sentenza 18 maggio 1999, n. 171 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 maggio 1999, n. 21);Pres. Granata, Est. Capotosti; Regione Veneto (Avv. Bianchini) e Regione Lombardia (Avv.Caravita di Toritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Laporta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 1 (GENNAIO 2001), pp. 59/60-71/72Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195686 .
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PARTE PRIMA
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 maggio 1999, n.
171 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 maggio 1999, n.
21); Pres. Granata, Est. Capotosti; Regione Veneto (Avv.
Bianchini) e Regione Lombardia (Avv. Caravita di Toritto) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Laporta).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Rapporto di
lavoro a tempo parziale — Questioni infondate di costitu
zionalità (Cost., art. 39, 97, 115, 117, 118, 119, 123; 1. 23 di cembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della finanza
pubblica, art. 1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65). Impiegato dello Stato e pubblico in genere
— Rapporto di
lavoro a tempo parziale — Questione inammissibile di co
stituzionalità (Cost., art. 3; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, comma 65).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Imposta
erariale sulla benzina — Determinazione dell'aliquota —
Questioni infondata e inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 53, 119; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, comma 154).
Economia nazionale e programmazione economica — Cipe
— Programmazione negoziata — Attribuzione di compe tenze — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.
118; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 2, commi 205, 206). Contabilità e bilancio dello Stato — Tesoreria unica — Li
mitazioni di accreditamenti — Questione infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 97, 119; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 214).
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65, l. 23 dicem bre 1996 n. 662, che disciplinano il rapporto d'impiego part time dei dipendenti della pubblica amministrazione, in riferi mento agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost. (1)
E inammissibile la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 1, comma 65, l. 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in
cui non prevede anche per gli enti di maggiori dimensioni
l'inapplicabilità delle norme che disciplinano il rapporto
d'impiego part-time dei dipendenti della pubblica ammini
strazione, disposta per gli enti locali la cui pianta organica
preveda un numero di dipendenti inferiore alle cinque unità, in riferimento all'art. 3 Cost. (2)
E infondata, in riferimento all'art. 119 Cost., ed inammissibile, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 154, l. 23 dicembre 1996 n.
662, che stabilisce l'operatività di eventuali aumenti erariali
dell'accisa sulla benzina per autotrazione in correlazione al
l'aliquota in atto della corrispondente imposta regionale. (3) E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2,
commi 205 e 206, l. 23 dicembre 1996 n. 662, che attribui
scono al Cipe competenze in ordine all'approvazione delle intese istituzionali di programma, di accordi diversi di pro
grammazione negoziata e alla definizione di tipologie di con
trattazione programmata, in riferimento all'art. 118 Cost. (4)
(1-2, 6-7) L'ordinanza del Tar Veneto, con gli estremi della pubbli cazione (6 giugno 1997, n. 1005), è massimata in Foro it., Rep. 1998, voce Impiegato dello Stato, n. 328, e commentata da L. Nogler, Diritto alla trasformazione del rapporto in «part-time» ed enti locali, in Lavo ro nelle p.a., 1998, 602.
La problematica relativa alla nuova disciplina del part-time nel pub blico impiego dettata con la legge finanziaria per il 1997 (ricordiamo che la prima regolamentazione risale al d.p.r. 191/79, per gli enti locali, ed al d.p.c.m. 17 marzo 1989 n. 117, emanato in attuazione della 1. 29 dicembre 1988 n. 554, in via generale) è stata affrontata dalla Corte co
stituzionale, contestualmente alle pronunzie in epigrafe, in riferimento alla possibilità di iscrizione agli albi professionali e di esercizio delle libere professioni: ord. 20 maggio 1999, n. 183, Foro it., 1999, I, 2444, con nota di richiami cui si rimanda per ogni riferimento sul rapporto di lavoro a tempo parziale dei dipendenti pubblici.
Sulle ragioni che legittimano la pubblica amministrazione a respinge re la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro, si rammenta che l'art. 39, comma 25,1. 449/97 ha disposto che, in mancanza dei de creti di cui all'art. 1. comma 58 bis, 1. 662/96, «la trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo parziale può essere negata esclusivamente nel caso in cui l'attività che il dipendente intende svolgere sia in palese contrasto con quella svolta presso l'amministrazione di appartenenza o
Il Foro Italiano — 2001.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3,
comma 214, l. 23 dicembre 1996 n. 662, che stabilisce alcune
limitazioni agii accreditamenti per gli enti soggetti al regime della tesoreria unica, per l'anno 1997, in riferimento agli art.
97 e 119 Cost. {5)
II
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 10 maggio 1999, n. 164 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n.
20); Pres. Granata, Est. Capotosti; Cinel c. Comune di
Montebelluna; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Stipo). Ord. Tar Veneto, sez. Il, 4 giugno 1997 e Tar Lom
bardia, sez. Brescia, 19 giugno 1998 (due) (G.U., lds.s., n. 50
del 1997 e n. 42 del 1998).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere —
Rapporto di
lavoro a tempo parziale — Questione di costituzionalità —
«Ius superveniens» — Restituzione degli atti ai giudici «a
quibus» (Cost., art. 3, 5, 39, 97, 128; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, commi 57, 58).
Devono essere restituiti ai giudici a quibus, in seguito alla so
pravvenuta emanazione di nuove disposizioni legislative in
materia (art. 39, 27° comma, l. 449/97; 36, 7° comma, e 36
bis d.leg. 29/93, come modificati dal d.leg. 80/98; 8, 1° com
ma, lett. i, d.leg. 396/97; 31, 41° comma, l. 448/98; 4 l.
191/98), gli atti relativi alla questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 1, commi 57 e 58, l. 23 dicembre 1996 n.
662, che disciplinano il rapporto d'impiego part-time dei di
pendenti della pubblica amministrazione, in riferimento agli art. 3, 5, 39, 97 e 128 Cost. (6)
III
TRIBUNALE DI CHIAVARI; sentenza 7 febbraio 2000; Giud. Del Nevo; Muzio e altri (Avv. Ghibellini, Firriolo) c.
Comune di Sestri Levante (Avv. Cocchi).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Lavoro a tem
po parziale — Diritto dell'impiegato — Esclusione — In teresse dell'amministrazione — Prevalenza (L. 23 dicem
bre 1996 n. 662, art. 1, comma 58; 1. 27 dicembre 1997 n.
449, misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, art.
39, comma 27).
Non spetta al dipendente di ente locale che abbia presentato domanda per la trasformazione del proprio rapporto di lavo
ro in part-time un diritto soggettivo all'accoglimento della ri
chiesta, ma soltanto un interesse alla verifica della legittimità della condotta dell'amministrazione che abbia respinto la
domanda per pregiudizio alla funzionalità del servizio. (7)
in concorrenza con essa», ma già prima la giurisprudenza amministrati va si era espressa nei termini di cui alla sentenza del Tribunale di Chia vari in epigrafe (Tar Emilia-Romagna, sez. I, 1° luglio 1997, n. 425, id., Rep. 1998, voce cit., n. 333, in relazione al caso di comprovata ca renza di organico; contra, Trga Trentino-Alto Adige, sez. Bolzano, 23
agosto 1995, n. 183, id., Rep. 1996, voce cit., n. 268, che ritiene trattar si di «atto dovuto» in presenza delle condizioni di legge; Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 27 giugno 1991. n. 176, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 241, che parla di «atto vincolato» solo dopo l'adozione della ti
pologia del rapporto come individuata dal d.p.c.m. 117/89). Per ulteriori riferimenti in materia ed un esame sistematico delle re
lative problematiche, v. P. Berni-D. Vigezzi, Lavoro «part-time» e di
sciplina delle incompatibilità - Per i dipendenti degli enti locali e del servizio sanitario nazionale, testo aggiornato con la l. 449/97 (colle gato alla legge finanziaria 1998), Milano, 1998; L. Bisi, Privatizzazio ne del pubblico impiego, vincolo di esclusività e rapporto di lavoro a
tempo parziale, in Riv. personale ente locale, 1998, 397; M. Ambron E. Bonelli, Il «part-time» dei dipendenti degli enti locali tra conteni mento della spesa pubblica ed efficienza dell'attività amministrativa, in Riv. amm., 1997, 617.
La disciplina generale del lavoro a tempo parziale è ora contenuta nel
d.leg. 25 febbraio 2000 n. 61, emanato in attuazione della direttiva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Diritto. — 1. - Le questioni di legittimità costituzionale pro mosse dai ricorsi della regione Veneto e della regione Lombar
dia, indicati in epigrafe, investono alcune disposizioni della 1.
23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della fi
nanza pubblica). In particolare, i ricorsi della regione Veneto e
della regione Lombardia hanno ad oggetto l'art. 1, commi 56,
57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65, della citata 1. n. 662, mentre
il ricorso della regione Lombardia ha ad oggetto anche l'art. 1,
comma 154, l'art. 2, commi 205 e 206, e l'art. 3, comma 214,
della stessa legge. I due giudizi, riguardando questioni di costituzionalità che
investono, sotto profili analoghi, norme della medesima legge, vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. - Per procedere ad un esame ordinato delle varie censure,
appare conveniente sottoporre a scrutinio le singole questioni, secondo l'ordine di collocazione delle disposizioni interessate
nel testo della legge. La regione Veneto ha impugnato l'art. 1, commi 56, 57, 58,
59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65,1. n. 662 del 1996, in riferimento agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost, ed agli art. 48 e 51 dello statuto regionale, mentre la regione Lombardia ha de
nunciato, con la prima censura, l'illegittimità dei soli commi 57, 58 e 59, eccependo che essi violerebbero gli art. 97, 117, 118 e
119 Cost.
Le disposizioni oggetto di censura disciplinano il rapporto
d'impiego part-time dei dipendenti della pubblica amministra
zione.
La regione Veneto deduce che la materia disciplinata dalle
norme in esame è riservata dagli art. 115, 117, 118, 119 e 123
Cost., nonché dagli art. 48 e 51 dello statuto regionale, alla re
gione stessa. La predetta disciplina statale, secondo la ricorren
te, pretenderebbe di regolamentare ex novo la materia, non solo
«travolgendo» il sistema già stabilito dalle 1. reg. 10 giugno 1991 n. 12, e 22 luglio 1994 n. 30, ma introducendo anche di
sposizioni che non conterrebbero «principi fondamentali» della
materia, ne esprimerebbero «scelte politico-legislative fonda
mentali». Inoltre, configurandosi come disposizioni di dettaglio e autoapplicative, in carenza di un interesse nazionale che possa
giustificarle, esse violerebbero il potere regionale di organizza zione degli uffici e di disciplina dello stato giuridico-economico del proprio personale, con conseguente pregiudizio del buon an
damento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e lesione dell'au
tonomia riservata alla contrattazione collettiva (art. 39 Cost.). Il
potere di organizzare i propri uffici verrebbe precluso alla ricor
97/91/Ce relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale con
cluso dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces (Le leggi, 2000, I, 1001), i cui tratti essenziali sono la forma scritta ad probationem del contratto, la
necessità del consenso del lavoratore ed il suo diritto al «ripensamento» sulle «clausole elastiche» (cambiamento della collocazione oraria per esigenze produttive), la possibilità di prestazioni supplementari (da de
finire in sede di contrattazione), il diritto di prelazione per le assunzioni a tempo pieno e il principio di non discriminazione con il lavoro a tem
po pieno per il trattamento contrattuale e normativo, la sanzione della trasformazione a tempo pieno del rapporto in mancanza di prova sulla
limitazione temporale ma non per l'indeterminatezza degli altri conte nuti del contratto (art. 8); questa disciplina si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ove non di
versamente disposto, con previsione di addebito al dirigente responsa bile delle conseguenze patrimoniali della trasformazione a tempo de
terminato del rapporto in conseguenza di violazioni delle prescrizioni di legge (art. 10). Ulteriori modifiche sono state apportate in sede di
legge comunitaria del 2000, in attuazione della direttiva 99/7O/Ce del
consiglio. Per riferimenti di carattere generale sulla riforma ex d.leg. 29/93 e la
sua portata generale ed obbligatoria anche per gli enti locali, v. le sen
tenze citate in motivazione, fra le quali si segnala la fondamentale
Corte cost. 309/97, Foro it., 1997,1, 3484.
(3-5) Sugli altri argomenti oggetto del giudizio di costituzionalità di
cui alla sentenza 171/99 in epigrafe, in mancanza di precedenti specifi ci nella giurisprudenza di merito, v. le pronunzie citate in motivazione, cui adde, sulle competenze del Cipe in relazione alle prerogative delle
regioni e province autonome, Corte cost. 28 aprile 1994, n. 165, Foro
it., 1996, I, 2284, e 23 novembre 1993, n. 412, id., 1994, I, 29; sul si
stema di tesoreria unica per gli enti pubblici, Corte cost. 12 gennaio 1995, n. 12, id., 1995, I, 433 (che ha dichiarato inammissibile la richie
sta di referendum abrogativo della 1. 720/84).
Il Foro Italiano — 2001.
rente anche dalla fissazione della data di applicazione della
nuova disciplina statale (cfr. art. 1, comma 63, 1. n. 662 del
1996), che le impedirebbe di adattare le norme statali alle «pe culiarità del proprio ordinamento».
Secondo la regione ricorrente, inoltre, è irragionevole e con
trastante con l'art. 3 Cost. — parametro ricavabile dalla motiva
zione del ricorso — che non sia prevista anche per gli enti di
maggiori dimensioni l'inapplicabilità delle norme censurate di
sposta per gli enti locali, la cui pianta organica preveda un nu
mero di dipendenti inferiore alle cinque unità (art. 1, comma
65), proprio per evitare il rischio di paralisi funzionale, qualora tutti i dipendenti optino per il part-time.
Infine, la previsione della destinazione dei risparmi di spesa
conseguenti alla trasformazione dei rapporti d'impiego (cfr. art.
1, comma 59) violerebbe, ad avviso della ricorrente, la propria autonomia finanziaria e di bilancio, trasferendo alle regioni una
parte del deficit di bilancio dello Stato e diminuendo gli oneri a
carico di quest'ultimo. La regione Lombardia ha svolto, limitatamente alle disposi
zioni da essa impugnate, censure analoghe a quelle della regione Veneto, eccependo altresì che l'art. 39, 27° comma, 1. 27 di
cembre 1997 n. 449, stabilendo che «le disposizioni dell'art. 1, commi 58 e 59, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, in materia di rap
porto di lavoro a tempo parziale, si applicano al personale di
pendente delle regioni e degli enti locali finché non sia diversa
mente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo», non solo non escluderebbe la fondatezza della questione, ma in
trodurrebbe un inutile elemento di contraddizione e di confusio
ne nel sistema delle fonti. La regione Lombardia sostiene invero
che essa avrebbe già potuto attuare le citate disposizioni della 1.
n. 662 del 1996, sia in base ai principi fissati dal d.leg. 3 feb braio 1993 n. 29, sia in virtù della 1. 15 marzo 1997 n. 59, sia in
forza delle innovazioni introdotte dal d.leg. 31 marzo 1998 n.
80, a prescindere dalla ulteriore considerazione che la 1. reg. 23
luglio 1996 n. 16 avrebbe già anticipato i principi della legisla zione statale.
2.1. - Le questioni prospettate sono in parte infondate, in
parte inammissibili. Le norme impugnate, che stabiliscono la disciplina del rap
porto di impiego part-time alle dipendenze delle pubbliche am
ministrazioni, si inseriscono in un complesso itinerario legisla tivo, che prende le mosse dall'art. 7 1. 29 dicembre 1988 n. 554, attuato con il d.p.c.m. 17 marzo 1989 n. 117, che disegna una
prima forma di attenuazione del principio dell'esclusività della
prestazione del pubblico dipendente. Successivamente, la rego lamentazione del rapporto di pubblico impiego riceve si
gnificative innovazioni dal d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, nel
l'ambito di un nuovo modello di organizzazione dell'apparato
amministrativo, capace di incidere anche sul «quadro struttura
le» della pubblica amministrazione (sentenza n. 309 del 1997,
Foro it., 1997, 1, 3484). L'innovatività di questo disegno rifor
matore costituisce il presupposto, nell'ottica del contenimento
della spesa pubblica e dell'aumento dell'efficienza della pubbli ca amministrazione, per ulteriori estensioni del regime del lavo
ro a tempo parziale nel settore pubblico. Ed infatti la 1. 23 di
cembre 1994 n. 724 demanda l'articolazione dell'orario di lavo
ro alla contrattazione collettiva (art. 22, 3° comma), elevando la
percentuale del personale che può essere destinato al tempo par ziale (art. 22, 20° comma), mentre il c.c.n.l. dei dipendenti del
comparto «regioni ed enti locali» (G.U. 9 settembre 1995) sta
bilisce, in conformità, una specifica regolamentazione. La revisione dell'ordinamento del pubblico impiego attraver
so la c.d. «privatizzazione» del rapporto è ispirata dunque da
una prospettiva di maggiore valorizzazione dei risultati dell'a
zione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di ri
gore di gestione (sentenza n. 371 del 1998, Foro it., Rep. 1998,
voce Responsabilità contabile, n. 133). Le disposizioni denun
ciate si collocano quindi all'interno di tale logica normativa, de
lineando compiutamente la disciplina del part-time, anche attra
verso la riscrittura delle regole relative alle incompatibilità, già
poste dal d.leg. n. 29 del 1993. Ed invero la disciplina dell'in
compatibilità, recata dal comma 56 dell'art. 1 della citata 1. n.
662 del 1996, ha introdotto una decisiva modifica ad uno dei ca
noni fondamentali del rapporto di pubblico impiego, e cioè
quello dell'esclusività della prestazione, tanto più che successi
vamente il comma 56 bis, aggiunto all'art. 1 della legge in esa
me dall'art. 6 d.l. 28 marzo 1997 n. 79, convertito nella 1. 28
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PARTE PRIMA
maggio 1997 n. 140, ha completato il disegno legislativo dispo nendo l'abrogazione (e non più l'inapplicabilità) di tutte le
norme che vietano ai pubblici dipendenti a part-time l'iscrizione
ad albi professionali e l'esercizio di altre prestazioni di lavoro.
L'ampiezza, l'incisività e la rilevanza nazionale di questo di
segno di riforma del pubblico impiego, che si manifestano ap
punto nelle disposizioni che regolano il regime delle incompati bilità e del part-time alle dipendenze delle pubbliche ammini
strazioni, inducono a ritenere che tali disposizioni costituiscano, in base alla loro natura oggettiva, «principi fondamentali» della
legislazione statale, anche in relazione alle norme del decreto n.
29 del 1993 — qualificate ex lege «principi fondamentali» (art.
1, 3° comma) — che esse appunto modificano. Secondo la giu
risprudenza di questa corte (sentenze n. 528 del 1995, id., 1996,
I, 2935; n. 479 del 1995, ibid., 408; n. 406 del 1995, id., Rep. 1995, voce Impiegato dello Stato, n. 146; n. 359 del 1993, id.,
1993, I, 3219), del resto, ben possono essere considerate, indi
pendentemente da eventuali autoqualificazioni, «principi fon
damentali» le disposizioni in oggetto, le quali, integrando ed in
novando significativamente il precedente regime, perseguono, attraverso la nuova regolamentazione del part-time e delle in
compatibilità, l'obiettivo del completamento del processo di
omologazione tra il rapporto d'impiego con le pubbliche ammi
nistrazioni ed il rapporto di lavoro subordinato privato, in un
quadro di riforma che si fonda sull'interesse nazionale al ri
equilibrio della finanza pubblica ed alla migliore efficienza e
qualità delle prestazioni rese dalle amministrazioni pubbliche ai
cittadini (sentenza n. 359 del 1993). Si tratta infatti di una disci
plina che, per contenuti e finalità, incide su settori di importanza essenziale per la vita della comunità e che pertanto esige un'attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.
Le disposizioni statali in questione sono quindi in grado di
vincolare le regioni a statuto ordinario in base alla natura og
gettiva di normazione di principio che le disposizioni stesse
vengono a manifestare (sentenza n. 359 del 1993). E poiché, se
condo la consolidata giurisprudenza di questa corte, il soprav venire di una disciplina legislativa statale recante principi tali da
costituire un limite all'esercizio di competenze legislative re
gionali comporta, ai sensi dell'art. 10, 1° comma, 1. 10 febbraio
1953 n. 62, l'effetto dell'abrogazione delle disposizioni regio nali incompatibili (sentenze n. 153 del 1995, id., 1996, I, 1934; n. 498 del 1993, id., Rep. 1994, voce Regione, n. 275), è ap
punto in questi termini che va configurata, nel caso di specie, la
vicenda delle citate leggi della regione Veneto e della regione Lombardia, anche se naturalmente non è preclusa una successi
va, diversa regolamentazione regionale della materia, nel ri
spetto dei nuovi principi. 2.2. - Nella fattispecie in esame, essenzialmente due sono i
principi fondamentali — strettamente interconnessi — enuclea
gli dalla sopravveniente disciplina impugnata: quello relativo
alla diversa configurazione della regola dell'esclusività della
prestazione nel rapporto di pubblico impiego e quello relativo alle modalità di trasformazione del rapporto stesso da tempo
pieno a tempo parziale. Sono quindi da considerare vincolanti
per la potestà legislativa regionale non solo le disposizioni che recano direttamente questi principi, ma anche tutte le altre di
sposizioni impugnate, purché legate alle prime da «un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione» (sentenza n. 406
del 1995). In questo quadro, certamente è qualificabile come «principio
fondamentale» la norma, di cui all'art. 1, comma 56, che, in de
roga alla disciplina generale prevista dal comma 60, dichiara
inapplicabili ai lavoratori a part-time le disposizioni normative
in materia e l'art. 58, 1° comma, del decreto n. 29 del 1993 re
lativamente al divieto di iscrizione in albi professionali, nonché
di svolgimento di altra attività di lavoro subordinato o autono
mo. Appare inoltre «coessenziale» alla realizzazione di questi interessi, per il suo evidente carattere strumentale, il regime sanzionatorio e dei controlli disciplinato dall'art. 1, comma 61, e —
per quanto qui rileva — dalla prima parte del comma 62, cosicché la coessenzialità della disciplina sanzionatoria legitti ma anche l'intervento statale di dettaglio (sentenza n. 37 del
1991, id., 1991,1, 2330). Nella stessa ottica di «necessaria inte
grazione» e «strumentalità» va pure inquadrato l'art. 1, comma
63, non tanto perché fissa la data di entrata in vigore delle pre dette procedure sanzionatone, quanto perché segna il termine di
cessazione delle attività divenute incompatibili, appunto ai sensi
Il Foro Italiano — 2001.
delle disposizioni in esame, così da consentire un'attuazione
uniforme di questa riforma su tutto il territorio nazionale.
Il comma 57 dell'art. 1 della citata 1. n. 662 esprime invece il
«principio fondamentale» dell'applicabilità del rapporto di lavo
ro part-time a tutti i profili professionali, regolando anche i casi
nei quali tale trasformazione non può aver luogo, così da assicu
rare parità di trattamento sull'intero territorio nazionale. Coes
senziale al predetto «principio fondamentale» va poi considerato
il comma 64 dello stesso articolo, che si propone di attuare rile
vanti finalità solidaristiche, assicurando che siano preferiti nella
trasformazione del rapporto quei dipendenti per i quali l'appli cazione del lavoro parziale risponde allo scopo di consentire lo
ro di prestare assistenza a soggetti bisognosi facenti parte del
proprio nucleo familiare. Non sembrano invece suscettibili di
ledere la competenza legislativa regionale i commi 58 e 59 del
l'art. 1 1. n. 662 del 1996, poiché l'art. 39, 27° comma, 1. 27 di
cembre 1997 n. 449 ha chiarito che ambedue le disposizioni de
nunciate «si applicano al personale delle regioni e degli enti lo
cali finché non diversamente stabilito da ciascun ente con pro
prio atto normativo». Questa norma, quindi, con il suo conte
nuto interpretativo ha configurato come «suppletive» le statui
zioni dei predetti commi rispetto alla eventuale normazione in
materia emanata da parte dei competenti enti, evitando così, sotto questo profilo, possibili lesioni all'autonomia regionale.
Neppure viola l'autonomia regionale l'art. 1, comma 62, se
conda parte, poiché tale norma è diretta precipuamente a stabili
re l'obbligo di effettuare verifiche a campione, in quanto coes
senziali ad una corretta applicazione dei principi fondamentali
della riforma, e non già a stabilire l'obbligo di costituzione di
appositi servizi ispettivi, come del resto espressamente ricono
sce anche il dipartimento della funzione pubblica, precisando che «la funzione ispettiva potrà essere svolta anche da un ufficio
della propria struttura già abilitato a compiti di controllo, al
quale sarà formalmente conferita anche tale specifica funzione»
(circ. 19 febbraio 1997, n. 3, par. 8). E comunque da escludere
ogni interpretazione, secondo cui il predetto comma 62 possa attribuire al dipartimento della funzione pubblica il potere di
esercitare compiti ispettivi che riguardino enti ad autonomia co
stituzionalmente garantita, come sono appunto le regioni. Non sussiste invece l'interesse della regione Veneto — non
attenendo la censura direttamente alla propria sfera di attribu
zione — a proporre ricorso rispetto al comma 65 dell'art. 1
della legge citata, prospettando la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento in riferimento alla
inapplicabilità del regime del part-time ai soli enti locali con un
numero di dipendenti inferiore a cinque. Ed infatti l'interesse
delle regioni, nei giudizi in via principale, è qualificato, secondo
la giurisprudenza costituzionale, dalla finalità di ripristinare
l'integrità delle proprie competenze lese dalle norme statali (ex
plurimis, sentenze n. 244 del 1997, id., 1997, I, 3490; n. 25 del
1996, id., 1996, I. 2597), cosicché le regioni sono legittimate a
far valere la violazione di norme diverse da quelle concernenti
l'autonomia regionale, soltanto se ne derivi una diretta inciden
za sulle loro competenze (sentenze n. 393 del 1992, id., 1992,1,
3203; n. 533 del 1989. id., 1990, I, 3380); il che nella specie non si verifica.
In definitiva, ribadito che alcune delle norme censurate non
sono applicabili alle regioni ricorrenti o sono comunque da con
siderare «cedevoli» rispetto ad una legislazione regionale con
trastante, va ricordato che le altre disposizioni impugnate non
vulnerano, in quanto espressive di «principi fondamentali» ai
sensi dell'art. 117 Cost., l'autonomia regionale né sotto il pro filo legislativo, né sotto quello amministrativo, né sotto quello finanziario. Né la regione Veneto ha ragione di dolersi della le
sione degli art. 48 e 51 dello statuto, giacché gli statuti regiona li, pur competenti a vincolare la disciplina dell'organizzazione interna della regione, non possono costituire, di per sé, parame tri per la valutazione di costituzionalità dei «principi fonda
mentali» recati dalle leggi dello Stato, che, invece, vanno scru
tinati — se del caso — in base alle norme costituzionali perti nenti.
Infine, neppure è sussistente il pregiudizio al corretto funzio
namento degli uffici, perché, come questa corte ha già osserva
to, il nuovo modello di statuto del pubblico impiego, quale sca
turisce dalle linee della riforma — anche senza considerare le
ulteriori modifiche normative successive alla proposizione dei
ricorsi in oggetto — è diretto a privilegiare, in modo non irra
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gionevole, il valore dell'efficienza della pubblica amministra
zione, contenuto nel precetto di cui all'art. 97 Cost., grazie a
strumenti gestionali che consentono, meglio che in passato, di
assicurare il contenuto della prestazione in termini di produtti vità, ovvero una sua più flessibile utilizzazione; il che appare
congruo rispetto al perseguimento della finalità del buon anda
mento della pubblica amministrazione (sentenza n. 1 del 1999,
id., 1999,1, 1). 3. - La regione Lombardia ha impugnato, per violazione degli
art. 1 (indicato evidentemente per errore), 3, 53 e 119 Cost., an
che l'art. 1, comma 154, secondo periodo, della stessa 1. n. 662, che stabilisce che «l'operatività di eventuali aumenti erariali per l'accisa sulla benzina per autotrazione è limitata, nei territori
delle regioni a statuto ordinario, alla differenza esistente rispetto
all'aliquota in atto della citata imposta regionale, ove vigente». Secondo la ricorrente, questa norma, pur tendendo ad assicu
rare l'omogeneità del prezzo della benzina sull'intero territorio
nazionale, opera in modo che dell'eventuale scelta della regione di aumentare l'imposta in misura inferiore a quella massima non
potrebbero beneficiare i cittadini residenti nella regione stessa, bensì lo Stato, che incasserebbe la differenza tra le due aliquote, vanificando così, in contrasto con l'art. 119, nonché con gli art.
3 e 53 Cost., il potere della regione di determinarsi in ordine al
l'entità dell'aumento.
3.1. - La questione in parte è infondata, in parte è inammissi
bile. Il comma 154 dell'art. 1 della legge citata si compone di due
distinte disposizioni, di cui la prima stabilisce che la misura
massima dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione,
prevista dall'art. 17 d.leg. 21 dicembre 1990 n. 398, è elevata a
cinquanta lire a litro.
La seconda disposizione —
quella impugnata dalla regione Lombardia —
riguarda invece l'accisa sulla benzina per auto
trazione, cioè un tributo statale, e regola direttamente «l'opera tività di eventuali aumenti erariali» inerenti al tributo stesso. In
proposito va osservato che la particolare modalità di aumento di
questo tributo non può in alcun senso incidere sulla competenza in materia della regione, la quale mantiene del tutto inalterata la
facoltà di determinare autonomamente, entro il limite massimo
prefissato per legge, l'entità dell'imposta di propria spettanza. Tutto ciò vale quindi ad escludere la violazione dell'art. 119
Cost, lamentata dalla ricorrente regione, tanto più che, secondo
la giurisprudenza costituzionale, la potestà legislativa in materia
tributaria delle regioni ad autonomia ordinaria opera, alla stre
gua della stessa disposizione della Costituzione, «entro i diversi
e particolari confini che le leggi della repubblica, in conformità
ai principi costituzionali, sono legittimate a previamente fissare,
configurandosi pertanto come una potestà non di tipo concor
rente, ma soltanto come una potestà attuativa» (ex plurimis, sentenze n. 355 del 1998, ibid., 1130; n. 295 del 1993, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 170).
Sussiste invece carenza di interesse della regione Lombardia
in ordine ai motivi di ricorso che si fondano sulla violazione dei
parametri costituzionali degli art. 3 e 53 Cost., giacché, secondo
la stessa prospettazione della ricorrente, la norma impugnata non potrebbe mai incidere direttamente sul potere impositivo della regione o comunque sulla sua sfera di attribuzione.
4. - La regione Lombardia ha altresì impugnato l'art. 2, commi "15 e 206, della medesima 1. n. 662 del 1996.
La regione ricorrente, premesso che il comma 205 riserva al
Cipe l'approvazione delle intese istituzionali di programma, an
che se concluse da regioni e province autonome, e che il comma
206 attribuisce allo stesso Cipe la competenza a deliberare le
modalità di approvazione degli accordi diversi dalle intese isti
tuzionali di programma, nonché a definire ulteriori tipologie della contrattazione programmata, deduce la violazione dell'art.
118 Cost., in quanto i suddetti commi realizzerebbero
un'illegittima interferenza, ponendo vincoli a carico dell'ammi
nistrazione regionale, senza definirne forme e modalità. In par
ticolare, il vulnus all'autonomia regionale deriverebbe dal pote re del Cipe di disciplinare «ulteriori tipologie della contrattazio
ne programmata» e di approvare intese ed accordi, anche quan do dovrebbero riguardare regioni e province autonome, «in
quanto organi procedenti». 4.1. - La questione non è fondata.
Preliminarmente occorre precisare che la questione di legitti mità costituzionale va estesa anche al comma 206 dell'art. 2
Il Foro Italiano — 2001 — Parte 1-2.
della legge citata, benché nel dispositivo del ricorso sia indicato
soltanto il comma 205 dello stesso articolo, giacché l'identifica
zione della norma impugnata deve essere effettuata avendo ri
guardo al complesso delle argomentazioni svolte nell'intero atto
introduttivo, le quali, interpretate secondo gli ordinari criteri
ermeneutici (sentenza n. 29 del 1995, id., 1996, I, 1157), dimo
strano, nella specie, che la regione Lombardia ha inteso denun
ciare entrambe le disposizioni. Le norme censurate concernono alcuni profili della c.d. pro
grammazione negoziata, che è regolata dai commi 203-214 del
l'art. 2 della citata 1. n. 662, i quali portano ad ulteriori sviluppi, in riferimento all'attività amministrativa, l'utilizzazione del
modello consensualistico sia nei rapporti con i privati, sia quale strumento diretto a realizzare il coordinamento delle competen ze ai diversi livelli di governo. La predetta legge ha infatti di
sciplinato ex novo le precedenti norme in materia di program mazione negoziata, allo scopo di razionalizzare gli interventi
che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici, nel cui
ambito l'intesa istituzionale di programma costituisce «l'accor
do tra amministrazione centrale, regionale o delle province au
tonome con cui tali soggetti si impegnano a collaborare sulla
base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie
disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure ammini
strative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d'interesse comune o funzionalmente collegati»
(art. 2, comma 203, lett. b, 1. n. 662).
Questa previsione legislativa va interpretata anche alla luce
delle indicazioni di scopo concernenti le funzioni che il comma
208 del citato art. 2 attribuisce al Cipe, cui appunto spetta, tra
l'altro, individuare, «nel rispetto degli indirizzi concordati con
l'Unione europea», «le aree (...) interessate da contratti d'area
o da patti territoriali, nelle quali sono concesse agevolazioni fi
scali dirette ad attrarre investimenti in attività produttive e a fa
vorire lo sviluppo delle stesse attività», in modo da perseguire «la crescita omogenea dell'intero territorio», nonché individuare
«le amministrazioni competenti a svolgere l'attività di istrutto
ria tecnico-economica dei progetti di investimento e quella di
monitoraggio e verifica dell'attuazione dei progetti e dell'atP
vità delle imprese per il periodo di fruizione delle agevola zioni».
Le disposizioni legislative enunciate delineano dunque un
quadro funzionale che trova, in fase attuativa, pieno riscontro,
oltre che nella prassi applicativa, nelle delibere del Cipe stesso, tra cui, in particolare, quella adottata il 21 marzo 1997 e quella
emanata, in conformità allo schema-tipo approvato il 9 ottobre
1997 dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome, il 16 ottobre 1997, dalle quali
appunto si ricava che i soggetti dell'intesa istituzionale di pro
gramma sono, in ogni caso, congiuntamente il governo e le
giunte delle regioni e delle province autonome, che, attraverso
essa, realizzano una collaborazione diretta ad attuare, nell'am
bito delle risorse finanziarie disponibili, un piano pluriennale di
interventi di interesse comune, funzionalmente collegati, da por re in essere nel territorio della singola regione e nel quadro della
programmazione statale e regionale. In questo contesto il comma 205 del citato art. 2 non si pone
in contrasto con l'art. 118 Cost., neppure sotto il profilo dell'as
serita riserva all'amministrazione procedente del potere di con
clusione del procedimento. Ed infatti la norma non attribuisce al
Cipe il potere di approvare genericamente «intese ed accordi», ma solo quegli accordi che, per gli accennati profili funzionali e
strutturali, rientrano nell'ambito della definizione legislativa di
«intese istituzionali di programma». Intese, cioè, delle quali il
governo e comunque una delle parti, dirette a coordinare la pro
grammazione degli investimenti e degli interventi pubblici nei
casi in cui si realizza una complessa azione congiunta Stato
regioni, anche attraverso l'identificazione dei settori nei quali
appare prioritaria l'allocazione dei fondi nazionali e comunitari,
così da fare escludere che l'approvazione da parte del Cipe con
figuri una sorta di anomala forma di controllo sull'attività re
gionale. Tanto più che l'obbligo di sentire il parere, prima del
l'approvazione dell'intesa, della conferenza permanente per i
rapporti tra Stato e regioni costituisce un'ulteriore dimostrazio
ne che la norma censurata rispetta anche il principio di leale
collaborazione, senza comportare alcuna lesione dell'autonomia
regionale.
Egualmente non comprime l'autonomia regionale il comma
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PARTE PRIMA
206 dello stesso art. 2, nello stabilire che il Cipe delibera, con le
medesime procedure stabilite dal comma 205 e sentite, inoltre, le commissioni parlamentari competenti, le modalità di appro vazione degli strumenti di programmazione negoziata, nonché
può definire ulteriori tipologie della contrattazione programma ta. La ratio di questa norma va infatti individuata, in connessio
ne con le disposizioni legislative precedentemente enunciate, nella esigenza che gli strumenti negoziali ivi previsti siano pre ordinati alla realizzazione di interventi nelle aree depresse anche
in correlazione con l'operatività dei fondi strutturali europei
(cfr. comma 208), e comunque siano in grado di incidere diret
tamente anche sul regime fiscale statale e regionale, in vista
della rapida attuazione delle misure economiche previste, così
da assicurare uno sviluppo omogeneo del territorio ed una ra
zionale distribuzione delle risorse.
Tali esigenze postulano evidentemente un'azione unitaria e
implicano una complessità di interventi tale da giustificare schemi procedurali e modelli di coordinamento tecnico (ex plu
rimis, sentenze n. 273 del 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 305; n. 393 del 1992, cit.; n. 483 del 1991, id., Rep. 1992, voce Eco
nomia nazionale, n. 34), tanto più perché questi interventi sono
destinati ad inserirsi nel più ampio quadro dei programmi co
munitari, spettando allo Stato un ruolo peculiare nell'iter proce dimentale di gestione delle azioni di sostegno comunitarie
(sentenza n. 93 del 1997, id., 1998, I, 1382). Questa corte, del
resto, ha affermato più volte che l'attuazione di queste esigenze
può comportare la spettanza al potere statale di stabilire la di
sciplina del procedimento (sentenza n. 170 del 1997, ibid.,
2074), o di definire la tipologia degli interventi programmatici destinati ad operare sull'intero territorio nazionale, trattandosi
di «normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella
potestà di programmazione territoriale attribuita alle regioni, in
quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di
esplicarsi in modo unitario ed omogeneo» (sentenza n. 393 del
1992). Considerando, da un lato, la rilevanza nazionale delle finalità
che la disposizione impugnata intende perseguire e, dall'altro
lato, che la determinazione di schemi o tipi uniformi di inter
vento sul territorio può agevolare il conseguimento degli obiet
tivi della contrattazione programmata, può bene essere affidata
alla regolamentazione statale l'adozione di misure di coordina
mento tecnico, che non coinvolgono scelte d'ordine politico amministrativo spettanti alle regioni (sentenza n. 483 del 1991) e che rispettano altresì, per le garanzie procedimentali previste, il principio di legalità sostanziale. Non sono pertanto fondati i
prospettati profili di violazione della sfera di autonomia della
regione ricorrente.
5. - La regione Lombardia ha infine eccepito l'illegittimità dell'art. 3, comma 214,1. n. 662 del 1996, il quale stabilisce che
«per gli enti soggetti all'obbligo di tenere le disponibilità liqui de nelle contabilità speciali o in conti correnti con il tesoro, per l'anno 1997 i pagamenti del bilancio dello Stato sono accreditati
sui conti correnti aperti presso la tesoreria dello Stato solo ad
avvenuto accertamento che le disponibilità sui conti medesimi si
sono ridotte ad un valore non superiore al venti per cento delle
disponibilità rilevate al 1° gennaio 1997».
Secondo la ricorrente, questa norma lederebbe la propria au
tonomia finanziaria e contabile, in quanto la priverebbe, in con
trasto con l'art. 119 Cost., della disponibilità delle somme ac
creditate o da accreditare, configurando altresì un'illegittima forma di compressione della propria potestà programmatoria,
legislativa ed amministrativa, con conseguente lesione del prin
cipio di buon andamento della pubblica amministrazione. D'al
tra parte, la circostanza che la norma abbia un'efficacia tempo rale limitata all'anno 1997 non può escludere, secondo la ri
corrente, il proprio interesse ad ottenere «una decisione che pos sa assumere valore di principio di modo che in futuro non possa essere nuovamente lesa la sfera dell'autonomia finanziaria della
regione». 5.1. - La questione non è fondata.
La norma impugnata si inserisce nel c.d. sistema di tesoreria
unica, che, secondo la giurisprudenza di questa corte, non vul
nera l'autonomia finanziaria delle regioni, in quanto è diretto a
garantire il controllo della liquidità di cassa ed a disciplinare i
flussi finanziari (sentenza n. 412 del 1993, id., 1994, I, 29). L'autonomia finanziaria delle regioni postula infatti che esse
abbiano l'effettiva disponibilità delle risorse loro attribuite ed il
Il Foro Italiano — 2001.
potere di manovra dei mezzi finanziari (sentenze n. 381 del
1996, id., 1997,1, 3516; n. 293 del 1995, id., 1996,1, 2283). D'altra parte, la disposizione censurata si inserisce nel quadro
della complessiva manovra di finanza pubblica per l'anno 1997,
caratterizzata dalla previsione di ulteriori misure, dirette ap
punto al risanamento dei conti pubblici ed al contenimento della
spesa pubblica (art. 8 d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1997 n. 30), le quali ri
chiedevano l'impegno solidale delle regioni e che questa corte
ha conseguentemente escluso essere lesive dell'autonomia fi
nanziaria delle regioni stesse (sentenza n. 421 del 1998, id.,
1999,1, 1744). Nel quadro di tali principi la norma impugnata, per di più
temporalmente limitata, non può giudicarsi lesiva del
l'autonomia regionale nell'ambito finanziario legislativo e pro
grammatorio, e neppure appare suscettibile di incidere sul buon
andamento dell'amministrazione della regione ricorrente.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi:
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65,1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della fi
nanza pubblica), sollevata dalla regione Veneto in riferimento
agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost, ed agli art. 48 e 51 dello statuto regionale, nonché dalla regione Lombardia, li
mitatamente ai commi 57, 58 e 59, in riferimento agli art. 97,
117, 118 e 119 Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe e dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
1, comma 65, stessa legge, sollevata dalla regione Veneto in ri
ferimento all'art. 3 Cost, con il medesimo ricorso;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 1, comma 154, della predetta 1. n. 662 del
1996, sollevata dalla regione Lombardia in riferimento all'art.
119 Cost, e dichiara inammissibile la medesima questione di le
gittimità costituzionale sollevata dalla stessa regione in riferi
mento agli art. 3 e 53 Cost, con il ricorso indicato in epigrafe;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità co
stituzionale dell'art. 2, commi 205 e 206, nonché dell'art. 3, comma 214, della predetta 1. n. 662 del 1996, sollevate dalla re
gione Lombardia in riferimento, rispettivamente, all'art. 118 ed
agli art. 97 e 119 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
II
Ritenuto che, nel corso di un giudizio instaurato da un dipen dente del comune di Montebelluna per l'annullamento, previa
sospensione, del provvedimento di rigetto della domanda di tra
sformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo par ziale, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, se
conda sezione, con ordinanza del 4 giugno 1997, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 57 e
58, 1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), in riferimento agli art. 3, 5, 39, 97 e 128
Cost., e che detta norma, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., è
stata altresì impugnata dal Tribunale amministrativo regionale
per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con due ordinan
ze in data 19 giugno 1998, di contenuto sostanzialmente identi
co, pronunziate nel corso di altrettanti giudizi promossi da due
psicologhe, dirigenti di primo livello dell'azienda sanitaria lo
cale (Asl) della provincia di Bergamo, per l'annullamento, pre via sospensione, degli atti di rigetto delle domande di trasfor
mazione del rapporto, di lavoro da tempo pieno a tempo parzia le;
che, secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni im
pugnate, stabilendo che «il rapporto di lavoro a tempo parziale
può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali
appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco» (art. 1, comma 57) e prevedendo le modalità della
trasformazione del rapporto, configurerebbero «un diritto ovve
ro una facoltà» del dipendente alla trasformazione del rapporto, senza tenere conto delle esigenze delle pubbliche amministra
zioni; che, ad avviso di entrambi i Tar, la disciplina della trasforma
zione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non sarebbe ragionevole, in quanto potrebbe determinare
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
un'improvvisa riduzione del personale occorrente per garantire la funzionalità dei servizi e, in violazione del principio di buon
andamento, priverebbe la pubblica amministrazione del potere di direzione e di pianificazione dell'organizzazione dei propri
uffici, non permettendole di preordinare le misure necessarie ad
evitare le eventuali disfunzioni derivanti dall'incentivazione del
rapporto di lavoro part-time, in contrasto con lo scopo di razio
nalizzazione, ammodernamento e responsabilizzazione avuti di
mira dalla più recente legislazione sul pubblico impiego;
che, secondo i giudici a quibus, la pubblica amministrazione
«viene a trovarsi in balìa dei propri dipendenti» e, inoltre, le
norme impugnate potrebbero determinare situazioni irragione voli e potenzialmente discriminatorie, in difetto della previsione di un potere di verifica delle situazioni personali e/o di servizio;
che, secondo il Tar Veneto, le norme denunciate violerebbero
altresì sia l'autonomia organizzativa degli enti locali, sia quella loro attribuita in sede di contrattazione collettiva, entrambe co
stituzionalmente garantite (art. 5, 39 e 128 Cost.); che il presidente del consiglio dei ministri, rappresentato e di
feso dall'avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti e
tre i giudizi con distinti atti, di contenuto pressoché identico,
eccependo l'infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, la disciplina del part-time co
stituisce parte di un più ampio disegno di riforma del pubblico
impiego, diretto a ridurre la spesa pubblica, e, quindi, le norme
denunciate possono costituire oggetto del sindacato di legitti mità costituzionale soltanto sotto il profilo della ragionevolezza;
che, ad avviso dell'interveniente, nel giudizio di ragionevo lezza assumerebbero pregnante importanza le disposizioni se
condo le quali: gli organici del personale sono costituiti anche
da dipendenti il cui numero complessivo è quantificato avendo
riguardo al limite complessivo del monte ore lavorative; posso no essere banditi concorsi per posti part-time; per taluni settori
non è consentito l'accesso indiscriminato a tale tipo di rapporto; il contingente del personale che può essere destinato al tempo
parziale non può superare il limite del venticinque per cento
dell'organico complessivo ed è possibile ovviare alle eventuali
carenze di organico sia mediante il ricorso ai processi di mobi
lità, sia utilizzando i risparmi di spesa per nuove assunzioni, in
quanto esse dimostrerebbero che è stato definito un sistema ri
spettoso dei principi costituzionali che si assumono lesi;
che, secondo l'avvocatura, la censura riferita agli art. 5 e 128
Cost, è infondata, in quanto l'autonomia organizzativa degli enti
locali deve svolgersi e realizzarsi compatibilmente con gli inte
ressi dell'intera comunità nazionale, quindi anche con quello al
risanamento della finanza pubblica;
che, nel giudizio sollevato dal Tar Veneto, si è costituito il
comune di Montebelluna, convenuto nel processo principale,
svolgendo argomentazioni a conforto delle censure ed eccepen do che le disposizioni impugnate pregiudicherebbero il conse
guimento degli scopi istituzionali da parte delle pubbliche am
ministrazioni, soprattutto dei comuni di dimensioni medie o
piccole, anche in considerazione del complessivo quadro nor
mativo nel quale esse si inseriscono;
che, ad avviso della parte, le modifiche introdotte suc
cessivamente all'ordinanza di rimessione (art. 39, 25°, 26° e 27°
comma, 1. 27 dicembre 1997 n. 449; art. 31, 41° comma, 1. 23
dicembre 1998 n. 448) «hanno l'indubbio merito di tradurre po sitivamente le doglianze» sollevate dagli enti locali territoriali,
ma conforterebbero i dubbi di legittimità delle norme impu
gnate, nonostante sia possibile sostenere che l'art. 1, comma 65,
1. n. 662 del 1996 stabilisca l'inapplicabilità dei commi 58 e 59
sia agli enti locali che versano in una situazione deficitaria, sia a
quelli che hanno una pianta organica inferiore a cinque unità, e
ritenere applicabile la nuova disciplina soltanto successivamente
alla «determinazione dei contingenti dei rapporti di lavoro in
relazione ai quali ammettere l'accesso al tempo parziale», of
frendo in tal modo un'interpretazione che rende le norme im
muni dalle censure di legittimità costituzionale.
Considerato che i giudizi hanno ad oggetto le stesse norme, in
riferimento a parametri in parte coincidenti, sicché essi vanno
riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
che, successivamente alla proposizione da parte del Tar Ve
neto della questione di legittimità costituzionale, sono entrati in
vigore; l'art. 39, 27° comma, 1. n. 449 del 1997 il quale stabili
sce che «le disposizioni dell'art. 1, commi 58 e 59, 1. 23 di
cembre 1996 n. 662, in materia di rapporto di lavoro a tempo
Il Foro Italiano — 2001.
parziale si applicano al personale delle regioni e degli enti locali
finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo»; gli art. 36, 7° comma, e 36 bis d.leg. 3 febbraio
1993 n. 29 (nel testo modificato dal d.leg. 31 marzo 1998 n. 80), i quali, rispettivamente, hanno introdotto la facoltà per le pub bliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali fles
sibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codi
ce civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'im
presa ed hanno previsto che il regolamento sull'ordinamento
degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni
organiche e le modalità di assunzione degli impieghi; l'art. 8, 1°
comma, lett. i), d.leg. 4 novembre 1997 n. 396, che ha previsto la possibilità di forme sperimentali di contrattazione collettiva,
in deroga alle previgenti disposizioni sulla contrattazione col
lettiva decentrata, anche in ordine all'articolazione flessibile
dell'orario di lavoro ed alla diffusione del part-time;
che, in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione, sono
entrati in vigore; l'art. 31, 41° comma, 1. n. 448 del 1998, se
condo il quale «per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale la
contrattazione collettiva può individuare particolari modalità
applicative, anche prevedendo una riduzione delle percentuali
previste per la generalità dei casi e l'esclusione di determinate
figure professionali che siano ritenute particolarmente ne
cessarie per la funzionalità dei servizi»; l'art. 4 1. 16 giugno 1998 n. 191 che, allo scopo di garantire l'impiego flessibile
delle risorse umane, ha previsto che le pubbliche amministra
zioni possono avvalersi di forme di lavoro a distanza (c.d. tele
lavoro); che siffatte disposizioni, sopravvenute alle ordinanze di ri
messione, hanno ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a
tempo parziale, hanno introdotto nuovi tipi di rapporti di lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e nuovi schemi
organizzativi, sicché hanno innovato il complessivo quadro normativo di riferimento;
che si palesa, pertanto, indispensabile il riesame, a cura dei
giudici a quibus, della rilevanza delle questioni alla luce delle
modificazioni normative sopravvenute. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, or
dina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regio nale per il Veneto, seconda sezione, ed al Tribunale ammini
strativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.
Ili
Svolgimento del processo. — Con tre distinti ricorsi Muzio
Giacomo, Giannone Mirella e Colla Gianluigi convenivano di
fronte al Tribunale di Chiavari il comune di Sestri Levante, so
stenendo che: — avevano presentato in differenti date (rispettivamente 23
marzo 1998, 21 marzo 1998 e 29 giugno 1998) al comune con
venuto domanda di trasformazione del proprio rapporto di lavo
ro da tempo pieno a part-time; — il comune aveva in due casi (Muzio e Giannone) disposto
il differimento della trasformazione del rapporto per un periodo di sei mesi ex art. 1, comma 58,1. 662/96 per evitare il malfun
zionamento dei servizi a cui gli stessi erano adibiti; — nel caso del Colla la domanda, presentata in forma defini
tiva il 29 agosto 1998, era stata rigettata; — in tutti e tre i casi nelle more del procedimento ammini
strativo (più esattamente dopo il provvedimento di differimento
assunto per Muzio e Giannone e prima del provvedimento di ri
getto della domanda del Colla) la giunta del comune di Sestri
Levante con delibera 783/98 con data 22 settembre 1998 aveva
emanato atto normativo ex art. 39, 27° comma, 1. 449/97 me
diante il quale il comune si attribuiva la facoltà di respingere una domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo
pieno a parziale, quando in base ad una dichiarazione motivata
del dirigente competente risultasse un pregiudizio per la funzio
nalità del servizio dall'accoglimento della stessa; — sulla base di quest'ultimo atto anche le domande di Muzio
e Giannone erano state respinte in data 29 settembre 1998;
ritenuto pertanto di aver comunque maturato un diritto alla
trasformazione del proprio rapporto di lavoro i ricorrenti chie
devano a questo tribunale di condannare il comune convenuto a
trasformare il loro rapporto di lavoro in un rapporto part-time, con vittoria di spese.
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PARTE PRIMA
In tutte le controversie si costituiva in giudizio il comune di
Sestri Levante, contestando la sussistenza di un diritto dei ri
correnti alla modifica del loro status lavorativo.
All'udienza del 12 gennaio 2000 le cause venivano riunite ex
art. 151 disp. att. c.p.c., stante l'evidente connessione oggettiva tra le stesse, e decise all'esito di discussione orale alla udienza
del 7 febbraio 2000 mediante pubblica lettura del dispositivo. Motivi della decisione. — Tutti i ricorsi devono essere riget
tati, per i motivi di seguito elencati.
Occorre muovere innanzitutto dai ricorsi Muzio e Giannone, che presentano una sequenza procedimentale amministrativa so
stanzialmente identica (domanda di trasformazione, provvedi mento comunale di differimento della trasformazione, delibera
normativa che consente la reiezione di questo tipo di domanda
per ragioni organizzative, provvedimento di rigetto delle stesse). Secondo i ricorrenti la presentazione della domanda di part
time di per sé avrebbe costituito in loro favore un diritto sogget tivo alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a
parziale, rispetto a cui il differimento di sei mesi disposto dal
l'amministrazione fungerebbe da semplice condizione tempo rale di efficacia (alla scadenza dei sei mesi il rapporto dovrebbe
considerarsi automaticamente trasformato, a prescindere dalle
vicende amministrative successive alla domanda, che sarebbero
irrilevanti in quanto non potrebbero mutare una situazione
ormai consolidata). Tale assunto non appare fondato, alla luce di quanto disposto
dall'art. 1, comma 58,1. 662/96.
Tale fattispecie prevede infatti tre possibili alternative per l'amministrazione pubblica, posta di fronte ad una domanda del
proprio dipendente che intende trasformare il rapporto di lavoro
da tempo pieno a part-time. La trasformazione del rapporto si verifica automaticamente
solo nel caso in cui decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda l'amministrazione non abbia dato una delle due
risposte previste successivamente nell'articolo in esame.
Solo pertanto in caso di silenzio-assenso (o di eventuale ac
cettazione esplicita) il richiedente perfeziona il suo diritto al
passaggio al part-time. Ma la legge prevede anche le legittime possibilità per l'am
ministrazione da un lato di negare la trasformazione per con
flitto di interessi tra la propria attività e quella che il dipendente intende intraprendere privatamente, e dall'altro lato di differire
per ragioni di funzionalità di servizio la trasformazione per un
tempo non superiore a sei mesi.
Nel caso di adozione di provvedimenti di quest'ultimo tipo
(rigetto o differimento) non si verifica nessun incontro tra la
volontà delle parti, e quindi nessuna trasformazione può dirsi
essersi verificata.
Con riguardo in particolare al provvedimento di differimento
della trasformazione, si osserva che allo stesso non può ricono
scersi quella valenza di riconoscimento di diritto differito per efficacia nel tempo che intendono attribuirgli i ricorrenti, in
quanto l'effetto trasformativo si verifica solo ed esclusivamente
per silenzio o per assenso dell'amministrazione.
Queste osservazioni (assenza cioè di un diritto soggettivo per fetto esistente in capo ad un soggetto per il solo fatto di aver
presentato una domanda di trasformazione) toglie qualunque valore anche alle considerazioni critiche avanzate da parte ricor
rente relativamente all'art. 39, 27° comma, 1. 449/97, norma che
come è noto stabilisce che l'art. 1, comma 58,1. 662/96 si appli ca anche al personale degli enti locali, fino all'emanazione da
parte degli stessi di autonomi atti normativi che regolino la ma
teria in questione. Secondo le parti ricorrenti, poiché la presentazione della do
manda avrebbe già perfezionato il diritto dell'istante alla tra
sformazione del rapporto, il richiamo operato dall'art. 39 1.
449/97 confermerebbe che qualunque mutamento del quadro normativo intervenuto successivamente alla domanda sarebbe
irrilevante, dato che non potrebbe in alcun modo scalfire una
posizione giuridica soggettiva già consolidata.
Questa lettura appare però inaccettabile, perché muove dal
presupposto del perfezionamento anteriore di un diritto, che in
realtà non si è mai verificato per le ragioni sovraesposte. In realtà l'art. 39 appena citato consente alle amministrazioni
locali proprio di emanare atti normativi mediante i quali si possa
Il Foro Italiano — 2001.
evitare un ricorso generalizzato al part-time da parte dei pubbli ci dipendenti, che violerebbe il principio costituzionale di au
torganizzazione degli enti pubblici sancito dagli art. 5, 117 e
128 Cost.
La norma cioè ad una attenta lettura, coordinata con quella della 1. 662/96, ha un significato opposto a quello attribuitole
dai ricorrenti, in quanto in realtà consente agli enti pubblici du
rante l'iter amministrativo della domanda di trasformazione del
rapporto di adottare norme per regolare la materia in questione. E in piena aderenza alla fattispecie legale di cui sopra deve
considerarsi improntata la condotta del comune di Sestri Le
vante, che ha emanato l'atto normativo 783/98 del 22 settembre
1998, con cui si fissavano le regole generali per rigettare even
tuali domande di trasformazione dei rapporti di lavoro in part time, regole poi applicate in concreto con i provvedimenti che
hanno respinto le domande dei ricorrenti.
Non essendovi pertanto alcun diritto soggettivo di questi ul
timi in ordine alla trasformazione del loro rapporto di lavoro, la
tutela della loro domanda può essere apprestata da questo giudi cante soltanto in termini di interesse alla verifica della legitti mità della condotta dell'amministrazione convenuta.
E dalla verifica effettuata non risulta alcuna illiceità nel com
portamento del comune di Sestri Levante, che: — ha emanato un atto normativo perfettamente legittimo; — sulla base dello stesso ha emanato un provvedimento di ri
getto altrettanto legittimo, perché aderente alle indicazioni del
l'atto normativo precedente (che richiedeva un parere motivato
del dirigente dell'ufficio presso cui lavorava il dipendente che
aveva fatto istanza per la trasformazione del proprio rapporto di
lavoro).
Pertanto, nessun danno può essere derivato ai ricorrenti Mu
zio e Giannone da una condotta lecita del comune convenuto.
Le considerazioni di cui sopra sembrano valere ancora di più nel caso del ricorrente Colla, in quanto la domanda di trasfor
mazione, presentata il 29 giugno 1998 ma riproposta in forma
definitiva il 29 agosto 1998, veniva rigettata il 23 settembre
1998 sulla base del già citato atto normativo 783/98 del 22 set
tembre 1998 senza neppure ricorrere ad un atto di differimento
come per i ricorrenti Muzio e Giannone.
Anche in questa ipotesi nessun silenzio e nessun assenso del
l'amministrazione sono stati manifestati, e pertanto nessun di
ritto alla trasformazione si è perfezionato.
L'operato del comune di Sestri Levante appare quindi legit timo in tutti e tre i casi all'attenzione di questo giudicante.
Non ha pregio neppure l'eccezione proposta in sede di di
scussione orale dalla difesa dei ricorrenti, secondo cui manche
rebbe una reale motivazione organizzativa per sostenere il ri
getto delle domande di trasformazione.
In realtà, dagli atti risulta che tutte le domande sono state ri
gettate (e quelle di Giannone e Muzio in precedenza sono state
differite) sulla base di motivati pareri dei dirigenti delle aree di
servizio a cui i tre lavoratori erano adibiti, in piena conformità
pertanto al dettato della legge e a quello dell'atto normativo
783/98 del 22 settembre 1998.
Sulla base di tutti gli elementi sopraesposti le domande devo r ' essere rigettate.
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