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sentenza 18 maggio 1999, n. 171 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 maggio 1999, n. 21); Pres....

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sentenza 18 maggio 1999, n. 171 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 maggio 1999, n. 21); Pres. Granata, Est. Capotosti; Regione Veneto (Avv. Bianchini) e Regione Lombardia (Avv. Caravita di Toritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Laporta) Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 1 (GENNAIO 2001), pp. 59/60-71/72 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195686 . Accessed: 28/06/2014 15:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.0.146.141 on Sat, 28 Jun 2014 15:52:12 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 18 maggio 1999, n. 171 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 maggio 1999, n. 21);Pres. Granata, Est. Capotosti; Regione Veneto (Avv. Bianchini) e Regione Lombardia (Avv.Caravita di Toritto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Laporta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 1 (GENNAIO 2001), pp. 59/60-71/72Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195686 .

Accessed: 28/06/2014 15:52

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PARTE PRIMA

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 maggio 1999, n.

171 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 maggio 1999, n.

21); Pres. Granata, Est. Capotosti; Regione Veneto (Avv.

Bianchini) e Regione Lombardia (Avv. Caravita di Toritto) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Laporta).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Rapporto di

lavoro a tempo parziale — Questioni infondate di costitu

zionalità (Cost., art. 39, 97, 115, 117, 118, 119, 123; 1. 23 di cembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della finanza

pubblica, art. 1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65). Impiegato dello Stato e pubblico in genere

— Rapporto di

lavoro a tempo parziale — Questione inammissibile di co

stituzionalità (Cost., art. 3; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, comma 65).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Imposta

erariale sulla benzina — Determinazione dell'aliquota —

Questioni infondata e inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 53, 119; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, comma 154).

Economia nazionale e programmazione economica — Cipe

— Programmazione negoziata — Attribuzione di compe tenze — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.

118; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 2, commi 205, 206). Contabilità e bilancio dello Stato — Tesoreria unica — Li

mitazioni di accreditamenti — Questione infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 97, 119; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 214).

Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.

1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65, l. 23 dicem bre 1996 n. 662, che disciplinano il rapporto d'impiego part time dei dipendenti della pubblica amministrazione, in riferi mento agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost. (1)

E inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 1, comma 65, l. 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in

cui non prevede anche per gli enti di maggiori dimensioni

l'inapplicabilità delle norme che disciplinano il rapporto

d'impiego part-time dei dipendenti della pubblica ammini

strazione, disposta per gli enti locali la cui pianta organica

preveda un numero di dipendenti inferiore alle cinque unità, in riferimento all'art. 3 Cost. (2)

E infondata, in riferimento all'art. 119 Cost., ed inammissibile, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 154, l. 23 dicembre 1996 n.

662, che stabilisce l'operatività di eventuali aumenti erariali

dell'accisa sulla benzina per autotrazione in correlazione al

l'aliquota in atto della corrispondente imposta regionale. (3) E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2,

commi 205 e 206, l. 23 dicembre 1996 n. 662, che attribui

scono al Cipe competenze in ordine all'approvazione delle intese istituzionali di programma, di accordi diversi di pro

grammazione negoziata e alla definizione di tipologie di con

trattazione programmata, in riferimento all'art. 118 Cost. (4)

(1-2, 6-7) L'ordinanza del Tar Veneto, con gli estremi della pubbli cazione (6 giugno 1997, n. 1005), è massimata in Foro it., Rep. 1998, voce Impiegato dello Stato, n. 328, e commentata da L. Nogler, Diritto alla trasformazione del rapporto in «part-time» ed enti locali, in Lavo ro nelle p.a., 1998, 602.

La problematica relativa alla nuova disciplina del part-time nel pub blico impiego dettata con la legge finanziaria per il 1997 (ricordiamo che la prima regolamentazione risale al d.p.r. 191/79, per gli enti locali, ed al d.p.c.m. 17 marzo 1989 n. 117, emanato in attuazione della 1. 29 dicembre 1988 n. 554, in via generale) è stata affrontata dalla Corte co

stituzionale, contestualmente alle pronunzie in epigrafe, in riferimento alla possibilità di iscrizione agli albi professionali e di esercizio delle libere professioni: ord. 20 maggio 1999, n. 183, Foro it., 1999, I, 2444, con nota di richiami cui si rimanda per ogni riferimento sul rapporto di lavoro a tempo parziale dei dipendenti pubblici.

Sulle ragioni che legittimano la pubblica amministrazione a respinge re la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro, si rammenta che l'art. 39, comma 25,1. 449/97 ha disposto che, in mancanza dei de creti di cui all'art. 1. comma 58 bis, 1. 662/96, «la trasformazione del

rapporto di lavoro a tempo parziale può essere negata esclusivamente nel caso in cui l'attività che il dipendente intende svolgere sia in palese contrasto con quella svolta presso l'amministrazione di appartenenza o

Il Foro Italiano — 2001.

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3,

comma 214, l. 23 dicembre 1996 n. 662, che stabilisce alcune

limitazioni agii accreditamenti per gli enti soggetti al regime della tesoreria unica, per l'anno 1997, in riferimento agli art.

97 e 119 Cost. {5)

II

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 10 maggio 1999, n. 164 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 maggio 1999, n.

20); Pres. Granata, Est. Capotosti; Cinel c. Comune di

Montebelluna; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato

Stipo). Ord. Tar Veneto, sez. Il, 4 giugno 1997 e Tar Lom

bardia, sez. Brescia, 19 giugno 1998 (due) (G.U., lds.s., n. 50

del 1997 e n. 42 del 1998).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere —

Rapporto di

lavoro a tempo parziale — Questione di costituzionalità —

«Ius superveniens» — Restituzione degli atti ai giudici «a

quibus» (Cost., art. 3, 5, 39, 97, 128; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1, commi 57, 58).

Devono essere restituiti ai giudici a quibus, in seguito alla so

pravvenuta emanazione di nuove disposizioni legislative in

materia (art. 39, 27° comma, l. 449/97; 36, 7° comma, e 36

bis d.leg. 29/93, come modificati dal d.leg. 80/98; 8, 1° com

ma, lett. i, d.leg. 396/97; 31, 41° comma, l. 448/98; 4 l.

191/98), gli atti relativi alla questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 1, commi 57 e 58, l. 23 dicembre 1996 n.

662, che disciplinano il rapporto d'impiego part-time dei di

pendenti della pubblica amministrazione, in riferimento agli art. 3, 5, 39, 97 e 128 Cost. (6)

III

TRIBUNALE DI CHIAVARI; sentenza 7 febbraio 2000; Giud. Del Nevo; Muzio e altri (Avv. Ghibellini, Firriolo) c.

Comune di Sestri Levante (Avv. Cocchi).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Lavoro a tem

po parziale — Diritto dell'impiegato — Esclusione — In teresse dell'amministrazione — Prevalenza (L. 23 dicem

bre 1996 n. 662, art. 1, comma 58; 1. 27 dicembre 1997 n.

449, misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, art.

39, comma 27).

Non spetta al dipendente di ente locale che abbia presentato domanda per la trasformazione del proprio rapporto di lavo

ro in part-time un diritto soggettivo all'accoglimento della ri

chiesta, ma soltanto un interesse alla verifica della legittimità della condotta dell'amministrazione che abbia respinto la

domanda per pregiudizio alla funzionalità del servizio. (7)

in concorrenza con essa», ma già prima la giurisprudenza amministrati va si era espressa nei termini di cui alla sentenza del Tribunale di Chia vari in epigrafe (Tar Emilia-Romagna, sez. I, 1° luglio 1997, n. 425, id., Rep. 1998, voce cit., n. 333, in relazione al caso di comprovata ca renza di organico; contra, Trga Trentino-Alto Adige, sez. Bolzano, 23

agosto 1995, n. 183, id., Rep. 1996, voce cit., n. 268, che ritiene trattar si di «atto dovuto» in presenza delle condizioni di legge; Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 27 giugno 1991. n. 176, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 241, che parla di «atto vincolato» solo dopo l'adozione della ti

pologia del rapporto come individuata dal d.p.c.m. 117/89). Per ulteriori riferimenti in materia ed un esame sistematico delle re

lative problematiche, v. P. Berni-D. Vigezzi, Lavoro «part-time» e di

sciplina delle incompatibilità - Per i dipendenti degli enti locali e del servizio sanitario nazionale, testo aggiornato con la l. 449/97 (colle gato alla legge finanziaria 1998), Milano, 1998; L. Bisi, Privatizzazio ne del pubblico impiego, vincolo di esclusività e rapporto di lavoro a

tempo parziale, in Riv. personale ente locale, 1998, 397; M. Ambron E. Bonelli, Il «part-time» dei dipendenti degli enti locali tra conteni mento della spesa pubblica ed efficienza dell'attività amministrativa, in Riv. amm., 1997, 617.

La disciplina generale del lavoro a tempo parziale è ora contenuta nel

d.leg. 25 febbraio 2000 n. 61, emanato in attuazione della direttiva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Diritto. — 1. - Le questioni di legittimità costituzionale pro mosse dai ricorsi della regione Veneto e della regione Lombar

dia, indicati in epigrafe, investono alcune disposizioni della 1.

23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della fi

nanza pubblica). In particolare, i ricorsi della regione Veneto e

della regione Lombardia hanno ad oggetto l'art. 1, commi 56,

57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65, della citata 1. n. 662, mentre

il ricorso della regione Lombardia ha ad oggetto anche l'art. 1,

comma 154, l'art. 2, commi 205 e 206, e l'art. 3, comma 214,

della stessa legge. I due giudizi, riguardando questioni di costituzionalità che

investono, sotto profili analoghi, norme della medesima legge, vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Per procedere ad un esame ordinato delle varie censure,

appare conveniente sottoporre a scrutinio le singole questioni, secondo l'ordine di collocazione delle disposizioni interessate

nel testo della legge. La regione Veneto ha impugnato l'art. 1, commi 56, 57, 58,

59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65,1. n. 662 del 1996, in riferimento agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost, ed agli art. 48 e 51 dello statuto regionale, mentre la regione Lombardia ha de

nunciato, con la prima censura, l'illegittimità dei soli commi 57, 58 e 59, eccependo che essi violerebbero gli art. 97, 117, 118 e

119 Cost.

Le disposizioni oggetto di censura disciplinano il rapporto

d'impiego part-time dei dipendenti della pubblica amministra

zione.

La regione Veneto deduce che la materia disciplinata dalle

norme in esame è riservata dagli art. 115, 117, 118, 119 e 123

Cost., nonché dagli art. 48 e 51 dello statuto regionale, alla re

gione stessa. La predetta disciplina statale, secondo la ricorren

te, pretenderebbe di regolamentare ex novo la materia, non solo

«travolgendo» il sistema già stabilito dalle 1. reg. 10 giugno 1991 n. 12, e 22 luglio 1994 n. 30, ma introducendo anche di

sposizioni che non conterrebbero «principi fondamentali» della

materia, ne esprimerebbero «scelte politico-legislative fonda

mentali». Inoltre, configurandosi come disposizioni di dettaglio e autoapplicative, in carenza di un interesse nazionale che possa

giustificarle, esse violerebbero il potere regionale di organizza zione degli uffici e di disciplina dello stato giuridico-economico del proprio personale, con conseguente pregiudizio del buon an

damento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e lesione dell'au

tonomia riservata alla contrattazione collettiva (art. 39 Cost.). Il

potere di organizzare i propri uffici verrebbe precluso alla ricor

97/91/Ce relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale con

cluso dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces (Le leggi, 2000, I, 1001), i cui tratti essenziali sono la forma scritta ad probationem del contratto, la

necessità del consenso del lavoratore ed il suo diritto al «ripensamento» sulle «clausole elastiche» (cambiamento della collocazione oraria per esigenze produttive), la possibilità di prestazioni supplementari (da de

finire in sede di contrattazione), il diritto di prelazione per le assunzioni a tempo pieno e il principio di non discriminazione con il lavoro a tem

po pieno per il trattamento contrattuale e normativo, la sanzione della trasformazione a tempo pieno del rapporto in mancanza di prova sulla

limitazione temporale ma non per l'indeterminatezza degli altri conte nuti del contratto (art. 8); questa disciplina si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ove non di

versamente disposto, con previsione di addebito al dirigente responsa bile delle conseguenze patrimoniali della trasformazione a tempo de

terminato del rapporto in conseguenza di violazioni delle prescrizioni di legge (art. 10). Ulteriori modifiche sono state apportate in sede di

legge comunitaria del 2000, in attuazione della direttiva 99/7O/Ce del

consiglio. Per riferimenti di carattere generale sulla riforma ex d.leg. 29/93 e la

sua portata generale ed obbligatoria anche per gli enti locali, v. le sen

tenze citate in motivazione, fra le quali si segnala la fondamentale

Corte cost. 309/97, Foro it., 1997,1, 3484.

(3-5) Sugli altri argomenti oggetto del giudizio di costituzionalità di

cui alla sentenza 171/99 in epigrafe, in mancanza di precedenti specifi ci nella giurisprudenza di merito, v. le pronunzie citate in motivazione, cui adde, sulle competenze del Cipe in relazione alle prerogative delle

regioni e province autonome, Corte cost. 28 aprile 1994, n. 165, Foro

it., 1996, I, 2284, e 23 novembre 1993, n. 412, id., 1994, I, 29; sul si

stema di tesoreria unica per gli enti pubblici, Corte cost. 12 gennaio 1995, n. 12, id., 1995, I, 433 (che ha dichiarato inammissibile la richie

sta di referendum abrogativo della 1. 720/84).

Il Foro Italiano — 2001.

rente anche dalla fissazione della data di applicazione della

nuova disciplina statale (cfr. art. 1, comma 63, 1. n. 662 del

1996), che le impedirebbe di adattare le norme statali alle «pe culiarità del proprio ordinamento».

Secondo la regione ricorrente, inoltre, è irragionevole e con

trastante con l'art. 3 Cost. — parametro ricavabile dalla motiva

zione del ricorso — che non sia prevista anche per gli enti di

maggiori dimensioni l'inapplicabilità delle norme censurate di

sposta per gli enti locali, la cui pianta organica preveda un nu

mero di dipendenti inferiore alle cinque unità (art. 1, comma

65), proprio per evitare il rischio di paralisi funzionale, qualora tutti i dipendenti optino per il part-time.

Infine, la previsione della destinazione dei risparmi di spesa

conseguenti alla trasformazione dei rapporti d'impiego (cfr. art.

1, comma 59) violerebbe, ad avviso della ricorrente, la propria autonomia finanziaria e di bilancio, trasferendo alle regioni una

parte del deficit di bilancio dello Stato e diminuendo gli oneri a

carico di quest'ultimo. La regione Lombardia ha svolto, limitatamente alle disposi

zioni da essa impugnate, censure analoghe a quelle della regione Veneto, eccependo altresì che l'art. 39, 27° comma, 1. 27 di

cembre 1997 n. 449, stabilendo che «le disposizioni dell'art. 1, commi 58 e 59, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, in materia di rap

porto di lavoro a tempo parziale, si applicano al personale di

pendente delle regioni e degli enti locali finché non sia diversa

mente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo», non solo non escluderebbe la fondatezza della questione, ma in

trodurrebbe un inutile elemento di contraddizione e di confusio

ne nel sistema delle fonti. La regione Lombardia sostiene invero

che essa avrebbe già potuto attuare le citate disposizioni della 1.

n. 662 del 1996, sia in base ai principi fissati dal d.leg. 3 feb braio 1993 n. 29, sia in virtù della 1. 15 marzo 1997 n. 59, sia in

forza delle innovazioni introdotte dal d.leg. 31 marzo 1998 n.

80, a prescindere dalla ulteriore considerazione che la 1. reg. 23

luglio 1996 n. 16 avrebbe già anticipato i principi della legisla zione statale.

2.1. - Le questioni prospettate sono in parte infondate, in

parte inammissibili. Le norme impugnate, che stabiliscono la disciplina del rap

porto di impiego part-time alle dipendenze delle pubbliche am

ministrazioni, si inseriscono in un complesso itinerario legisla tivo, che prende le mosse dall'art. 7 1. 29 dicembre 1988 n. 554, attuato con il d.p.c.m. 17 marzo 1989 n. 117, che disegna una

prima forma di attenuazione del principio dell'esclusività della

prestazione del pubblico dipendente. Successivamente, la rego lamentazione del rapporto di pubblico impiego riceve si

gnificative innovazioni dal d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, nel

l'ambito di un nuovo modello di organizzazione dell'apparato

amministrativo, capace di incidere anche sul «quadro struttura

le» della pubblica amministrazione (sentenza n. 309 del 1997,

Foro it., 1997, 1, 3484). L'innovatività di questo disegno rifor

matore costituisce il presupposto, nell'ottica del contenimento

della spesa pubblica e dell'aumento dell'efficienza della pubbli ca amministrazione, per ulteriori estensioni del regime del lavo

ro a tempo parziale nel settore pubblico. Ed infatti la 1. 23 di

cembre 1994 n. 724 demanda l'articolazione dell'orario di lavo

ro alla contrattazione collettiva (art. 22, 3° comma), elevando la

percentuale del personale che può essere destinato al tempo par ziale (art. 22, 20° comma), mentre il c.c.n.l. dei dipendenti del

comparto «regioni ed enti locali» (G.U. 9 settembre 1995) sta

bilisce, in conformità, una specifica regolamentazione. La revisione dell'ordinamento del pubblico impiego attraver

so la c.d. «privatizzazione» del rapporto è ispirata dunque da

una prospettiva di maggiore valorizzazione dei risultati dell'a

zione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di ri

gore di gestione (sentenza n. 371 del 1998, Foro it., Rep. 1998,

voce Responsabilità contabile, n. 133). Le disposizioni denun

ciate si collocano quindi all'interno di tale logica normativa, de

lineando compiutamente la disciplina del part-time, anche attra

verso la riscrittura delle regole relative alle incompatibilità, già

poste dal d.leg. n. 29 del 1993. Ed invero la disciplina dell'in

compatibilità, recata dal comma 56 dell'art. 1 della citata 1. n.

662 del 1996, ha introdotto una decisiva modifica ad uno dei ca

noni fondamentali del rapporto di pubblico impiego, e cioè

quello dell'esclusività della prestazione, tanto più che successi

vamente il comma 56 bis, aggiunto all'art. 1 della legge in esa

me dall'art. 6 d.l. 28 marzo 1997 n. 79, convertito nella 1. 28

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PARTE PRIMA

maggio 1997 n. 140, ha completato il disegno legislativo dispo nendo l'abrogazione (e non più l'inapplicabilità) di tutte le

norme che vietano ai pubblici dipendenti a part-time l'iscrizione

ad albi professionali e l'esercizio di altre prestazioni di lavoro.

L'ampiezza, l'incisività e la rilevanza nazionale di questo di

segno di riforma del pubblico impiego, che si manifestano ap

punto nelle disposizioni che regolano il regime delle incompati bilità e del part-time alle dipendenze delle pubbliche ammini

strazioni, inducono a ritenere che tali disposizioni costituiscano, in base alla loro natura oggettiva, «principi fondamentali» della

legislazione statale, anche in relazione alle norme del decreto n.

29 del 1993 — qualificate ex lege «principi fondamentali» (art.

1, 3° comma) — che esse appunto modificano. Secondo la giu

risprudenza di questa corte (sentenze n. 528 del 1995, id., 1996,

I, 2935; n. 479 del 1995, ibid., 408; n. 406 del 1995, id., Rep. 1995, voce Impiegato dello Stato, n. 146; n. 359 del 1993, id.,

1993, I, 3219), del resto, ben possono essere considerate, indi

pendentemente da eventuali autoqualificazioni, «principi fon

damentali» le disposizioni in oggetto, le quali, integrando ed in

novando significativamente il precedente regime, perseguono, attraverso la nuova regolamentazione del part-time e delle in

compatibilità, l'obiettivo del completamento del processo di

omologazione tra il rapporto d'impiego con le pubbliche ammi

nistrazioni ed il rapporto di lavoro subordinato privato, in un

quadro di riforma che si fonda sull'interesse nazionale al ri

equilibrio della finanza pubblica ed alla migliore efficienza e

qualità delle prestazioni rese dalle amministrazioni pubbliche ai

cittadini (sentenza n. 359 del 1993). Si tratta infatti di una disci

plina che, per contenuti e finalità, incide su settori di importanza essenziale per la vita della comunità e che pertanto esige un'attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.

Le disposizioni statali in questione sono quindi in grado di

vincolare le regioni a statuto ordinario in base alla natura og

gettiva di normazione di principio che le disposizioni stesse

vengono a manifestare (sentenza n. 359 del 1993). E poiché, se

condo la consolidata giurisprudenza di questa corte, il soprav venire di una disciplina legislativa statale recante principi tali da

costituire un limite all'esercizio di competenze legislative re

gionali comporta, ai sensi dell'art. 10, 1° comma, 1. 10 febbraio

1953 n. 62, l'effetto dell'abrogazione delle disposizioni regio nali incompatibili (sentenze n. 153 del 1995, id., 1996, I, 1934; n. 498 del 1993, id., Rep. 1994, voce Regione, n. 275), è ap

punto in questi termini che va configurata, nel caso di specie, la

vicenda delle citate leggi della regione Veneto e della regione Lombardia, anche se naturalmente non è preclusa una successi

va, diversa regolamentazione regionale della materia, nel ri

spetto dei nuovi principi. 2.2. - Nella fattispecie in esame, essenzialmente due sono i

principi fondamentali — strettamente interconnessi — enuclea

gli dalla sopravveniente disciplina impugnata: quello relativo

alla diversa configurazione della regola dell'esclusività della

prestazione nel rapporto di pubblico impiego e quello relativo alle modalità di trasformazione del rapporto stesso da tempo

pieno a tempo parziale. Sono quindi da considerare vincolanti

per la potestà legislativa regionale non solo le disposizioni che recano direttamente questi principi, ma anche tutte le altre di

sposizioni impugnate, purché legate alle prime da «un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione» (sentenza n. 406

del 1995). In questo quadro, certamente è qualificabile come «principio

fondamentale» la norma, di cui all'art. 1, comma 56, che, in de

roga alla disciplina generale prevista dal comma 60, dichiara

inapplicabili ai lavoratori a part-time le disposizioni normative

in materia e l'art. 58, 1° comma, del decreto n. 29 del 1993 re

lativamente al divieto di iscrizione in albi professionali, nonché

di svolgimento di altra attività di lavoro subordinato o autono

mo. Appare inoltre «coessenziale» alla realizzazione di questi interessi, per il suo evidente carattere strumentale, il regime sanzionatorio e dei controlli disciplinato dall'art. 1, comma 61, e —

per quanto qui rileva — dalla prima parte del comma 62, cosicché la coessenzialità della disciplina sanzionatoria legitti ma anche l'intervento statale di dettaglio (sentenza n. 37 del

1991, id., 1991,1, 2330). Nella stessa ottica di «necessaria inte

grazione» e «strumentalità» va pure inquadrato l'art. 1, comma

63, non tanto perché fissa la data di entrata in vigore delle pre dette procedure sanzionatone, quanto perché segna il termine di

cessazione delle attività divenute incompatibili, appunto ai sensi

Il Foro Italiano — 2001.

delle disposizioni in esame, così da consentire un'attuazione

uniforme di questa riforma su tutto il territorio nazionale.

Il comma 57 dell'art. 1 della citata 1. n. 662 esprime invece il

«principio fondamentale» dell'applicabilità del rapporto di lavo

ro part-time a tutti i profili professionali, regolando anche i casi

nei quali tale trasformazione non può aver luogo, così da assicu

rare parità di trattamento sull'intero territorio nazionale. Coes

senziale al predetto «principio fondamentale» va poi considerato

il comma 64 dello stesso articolo, che si propone di attuare rile

vanti finalità solidaristiche, assicurando che siano preferiti nella

trasformazione del rapporto quei dipendenti per i quali l'appli cazione del lavoro parziale risponde allo scopo di consentire lo

ro di prestare assistenza a soggetti bisognosi facenti parte del

proprio nucleo familiare. Non sembrano invece suscettibili di

ledere la competenza legislativa regionale i commi 58 e 59 del

l'art. 1 1. n. 662 del 1996, poiché l'art. 39, 27° comma, 1. 27 di

cembre 1997 n. 449 ha chiarito che ambedue le disposizioni de

nunciate «si applicano al personale delle regioni e degli enti lo

cali finché non diversamente stabilito da ciascun ente con pro

prio atto normativo». Questa norma, quindi, con il suo conte

nuto interpretativo ha configurato come «suppletive» le statui

zioni dei predetti commi rispetto alla eventuale normazione in

materia emanata da parte dei competenti enti, evitando così, sotto questo profilo, possibili lesioni all'autonomia regionale.

Neppure viola l'autonomia regionale l'art. 1, comma 62, se

conda parte, poiché tale norma è diretta precipuamente a stabili

re l'obbligo di effettuare verifiche a campione, in quanto coes

senziali ad una corretta applicazione dei principi fondamentali

della riforma, e non già a stabilire l'obbligo di costituzione di

appositi servizi ispettivi, come del resto espressamente ricono

sce anche il dipartimento della funzione pubblica, precisando che «la funzione ispettiva potrà essere svolta anche da un ufficio

della propria struttura già abilitato a compiti di controllo, al

quale sarà formalmente conferita anche tale specifica funzione»

(circ. 19 febbraio 1997, n. 3, par. 8). E comunque da escludere

ogni interpretazione, secondo cui il predetto comma 62 possa attribuire al dipartimento della funzione pubblica il potere di

esercitare compiti ispettivi che riguardino enti ad autonomia co

stituzionalmente garantita, come sono appunto le regioni. Non sussiste invece l'interesse della regione Veneto — non

attenendo la censura direttamente alla propria sfera di attribu

zione — a proporre ricorso rispetto al comma 65 dell'art. 1

della legge citata, prospettando la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento in riferimento alla

inapplicabilità del regime del part-time ai soli enti locali con un

numero di dipendenti inferiore a cinque. Ed infatti l'interesse

delle regioni, nei giudizi in via principale, è qualificato, secondo

la giurisprudenza costituzionale, dalla finalità di ripristinare

l'integrità delle proprie competenze lese dalle norme statali (ex

plurimis, sentenze n. 244 del 1997, id., 1997, I, 3490; n. 25 del

1996, id., 1996, I. 2597), cosicché le regioni sono legittimate a

far valere la violazione di norme diverse da quelle concernenti

l'autonomia regionale, soltanto se ne derivi una diretta inciden

za sulle loro competenze (sentenze n. 393 del 1992, id., 1992,1,

3203; n. 533 del 1989. id., 1990, I, 3380); il che nella specie non si verifica.

In definitiva, ribadito che alcune delle norme censurate non

sono applicabili alle regioni ricorrenti o sono comunque da con

siderare «cedevoli» rispetto ad una legislazione regionale con

trastante, va ricordato che le altre disposizioni impugnate non

vulnerano, in quanto espressive di «principi fondamentali» ai

sensi dell'art. 117 Cost., l'autonomia regionale né sotto il pro filo legislativo, né sotto quello amministrativo, né sotto quello finanziario. Né la regione Veneto ha ragione di dolersi della le

sione degli art. 48 e 51 dello statuto, giacché gli statuti regiona li, pur competenti a vincolare la disciplina dell'organizzazione interna della regione, non possono costituire, di per sé, parame tri per la valutazione di costituzionalità dei «principi fonda

mentali» recati dalle leggi dello Stato, che, invece, vanno scru

tinati — se del caso — in base alle norme costituzionali perti nenti.

Infine, neppure è sussistente il pregiudizio al corretto funzio

namento degli uffici, perché, come questa corte ha già osserva

to, il nuovo modello di statuto del pubblico impiego, quale sca

turisce dalle linee della riforma — anche senza considerare le

ulteriori modifiche normative successive alla proposizione dei

ricorsi in oggetto — è diretto a privilegiare, in modo non irra

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gionevole, il valore dell'efficienza della pubblica amministra

zione, contenuto nel precetto di cui all'art. 97 Cost., grazie a

strumenti gestionali che consentono, meglio che in passato, di

assicurare il contenuto della prestazione in termini di produtti vità, ovvero una sua più flessibile utilizzazione; il che appare

congruo rispetto al perseguimento della finalità del buon anda

mento della pubblica amministrazione (sentenza n. 1 del 1999,

id., 1999,1, 1). 3. - La regione Lombardia ha impugnato, per violazione degli

art. 1 (indicato evidentemente per errore), 3, 53 e 119 Cost., an

che l'art. 1, comma 154, secondo periodo, della stessa 1. n. 662, che stabilisce che «l'operatività di eventuali aumenti erariali per l'accisa sulla benzina per autotrazione è limitata, nei territori

delle regioni a statuto ordinario, alla differenza esistente rispetto

all'aliquota in atto della citata imposta regionale, ove vigente». Secondo la ricorrente, questa norma, pur tendendo ad assicu

rare l'omogeneità del prezzo della benzina sull'intero territorio

nazionale, opera in modo che dell'eventuale scelta della regione di aumentare l'imposta in misura inferiore a quella massima non

potrebbero beneficiare i cittadini residenti nella regione stessa, bensì lo Stato, che incasserebbe la differenza tra le due aliquote, vanificando così, in contrasto con l'art. 119, nonché con gli art.

3 e 53 Cost., il potere della regione di determinarsi in ordine al

l'entità dell'aumento.

3.1. - La questione in parte è infondata, in parte è inammissi

bile. Il comma 154 dell'art. 1 della legge citata si compone di due

distinte disposizioni, di cui la prima stabilisce che la misura

massima dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione,

prevista dall'art. 17 d.leg. 21 dicembre 1990 n. 398, è elevata a

cinquanta lire a litro.

La seconda disposizione —

quella impugnata dalla regione Lombardia —

riguarda invece l'accisa sulla benzina per auto

trazione, cioè un tributo statale, e regola direttamente «l'opera tività di eventuali aumenti erariali» inerenti al tributo stesso. In

proposito va osservato che la particolare modalità di aumento di

questo tributo non può in alcun senso incidere sulla competenza in materia della regione, la quale mantiene del tutto inalterata la

facoltà di determinare autonomamente, entro il limite massimo

prefissato per legge, l'entità dell'imposta di propria spettanza. Tutto ciò vale quindi ad escludere la violazione dell'art. 119

Cost, lamentata dalla ricorrente regione, tanto più che, secondo

la giurisprudenza costituzionale, la potestà legislativa in materia

tributaria delle regioni ad autonomia ordinaria opera, alla stre

gua della stessa disposizione della Costituzione, «entro i diversi

e particolari confini che le leggi della repubblica, in conformità

ai principi costituzionali, sono legittimate a previamente fissare,

configurandosi pertanto come una potestà non di tipo concor

rente, ma soltanto come una potestà attuativa» (ex plurimis, sentenze n. 355 del 1998, ibid., 1130; n. 295 del 1993, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 170).

Sussiste invece carenza di interesse della regione Lombardia

in ordine ai motivi di ricorso che si fondano sulla violazione dei

parametri costituzionali degli art. 3 e 53 Cost., giacché, secondo

la stessa prospettazione della ricorrente, la norma impugnata non potrebbe mai incidere direttamente sul potere impositivo della regione o comunque sulla sua sfera di attribuzione.

4. - La regione Lombardia ha altresì impugnato l'art. 2, commi "15 e 206, della medesima 1. n. 662 del 1996.

La regione ricorrente, premesso che il comma 205 riserva al

Cipe l'approvazione delle intese istituzionali di programma, an

che se concluse da regioni e province autonome, e che il comma

206 attribuisce allo stesso Cipe la competenza a deliberare le

modalità di approvazione degli accordi diversi dalle intese isti

tuzionali di programma, nonché a definire ulteriori tipologie della contrattazione programmata, deduce la violazione dell'art.

118 Cost., in quanto i suddetti commi realizzerebbero

un'illegittima interferenza, ponendo vincoli a carico dell'ammi

nistrazione regionale, senza definirne forme e modalità. In par

ticolare, il vulnus all'autonomia regionale deriverebbe dal pote re del Cipe di disciplinare «ulteriori tipologie della contrattazio

ne programmata» e di approvare intese ed accordi, anche quan do dovrebbero riguardare regioni e province autonome, «in

quanto organi procedenti». 4.1. - La questione non è fondata.

Preliminarmente occorre precisare che la questione di legitti mità costituzionale va estesa anche al comma 206 dell'art. 2

Il Foro Italiano — 2001 — Parte 1-2.

della legge citata, benché nel dispositivo del ricorso sia indicato

soltanto il comma 205 dello stesso articolo, giacché l'identifica

zione della norma impugnata deve essere effettuata avendo ri

guardo al complesso delle argomentazioni svolte nell'intero atto

introduttivo, le quali, interpretate secondo gli ordinari criteri

ermeneutici (sentenza n. 29 del 1995, id., 1996, I, 1157), dimo

strano, nella specie, che la regione Lombardia ha inteso denun

ciare entrambe le disposizioni. Le norme censurate concernono alcuni profili della c.d. pro

grammazione negoziata, che è regolata dai commi 203-214 del

l'art. 2 della citata 1. n. 662, i quali portano ad ulteriori sviluppi, in riferimento all'attività amministrativa, l'utilizzazione del

modello consensualistico sia nei rapporti con i privati, sia quale strumento diretto a realizzare il coordinamento delle competen ze ai diversi livelli di governo. La predetta legge ha infatti di

sciplinato ex novo le precedenti norme in materia di program mazione negoziata, allo scopo di razionalizzare gli interventi

che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici, nel cui

ambito l'intesa istituzionale di programma costituisce «l'accor

do tra amministrazione centrale, regionale o delle province au

tonome con cui tali soggetti si impegnano a collaborare sulla

base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie

disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure ammini

strative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d'interesse comune o funzionalmente collegati»

(art. 2, comma 203, lett. b, 1. n. 662).

Questa previsione legislativa va interpretata anche alla luce

delle indicazioni di scopo concernenti le funzioni che il comma

208 del citato art. 2 attribuisce al Cipe, cui appunto spetta, tra

l'altro, individuare, «nel rispetto degli indirizzi concordati con

l'Unione europea», «le aree (...) interessate da contratti d'area

o da patti territoriali, nelle quali sono concesse agevolazioni fi

scali dirette ad attrarre investimenti in attività produttive e a fa

vorire lo sviluppo delle stesse attività», in modo da perseguire «la crescita omogenea dell'intero territorio», nonché individuare

«le amministrazioni competenti a svolgere l'attività di istrutto

ria tecnico-economica dei progetti di investimento e quella di

monitoraggio e verifica dell'attuazione dei progetti e dell'atP

vità delle imprese per il periodo di fruizione delle agevola zioni».

Le disposizioni legislative enunciate delineano dunque un

quadro funzionale che trova, in fase attuativa, pieno riscontro,

oltre che nella prassi applicativa, nelle delibere del Cipe stesso, tra cui, in particolare, quella adottata il 21 marzo 1997 e quella

emanata, in conformità allo schema-tipo approvato il 9 ottobre

1997 dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

regioni e le province autonome, il 16 ottobre 1997, dalle quali

appunto si ricava che i soggetti dell'intesa istituzionale di pro

gramma sono, in ogni caso, congiuntamente il governo e le

giunte delle regioni e delle province autonome, che, attraverso

essa, realizzano una collaborazione diretta ad attuare, nell'am

bito delle risorse finanziarie disponibili, un piano pluriennale di

interventi di interesse comune, funzionalmente collegati, da por re in essere nel territorio della singola regione e nel quadro della

programmazione statale e regionale. In questo contesto il comma 205 del citato art. 2 non si pone

in contrasto con l'art. 118 Cost., neppure sotto il profilo dell'as

serita riserva all'amministrazione procedente del potere di con

clusione del procedimento. Ed infatti la norma non attribuisce al

Cipe il potere di approvare genericamente «intese ed accordi», ma solo quegli accordi che, per gli accennati profili funzionali e

strutturali, rientrano nell'ambito della definizione legislativa di

«intese istituzionali di programma». Intese, cioè, delle quali il

governo e comunque una delle parti, dirette a coordinare la pro

grammazione degli investimenti e degli interventi pubblici nei

casi in cui si realizza una complessa azione congiunta Stato

regioni, anche attraverso l'identificazione dei settori nei quali

appare prioritaria l'allocazione dei fondi nazionali e comunitari,

così da fare escludere che l'approvazione da parte del Cipe con

figuri una sorta di anomala forma di controllo sull'attività re

gionale. Tanto più che l'obbligo di sentire il parere, prima del

l'approvazione dell'intesa, della conferenza permanente per i

rapporti tra Stato e regioni costituisce un'ulteriore dimostrazio

ne che la norma censurata rispetta anche il principio di leale

collaborazione, senza comportare alcuna lesione dell'autonomia

regionale.

Egualmente non comprime l'autonomia regionale il comma

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PARTE PRIMA

206 dello stesso art. 2, nello stabilire che il Cipe delibera, con le

medesime procedure stabilite dal comma 205 e sentite, inoltre, le commissioni parlamentari competenti, le modalità di appro vazione degli strumenti di programmazione negoziata, nonché

può definire ulteriori tipologie della contrattazione programma ta. La ratio di questa norma va infatti individuata, in connessio

ne con le disposizioni legislative precedentemente enunciate, nella esigenza che gli strumenti negoziali ivi previsti siano pre ordinati alla realizzazione di interventi nelle aree depresse anche

in correlazione con l'operatività dei fondi strutturali europei

(cfr. comma 208), e comunque siano in grado di incidere diret

tamente anche sul regime fiscale statale e regionale, in vista

della rapida attuazione delle misure economiche previste, così

da assicurare uno sviluppo omogeneo del territorio ed una ra

zionale distribuzione delle risorse.

Tali esigenze postulano evidentemente un'azione unitaria e

implicano una complessità di interventi tale da giustificare schemi procedurali e modelli di coordinamento tecnico (ex plu

rimis, sentenze n. 273 del 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 305; n. 393 del 1992, cit.; n. 483 del 1991, id., Rep. 1992, voce Eco

nomia nazionale, n. 34), tanto più perché questi interventi sono

destinati ad inserirsi nel più ampio quadro dei programmi co

munitari, spettando allo Stato un ruolo peculiare nell'iter proce dimentale di gestione delle azioni di sostegno comunitarie

(sentenza n. 93 del 1997, id., 1998, I, 1382). Questa corte, del

resto, ha affermato più volte che l'attuazione di queste esigenze

può comportare la spettanza al potere statale di stabilire la di

sciplina del procedimento (sentenza n. 170 del 1997, ibid.,

2074), o di definire la tipologia degli interventi programmatici destinati ad operare sull'intero territorio nazionale, trattandosi

di «normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella

potestà di programmazione territoriale attribuita alle regioni, in

quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di

esplicarsi in modo unitario ed omogeneo» (sentenza n. 393 del

1992). Considerando, da un lato, la rilevanza nazionale delle finalità

che la disposizione impugnata intende perseguire e, dall'altro

lato, che la determinazione di schemi o tipi uniformi di inter

vento sul territorio può agevolare il conseguimento degli obiet

tivi della contrattazione programmata, può bene essere affidata

alla regolamentazione statale l'adozione di misure di coordina

mento tecnico, che non coinvolgono scelte d'ordine politico amministrativo spettanti alle regioni (sentenza n. 483 del 1991) e che rispettano altresì, per le garanzie procedimentali previste, il principio di legalità sostanziale. Non sono pertanto fondati i

prospettati profili di violazione della sfera di autonomia della

regione ricorrente.

5. - La regione Lombardia ha infine eccepito l'illegittimità dell'art. 3, comma 214,1. n. 662 del 1996, il quale stabilisce che

«per gli enti soggetti all'obbligo di tenere le disponibilità liqui de nelle contabilità speciali o in conti correnti con il tesoro, per l'anno 1997 i pagamenti del bilancio dello Stato sono accreditati

sui conti correnti aperti presso la tesoreria dello Stato solo ad

avvenuto accertamento che le disponibilità sui conti medesimi si

sono ridotte ad un valore non superiore al venti per cento delle

disponibilità rilevate al 1° gennaio 1997».

Secondo la ricorrente, questa norma lederebbe la propria au

tonomia finanziaria e contabile, in quanto la priverebbe, in con

trasto con l'art. 119 Cost., della disponibilità delle somme ac

creditate o da accreditare, configurando altresì un'illegittima forma di compressione della propria potestà programmatoria,

legislativa ed amministrativa, con conseguente lesione del prin

cipio di buon andamento della pubblica amministrazione. D'al

tra parte, la circostanza che la norma abbia un'efficacia tempo rale limitata all'anno 1997 non può escludere, secondo la ri

corrente, il proprio interesse ad ottenere «una decisione che pos sa assumere valore di principio di modo che in futuro non possa essere nuovamente lesa la sfera dell'autonomia finanziaria della

regione». 5.1. - La questione non è fondata.

La norma impugnata si inserisce nel c.d. sistema di tesoreria

unica, che, secondo la giurisprudenza di questa corte, non vul

nera l'autonomia finanziaria delle regioni, in quanto è diretto a

garantire il controllo della liquidità di cassa ed a disciplinare i

flussi finanziari (sentenza n. 412 del 1993, id., 1994, I, 29). L'autonomia finanziaria delle regioni postula infatti che esse

abbiano l'effettiva disponibilità delle risorse loro attribuite ed il

Il Foro Italiano — 2001.

potere di manovra dei mezzi finanziari (sentenze n. 381 del

1996, id., 1997,1, 3516; n. 293 del 1995, id., 1996,1, 2283). D'altra parte, la disposizione censurata si inserisce nel quadro

della complessiva manovra di finanza pubblica per l'anno 1997,

caratterizzata dalla previsione di ulteriori misure, dirette ap

punto al risanamento dei conti pubblici ed al contenimento della

spesa pubblica (art. 8 d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1997 n. 30), le quali ri

chiedevano l'impegno solidale delle regioni e che questa corte

ha conseguentemente escluso essere lesive dell'autonomia fi

nanziaria delle regioni stesse (sentenza n. 421 del 1998, id.,

1999,1, 1744). Nel quadro di tali principi la norma impugnata, per di più

temporalmente limitata, non può giudicarsi lesiva del

l'autonomia regionale nell'ambito finanziario legislativo e pro

grammatorio, e neppure appare suscettibile di incidere sul buon

andamento dell'amministrazione della regione ricorrente.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi:

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65,1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione della fi

nanza pubblica), sollevata dalla regione Veneto in riferimento

agli art. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost, ed agli art. 48 e 51 dello statuto regionale, nonché dalla regione Lombardia, li

mitatamente ai commi 57, 58 e 59, in riferimento agli art. 97,

117, 118 e 119 Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe e dichiara

inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.

1, comma 65, stessa legge, sollevata dalla regione Veneto in ri

ferimento all'art. 3 Cost, con il medesimo ricorso;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 1, comma 154, della predetta 1. n. 662 del

1996, sollevata dalla regione Lombardia in riferimento all'art.

119 Cost, e dichiara inammissibile la medesima questione di le

gittimità costituzionale sollevata dalla stessa regione in riferi

mento agli art. 3 e 53 Cost, con il ricorso indicato in epigrafe;

c) dichiara non fondate le questioni di legittimità co

stituzionale dell'art. 2, commi 205 e 206, nonché dell'art. 3, comma 214, della predetta 1. n. 662 del 1996, sollevate dalla re

gione Lombardia in riferimento, rispettivamente, all'art. 118 ed

agli art. 97 e 119 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

II

Ritenuto che, nel corso di un giudizio instaurato da un dipen dente del comune di Montebelluna per l'annullamento, previa

sospensione, del provvedimento di rigetto della domanda di tra

sformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo par ziale, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, se

conda sezione, con ordinanza del 4 giugno 1997, ha sollevato

questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 57 e

58, 1. 23 dicembre 1996 n. 662 (misure di razionalizzazione

della finanza pubblica), in riferimento agli art. 3, 5, 39, 97 e 128

Cost., e che detta norma, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., è

stata altresì impugnata dal Tribunale amministrativo regionale

per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con due ordinan

ze in data 19 giugno 1998, di contenuto sostanzialmente identi

co, pronunziate nel corso di altrettanti giudizi promossi da due

psicologhe, dirigenti di primo livello dell'azienda sanitaria lo

cale (Asl) della provincia di Bergamo, per l'annullamento, pre via sospensione, degli atti di rigetto delle domande di trasfor

mazione del rapporto, di lavoro da tempo pieno a tempo parzia le;

che, secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni im

pugnate, stabilendo che «il rapporto di lavoro a tempo parziale

può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali

appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle

pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco» (art. 1, comma 57) e prevedendo le modalità della

trasformazione del rapporto, configurerebbero «un diritto ovve

ro una facoltà» del dipendente alla trasformazione del rapporto, senza tenere conto delle esigenze delle pubbliche amministra

zioni; che, ad avviso di entrambi i Tar, la disciplina della trasforma

zione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non sarebbe ragionevole, in quanto potrebbe determinare

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

un'improvvisa riduzione del personale occorrente per garantire la funzionalità dei servizi e, in violazione del principio di buon

andamento, priverebbe la pubblica amministrazione del potere di direzione e di pianificazione dell'organizzazione dei propri

uffici, non permettendole di preordinare le misure necessarie ad

evitare le eventuali disfunzioni derivanti dall'incentivazione del

rapporto di lavoro part-time, in contrasto con lo scopo di razio

nalizzazione, ammodernamento e responsabilizzazione avuti di

mira dalla più recente legislazione sul pubblico impiego;

che, secondo i giudici a quibus, la pubblica amministrazione

«viene a trovarsi in balìa dei propri dipendenti» e, inoltre, le

norme impugnate potrebbero determinare situazioni irragione voli e potenzialmente discriminatorie, in difetto della previsione di un potere di verifica delle situazioni personali e/o di servizio;

che, secondo il Tar Veneto, le norme denunciate violerebbero

altresì sia l'autonomia organizzativa degli enti locali, sia quella loro attribuita in sede di contrattazione collettiva, entrambe co

stituzionalmente garantite (art. 5, 39 e 128 Cost.); che il presidente del consiglio dei ministri, rappresentato e di

feso dall'avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti e

tre i giudizi con distinti atti, di contenuto pressoché identico,

eccependo l'infondatezza della questione;

che, secondo la difesa erariale, la disciplina del part-time co

stituisce parte di un più ampio disegno di riforma del pubblico

impiego, diretto a ridurre la spesa pubblica, e, quindi, le norme

denunciate possono costituire oggetto del sindacato di legitti mità costituzionale soltanto sotto il profilo della ragionevolezza;

che, ad avviso dell'interveniente, nel giudizio di ragionevo lezza assumerebbero pregnante importanza le disposizioni se

condo le quali: gli organici del personale sono costituiti anche

da dipendenti il cui numero complessivo è quantificato avendo

riguardo al limite complessivo del monte ore lavorative; posso no essere banditi concorsi per posti part-time; per taluni settori

non è consentito l'accesso indiscriminato a tale tipo di rapporto; il contingente del personale che può essere destinato al tempo

parziale non può superare il limite del venticinque per cento

dell'organico complessivo ed è possibile ovviare alle eventuali

carenze di organico sia mediante il ricorso ai processi di mobi

lità, sia utilizzando i risparmi di spesa per nuove assunzioni, in

quanto esse dimostrerebbero che è stato definito un sistema ri

spettoso dei principi costituzionali che si assumono lesi;

che, secondo l'avvocatura, la censura riferita agli art. 5 e 128

Cost, è infondata, in quanto l'autonomia organizzativa degli enti

locali deve svolgersi e realizzarsi compatibilmente con gli inte

ressi dell'intera comunità nazionale, quindi anche con quello al

risanamento della finanza pubblica;

che, nel giudizio sollevato dal Tar Veneto, si è costituito il

comune di Montebelluna, convenuto nel processo principale,

svolgendo argomentazioni a conforto delle censure ed eccepen do che le disposizioni impugnate pregiudicherebbero il conse

guimento degli scopi istituzionali da parte delle pubbliche am

ministrazioni, soprattutto dei comuni di dimensioni medie o

piccole, anche in considerazione del complessivo quadro nor

mativo nel quale esse si inseriscono;

che, ad avviso della parte, le modifiche introdotte suc

cessivamente all'ordinanza di rimessione (art. 39, 25°, 26° e 27°

comma, 1. 27 dicembre 1997 n. 449; art. 31, 41° comma, 1. 23

dicembre 1998 n. 448) «hanno l'indubbio merito di tradurre po sitivamente le doglianze» sollevate dagli enti locali territoriali,

ma conforterebbero i dubbi di legittimità delle norme impu

gnate, nonostante sia possibile sostenere che l'art. 1, comma 65,

1. n. 662 del 1996 stabilisca l'inapplicabilità dei commi 58 e 59

sia agli enti locali che versano in una situazione deficitaria, sia a

quelli che hanno una pianta organica inferiore a cinque unità, e

ritenere applicabile la nuova disciplina soltanto successivamente

alla «determinazione dei contingenti dei rapporti di lavoro in

relazione ai quali ammettere l'accesso al tempo parziale», of

frendo in tal modo un'interpretazione che rende le norme im

muni dalle censure di legittimità costituzionale.

Considerato che i giudizi hanno ad oggetto le stesse norme, in

riferimento a parametri in parte coincidenti, sicché essi vanno

riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;

che, successivamente alla proposizione da parte del Tar Ve

neto della questione di legittimità costituzionale, sono entrati in

vigore; l'art. 39, 27° comma, 1. n. 449 del 1997 il quale stabili

sce che «le disposizioni dell'art. 1, commi 58 e 59, 1. 23 di

cembre 1996 n. 662, in materia di rapporto di lavoro a tempo

Il Foro Italiano — 2001.

parziale si applicano al personale delle regioni e degli enti locali

finché non diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo»; gli art. 36, 7° comma, e 36 bis d.leg. 3 febbraio

1993 n. 29 (nel testo modificato dal d.leg. 31 marzo 1998 n. 80), i quali, rispettivamente, hanno introdotto la facoltà per le pub bliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali fles

sibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codi

ce civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'im

presa ed hanno previsto che il regolamento sull'ordinamento

degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni

organiche e le modalità di assunzione degli impieghi; l'art. 8, 1°

comma, lett. i), d.leg. 4 novembre 1997 n. 396, che ha previsto la possibilità di forme sperimentali di contrattazione collettiva,

in deroga alle previgenti disposizioni sulla contrattazione col

lettiva decentrata, anche in ordine all'articolazione flessibile

dell'orario di lavoro ed alla diffusione del part-time;

che, in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione, sono

entrati in vigore; l'art. 31, 41° comma, 1. n. 448 del 1998, se

condo il quale «per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale la

contrattazione collettiva può individuare particolari modalità

applicative, anche prevedendo una riduzione delle percentuali

previste per la generalità dei casi e l'esclusione di determinate

figure professionali che siano ritenute particolarmente ne

cessarie per la funzionalità dei servizi»; l'art. 4 1. 16 giugno 1998 n. 191 che, allo scopo di garantire l'impiego flessibile

delle risorse umane, ha previsto che le pubbliche amministra

zioni possono avvalersi di forme di lavoro a distanza (c.d. tele

lavoro); che siffatte disposizioni, sopravvenute alle ordinanze di ri

messione, hanno ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a

tempo parziale, hanno introdotto nuovi tipi di rapporti di lavoro

alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e nuovi schemi

organizzativi, sicché hanno innovato il complessivo quadro normativo di riferimento;

che si palesa, pertanto, indispensabile il riesame, a cura dei

giudici a quibus, della rilevanza delle questioni alla luce delle

modificazioni normative sopravvenute. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, or

dina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regio nale per il Veneto, seconda sezione, ed al Tribunale ammini

strativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.

Ili

Svolgimento del processo. — Con tre distinti ricorsi Muzio

Giacomo, Giannone Mirella e Colla Gianluigi convenivano di

fronte al Tribunale di Chiavari il comune di Sestri Levante, so

stenendo che: — avevano presentato in differenti date (rispettivamente 23

marzo 1998, 21 marzo 1998 e 29 giugno 1998) al comune con

venuto domanda di trasformazione del proprio rapporto di lavo

ro da tempo pieno a part-time; — il comune aveva in due casi (Muzio e Giannone) disposto

il differimento della trasformazione del rapporto per un periodo di sei mesi ex art. 1, comma 58,1. 662/96 per evitare il malfun

zionamento dei servizi a cui gli stessi erano adibiti; — nel caso del Colla la domanda, presentata in forma defini

tiva il 29 agosto 1998, era stata rigettata; — in tutti e tre i casi nelle more del procedimento ammini

strativo (più esattamente dopo il provvedimento di differimento

assunto per Muzio e Giannone e prima del provvedimento di ri

getto della domanda del Colla) la giunta del comune di Sestri

Levante con delibera 783/98 con data 22 settembre 1998 aveva

emanato atto normativo ex art. 39, 27° comma, 1. 449/97 me

diante il quale il comune si attribuiva la facoltà di respingere una domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo

pieno a parziale, quando in base ad una dichiarazione motivata

del dirigente competente risultasse un pregiudizio per la funzio

nalità del servizio dall'accoglimento della stessa; — sulla base di quest'ultimo atto anche le domande di Muzio

e Giannone erano state respinte in data 29 settembre 1998;

ritenuto pertanto di aver comunque maturato un diritto alla

trasformazione del proprio rapporto di lavoro i ricorrenti chie

devano a questo tribunale di condannare il comune convenuto a

trasformare il loro rapporto di lavoro in un rapporto part-time, con vittoria di spese.

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PARTE PRIMA

In tutte le controversie si costituiva in giudizio il comune di

Sestri Levante, contestando la sussistenza di un diritto dei ri

correnti alla modifica del loro status lavorativo.

All'udienza del 12 gennaio 2000 le cause venivano riunite ex

art. 151 disp. att. c.p.c., stante l'evidente connessione oggettiva tra le stesse, e decise all'esito di discussione orale alla udienza

del 7 febbraio 2000 mediante pubblica lettura del dispositivo. Motivi della decisione. — Tutti i ricorsi devono essere riget

tati, per i motivi di seguito elencati.

Occorre muovere innanzitutto dai ricorsi Muzio e Giannone, che presentano una sequenza procedimentale amministrativa so

stanzialmente identica (domanda di trasformazione, provvedi mento comunale di differimento della trasformazione, delibera

normativa che consente la reiezione di questo tipo di domanda

per ragioni organizzative, provvedimento di rigetto delle stesse). Secondo i ricorrenti la presentazione della domanda di part

time di per sé avrebbe costituito in loro favore un diritto sogget tivo alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a

parziale, rispetto a cui il differimento di sei mesi disposto dal

l'amministrazione fungerebbe da semplice condizione tempo rale di efficacia (alla scadenza dei sei mesi il rapporto dovrebbe

considerarsi automaticamente trasformato, a prescindere dalle

vicende amministrative successive alla domanda, che sarebbero

irrilevanti in quanto non potrebbero mutare una situazione

ormai consolidata). Tale assunto non appare fondato, alla luce di quanto disposto

dall'art. 1, comma 58,1. 662/96.

Tale fattispecie prevede infatti tre possibili alternative per l'amministrazione pubblica, posta di fronte ad una domanda del

proprio dipendente che intende trasformare il rapporto di lavoro

da tempo pieno a part-time. La trasformazione del rapporto si verifica automaticamente

solo nel caso in cui decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda l'amministrazione non abbia dato una delle due

risposte previste successivamente nell'articolo in esame.

Solo pertanto in caso di silenzio-assenso (o di eventuale ac

cettazione esplicita) il richiedente perfeziona il suo diritto al

passaggio al part-time. Ma la legge prevede anche le legittime possibilità per l'am

ministrazione da un lato di negare la trasformazione per con

flitto di interessi tra la propria attività e quella che il dipendente intende intraprendere privatamente, e dall'altro lato di differire

per ragioni di funzionalità di servizio la trasformazione per un

tempo non superiore a sei mesi.

Nel caso di adozione di provvedimenti di quest'ultimo tipo

(rigetto o differimento) non si verifica nessun incontro tra la

volontà delle parti, e quindi nessuna trasformazione può dirsi

essersi verificata.

Con riguardo in particolare al provvedimento di differimento

della trasformazione, si osserva che allo stesso non può ricono

scersi quella valenza di riconoscimento di diritto differito per efficacia nel tempo che intendono attribuirgli i ricorrenti, in

quanto l'effetto trasformativo si verifica solo ed esclusivamente

per silenzio o per assenso dell'amministrazione.

Queste osservazioni (assenza cioè di un diritto soggettivo per fetto esistente in capo ad un soggetto per il solo fatto di aver

presentato una domanda di trasformazione) toglie qualunque valore anche alle considerazioni critiche avanzate da parte ricor

rente relativamente all'art. 39, 27° comma, 1. 449/97, norma che

come è noto stabilisce che l'art. 1, comma 58,1. 662/96 si appli ca anche al personale degli enti locali, fino all'emanazione da

parte degli stessi di autonomi atti normativi che regolino la ma

teria in questione. Secondo le parti ricorrenti, poiché la presentazione della do

manda avrebbe già perfezionato il diritto dell'istante alla tra

sformazione del rapporto, il richiamo operato dall'art. 39 1.

449/97 confermerebbe che qualunque mutamento del quadro normativo intervenuto successivamente alla domanda sarebbe

irrilevante, dato che non potrebbe in alcun modo scalfire una

posizione giuridica soggettiva già consolidata.

Questa lettura appare però inaccettabile, perché muove dal

presupposto del perfezionamento anteriore di un diritto, che in

realtà non si è mai verificato per le ragioni sovraesposte. In realtà l'art. 39 appena citato consente alle amministrazioni

locali proprio di emanare atti normativi mediante i quali si possa

Il Foro Italiano — 2001.

evitare un ricorso generalizzato al part-time da parte dei pubbli ci dipendenti, che violerebbe il principio costituzionale di au

torganizzazione degli enti pubblici sancito dagli art. 5, 117 e

128 Cost.

La norma cioè ad una attenta lettura, coordinata con quella della 1. 662/96, ha un significato opposto a quello attribuitole

dai ricorrenti, in quanto in realtà consente agli enti pubblici du

rante l'iter amministrativo della domanda di trasformazione del

rapporto di adottare norme per regolare la materia in questione. E in piena aderenza alla fattispecie legale di cui sopra deve

considerarsi improntata la condotta del comune di Sestri Le

vante, che ha emanato l'atto normativo 783/98 del 22 settembre

1998, con cui si fissavano le regole generali per rigettare even

tuali domande di trasformazione dei rapporti di lavoro in part time, regole poi applicate in concreto con i provvedimenti che

hanno respinto le domande dei ricorrenti.

Non essendovi pertanto alcun diritto soggettivo di questi ul

timi in ordine alla trasformazione del loro rapporto di lavoro, la

tutela della loro domanda può essere apprestata da questo giudi cante soltanto in termini di interesse alla verifica della legitti mità della condotta dell'amministrazione convenuta.

E dalla verifica effettuata non risulta alcuna illiceità nel com

portamento del comune di Sestri Levante, che: — ha emanato un atto normativo perfettamente legittimo; — sulla base dello stesso ha emanato un provvedimento di ri

getto altrettanto legittimo, perché aderente alle indicazioni del

l'atto normativo precedente (che richiedeva un parere motivato

del dirigente dell'ufficio presso cui lavorava il dipendente che

aveva fatto istanza per la trasformazione del proprio rapporto di

lavoro).

Pertanto, nessun danno può essere derivato ai ricorrenti Mu

zio e Giannone da una condotta lecita del comune convenuto.

Le considerazioni di cui sopra sembrano valere ancora di più nel caso del ricorrente Colla, in quanto la domanda di trasfor

mazione, presentata il 29 giugno 1998 ma riproposta in forma

definitiva il 29 agosto 1998, veniva rigettata il 23 settembre

1998 sulla base del già citato atto normativo 783/98 del 22 set

tembre 1998 senza neppure ricorrere ad un atto di differimento

come per i ricorrenti Muzio e Giannone.

Anche in questa ipotesi nessun silenzio e nessun assenso del

l'amministrazione sono stati manifestati, e pertanto nessun di

ritto alla trasformazione si è perfezionato.

L'operato del comune di Sestri Levante appare quindi legit timo in tutti e tre i casi all'attenzione di questo giudicante.

Non ha pregio neppure l'eccezione proposta in sede di di

scussione orale dalla difesa dei ricorrenti, secondo cui manche

rebbe una reale motivazione organizzativa per sostenere il ri

getto delle domande di trasformazione.

In realtà, dagli atti risulta che tutte le domande sono state ri

gettate (e quelle di Giannone e Muzio in precedenza sono state

differite) sulla base di motivati pareri dei dirigenti delle aree di

servizio a cui i tre lavoratori erano adibiti, in piena conformità

pertanto al dettato della legge e a quello dell'atto normativo

783/98 del 22 settembre 1998.

Sulla base di tutti gli elementi sopraesposti le domande devo r ' essere rigettate.

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