proprio e per la figlia minore Elena
e Francesco Ferrerò, Carlo Villa, Silvano Moiso e Carlo Chiarello
in proprio e per i figli minori Lavinia e Valerio Chiarello, hanno convenuto davanti al Tribunale di Asti l'Arciconfraternita
della Santissima Trinità con sede in Casale Monferrato formulan
do le domande principali e subordinata indicate in epigrafe. Gli
attori esponevano che con atto 7 febbraio 1949 a rogito not. Caire
di Casate Monferrato la società immob. Monferrina in liquida zione aveva donato alla casa di Torino dell'istituto delle suore di
Sant'Anna della Provvidenza un fabbricato civile con annessi
terreni denominato il « convento » sito in Cocconato via Monte
grappa con la clausola modale seguente: la presente donazione è
fatta allo scopo di adibire gli immobili che ne formano l'oggetto ed i redditi dei medesimi alla assistenza religiosa ed alla educa
zione religiosa della popolazione, con particolare riferimento alla
gioventù, con la denominazione di « opera Fantino »; che con
atto 6 ottobre 1978 a rogito notaio Levati di Torino la donataria
suindicata aveva a sua volta donato all'iarciconfraternita conve
nuta l'immobile suddetto (sia pure individuato diversamente nel
nuovo catasto), accollando alla nuova donataria l'onere di osserva
re le condizioni statuite nell'atto di donazione Caire, « specie per
quanto concerne l'assistenza, l'istruzione e l'educazione religiosa della popolazione, in particolare modo giovanile (e di cui all'ope ra denominata Fantino) »; che l'arciconfraternita non solo aveva lasciato l'immobile in completo stato di abbandono ma successi
vamente, con atto a rogito notaio Aceto del 4 novembre 1982, aveva venduto il « convento » alla s.r.l. immob. Piemonte; che
tale atto di vendita era stato preceduto, il 28 settembre 1980, da
una vera e propria altra vendita — conclusa con scrittura privata — dall larciconfratewiita al comune di Cocconato, il quale si era
accollato l'onere di cui sopra rinviando la redazione dell'atto
pubblico al conseguimento delle autorizzazioni delle autorità tuto
rie, il tutto recepito in delibera unanime del consiglio comunale di Cocconato n. 78 del 21 novembre 1980, la quale aveva anche
previsto la destinazione del complesso a sede del distretto sanita rio e dei servizi socio-assistenziali; che alcuni mesi prima della
vendita alla s.r.l. immob. Piemonte, avvenuta senza che nessun
organo comunale reclamasse l'esecuzione dei patti di cui alla scrittura privata 28 settembre 1980 e senza che fossero intervenute altre diverse deliberazioni consiliari (che, anzi, il consiglio aveva anche deliberato la nomina di un esperto stimatore per la determinazione del prezzo dell'immobile da corrispondersi alla
Arciconfraternita), tale Franco Massa aveva chiesto ed ottenuto dal sindaco autorizzazione all'effettuzione di alcuni lavori nell'im
mobile, e successivamente, nel maggio 1982, essendo ancora l'immobile di proprietà dell'areicon fratemila, la s.r.l. immob.
(1) In senso conforme v. Cass. 19 maggio 1959, n. 1506, Foro it., 1959, I, 936, dove, a proposito di inadempimento da parte dell'ente pubblico beneficiario, si afferma che il modus è fonte di vera e propria obbligazione e, ancora, che il giudice ordinario può emettere pronuncia di condanna al risarcimento del danno. V. anche Cass. 4 dicembre 1962, n. 3261, id., 1963, I, 38, e le pronunce che qualificano l'onere apposto alla donazione come rapporto obbligatorio in senso tecnico e come tale giuridicamente coercibile (Cass. 20 marzo 1976, n. 1024, id., Rep. 1976, voce Donazione, n. 19, e 8 giugno 1962, n. 1402, id., Rep. 1962, voce cit., n. 32), ponendosi così in contrasto con la soluzione adottata da Cass. 29 maggio 1982, n. 3329, id., 1983, I, 756, per la vexata quaestio della risolubilità della donazione modale in assenza di clausola espressa.
In dottrina v., riassuntivamente, U. Carnevali, in Trattato, diretto da Rescigno, 4, Torino, 1982, 491.
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2423 PARTE PRIMA 2424
Piemonte aveva ottenuto dallo stesso sindaco concessione edilizia
per la ristrutturazione dell'ex convento; che da tutto ciò
risultava chiaramente, prescindendo dagli aspetti amministrativi,
penali e morali della questione, la violazione dell'obbligo di
destinazione del complesso immobiliare e dei relativi redditi agli
scopi indicati negli atti di donazione; che, infine, il prezzo pagato dalla s.r.l. immob. Piemonte era quasi certamente superiore a
quello indicato nel rogito Aceto.
L'Arciconfraternita della Santissima Trinità si è costituita chie
dendo dichiararsi il difetto di legittimazione attiva e di interesse
degli attori e, nel merito, respingersi le domande; previe alcune
divagazioni sul colore politico di alcuni degli attori e sul senso
civico dei medesimi, la difesa della convenuta ha sostanzialmente
ammesso i fatti esposti nell'atto introduttivo, limitandosi a conte
stare con brevi osservazioni l'interesse e la legittimazione degli
attori stessi nonché la fungibilità dell'obbligazione modale. In
corso di causa la convenuta ha eccepito anche la prescrizione estintiva. (Omissis)
Motivi della decisione. — 1. - Sull'eccezione di difetto di
legittimazione attiva. Secondo giurisprudenza consolidata (vedasi
per tutte Cass., sez. II, 11 giugno 1975, n. 2306, Foro it., 1976, I,
759), la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell'a
zione concretantesi nel diritto potestativo di ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito e risolventesi nel potere di
promuovere il giudizio tendente ad una sentenza dichiarativa,
costitutiva o di condanna su un rapporto giuridico di diritto
sostanziale dedotto ad oggetto di controversia, indipendentemente dalla titolarità attiva del rapporto sostanziale che forma oggetto del contendere e dall'identificazione del soggetto attivo del rappor to contenzioso. Essa si determina in base all'affermazione, da
parte dell'attore, della titolarità della posizione soggettiva attiva
dedotta in giudizio o di una di quelle speciali relazioni con
quest'ultima che abilitano un soggetto diverso dal titolare a
richiedere la tutela giurisdizionale di una situazione giuridica
sostanziale; per cui, per verificarne la sussistenza, deve aversi
riguardo soltanto a quanto affermato dall'attore, prescindendo dalla veridicità e dalla fondatezza di tale affermazione, mentre
l'accertamento della effettiva titolarità del rapporto controverso
attiene al merito. Non vi è alcun dubbio, quindi, sulla sussistenza
della legittimazione degli attori, i quali reclamano l'adempimento del modus inerente ad una donazione affermandosi titolari della
posizione soggettiva (non importa qui se di diritto soggettivo o di
interesse legittimo o di interesse « diffuso », posto che tale accer
tamento deve svolgersi sul piano della giurisdizione, momento
logicamente successivo a quello della legittimazione) di interessati
(art. 793, 3° comma, c.c.) all'impiego di determinati beni e redditi
per scopi di assistenza, di educazione e di istruzione religiosa della popolazione, specie giovanile, di Cocconato. Negare tale
posizione significa contestare nel merito la fondatezza della do
manda ma non porre in dubbio la legittimazione, posto che, come
si è appena detto, la sussistenza di questa va determinata
esclusivamente sulla base dell'affermazione degli attori.
2. - Sull'interesse ad agire. Sempre per giurisprudenza consolida
ta, l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) è autonomo rispetto sia
alla legittimazione sia all'interesse sostanziale dedotto in giudizio; esso consiste nella situazione -giuridica di vantaggio sostanziale il
cui riconoscimento viene posto ad oggetto della pretesa fatta
valere in giudizio e si determina in relazione al vantaggio pratico
(utilità concreta) che dall'esercizio della giurisdizione può derivare alla posizione fatta valere in giudizio; è secondario, indipendente ed autonomo rispetto all'kite tiesse sostanziale; forma il contenuto
della pretesa. Pertanto, negare l'interesse ad agire degli attori
nella fattispecie appare addirittura un nonsenso, posto che costoro
pretendono dalla convenuta la destinazione di una somma di
denaro a determinati scopi e quindi reclamano un vantaggio
pratico, una utilità concreta, un impiego di beni giuridicamente rilevanti costituente per essi proprio quella situazione giuridica di
vantaggio sostanziale affermata dalla giurisprudenza. Perfettamente
vano è affermare, contro tale evidenza, che questo non sarebbe
dimostrato che « l'interesse all'adempimento del modus, ammesso e
concesso che quisque de populo possa azionarlo, sussista concre
tamente nelle persone degli attori»; l'interesse in questione sorge ed è dimostrato, in astratto (e ciò è sufficiente), dal semplice fatto
che gli attori sono pacificamente membri della collettività civile
di Cocconato (« popolazione » secondo i due rogiti sopra indicati) a
favore della quale il modus di cui si discute è stato inserito quale clausola delle donazioni; esigere ulteriori dimostrazioni (quella, ad
esempio, di aver partecipato ad attività di assistenza o di
educazione o di essere praticanti dei riti della religione cattolica)
Il Foro Italiano — 1985.
ha lo stesso fondamento giuridico della pretesa di colui che, convenuto per la restituzione di una somma di denaro in forza di un contratto di mutuo, pretendesse dal mutuante la dimostrazione dell'utile futuro reimpiego della somma stessa, o qualcosa di simile. In realtà, gli attori potrebbero essere anche atei, agnostici o praticanti di altra religione diversa da quella cattolica, ma cionostante avere interesse ad agire per l'adempimento del modus,
posto che, come si è appena detto, l'interesse ad agire non va confuso con l'interesse sostanziale dedotto in giudizio, e qui si
contrappone, sul piano puramente processuale, alla lesione della
posizione giuridica sostanziale inerente all'inadempimento del mo dus. Peraltro, anche l'interesse sostanziale non può essere seria mente negato, risolvendosi tale negazione in una inammissibile
indagine e censura « di foro interno ».
3. - L'art. 793, 3° comma, c.c., riconoscendo la legittimazione ad agire per l'adempimento del modo a qualunque interessato, non ha inteso riferirsi all'interesse ad agire in giudizio (vedasi sul
punto, in una fattispecie di modus testamentario — art. 648 c.c. — la citata Cass. 2306/75). L'acuta ed approfondita indagine dottrinale contenuta nella comparsa conclusionale degli attori esime il collegio da ulteriori commenti al riguardo. Pare sufficien te ribadire in proposito che nel caso di specie si tratta di un
interesse sostanziale il cui contenuto, quantunque variamente
configurato in dottrina ed in giurisprudenza ora come diritto
soggettivo, ora come interesse legittimo, ora persino come interesse « diffuso » è sicuramente tutelabile in via autonoma ed individuale
davanti al giudice ordinario e indipendentemente dall'esistenza dei
cosiddetti « enti esponenziali ». A dire il vero, qui di enti
esponenziali non è neppure il caso di parlare, posto che l'unico ente al quale potrebbe ricollegarsi l'interesse in esame, il comune
di Cocconato (quale rappresentante della collettività dei cittadini), avrebbe si potuto assumere l'iniziativa, «nel quadro idi una valuta zione più generale degli interessi della comunità civile, di far
rispettare il modus proprio in tale veste rappresentativa di diritto
pubblico, ma non vi sarebbe stato giuridicamente tenuto, né, ritiene il collegio, i cittadini o l'ente tutorio (regione) avrebbero
potuto costringervelo. Indipendentemente da ciò, comunque, è
senz'altro da condividere l'affermazione dottrinale secondo cui i titolari degli interessi collettivi religiosi non sono le confessioni
religiose né in genere le collettività religiose considerate come
soggetti giuridici diversi dai fedeli che le compongono, bensì gli stessi fedeli quali componenti del gruppo; affermazione alla quale fa eco la già citata Cass. n. 2306/75 laddove ribadisce che « nel caso in cui il modo sia disposto a vantaggio di una categoria generica di persone, la legittimazione ad agire deve essere rico nosciuta a ciascuno degli appartenenti alla categoria dei beneficia
ri; in tale ipotesi, quindi, il titolo della legittimazione è costituito
dall'appartenenza alla categoria beneficata ». Ma, ad avviso del
collegio, si può fare un ulteriore passo avanti nel senso che, rientrando l'assistenza, l'educazione e l'istruzione religiosa (nella specie cattolica, come tiene a precisare la convenuta e come gli attori ribadiscono nella memoria di replica: tutti d'accordo, dunque!) nella sfera dell'esercizio delle libertà fondamentali —
quali appunto quella di coscienza, quella di pensiero e quella religiosa — in realtà la legittimazione ad agire in tale sfera —
con riferimento nel caso di specie ad una disposizione di atto di donazione volto a destinare beni materiali al migliore esercizio di
tali attività — spetta non solo a ciascun appartenente alla
categoria (cittadini) dei beneficiari in quanto membro di una
collettività, bensì anche al singolo cittadino in quanto autonomo
soggetto di diritti individuali inerenti alla sfera spirituale. In altri
termini, pare al collegio che se anche fosse dimostrato che uno soltanto fra tutti gli abitanti di Cocconato avesse interesse all'i
struzione, all'educazione ed all'assistenza religiosa, costui avrebbe
potuto agire uti singulus per il rispetto del modo di cui è causa. 4. - Qualificazione giuridica del modus e definizione nella
fattispecie. Si sostiene da una parte della dottrina che il modus
modifichi l'essenza della donazione, nel senso che questa sarebbe caratterizzata da una causa particolare (esecuzione dell'onere), per cui l'animus donandi non sarebbe più la causa bensì soltanto lo strumento dell'intento perseguito attraverso il modus e l'onere, pur non alterando la causa della donazione (sempre gratuita), si
inserirebbe nello schema del contratto dando luogo ad una
connessione funzionale tra l'arricchimento del donatario e la
controprestazione (adempimento del modus); sicché la struttura
della donazione ne risulterebbe modificata in contratto con presta zioni corrispettive o misto. Altra parte (maggioritaria) della
dottrina, seguita dalla giurisprudenza prevalente, esclude la caratte
rizzazione onerosa dalla donazione modale e si richiama allo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
schema romanistico del negozio a titolo gratuito collegato —
senza alcun sinallagma genetico o funzionale — ad un elemento
accidentale (modus) dipendente da una volontà subordinata rispet to a quella principale diretta alla produzione degli effetti tipici della donazione. In ogni caso, come bene rileva la difesa degli
attori, è assolutamente pacifico che tra il donatario modale ed i
terzi beneficiari sorge un rapporto obbligatorio in forza del quale
questi ultimi sono titolari di un diritto soggettivo azionabile in
giudizio per ottenere l'adempimento od il risarcimento del danno.
La convenuta non contesta minimamente trattarsi di un vero e
proprio modus. Non contesta neppure la validità della clausola
sotto qualsiasi profilo, e d'altro canto non si vede come avrebbe
potuto farlo, trattandosi di una formulazione tipica e di un
contenuto caratteristico di tal genere di negozi (clausole a favore
dei poveri, della città, dei vecchi abbandonati, ed altre formula
zioni anche più vaghe e generiche sono sempre state riconosciute
perfettamente valide). Sul punto, quindi, non vi è luogo ad
ulteriore discussione.
5. - Eccezione di prescrizione. Essa è palesemente infondata
posto che, anche ammesso che la prescrizione decorra dall'atto
formale nel quale il modus è stato imposto al donatario, tale atto
formale deve identificarsi col rogito Levati 6 ottobre 1978, il
quale contiene una completa rinnovazione dell'obbligo modale a
carico del nuovo donatario (l'arciconfratemita convenuta), del tutto
indipendente ed autonoma rispetto alle previsioni del rogito Caire
del 1949; se anche l'azione per l'adempimento del modus conte
nuto nel rogito Caire fosse prescritta, la prescrizione non varrebbe
per la nuova donazione, fonte autonoma di diritti per i beneficia
ri. E poiché è pacifico che il termine di prescrizione dovrebbe
esser quello decennale ordinario (2946 c.c.), non vi è dubbio che
al momento della notificazione dell'atto introduttivo il periodo
prescrizionale non era ancora decorso.
6. - Inadempimento e condanna all'adempimento. La conve
nuta ammette l'inadempimento, laddove afferma in comparsa conclusionale che « l'arciconfratemita ha destinato il ricavo della
vendita alle attività di villa Serena in Moncalvo » e laddove
deduce a prove, nella stessa sede, che « la convenuta, non essendo
in grado di compiere le opere edilizie necessarie per l'agibilità, decise di destinare il prezzo incassando ad altre opere analoghe »
(non in Cocconato e non a favore della popolazione di Coccona
to). Non vi è necessità di ammettere tali prove, posto che la loro
stessa deduzione, per l'appunto, costituisce ammissione dell'ina
dempimento; ma si deve aggiungere che se anche fosse vera
l'incapacità dedotta (del che vi è quanto meno da dubitare, specie se si considera che l'accordo del 1980 col comune di Cocconato
avrebbe consentito il conseguimento di entrambi gli scopi, quello della ristrutturazione di un complesso immobiliare di rilevante
valore storico con successiva destinazione a fini di pubblica utilità e quello dell'impiego del ricavato nell'adempimento del
modus), la vendita dell'immobile e delle sue pertinenze non
avrebbe di per sé costituito inadempimento se il prezzo fosse
stato destinato agli scopi previsti nell'atto di donazione modale.
Mentre il risultato del comportamento della donataria è stato
quello, certo non commendevole, di favorire da un lato una
speculazione edilizia (è agevole prevedere la futura destinazione del
« convento » ristrutturato, anche se negli atti progettuali e nella
concessione comunale non se ne fa menzione alcuna) e di
distrarre dall'altro i fondi ricavati dalla vendita dagli scopi suddetti.
È appena il caso di rilevare che tutta la discussione in ordine
alla patrimonialità o meno del danno, al cui risarcimento gli attori chiedono in via subordinata condannarsi la convenuta,
appare superflua nell'ipotesi dell'accoglimento della domanda prin
cipale di adempimento, posto che per quest'ultimo vige la regola
generale dell'art. 1174 c.c. secondo cui la prestazione che forma
oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione
economica (e nella specie tale valutazione è già avvenuta con la
determinazione del prezzo di lire 95.000.000 nel rogito Aceto il 4
novembre 1982) e deve corrispondere ad un interesse anche non
patrimoniale del creditore.
La convenuta sostiene che l'adempimento in forma specifica non
sarebbe possibile, essendo la prestazione infungibile. Tale tesi
appare totalmente erronea. Né è esatto, come affermano gli attori,
che la questione non dovrebbe essere affrontata in questa sede, in
quanto, nell'ipotesi di infungibilità, la pronuncia del giudice di
cognizione potrebbe risultare inutiliter data-, ma, si ripete, non
pare proprio possa configurarsi l'impossibilità di esecuzione in
forma specifica. Non si tratta infatti di condannare il noto pittore a dipingere il classico quadro, o di qualcosa di analogo; si tratta
invece di destinare una somma ben determinata ricavata dalla
Il Foro Italiano — 1985.
vendita di un complesso immobiliare ad attività di assistenza, educazione ed istruzione religiosa nelle forme e nei tempi e nei modi in cui l'avrebbe presumibilmente fatto il donatario se avesse
inteso rispettare spontaneamente il modus di cui è causa; come
osserva la difesa degli attori, tale risultato può essere ottenuto non soltanto costringendo esecutivamente il donatario — nelle
forme dell'esecuzione degli obblighi di fare — a destinare il
denaro agli scopi suindicati, ma altresì portando ad esecuzione il
comando contenuto nella sentenza di condanna all'adempimpento nel senso di ottenere il deposito della somma ricavata e di
incaricare un terzo — od1 anche gli stessi attori — di reimpiegare la somma nei modi di cui all'art. 612 c.p.c., sentita la parte
obbligata. È possibile che in sede esecutiva sorgano contestazioni
sul modo di impiego, ma ciò non può interessare la fase della
cognizione, nella quale occorre soltanto accertare se possa o meno
essere pronunciata la condanna ad un facere. In realtà, tale
condanna si risolve nel puro e semplice ordine di destinare la
somma ricavata dalla vendita agli scopi previsti nel modus, scopi che successivamente potranno essere realizzati o direttamente dalla
donataria o in altre forme determinate dal giudice dell'esecuzione:
e, si ripete, non è certo infungibile la prestazione circoscritta in
questi termini, posto che la somma è determinata e le attività
previste nel modus dell'atto di donazione possano essere realizza
te, in molteplici forme, in diversi tempi e con diverse modalità,
sia dalla stessa donataria sia da un terzo incaricato. D'altro canto,
non è chi non veda l'iniquità di una soluzione contraria: se fosse
veramente infungibile la prestazione della quale gli interessati
chiedono l'adempimento, e se non potesse farsi luogo alla sanzio
ne sostitutiva del risarcimento del danno, come sostiene la
convenuta, si dovrebbe concludere per la intutelabilità sotto ogni
profilo dell'obbligazione modale, vanificando il disposto dell'art.
793 c.c., in linea più generale, affermandosi che l'obbligazione stessa non è tale bensì soltanto un puro nome, un vincolo di
carattere esclusivamente morale lasciato alla discrezione ed alla
buona volontà del cosiddetto obbligato; il che costituirebbe
negazione di un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico. La somma costituente il prezzo del complesso immobiliare non
può essere rivalutata, non ricorrendo i presupposti di cui all'art.
1224, 2" comma, c.c.; in particolare, non risultando provato un
danno maggiore di quello costituito dal ritardo nel reimpiego della somma, sulla quale, invece, decorrano gli interessi della
domanda in forza del 1° comma dell'articolo in esame. (Omissis)
TRIBUNALE DI CROTONE; TRIBUNALE DI CROTONE; sentenza 10 novembre 1984; Pres.
Macrini, Est. Lucente; Aloe (Avv. Fortunato) c. De Bartolo
(Avv. Carone).
Proprietà (azioni a difesa della) — Azione di regolamento di
confini — Regime probatorio (Cod. civ., art. 950).
Proposta azione di regolamento di confini, il giudice, in mancanza
di altri elementi di prova, può decidere la giusta linea confina ria sulla base delle risultanze che emergono dalle mappe catastali. (1)
Motivi della decisione. — Preliminarmente la domanda attrice
va qualificata come « azione di regolamento di confine », tenuto
conto che non sussiste un conflitto di' tìtoli, non controversi tra le
parti, in ordine al diritto di proprietà dei contendenti — presup
posto per l'alternativa qualifica di rei vindicatio —, e che la
contestazione cade sulla delimitazione dei rispettivi fondi per l'incertezza dei confini. Né l'azione cosi qualificata è stata snaitu
(I) La sentenza ribadisce la tesi per cui l'art. 950 c.c. implicitamente sancisce « il dovere del giudice di provvedere in ogni caso alla
determinazione del confine », in deroga al principio generale — sancito
a converso dall'art. 2697 c.c. — per cui actore non probante, reus
absolvitur. Ne consegue la necessità non solo di ammettere ogni mezzo
di prova (art. 950, 2° comma), ma anche, come s'è verificato nel caso
di specie, di consentire, a titolo di extrema ratio, la possibilità di una
decisione fondata sulle mere risultanze delle mappe catastali: cfr., in
proposito, Cass. 21 novembre 1983, n. 6939, Foro it., 1984, I, 1000, con
nota di richiami, ove anche indicazioni del criterio conflitto di
titoli - conflitto di fondi posto pacificamente dalla giurisprudenza a
base della distinzione tra rivendica ed actio finium regundorum
(orientamento riaffermato, più recentemente, da Cass. 5 aprile 1984, n.
2212, id., Rep. 1984, voce Proprietà (azioni a difesa della), n. 11 e 5
aprile 1984, n. 2211, ibid., n. 12).
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