sentenza 2 dicembre 1985; Pres. Bersano Begey, Est. Vitrò; Soc. Nuovo Pastificio Piemontese(Avv. Ligotino) c. Associazione italiana per il World Wildlife Fund (Avv. Caroppo, Petretti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2279/2280-2283/2284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180668 .
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2279 PARTE PRIMA 2280
Svolgimento del processo. — Con atto di precetto 18-26 ottobre 1979 Fernando Caroli e Silvio Lazzari intimarono alla società « Impianti generali italiani », con sede in Bari, e alla « Metano
sud » s.r.l., con sede in Giovinazzo, il pagamento di lire
15.000.000, oltre alle spese, a fronte di tre vaglia cambiari emessi dalla prima società a favore della seconda e da quest'ultima girati in bianco e pervenuti agli intimanti.
Con atto notificato il 9 novembre 1979 le due società intimate
proposero opposizione al precetto deducendo la nullità del precet to, l'illegittimità del possesso dei titoli da parte degli istanti e
l'inesistenza delle obligazioni portate dai titoli.
Costituitisi, Cairoli e Lazzari chiesero il rigetto dell'opposizione
precisando di aver ricevuto i titoli dal Banco di Roma, filiale di
Viterbo, al quale li avevano pagati quali fideiussori della soc.
immob. « Del Poggio di Viterbo », ultima girante. Con sentenza 8-21 aprile 1981 il Tribunale di Bari rigettò l'oppo
sizione e condannò in solido le società opponenti al pagamento del
le spese processuali. La I.g.i. e la Metano sud proposero appello. Si costituirono
resistendo all'impugnazione il Lazzari e Caroli Fausto, quest'ulti mo quale erede di Caroli Fernando e procuratore degli altri eredi
Teveri Santa, Caroli Anna Rita e Caroli Fabio.
Con sentenza in data 19 marzo-2 aprile 1982 la Corte d'appello di Bari rigettò l'appello e condannò le due società appellanti al
pagamento delle spese processuali del grado. Osservò la corte del merito che non sarebbe stato provato il
fatto, dedotto dalle due società appellanti, che i titoli facessero
parte di quel gruppo di pagherò cambiari, del quale a suo tempo si era indebitamente appropriato tale Leo Antonio ponendoli in
circolazione. Invece sarebbe provato che gli intimati ricevettero gli effetti legittimamente dal Banco di Roma al quale avevano
prestato garanzia per la immob. Del Poggio che li aveva scontati. « È tanto è sufficiente per la loro legittimazione all'azione cam
biaria ».
Ricorrono per cassazione le società « Impianti generali italiani »
e « Metano sud ». Non si sono costituiti il Lazzari e Caroli Fausto.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo proposto le due
società ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1944 c.c. in relazione alle norme della 1. 14 dicembre
1933 n. 1669, sostenendo che i fideiussori extracambiari non sono
legittimati all'esercizio delle azioni cambiarie e che, pertanto, nella
specie gli intimanti hanno soltanto diritto di rivalersi nei confron
ti della soc. scontataria « immob. Del Poggio ».
Il ricorso va accolto. È pacifico che la soc. immob. Del Poggio
girò le tre cambiali al Banco di Roma in attuazione del contratto
di sconto, che Caroli Fernando e Lazzari Silvio garantirono
l'operazione di sconto nella forma ordinaria della fideiussione e
che essi, a seguito del protesto, pagarono alla banca la somma
anticipata alla società scontataria ottenendo la consegna dei titoli
dalla banca medesima con lettera del 27 novembre 1978 senza
un'ulteriore girata. Perciò non sussiste a favore di Caroli Fernan
do e Lazzari Silvio, che pretesero esercitare i diritti cartolari nei
confronti della soc. emittente (Impianti generali italiani) e della
soc. Metano sud, prenditrice dei titoli e prima girante, quella serie continua di girate che consente di considerarli legittimati e
prentendere la prestazione relativa (Cass. 18 giugno 1975, n. 2422, Foro it., Rep. 1975, voce Titoli di credito, n. 30). Questa corte ha
avuto già occasione di precisare che il fideiussore extracambiario
del girante, che abbia pagato al giratario, surrogandosi a questo
ai sensi dell'art. 1949, non è legittimato all'esercizio dei diritti
cambiari spettanti al creditore surrogato nei confronti dell'emit
tente, difettando in lui la legittimazione cartolare (sent. 21
so — l'esercizio dell'azione causale di fideiussione da parte dell'avallan
te: Cass. 23 aprile 1969, n. 1306, id., Rep. 1970, voce cit., n. 53; 8
agosto 1967, n. 2114, id., 1967, I, 2307; 11 luglio 1956, n. 2588, id.,
1957, I, 428. La soluzione indicata nella sentenza che si riporta esclude dunque la
possibilità che la surrogazione legale del fideiussore solvens, nei diritti della banca verso lo scontatario, implichi anche una successione di diritto comune — quantunque non un acquisto autonomo — nell'azio ne cambiaria, in armonia con la giurisprudenza che nega l'azione medesima ad ogni altro terzo, il quale abbia pagato il debito cambiario al di fuori delle forme previste dall'art. 78 1. cambiaria: Cass. 10 giugno 1958, n. 1924, id., 1958, I, 1651.
In dottrina, il problema è segnalato — in termini generali — da
Panzarini, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, 1984, 469; nonché, con più specifico riferimento alla specie, da Pavone La Rosa, La cambiale, 1982, 443 ss. Infine, alcuni aspetti dell'acquisto extra cambiario di crediti cartolari sono esaminati in G. Carraro, Il problema dell'acquisto originario del titolo di credito, in Riv. dir. civ., 1984, I, 336 ss.
febbraio 1966, n. 535, id., Rep. 1966, voce Fideiussione, n. 19; 6
settembre 1968, n. 2873, id., Rep. 1968, voce Banca, n. 75). Il mero possesso di una cambiale da parte di un soggetto non
prenditore né giratario di essa non legittima costui all'esercizio
del credito cartolare appunto perché il titolo non contiene gli elementi idonei a provare la sua legittimazione (Cass. 27 marzo
1972, n. 956, id., Rep. 1972, voce Titoli di credito, n. 49; 13
aprile 1973, n. 1052, id., Rep. 1973, voce cit., n. 55; 18 giugno
1975, n. 2422, id., Rep. 1975, voce cit., n. 30). Nella specie,
dunque, si è verificata una circolazione « impropria » dei titoli
(dalla banca ai due intimanti), quella forma di circolazione, cioè,
disciplinata dal diritto comune (art. 2015 c.c. e art. 25 1.
cambiaria) e produttiva degli effetti di una cessione, vale a dire
la successione del cessionario nel diritto del cedente (Cass. 1°
giugno 1967, n. 1435, id., 1967, I, 2096; 18 giugno 1975, n. 2422,
cit.). Ne consegue che il fideiussore che abbia pagato per lo
scontatario e che non abbia ottenuto, da parte della banca
scontante, il trasferimento del titolo di credito secondo la regola della circolazione « propria dei titoli di credito » prevista dagli art. 2008 c.c. e 20 1. cambiaria, può soltanto far valere in surroga della banca (art. 1949 c.c.) l'azione causale (art. 1859 c.c.) inerente al rapporto di sconto che a questa compete per ottenere
dallo scontatario la restituzione delle somme anticipate (Cass. 6
settembre 1968, n. 2873, cit.). In conclusione, la sentenza gravata, in accoglimento del ricorso,
va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la
statuizione sulle spese processuali di questa fase ad altra sezione
della stessa Corte d'appello di Bari, che si uniformerà ai principi
qui affermati.
CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 2 dicembre 1985; Pres. Bersano Begey, Est. Vitro; Soc. Nuovo Pastificio Pie
montese (Avv. Ligotino) c. Associazione italiana per il World
Wildlife Fund (Avv. Caroppo, Petretti).
CORTE D'APPELLO DI TORINO;
Marchio — Emblema di enti e di associazioni — Usurpazione —
Tutela inibitoria — Invocabilità (R.d. 21 giugno 1942 n. 929, te
sto delle disposizioni legislative in materia di brevetti per mar
chi d'impresa, art. 14). Marchio — Appropriazione abusiva — Sentenza di condanna —
Ordine di pubblicazione e/o distruzione di involucri contraffatti — Emblema di enti e associazioni — Applicabilità — Esclusio
ne (R.d. 21 giugno 1942 n. 929, art. 65, 66).
L'art. 14 r.d. 21 giugno 1942 n. 929 nella parte in cui fa divieto
di appropriarsi dell'emblema caratteristico di enti o associazioni
è rivolto alla tutela di soggetti collettivi diversi dalle società
commerciali o dalle associazioni di imprenditori, e può pertanto essere legittimamente invocato dall'Associazione italiana per il
World Wildlife Fund, contro l'imprenditore commerciale che
abbia usurpato l'emblema della suddetta associazione, servendo sene come marchio per contrassegnare i propri prodotti. (1)
(1) Non risultano precedenti specifici. La sentenza della corte, sul punto centrale della controversia e cioè
sull'invocabilità dell'art. 14 r.d. 929/42, da parte dell'Associazione italiana per il WWF, ed in generale da parte di soggetti collettivi diversi dalle società commerciali, conferma quanto già deciso in primo grado dai giudici del Tribunale di Torino.
Invero l'art. 14, seppure topograficamente collocato in un testo normativo intitolato ai brevetti per marchi d'impresa, laddove vieta l'appropriazione dell'emblema caratteristico, della denominazione o del titolo di enti o associazioni, individua il proprio oggetto di tutela in un diverso territorio concettuale; quello, cioè, dei diritti della persona lità ed in particolare dei diritti all'immagine ed alla identità personale. Nella norma in esame, insomma, si ravvisa la tutela di un segno distintivo estraneo all'attività d'impresa, caratteristico dei soggetti col lettivi e sostanzialmente analogo allo stemma delle persone fisiche (cosi Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale3, Milano 1960).
Sulle tematiche di frontiera dei diritti all'immagine ed all'identità personale, tanto riferiti ai singoli quanto a collettività organizzate (per es. partiti politici), si cimenta da alcuni anni una interessante giuris prudenza pretoria (nonché pretorile) che è andata via via affinando i propri strumenti anche sulla scorta di un'ampia riflessione della dottrina; v. al proposito Pret. Roma 18 aprile 1984, Foro it., 1984, I, 2030; 24 dicembre 1981, id., 1982, I, 565, e, sul diritto dell'identità personale di un partito politico v. Pret. Roma 2 giugno 1980, id., 1980, I, 2046, tutte con nota di R. Pardolesi, cui si rinvia per i necessari riferimenti. In dottrina, per una impostazione sistematica ed
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Gli art. 65 e 66 r.d. 21 giugno 1942 n. 929, nella parte in cui
rispettivamente prevedono la possibilità che l'autorità giudizia ria ordini la pubblicazione, in uno o più giornali, della
sentenza emessa in dipendenza della violazione di diritti di
brevetti per marchio e/o la distruzione di involucri, prodotti o
merci con marchi contraffatti, non si applicano alle fattispecie di cui all'art. 14. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione, notificato il
15 febbraio 1980, l'Associazione italiana per il World Wildlife
Fund conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino il
Nuovo Pastificio Piemontese per ottenere condanna di parte convenuta: alla cessazione dell'uso del suo marchio, al risarci
mento dei danni e alla pubblicazione della decisione.
Assumeva parte attrice che svolgeva la sua attività sotto il
simbolo di un « panda » brevettato in Svizzera e disegnato da
Peter Scott (registrazione 286413 del 14 luglio 1964 presso l'ufficio brevetti di Berna); che l'organizzazione internazionale
WWF concedeva alla succursale italiana l'uso dei suoi marchi;
che, fra i vari usurpatori, anche il Pastificio Piemontese, nono
esauriente v. Dogliotti in Trattato di diritto privato, diretto da
Rescigno, 2, Torino, 1982, 101; v. inoltre F. Macioce, Profili del diritto al nome civile e commerciale, Padova, 1984, 47.
La vicenda giudiziaria che vede coinvolto l'emblema del « panda », pur trovando dunque la sua collocazione elettiva nel campo dei diritti della personalità (beni giuridici, quindi, aventi natura morale più che
patrimoniale), presenta però un ulteriore carattere di complessità. Va infatti ricordato come sembri sussistere (a quanto risulta dalla senten za: «...l'Associazione italiana del WWF ha sempre cercato di
acquisire fondi per raggiungere i suoi scopi, concedendo l'uso dell'em blema a produttori e commercianti a titolo oneroso ») da parte del WWF una concreta utilizzazione commerciale dell'emblema « panda ». Tale circostanza complica evidentemente la classificazione concettuale del caso in esame, che sembra innestarsi su di un ideale crocevia dove confluiscono istanze di protezione dell'identità personale (individuale e
collettiva) il cui rilievo è di carattere essenzialmente morale, e
problemi di tutela risarcitoria di entità patrimoniali atipiche come l'uso commerciale di un attributo della personalità. La materia è insomma
quella, magmatica, del c.d. right of publicity su cui v. ancora la cit. Pret. Roma 18 aprile 1984 e soprattutto la giurisprudenza d'oltreoceano
(da ultimo Eagles Eye Inc. v. Ambler Fashion Shop. Inc. cite as 627 F. Supp. 856, 862 (E.D.Pa. 1985) laddove è lucidamente chiarito come «... the right protects against commercial loss caused by appropriation of an individual's personality for commercial exploitation »; e ancora, sulla autonomia concettuale che nel genus dei diritti della personalità riveste il right of publicity: «... the United States Supreme Court has
recognized that the right of publicity is an entirely different part than traditional invasion of privacy »).
Inutile dire che il riconoscimento, più o meno esplicito, della tutela legale di valori (come quelli suggestivi) diversi da quelli tradizional mente ammessi, pone una selva di nuovi e delicatissimi problemi, primo fra tutti quello riguardante la precisa classificazione sistematica dei nuovi beni giuridici che si affacciano a richiedere la protezione dell'ordinamento. Non è infatti per nulla chiaro, tanto per fare un
esempio, se il paradigma cui riferirsi debba essere quello della
protezione del copyright o quello delle posizioni soggettive dominicali. La soluzione del dilemma postula probabilmente una riflessione dai
contenuti interdisciplinari, che si preoccupi in primo luogo di chiarire a se medesima il senso delle dinamiche interne alla diffusione e
percezione del messaggio pubblicitario e, più in generale, i modi ed i
meccanismi suggestivi che influenzano le scelte dei consumatori. Per una primissima traccia di lettura, possono qui suggerirsi: G. Fabris, Il
comportamento del consumatore. Psicologia e sociologia dei consumi,
Milano, 1974, nonché il testo, datato ma depositario di una imposta zione tuttora fondamentale, di V. Pacard, I persuasori occulti, Torino,
1960.
(2) Sul punto dell'applicabilità alla vicenda in esame, degli art. 65 e
66 r.d. 929/42, la corte riforma la precedente decisione, resa dai
giudici del Tribunale di Torino. La sentenza di primo grado, infatti, aveva ritenuto invocabili a tutela
dell'emblema le sanzioni di cui agli art. 65 e 66 r.d. 929/42, considerando che non impedisse tale interpretazione la presenza, nelle
norme suddette, di un esplicito riferimento esclusivamente alle viola zioni di diritto di brevetto sui marchi d'impresa.
L'argomento — non privo di una sua consistenza — utilizzato dai
giudici del Tribunale di Torino per giustificare in particolare l'esperibi lità della tutela prevista dall'art. 66, faceva leva sul «... notevole
svuotamento dell'ordine inibitorio dell'uso dell'emblema da parte della società convenuta ...» che si sarebbe determinato laddove non si fosse
potuta ordinare la distruzione delle scorte (in ipotesi ingenti) di
prodotti e confezioni in possesso della convenuta soccombente e recanti l'emblema in contestazione. La corte è stata peraltro di diverso
avviso, ritenendo che gli art. 65 e 66 dettino norme eccezionali, insuscettibili di interpretazione analogica e non applicabili pertanto al
di fuori dei casi in essi espressamente previsti. [G. Carofiglio]
stante varie diffide, utilizzava il « panda » per reclamizzare i suoi
prodotti. Si costituiva in giudizio il Nuovo Pastificio Piemontese e
chiedeva dichiararsi la carenza in capo all'attrice della legittima zione attiva, la nullità o la decadenza del marchio o comunque la
reiezione di ogni altra domanda.
Il Tribunale di Torino, con sentenza 9 marzo 1984, respingeva la riconvenzionale, dichiarava che l'uso del « panda » costituiva
violazione dell'emblema di pertinenza di parte attrice, ordinava la
cessione dell'uso e la rimozione del disegno dalle confezioni, condannava il pastificio al risarcimento dei danni e disponeva la
pubblicazione della sentenza su un quotidiano. Avverso questa sentenza proponeva appello il Nuovo Pastificio Piemontese, insi
stendo nella carenza di legittimazione attiva e chiedendo declara toria di preuso. Assumeva inoltre che non era applicabile l'art. 14 r.d. 21 giugno 1942 n. 929; che il marchio era nullo o decaduto.
Concludeva chiedendo che fossero respinte tutte le domande di
parte attrice. (Omissis) Motivi della decisione. — 1. - Secondo l'appellante l'Associa
zione italiana WWF non sarebbe legittimata ad agire e ciò
perché vietato dagli art. 2570 c.c. e 2 r.d. 21 giugno 1942 n. 929. Le disposizioni citate parlano di associazione legalmente costituite
0 riconosciute, ma a norma dell'art. 14 del decreto n. 929 è
altresì vietato appropriarsi dell'emblema di una associazione non
riconosciuta. A proposito degli art. 13 e 14 della legge sui
marchi, si è osservato che alla disciplina dettata per essi si
ispirano, o appoggiano, o richiamano in vario modo quelle di
altri come gli slogans, le sigle, gli emblemi, le denominazioni di
tipo o modello, i numeri di matricola delle macchine. Ed anche
per quelli, tra gli istituti del gruppo, che hanno trovato, in sede
interna o nazionale, una disciplina loro propria (come le ditte, le
denominazioni di origine o di provenienza) non sono infrequenti 1 riferimenti al diritto dei marchi e lo scambio, se cosi si può dire, di « servizi » (art. 13 e 14 legge sui marchi).
Si è osservato inoltre che accanto alla denominazione della
persona giuridica si può considerare l'emblema (menzionato nel
l'art. 14 della legge sui marchi) come segno distintivo, tuttavia
figurativo, non solo di una persona giuridica, ma anche di una
collettività. Cioè l'art. 14 si riferisce a enti e associazioni, cosi
intendendo anche persone e collettività diverse dalle società
commerciali. Anzi il riferimento sembra considerare innanzi tutto
enti ed associazioni non aventi finalità economiche, ma di tutela
di interessi di categoria, culturali, ricreative, ecc., potendosi ravvisare nell'emblema un segno distintivo (bene immateriale) estraneo all'attività di impresa.
2. - Secondo l'appellante, egli non poteva appropriarsi nel 1975
di ciò che ancora non esisteva, perché l'Associazione italiana
WWF è stata eretta ad ente morale soltanto il 7 ottobre 1977. La
tesi non ha fondamento. Nei confronti dell'emblema non si può far capo ad una iscrizione: ci si deve perciò rifare all'uso ai fini
del comportamento della fattispecie costitutiva del bene e dell'ac
quisto del relativo diritto. Sebbene l'art. 14 della legge sui marchi
si preoccupi dell'emblema solo ai fini di precluderne l'altrui uso
per contrassegnare stabilimenti, prodotti, opere, ecc., l'opinione
prevalente ammette, quale premessa dello stesso divieto sancito
nell'art. 14, la protezione dell'emblema stesso nel senso dell'esclu
siva sua utilizzabilità da parte del primo utente.
Nel caso di specie l'Associazione italiana WWF si è costituita il 5 luglio 1966 (atto not. Staderini), previa autorizzazione 26
giugno 1966 del WWF internazionale. Dalla data della costituzio ne l'Associazione italiana WWF ha preso ad usare il « panda »
registrato dal WWF il 14 luglio 1964. Il 26 novembre 1966 il
WWF autorizzava espressamente l'Associazione italiana WWF a
valorizzare, adoperare e proteggere il « simbolo » del WWF. 3. - Secondo l'appellante anche l'art. 14 tutelerebbe solo esclu
sivamente i marchi d'impresa e non certo l'emblema di una
associazione non riconosciuta. La tesi risulta smentita dalla dot
trina unanime, che, fin dall'entrata in vigore del decreto n. 929, ha sempre interpretato l'art. 14 nel senso, di cui al paragrafo
precedente. 4. - Del pari infondata, come si è visto nei paragrafi preceden
ti, la tesi dell'appellante, secondo cui anche l'art. 14 concernereb be associazioni ed enti in quanto imprese commerciali.
5. - Secondo l'appellante, non essendo applicabile al caso di
specie l'art. 14, l'emblema sarebbe nullo o decaduto. Risultando invece applicabile, come si è visto sopra, l'art. 14, il problema della nullità e della decadenza non si pone neppure.
6. - Secondo l'appellante il suo « panda » si differenzia dal « panda » del WWF, perché il suo disegno porta lo scritto ;< Pastifìcio Piemontese», che l'avvolge come un cappello, e un
Il Foro Italiano — 1986.
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2283 PARTE PRIMA 2284
piatto fumante, ed ha le zampe rivolte a sinistra invece che a
destra, ed è tutto colorato verde invece che nero.
Si deve intanto osservare che il divieto di usurpare l'emblema
di una associazione e di usarlo come marchio, divieto sancito
dall'art. 14 r.d. 21 giugno 1942 n. 929, non è subordinato alla
confondibilità dei prodotti, a differenza di quanto dispongono agli art. 2564 e 2568 c.c. in ordine alle modificazioni da apportare alla ditta o all'insegna, ove siano eguali o simili a quella usata da
altro imprenditore (Cass. 2 ottobre 1954, n. 3210, Foro it., Rep. 1954 voce Marchio, n. 72).
Inoltre, nel caso di specie, ritiene il collegio che sussista anche
la confondibilità, atteso che la figura del « panda » risulta premi nente.
7. - Per quanto concerne le sanzioni da applicare in caso di
usurpazione dell'emblema, occorre, intanto, osservare che il divie
to di una sua utilizzazione come marchio o comunque della sua
apposizione sopra qualunque oggetto (art. 14 legge sui marchi, in
cui la menzione del nome civile deve essere coordinata con l'art.
21) ha carattere assoluto, non richiedendosi per la inibizione il
concorso di quel pregiudizio che invece è richiesto nell'art. 21
per il nome civile e non essendo ipotizzabile un valido assenso
nell'illecito uso. Da questa disciplina discende, senza ombra di
dubbio, la sensazione dell'inibitoria. Non sembrano peraltro ap
plicabili le altre sanzioni, disciplinate negli art. 65 e 66 legge sui
marchi per vari motivi. Intanto presupposto della distruzione del
prodotto e dell'involucro è la registrazaione del « marchio ».
Inoltre si è osservato che il cosiddetto diritto eccezionale introdu
ce un fattore di disuguaglianza di trattamento fra coloro che
saarebbero destinatari della norma di portata generale e come
tale rispondente alle esigenze proprie di un determinato sistema,
e che perciò esso comprende tutte le norme che limitano la
capacità ed i diritti. Nel caso di specie la sanzione della
distruzione del prodotto o dell'involucro addirittura elimina il
diritto e di conseguenza l'art. 66 non può essere applicato oltre i
limiti in esso previsti.
Rimane ferma la statuizione concernente la pubblicazione della
sentenza sul quotidiano « La Stampa », perché essa trova fonda
mento nell'art. 120 c.p.c. E pertanto deve essere completata, come
richiesto dall'appellata, nel senso che essa deve essere effettuata a
cura e spese dell'appellante nel termine di 30 giorni dalla
comunicazione della presente sentenza, salva per l'appellata l'ap
plicazione del 2° comma dell'art. 120 c.p.c.
E ciò perché le modalità dell'usurpazione si sono realizzate in
modo tale che la pubblicazione può contribuire a riparare il
danno, che senz'altro si è verificato, in quanto l'Associazione
italiana WWF ha sempre cercato di acquistare fondi per raggiun
gere i suoi scopi, concedendo l'uso dell'emblema a produttori e
commercianti a titolo oneroso.
9. - Proprio per questa circostanza l'illecito uso dell'emblema
da parte dell'appellante ha comportato senz'altro un danno.
L'appellata, nella citazione di primo grado, ha formulato cosi
la domanda: «... risarcimento del danno da liquidarsi nell'im
porto di lire 2.000.000 o in quella maggiore o minore somma che
risulterà di giustizia o di equità... ». Il tribunale ha liquidato in
via equitativa lire 5.000.000 non andando ultra petita, come
invece assume l'appellante, perché l'Associazione italiana WWF
ha chiesto anche una somma « maggiore ». In questa sede l'appel lata ha chiesto come minimo 20.000.000.
L'appellante sostiene che anche quest'ultima domanda sarebbe
improponibile perché non sarebbe oggetto di appello incidentale.
Essa invece è stata formulata, ai sensi dell'art. 343 c.p.c., nella
comparsa di risposta. Ritiene il collegio, tenuta presente l'attività
dell'appellante, che usa concedere l'uso dell'emblema a produttori e commercianti in corrispettivo di somme di denaro, di poter
liquidare, alla data della presente sentenza, in via equitativa, la
somma di lire 6.000.000.
10. - Secondo l'appellante l'appello incidentale della Associazio
ne italiana WWF sarebbe inammissibile perché generico e perché mancano i motivi d'appello.
Rileggendo i motivi di resistenza ed appello incidentale, ripor tati in epigrafe, si evince che l'appellata ha chiesto: 1) ricono
scimento della titolarità del marchio « panda », che, sia pure con
parole diverse, ha già chiesto in primo grado; 2) pronunzia sulle
sanzioni, come in primo grado; 3) riforma della pronuncia sul
danno (nel senso che ha chiesto un aumento). Non si vede
pertanto in che cosa dovrebbe consistere la presunta « genericità »
o la presunta « mancanza » di motivi, mentre questi sono stati
più che specificati. (Omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 19 luglio 1986; Pres. ed est.
Verde; Soc. Buitoni (Aw. Guardascione, iP. Guerra, M. Ni
gro) c. Istituto per la ricostruzione industriale-I .r.i. <Avv. Sava
rese, M. S. Giannini, Gambino, Picozza), Min. partecipazioni statali e Comitato dei ministri per il coordinamento della poli tica industriale-C.i.p.i. (Aw. dello Stato Fanelli), Soc. Cofima
(Avv. Gaeta, Maronna, Verrengia, Rescigno), Soc. Industrie alimentari riunite (Avv. Sabelli, Nicolò).
TRIBUNALE DI ROMA;
Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici — Partecipa zioni statali — IRI — Possesso di azioni SME — Intesa per la cessione — Natura — Fattispecie (L. 12 agosto 1977 n. 675, provvedimenti per il coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo del settore, art. 13; d.l. 12 febbraio 1948 n. 51, approvazione del nuovo sta tuto dell'Istituto per la ricostruzione industriale, art. 6, 9, 11).
L'intesa scritta, raggiunta dal presidente dell'IRI con il legale rappresentante di una società, mediante la quale, dopo le
reciproche dichiarazioni di disponibilità alla cessione e al
rilievo, a determinate condizioni, delle azioni SME possedute dall'istituto, il primo si impegna a sottoporre, con proprio parere favorevole, all'approvazione del consiglio di amministra zione l'operazione e «a richiedere, tempestivamente, all'autorità di governo, l'autorizzazione di legge » non costituisce né con tratto di vendita, preliminare o definitivo, né proposta contrat tuale ma semplice esternazione della volontà di trattare e
puntualizzazione dei termini delle trattative, priva di carattere vincolante. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 18 lu
glio 1985, notificato il 19 luglio 1985, la Buitoni s.p.a., con sede in Perugia, ha convenuto innanzi al Tribunale di Roma l'IRI, Istituto per la ricostruzione industriale, chiedendo che, previo accertamento della avvenuta conclusione tra le parti di un con
tratto, definitivo o preliminare, avente ad oggetto il trasferimen to di n. 449.105.263 azioni SME, l'IRI venisse condannata al
l'adempimento da avere luogo ai sensi dell'art. 2932 c.c. ove il contratto venisse ritenuto preliminare, nonché al risarcimento dei danni conseguenti al ritardo.
Esponeva l'attrice che in data 29 aprile 1985 il presidente dell'IRI e quello della Buitoni avevano stipulato delle « intese », aventi la natura giuridica di contratto, per la cessione alla Buitoni delle partecipazioni possedute dall'IRI nella SME e nella SIDALM.
Il documento prevedeva in sintesi quanto segue: a) l'ing. De Benedetti dichiarava la sua disponibilità di procedere al rilievo delle partecipazioni SME per conto della Buitoni e per le altre
contropartite che si associeranno al rilievo; il prof. Prodi si dichiarava dell'avviso che convenga all'IRI di cedere la sua
partecipazione nella SME. Lo stesso prof. Prodi si impegnava a
sottoporre entro il 7 maggio 1985, con proprio parere favorevole, all'approvazione del consiglio di amministrazione dell'IRI, l'ope razione di cui trattasi; ancora il prof. Prodi si impegnava a richiedere tempestivamente all'autorità di governo l'autorizzazione di legge; b) era previsto che il rilievo delle azioni avesse luogo entro e non oltre il 10 maggio 1985, mediante scrittura privata con firme autenticate dal notaio, oppure mediante scambio di fissati bollati; c) il corrispettivo era stato determinato in lire
497.159.500.000 e le modalità di pagamento dello stesso erano state determinate dalle parti; d) erano state precisate le altre clau sole connesse al trasferimento.
Esponeva ancora la Buitoni che in data 9 maggio 1985 il
presidente dell'IRI aveva comunicato al presidente della Buitoni che il consiglio di amministrazione dell'ente, all'unanimità e salvo
(1) La sentenza 25 marzo 1986, n. 2091, con la quale le sezioni unite hanno ritenuto devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia instaurata, dalla società che assume di aver stipulato con l'IRI contratto di acquisto delle azioni di azien da (SME) possedute dall'istituto, per ottenere la dichiarazione di ille gittimità del decreto emesso, in carenza di potere, dal ministro delle partecipazioni statali per sospendere temporaneamente un precedente provvedimento autorizzativo della operazione, leggesi in Foro it., 1986, I, 904, con nota di C. M. Barone, cui si rinvia anche per i riferimenti ai precedenti della vicenda SME. Con specifico riguardo all'attività di diritto privato della p.a. e, più in particolare, all'attività (contrattuale o di semplice gestione) degli enti pubblici che inquadrano le parteci pazioni statali si possono, poi, consultare gli esaurienti rilievi svolti nella motivazione di Cass. 14 dicembre 1985, n. 6329, id., 1985, I, 3091, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1986.
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