sentenza 18 novembre 1997; Pres. Deodato, Est. Amendola; Delfino (Avv. Facciotti, Gismondi) c.Rosati (Avv. Loche)Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 2005/2006-2007/2008Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192671 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il diritto alla restituzione del bene, e l'obbligo per la parte, che non conserva più alcun titolo alla detenzione del medesimo,
di provvedere in tal senso, costituiscono una naturale conse
guenza del fatto che l'azione venga svolta dal fallimento nel
l'ambito della procedura concorsuale di ricostruzione del patri monio del fallito e che giovi a tutti i creditori.
Sotto tale profilo la condanna alla restituzione del bene al
fallimento costituisce anch'essa una conseguenza del tutto ovvia
del principio per cui, dichiarata l'inefficacia dell'atto di cessio
ne, ed accertata quindi in tal modo la carenza di titolo della
parte convenuta a trattenere il bene, la destinazione del medesi
mo al soddisfacimento dei creditori costituisce presupposto del
la stessa procedura fallimentare che non rende necessaria alcu
na ulteriore attività di esecuzione.
La Cassazione ha chiarito infatti che:
«Mentre l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, con
riguardo ad atto dispositivo di un bene, implica una mera de
claratoria di inefficacia dell'atto stesso, che consente al credito
re istante di aggredire con esecuzione individuale la cosa che
ne costituisce oggetto, l'accoglimento della revocatoria fallimen
tare comporta la restituzione del bene medesimo alla ammini
strazione del fallimento, tenuto conto che essa si inserisce in
una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisi zione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei credito
ri» (Cass. n. 3757 del 22 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce
Fallimento, n. 407). La revocatoria ordinaria esperita dal fallimento — nell'ambi
to quindi di procedura appunto caratterizzata dalla acquisizione
di tutti i beni del fallito — non differisce, sotto tale profilo, dalla revocatoria fallimentare poiché tende anch'essa, con la di
charazione di inefficacia dell'atto, ed il conseguente venir meno
della causa giustificativa del trasferimento, non sorretto più da
alcun atto valido, alla affermazione che il bene fa parte del
patrimonio del fallito, quindi della massa fallimentare, ed im
plica l'obbligo di restituzione del bene.
L'ulteriore schermo della procedura esecutiva individuale ap
prestato dall'art. 2902 c.c., non ha, nella specie, ragione di sus
sistere; esso rappresenta infatti un passaggio ed un percorso so
lamente pertinente alla revocatoria ordinaria, che è già presente
ed operante nella procedura esecutiva concorsuale.
Risulta a questo punto chiaro come la resistenza della parte
convenuta alla domanda di inefficacia dell'atto — che nella specie
consiste nella vendita dell'azienda — rappresenti, né più né me
no, l'affermazione del diritto di proprietà sul bene trasferito
e necessariamente, nella sostanza, implichi anche controversia
sulla proprietà medesima; l'acquirente ed il subacquirente, nel
contestare la fondatezza della domanda, negano in sostanza il
diritto del fallimento alla acquisizione del bene alla massa e
quindi, implicitamente ma altrettanto chiaramente, di essere te
nuti alla restituzione del bene.
La misura richiesta non appare quindi incompatibile con la
domanda proposta nel merito dal fallimento attore.
Sussiste anche, ad avviso del giudice, la necessità di provve
dere alla custodia ed alla gestione temporanea del bene; tenuto
a mente il comportamento delle società nella stipulazione dei
due atti di cessione dell'azienda (e la circostanza sopra eviden
ziata della piena consapevolezza da parte degli amministratori
delle società circa le condizioni di insolvenza della società ces
sionaria del bene) e rilevato che la giurisprudenza ravvisa la
sussistenza della opportunità di provvedere alla conservazione
del bene non solamente in presenza di pericolo attuale di sottra
zione e distruzione del bene ma anche in presenza di una sem
plice possibilità di pregiudizio, non può negarsi per la stessa
natura del bene in oggetto — che potrebbe subire anche pro
fonde alterazioni per effetto della sua gestione, tali da compro
metterne il valore — sussistente tale la necessità.
Le assicurazioni fornite in senso contrario dalla parte resi
stente — che si è impegnata a non cedere l'azienda ed ha anzi
affermato di aver estremo interesse alla sua gestione al fine di
far fronte ai suoi debiti — pure apprezzabili, non possono in
durre ad una valutazione contraria, considerata la situazione
economica della Giacomo O. s.r.l. e la conseguente possibilità
che le scelte di gestione e di mantenimento dell'attività dell'a
zienda, non dipendano esclusivamente da una libera determina
li Foro Italiano — 1998.
zione di volontà degli amministratori della società, ma siano
destinate a subire anche condizionamenti derivanti inevitabil
mente dalla predetta situazione economica.
Per questi motivi visti gli art. 669 quater e 670 c.p.c., auto
rizza il sequestro giudiziario dell'azienda già appartenente alla
società fallita e da questa ceduta alla Giacomo International
s.r.l. (con scrittura privata 1° agosto 1994) e da quest'ultima ulteriormente trasferita (con scrittura privata 23 novembre 1995) alla Giacomo O. s.r.l.; (omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 18 novembre 1997; Pres.
Deodato, Est. Amendola; Delfino (Avv. Facciotti, Gismon
di) c. Rosati (Aw. Loche).
TRIBUNALE DI ROMA;
Appello civile — Nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado — Poteri del giudice d'appello (Cod. proc.
civ., art. 163, 164, 354). Prova testimoniale — Mancata intimazione ai testimoni — De
cadenza — Rilevabilità d'ufficio (Cod. proc. civ., art. 208;
disp. att. cod. proc. civ., art. 104).
Il giudice d'appello, il quale, su impugnazione del convenuto
contumace, rilevi la nullità della citazione introduttiva del giu
dizio, derivante dalla mancanza dell'avvertimento prescritto dall'art. 163, n. 7, c.p.c., non può rimettere la causa al pri mo giudice, né può limitarsi alla dichiarazione di nullità del
l'intero processo, bensì deve decidere nel merito, previa rin
novazione degli atti (nella specie, della prova testimoniale as
sunta in primo grado) colpiti dalla nullità. (1) In considerazione del nuovo testo dell'art. 208 c.p.c., la deca
denza derivante dalla mancata intimazione dei testimoni, ai
sensi dell'art. 104 disp. att. c.p.c., deve ritenersi rilevabile
d'ufficio. (2)
Motivi della decisione. — Col primo motivo di gravame l'ap
pellante censura la decisione pretorile per non avere il giudice di primo grado rilevato la nullità della citazione derivante, ai
sensi dell'art. 164 c.p.c., dalla mancanza in essa dell'avverti
mento previsto dal n. 7 dell'art. 163 c.p.c. E chiede pertanto, in relazione a tale vizio, che il tribunale
(1) La sentenza (la prima di cui si ha notizia che affronti il problema con riguardo al nuovo testo dell'art. 164 c.p.c.) aderisce dichiaratamen te alla soluzione cui era già pervenuta la giurisprudenza più recente
in relazione al previgente regime della nullità della citazione: nel mede
simo senso, v. infatti, Cass. 13 marzo 1997, n. 2251, Foro it., 1997,
I, 2511, con osservazioni di Balena, e 23 novembre 1995, n. 12102,
id., 1996, I, 1296, con note di Balena e di Toffoli, cui si rinvia per ulteriori indicazioni anche in merito alle variegate posizioni dottrinali.
Mette conto di sottolinare, semmai, che i giudici romani parrebbero aver disposto d'ufficio la rinnovazione della prova testimoniale assunta
in primo grado, nulla per propagazione del vizio dell'atto introduttivo, ai sensi dell'art. 159 c.p.c. Nel senso, però, che tale rinnovazione debba
intendersi subordinata all'istanza della parte danneggiata dal vizio, ai
sensi dell'art. 157, 2° comma, c.p.c., cfr. Balena, La riforma del pro cesso di cognizione, Napoli, 1994, 117 e 121.
(2) Non constano precedenti editi.
Prima della riforma del '90, invece, la giurisprudenza aveva afferma
to la natura relativa della decadenza in questione, subordinandone il
rilievo alla tempestiva eccezione di parte: Cass. 30 novembre 1989, n.
5264, Foro it., Rep. 1989, voce Prova testimoniale, n. 22, e 25 gennaio
1974, n. 194, id., Rep. 1974, voce cit., n. 49.
Sul più generale problema del regime delle preclusioni introdotte dal
la 1. 353/90, v. soprattutto, anche per ulteriori indicazioni, Balena,
Le preclusioni net processo di primo grado, in Giur. it., 1996, IV, 273 s.
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2007 PARTE PRIMA 2008
dichiari in via pregiudiziale la nullità dell'atto introduttivo del
presente giudizio. Rileva il tribunale che il legislatore della riforma ha discipli
nato la constatazione della nullità dell'atto di citazione alla pri
ma udienza di comparazione, ma nulla ha previsto per l'ipotesi in cui l'esistenza del vizio venga dal giudice rilevata nell'ulterio
re corso del giudizio di prime cure o, come in questo caso,
negli ulteriori gradi del processo. Il collegio non ignora le tesi prospettate sul punto in dottri
na, le quali vanno dalla dedotta declaratoria della nullità di
tutti gli atti o della cassazione senza rinvio della sentenza, alla
sostenuta applicazione analogica dell'art. 354 c.p.c., con conse
guente rinvio della causa al primo giudice. Ritiene tuttavia che non vi siano motivi per discostarsi dagli
approdi interpretativi conseguiti sotto il vigore della precedente
disciplina ed in particolare dal principio in base al quale, stante
la tassatività dei casi in cui, a norma degli art. 353 e 354 c.p.c., la causa va rimessa al primo giudice, il decidente in appello,
«qualora dichiari la nullità del procedimento o della sentenza
di primo grado, deve trattenere la causa e deciderla nel merito,
senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizio ne il quale, oltre a non trovare inderogabile garanzia costituzio
nale nel nostro ordinamento, né specificamente nel sistema pro
cessuale, postula soltanto che una domanda o una questione
venga successivamente proposta a due giudici di grado diverso
e non pure che essa venga effettivamente decisa da entrambi»
(Cass. 9 luglio 1987, n. 5976, Foro it., Rep. 1987, voce Appello
civile, nn. 124, 129). Ecco perché nella fattispecie, accertata la
nullità della citazione introduttiva per un vizio della vocatio in
ius, s'è disposta la rinnovazione, ai sensi degli art. 354 e 356
c.p.c., della prova testimoniale assunta in primo grado. Da tale prova l'appellata è stata tuttavia dichiarata decaduta,
ai sensi dell'art. 104 disp. att. c.p.c., per mancata intimazione
del testimone. Il tribuale ha rilevato d'ufficio la decadenza in
considerazione del disposto del nuovo testo dell'art. 208 c.p.c. che ha svincolato tale declaratoria dall'intervento di espressa richiesta di parte.
Ciò significa che non può riconoscersi all'attrice, in quanto non dimostrato, il credito pari a 2/3 della somma di lire 1.700.000
da lei asseritamente pagata al notaio Gaglione per spese di suc
cessione. (Omissis)
TRIBUNALE DI LUCCA; sentenza 23 settembre 1997; Pres.
Orsucci, Est. Terrusi; Casani (Avv. Biagiotti) c. Mattei
(Avv. Cattani).
TRIBUNALE DI LUCCA;
Successione ereditaria — Testamento — Legge americana —
«Probate» — Mancanza — Vizio di forma — Esclusione (Disp. sulla legge in generale, art. 26; cod. civ., art. 606).
Successione ereditaria — Testamento — «Trust» testamentario — Sostituzione fedecommissaria — Diritti dei legittimari — Lesione — Nullità — Esclusione (Disp. sulla legge in genera
le, art. 23; cod. civ., art. 692; 1. 16 ottobre 1989 n. 364, rati
fica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L'Aja il 1°
luglio 1985; 1. 31 maggio 1995 n. 218, riforma del sistema
italiano di diritto internazionale privato, art. 72).
In tema di testamento redatto secondo la lex loci statunitense, anche qualora non soccorra la presunzione semplice di validi
tà discendente dal probate, è sempre possibile far derivare
da elementi fattuali oggettivamente sintomatici (nella specie, scheda testamentaria sottoscritta dal testatore in presenza di
due testimoni ed un notaio, conferma del convenuto nell'am
II Foro Italiano — 1998.
ministrazione fiduciaria dei beni ereditari da parte della Cor
te distrettuale di Jefferson, Kentucky) la prova che il testa
mento sia immune da vizi, secondo la legge del luogo nel
quale l'atto è compiuto. (1) La disposizione con cui il testatore dichiara di «lasciare in ere
dità» al fiduciario, in proprietà assoluta, ogni suo avere, ma
a beneficio della figlia, va interpretata non come una sostitu
zione fedecommissaria, ma come disposizione istitutiva di trust;
la lesione delle aspettative del legittimario non determina la
nullità del trust, ma la possibilità di applicare le disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota
riservata ai legittimari. (2)
(1-2) n testamento dello zio d'America - Il «trust» testamentario.
La sentenza affronta, per la prima volta, la tematica del c.d. trust
testamentario.
1. - Il caso. Tizio, cittadino italiano, residente negli Stati uniti, fa
testamento secondo la legge americana. Circa un anno e mezzo dopo muore in Italia, lasciando a sé superstite solo una figlia.
Nel testamento egli aveva attribuito in proprietà assoluta a Caio l'in
tero suo patrimonio, affinché, effettuato il pagamento di spese, impo ste e debiti, egli mantenesse, gestisse e controllasse, anche mediante
investimenti, l'intero corpus patrimoniale, a sua assoluta discrezione,
per tutta la durata della vita della figlia. Inoltre, doveva corrispondere una rendita a questa e ai di lei figli a titolo di sostegno e mantenimento,
sempre a sua discrezione, fino a che l'ultimo dei figli non avesse rag giunto il venticinquesimo anno di età, nonché dividere il patrimonio in parti uguali tra i nipoti ancora viventi.
La figlia del testatore, ritenendosi pretermessa dalle indicate disposi zioni, impugna il testamento sostenendo la sua nullità per violazione
delle norme sulla forma dei testamenti, per violazione del divieto di
sostituzione fedecommissaria e per violazione delle norme a tutela dei
legittimari.
2. - Sulla mancanza del c.d. «probate». Il tribunale, dopo aver rico nosciuto l'applicabilità alla scheda testamentaria della c.d. lex loci, in
applicazione dell'art. 26 disp. sulla legge in generale (l'art. 72 1. 218/95
prevede: «la presente legge si applica in tutti i giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore»), rileva che la mancanza del c.d. pro bate non inficia la validità del testamento.
Il grant of probate è il riconoscimento ufficiale dell'autenticità del testamento e la sanzione ufficiale del diritto di agire dell'esecutore te stamentario. L'esecutore, peraltro, acquista i suoi diritti e poteri imme diatamente alla morte del testatore, il probate è una sorta di cerimonia, ed anche quando sia stato ottenuto, l'esecutore non deriva il suo titolo dal probate, ma direttamente dal testamento.
Sostanzialmente, si tratta di una approvazione o convalida o omolo
gazione del testamento, mediante emissione di un certificato che fa fede della validità della scheda e di quanto da essa deriva. Può ottenersi in common form, mediante un procedimento di tipo amministrativo non contenzioso, nel nostro ordinamento diremmo di volontaria giuris dizione, o in solemn form, quando la scheda non appare regolare dal
punto di vista formale o sorgano contestazioni sulla sua validità. Il
probate in solemn form ha valore di res iudicata (sul punto, v. Miran
da, Il testamento nel diritto inglese — Fondamento e sistema, Padova, 1995, 417).
Il testamento redatto in territorio statunitense da cittadino italiano è stato ritenuto validamente assoggettabile alla lex loci, ex art. 26 disp. sulla legge in generale, «la cui osservanza diviene presumibile iuris tan tum a seguito di visto, denominato probate ed apposto da pubblica autorità» (Cass. 9 maggio 1995, n. 4477, Foro it., Rep. 1995, voce Diritto internazionale privato, n. 41, e Nuova giur. civ., 1995, I, 497, con nota di Basini).
3. - Il trust. L'art. 1 della convenzione de l'Aja del 1° luglio 1985, ratificata con 1. 364/89, recita «per trust s'intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente — con atto tra vivi o mortis causa — qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un tru stee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico (...). I beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patri monio del trustee (...)».
Nel caso oggetto della sentenza in epigrafe, il testatore dispone «La scio in eredità al mio fiduciario, in proprietà assoluta, ogni mio avere di qualsiasi natura e descrizione in mio possesso e proprietà al momen to della morte, in fedecommesso, tuttavia, a beneficio di mia figlia...». Nella disposizione citata i giudici rinvengono un primo negozio istituti
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