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sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 giugno 2002, n. 25);Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi); interv.Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Latina 8 marzo 2001 (G.U., 1 a s.s., n.39 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 385/386-389/390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200449 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
consolidato l'orientamento della giurisprudenza, anche di legit timità, riferito dal rimettente, secondo il quale la sentenza pro nunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. non aveva efficacia di giu dicato nel giudizio disciplinare, nell'ambito del quale l'accer
tamento dei fatti e la loro riferibilità all'incolpato doveva avve
nire in modo autonomo.
3. - La componente negoziale propria dell'istituto del patteg
giamento, resa evidente anche dalla facoltà concessa al giudice di verificare la volontarietà della richiesta o del consenso (art.
446, 5° comma, c.p.p.), postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall'imputato e
preclude che successive modificazioni legislative vengano ad
alterare in peius effetti salienti dell'accordo suggellato con la
sentenza di patteggiamento. Ed effetto saliente dell'accordo, se
condo la disciplina previgente, era indubbiamente la garanzia
per l'imputato patteggiante che il suo diritto di difesa sarebbe
rimasto integro in tutti i successivi giudizi (civili, amministrati vi e disciplinari) nei quali il medesimo fatto avesse avuto rilie vo.
La novella del 2001 ha innanzitutto modificato, con il suo art.
1, l'art. 653 c.p.p., attribuendo efficacia di giudicato nel giudi zio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche auto
rità non più solo, come in precedenza, alla sentenza penale irre
vocabile di assoluzione, ma anche a quella di condanna quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
Il nuovo testo dell'art. 445 c.p.p., come modificato dall'art. 2
1. n. 97 del 2001, ha ribadito, in riferimento alle sentenze di
patteggiamento, il principio secondo cui esse non hanno effica
cia nei giudizi civili e amministrativi, escludendone però, con la locuzione che figura nell'ultimo periodo del 1° comma («Salvo
quanto previsto dall'art. 653 (...)»), l'operatività nei giudizi di sciplinari. Infine, l'art. 10 predetta legge, sotto la rubrica «di
sposizioni transitorie», ha stabilito che le nuove regole, ivi
comprese quelle concernenti l'efficacia del giudicato della sen
tenza di applicazione della pena su richiesta, riguardano anche i
procedimenti disciplinari in corso (1° comma). L'anzidetta disposizione transitoria, in contrasto con il con
giunto operare delle garanzie poste dagli art. 3 e 24 Cost., ha ra
dicalmente innovato alla disciplina che l'imputato aveva avuto
presente nel ponderare l'opportunità di addivenire al patteggia mento ed ha retroattivamente attribuito al consenso prestato l'ulteriore significato di una rinunzia alla difesa anche nel suc
cessivo procedimento disciplinare; rinunzia pressoché totale, deve aggiungersi, posto che l'efficacia di giudicato della sen
tenza di cui all'art. 444 c.p.p. si estende a tutti gli elementi della
fattispecie. In tal modo l'art. 10, 1° comma, poc'anzi citato, non
tanto ha violato un'aspettativa generica e non titolata di perma nente vigenza di una determinata disciplina legislativa
—
aspettativa, che, in termini così generali, questa corte ha sempre escluso potesse essere tutelata —
quanto ha leso un affidamento
qualificato dal suo intimo legame con l'effettività del diritto di
difesa nel procedimento disciplinare e quindi costituzionalmente
protetto dal simultaneo agire, nella presente fattispecie, dei pa rametri evocati dal giudice rimettente. Proprio per la già rilevata
componente negoziale insita nell'istituto del patteggiamento, che esige una consapevole manifestazione di volontà dell'im
putato ed impone di preservare la genuinità dell'accordo, il
quadro normativo entro il quale è maturata la scelta dell'impu tato non poteva non essere assunto dal legislatore come ele
mento determinante della strategia processuale del patteggiante.
Quella disciplina, dunque, nel suo nucleo essenziale, che investe
l'effettività della difesa nel giudizio disciplinare, non poteva es
sere retroattivamente rimossa, ma doveva essere preservata, in
quanto indefettibile condizione della già intervenuta applicazio ne della pena su richiesta.
L'art. 10, 1° comma, 1. n. 97 del 2001 va pertanto dichiarato
illegittimo nella parte in cui prevede che gli art. 1 e 2 stessa leg
ge si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 10, 1° comma, 1. 27 marzo 2001 n.
97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei di
pendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui
prevede che gli art. 1 e 2 stessa legge si riferiscono anche alle
sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate an
teriormente alla sua entrata in vigore.
Il Foro Italiano — 2004 — Parte 1-7.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 giugno 2002, n.
25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste
italiane (Avv. Fiorillo, Pessi); interv. Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Latina 8 marzo 2001
(G.U., las.s„ n. 39 del 2001).
Previdenza e assistenza sociale — Dipendenti delle Poste
italiane — Soppressione del contributo all'Istituto poste
legrafonici — Corrispondente onere a carico dei dipen
denti postali — Determinazione della misura per gli anni
2001 e 2002 — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 36; 1. 23 dicembre 2000 n. 388, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2001), art. 68). Previdenza e assistenza sociale — Dipendenti delle Poste
italiane — Soppressione del contributo all'Istituto poste
legrafonici — Corrispondente onere a carico dei dipen
denti postali — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, approva zione del t.u. delle norme sulle prestazioni previdenziali a fa
vore dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 37; 1. 27
dicembre 1997 n. 449, misure per la stabilizzazione della fi
nanza pubblica, art. 53; d.l. 20 gennaio 1998 n. 4, disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione al
l'occupazione e di carattere previdenziale, art. 2; 1. 20 marzo
1998 n. 52, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
20 gennaio 1998 n. 4, art. 1).
E inammissibile, per carenza di rilevanza nel giudizio a quo, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, nella parte in cui, anche dopo la
soppressione a far data dal 28 febbraio 1998 del corrispon dente contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto po
stelegrafonici, continua a porre a carico dei dipendenti po stali gli oneri di contribuzione per il finanziamento al fondo di previdenza e credito in favore dell 'Istituto postelegrafonici nella misura dell'I,75 per cento per l'anno 2001 e dell'I per cento per l'anno 2002, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (1)
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4, convertito, con modi
ficazioni, in l. 20 marzo 1998 n. 52, e 53, 6° comma, lett. a), l.
27 dicembre 1997 n. 449, nella parte in cui, anche dopo la
soppressione a far data dal 28 febbraio 1998 del corrispon dente contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto po
stelegrafonici, continuano a porre a caricò dei dipendenti po stali gli oneri di contribuzione per il finanziamento al fondo di previdenza e credito in favore dell 'Istituto postelegrafonici nella misura del 2,50 per cento sino all'anno 2000, a titolo di
rivalsa di cui all'art. 37 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, in
riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (2)
( 1 -2) La Corte costituzionale rileva come il trattamento di buonuscita
per i dipendenti postali, in servizio alla data del 28 febbraio 1998, con
vive pro rata con il precedente sistema della buonuscita, correlato alla
pregressa natura pubblica del datore di lavoro. Quanto all'ingiustificata imposizione di un contributo a fronte del quale non sussisterebbe ormai
alcuna controprestazione, la corte, rifacendosi alla propria giuris
prudenza, osserva come nella materia in questione vige il principio di
solidarietà (che esclude che ad ogni prestazione corrisponda un incre
mento della prestazione previdenziale), che il contributo ha carattere
transitorio in connessione alla trasformazione del datore di lavoro e
della disciplina del trattamento di fine rapporto e che tale soluzione è, in certa misura, richiesta dalle esigenze di bilancio.
Nel senso che, per i dipendenti dell'ente Poste italiane, l'indennità di
buonuscita, nel caso in cui il contratto collettivo stabilisca aumenti sti
pendiali scaglionati nel tempo, deve essere commisurata all'ultimo sti
pendio percepito e, conseguentemente, nel relativo calcolo, non può te
nersi conto degli aumenti stipendiali maturati in data successiva alla
cessazione del rapporto di lavoro per collocamento in quiescenza, v.
Cass. 10 marzo 2003, n. 3540, Foro it., Mass., 310.
In proposito, v. pure Cass. 1° giugno 2002, n. 7957, id., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 1495, secondo cui l'art. 6 d.l. n. 487 del
1993, convertito in 1. n. 71 del 1994, ha previsto «a regime», con decor
renza 1° agosto 1994, la competenza dell'Istituto postelegrafonici in
ordine al complessivo trattamento di quiescenza dei dipendenti, com
prensivo di trattamento pensionistico e di indennità di buonuscita e, per
quanto concerne i dipendenti cessati dal servizio tra il 10 gennaio e il
31 luglio 1994, la normativa attribuisce all'ente Poste una competenza
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387 PARTE PRIMA 388
Diritto. — 1. - Il giudice del lavoro del Tribunale di Latina
dubita, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., della legittimità co
stituzionale dell'art. 2, 4° comma, 1. 20 marzo 1998 n. 52 [recte: del combinato disposto dell'art. 2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4 (disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, d'incentivazione all'occupazione e di carattere previdenziale), convertito nella 1. 20 marzo 1998 n. 52, e dell'art. 68, 4° com
ma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge finanziaria
2001)]. Secondo il giudice rimettente, le norme suindicate, imponen
do ai lavoratori postali il contributo del 2,50 per cento fino a
tutto l'anno 2000, dell'1,75 per cento per il 2001 e dell' uno per cento per il 2002, periodi tutti successivi alla trasformazione
dell'ente Poste in società per azioni, avvenuta il 28 febbraio
1998, ed al correlativo passaggio, per quanto concerne i dipen denti, dal regime della buonuscita erogata dall'Istituto postele
grafonici a quello del trattamento di fine rapporto regolato dal
l'art. 2120 c.c„ il quale non prevede alcun contributo a carico
dei lavoratori, assoggettano i dipendenti delle Poste italiane
s.p.a. ad un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a
quello di cui fruisce la generalità dei dipendenti privati, e ciò in
contrasto con l'art. 3 Cost.
Inoltre, il giudice rimettente ritiene che il contributo suindi
cato costituisca un'illegittima decurtazione della retribuzione, in
violazione dell'art. 36 Cost.
2. - Occorre anzitutto rilevare, valutando l'ordinanza nel suo
complesso e tenendo conto della circostanza che il giudice ri
mettente non contesta la natura interpretativa del citato art. 2, 4°
comma, d.l. n. 4 del 1998, che il dubbio di legittimità costitu
zionale investe anche la disposizione interpretata (art. 53, 6°
comma, lett. a, 1. 27 dicembre 1997 n. 449). 3. - Non è ammissibile la questione relativa all'art. 68, 4°
comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, che disciplina il contributo
in questione per periodi successivi alla cessazione del rapporto all'esame del giudice a quo, e che è norma pertanto inapplica bile alla fattispecie sottoposta al giudizio del medesimo.
4. - Per quel che riguarda la questione relativa all'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 4° comma, citato d.l. n. 4 del 1998, e
dell'art. 53, 6° comma, lett. a), 1. n. 449 del 1997 l'affermazione
del giudice a quo della rilevanza risulta non implausibilmente motivata, con la descrizione della fattispecie quale si desume
dall'ordinanza nel suo complesso ed in particolare con le enun
ciazioni che, anche successivamente al 28 febbraio 1998, nei
confronti dei dipendenti postali è stata praticata la trattenuta del
2,50 per cento e che il rapporto di lavoro in questione è cessato
il 1° giugno 2000. 5. - Tale questione non è fondata.
Occorre premettere che la previdenza e l'assistenza per i la
voratori postali, gestita a partire dal 1° agosto 1994 per tutti i
dipendenti dall'Istituto postelegrafonici-Ipost (gestione che in
precedenza era limitata ai dipendenti degli uffici locali e delle
agenzie), era disciplinata dalle norme previste per il personale statale (art. 6, 7° comma, d.l. 1° dicembre 1993 n. 487, conver
tito, con modificazioni, dalla 1. 29 gennaio 1994 n. 71, recante
«trasformazione dell'amministrazione delle poste e delle tele
comunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del ministero»).
Ai dipendenti postali spettava pertanto, al momento della ces sazione del rapporto, la buonuscita commisurata all'ultima re
tribuzione ed agli anni di servizio, erogata dal suindicato istitu
per la liquidazione in via provvisoria delle sole pensioni, per cui sono rimaste immutate le attribuzioni dell'Inpdap circa il trattamento di buo nuscita spettante a tali dipendenti, con conseguente difetto di legittima zione passiva dell'Istituto postelegrafonici.
In ordine ai criteri di determinazione dell'indennità di buonuscita per i dipendenti delle Poste italiane, v. App. Bologna 18 gennaio 2001, id., Rep. 2001, voce Impiegato dello Stato, n. 755, commentata da Gennari, in Lavoro giur., 2001. 447; Cass. 16 novembre 2000, n. 14836, Foro it., 2001,1, 3285, con nota di richiami; 27 ottobre 2000, n. 14222, id., Rep. 2001, voce cit., n. 756; 12 ottobre 2000. n. 13634, ibid., n. 757, com mentata da Buzzelli, in Giur. it., 2001, 2053.
Per la sussistenza della giurisdizione ordinaria in merito alle contro versie relative all'indennità dì buonuscita tra i dipendenti dell'ente Po ste italiane e l'Istituto postelegrafonici, v. Cass. 26 ottobre 2000, n.
1140/SU, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 752.
Il Foro Italiano — 2004.
to, al cui finanziamento concorreva in via primaria il contributo
previdenziale obbligatorio a carico dell'amministrazione che si
rivaleva sui dipendenti nella misura del 2,50 per cento della ba
se imponibile (secondo quanto stabilito dall'art. 37 d.p.r. 29 di
cembre 1973 n. 1032). È da sottolineare che tale disciplina del trattamento spettante
alla cessazione del rapporto era prevista dalla stessa legge che
in altra disposizione del medesimo articolo stabiliva la trasfor
mazione dei rapporti di lavoro in rapporti di diritto privato (art.
6, 2° comma), in correlazione alla trasformazione dell'ammini
strazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico.
Per i dipendenti privati era intanto intervenuta la 1. 29 maggio 1982 n. 297, che, modificando integralmente l'originario testo
dell'art. 2120 c.c., ha sostituito all'indennità di anzianità il trat
tamento di fine rapporto, determinato con criteri diversi da
quelli previsti per la buonuscita e per il cui finanziamento è sta
bilito il sistema degli accantonamenti, senza alcun contributo a
carico dei lavoratori.
La successiva modificazione del sistema previdenziale e so
prattutto, per quel che qui interessa, del trattamento spettante ai
lavoratori postali alla cessazione del rapporto è conseguente alla
trasformazione del loro datore di lavoro da ente pubblico eco
nomico in società per azioni, avvenuta ai sensi dell'art 1, 2°
comma, d.l. 1° dicembre 1993 n. 487, convertito nella 1. 29 gen naio 1994 n. 71, dell'art. 2, 27° comma, 1. 23 dicembre 1996 n.
662 e della delibera Cipe 18 dicembre 1997. Infatti, l'art. 53, 6° comma, 1. 27 dicembre 1997 n. 449, ha stabilito che «a decorre
re dalla data di trasformazione dell'ente Poste italiane in società
per azioni ai sensi dell'art. 2, 21° comma, 1. 23 dicembre 1996
n. 662 al personale dipendente dalla società medesima spettano:
a) il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. e, per il
periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita matu
rata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di
cui all'alinea del presente comma. Dalla stessa data è soppresso il contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto postelegra fonici ai sensi dell'art. 37 t.u. approvato con d.p.r. 29 dicembre
1973 n. 1032». La medesima norma ha stabilito inoltre la sop
pressione della gestione separata esistente presso il detto istituto
per l'erogazione della buonuscita e la sua liquidazione ad opera di un commissario. Successivamente l'art. 2, 4° comma, d.l. n. 4
del 1998 ha stabilito che «la disposizione di cui all'art. 53, 6°
comma, lett. a), 1. 27 dicembre 1997 n. 449, si interpreta nel
senso che resta fermo, a carico del lavoratore, il contributo di
finanziamento al fondo di previdenza e credito dovuto all'Isti
tuto postelegrafonici nella misura del 2,50 per cento derivante
dalla rivalsa di cui all'art. 37 t.u. delle norme sulle prestazioni
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato,
approvato con d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032».
Infine, l'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, ha di sposto la soppressione dal 1° gennaio 2003 del suindicato con
tributo a carico dei lavoratori e ne ha fissato la misura per gli anni 2001 e 2002 rispettivamente nell'1,75 per cento e nell'I
per cento.
Da tutto quanto esposto risulta chiaramente che l'attribuzione
ai dipendenti postali del diritto al trattamento di fine rapporto
disciplinato dall'art. 2120 c.c. costituisce l'approdo di un iter
legislativo nel cui svolgimento il legislatore ha dovuto tenere
conto del fatto che al regime previdenziale ed in particolare al
trattamento dovuto ai lavoratori alla cessazione del rapporto, ri
guardato sia nelle fonti di finanziamento, sia nella natura della
prestazione erogata, non poteva essere indifferente la qualità del
datore di lavoro, dapprima amministrazione statale, successiva
mente ente pubblico economico, infine società per azioni. Ri
sulta altresì che siffatta attribuzione quale sbocco dell'esposta vicenda legislativa, per i dipendenti in servizio alla data del 28
febbraio 1998, è anche parziale e convive pro rata con il prece dente sistema della buonuscita, correlato alla pregressa natura
pubblica del datore.
Ne consegue l'inconferenza della prospettazione, quale ter
tium comparationis, della disciplina prevista per i lavoratori
privati e che tali sono sempre stati.
Il contributo in oggetto, invero, non attiene alla disciplina del
trattamento di fine rapporto contenuta nell'art. 2120 c.c., bensì a
quella del finanziamento dell'indennità di buonuscita alla cui
erogazione, per quanto a loro favore maturato prima del 28 feb
braio 1998, i dipendenti postali continuano ad essere interessati.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
6. - Il giudice rimettente adduce quale ulteriore profilo di
contrasto delle norme denunciate con l'art. 3 Cost, l'irragione volezza del perdurare dell'imposizione di un contributo cui non
corrisponde alcuna controprestazione a favore di coloro che de
vono pagarlo. Anche sotto questo riguardo la questione è infondata, per una
pluralità di convergenti ragioni. Anzitutto, in un sistema a ripartizione, quale quello che in
forma la disciplina della buonuscita, il principio di solidarietà, che ispira la previdenza sociale in senso lato considerata so
prattutto nel suo aspetto funzionale (cfr. le sentenze n. 187 del
1975, Foro it., 1975,1, 2681; n. 30 del 1976, id., 1976,1, 903; n. 169 del 1986, id., 1986, I, 2097; n. 173 del 1986, ibid., 2087), assume il massimo rilievo.
In questo ordine di idee, come è stato già affermato (v. sen
tenza n. 264 del 1994, id., 1995,1, 1126), non è necessario, per la legittimità costituzionale del contributo, che a ciascuna con
tribuzione corrisponda un incremento della prestazione previ denziale.
In secondo luogo, l'imposizione dell'obbligo contributivo di
cui si discute ha assunto carattere transitorio per effetto dell'art.
68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, che ne prevede la
soppressione a decorrere dal 1° gennaio 2003, ed è quindi stret
tamente legata alla particolare situazione di passaggio dal regi me della buonuscita a quello del trattamento di fine rapporto, a
sua volta correlata alla trasformazione del soggetto datore di la
voro.
Infine, non può trascurarsi il rilievo secondo cui il legislatore,
imponendo il contributo, ha dovuto tener conto, nell'esercizio
della propria discrezionalità, delle esigenze di bilancio, come
osserva l'avvocatura dello Stato. Infatti, l'8° comma del citato
art. 68 stabilisce che «al fine di migliorare la trasparenza delle
gestioni previdenziali l'eventuale differenza tra l'indennità di
buonuscita, spettante ai dipendenti della società Poste italiane
s.p.a. maturata fino al 27 febbraio 1998, da un lato, e l'ammon
tare dei contributi in atto posti a carico dei lavoratori, delle ri
sorse dovute dall'Inpdap e delle risorse derivanti dalla chiusura
della gestione commissariale dell'Ipost, dall'altro, è posta a ca
rico del bilancio dello Stato».
7. - Le considerazioni che precedono valgono a dimostrare
l'infondatezza del dubbio sulla legittimità costituzionale delle
norme denunciate anche riguardo all'art. 36 Cost., altro para metro evocato dal giudice rimettente.
Il permanere dell'obbligo contributivo, peraltro per un limi
tato periodo di tempo, non ha comportato alcun peggioramento del livello retributivo dei lavoratori postali, essendo indifferente
sotto il profilo economico che sia dovuto a titolo di contributo
diretto ciò che prima era dovuto a titolo di rivalsa. Si può infine
ribadire che l'adeguatezza della retribuzione, ai sensi dell'art.
36 Cost., va valutata nel suo complesso (v., ex plurimis, senten
za n. 164 del 1994, id., 1994,1, 1647). Per questi motivi, la Corte costituzionale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388 (dispo sizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento
agli art. 3 e 36 Cost., dal Tribunale di Latina, con l'ordinanza
indicata in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4 (disposizioni
urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione al
l'occupazione e di carattere previdenziale), convertito nella 1. 20
marzo 1998 n. 52 e dell'art. 53, 6° comma, lett. a), 1. 27 dicem
bre 1997 n. 449 (misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., dal
Tribunale di Latina con la medesima ordinanza.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 aprile 2002, n. 135 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 maggio 2002, edi
zione straordinaria); Pres. Ruperto, Est. Flick; Di Sarno; in
terv. Pres. cons, ministri. Ord. G.i.p. Trib. Alba 5 luglio 2000 (G.U., las.s., n. 45 del 2000).
Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Video
registrazioni in luoghi di privata dimora — Estensione della disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni — Mancata previsione
— Questione infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3, 14; cod. pen., art. 614; cod. proc. pen., art. 189, 266, 267, 268, 269, 270, 271).
E infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
189, 266-271 e, segnatamente, 266, 2° comma, c.p.p., nella
parte in cui non estendono alle riprese visive o videoregistra
zioni, effettuate in luoghi qualificabili come di privata dimo
ra, la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra
presenti, nei medesimi luoghi, in riferimento agli art. 3 e 14
Cost. (1)
(1) La Corte costituzionale, prima di affrontare nel merito la questio ne, si pone il problema di verificare, attraverso un'interpretazione della
portata dell'art. 14 Cost, (libertà di domicilio), se il disposto costituzio nale escluda, in maniera assoluta, le riprese visive, in quanto strumento
«occulto», diverso da quelli «palesi» elencati dall'art. 14 Cost, («ispe zioni, perquisizioni, sequestri»). La corte risolve negativamente il sud detto quesito, sulla base di una lettura della disposizione costituzionale come «norma aperta», osservando come una diversa interpretazione della stessa farebbe sì che la libertà di domicilio verrebbe addirittura ad
essere tutelata in maniera più forte rispetto alla libertà personale (art. 13 Cost.), di cui la prima «costituisce espressione in certo senso sotto ordinata».
La dichiarazione di infondatezza è motivata sul presupposto che
qualora la ripresa visiva in luoghi di privata dimora sia finalizzata alla
captazione di comportamenti a carattere comunicativo, ad essa può es
sere applicata la disciplina prevista per le intercettazioni di comunica
zioni, mentre allorché essa fuoriesca da tale ipotesi, il modello norma
tivo evocato dal giudice a quo come tertium comparationis è inconfe
rente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a con
fronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da
un lato e l'invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall'altro.
Il giudice costituzionale non manca comunque in conclusione di rile
vare «l'opportunità di un riesame complessivo della materia da parte del legislatore».
Da sottolineare il riferimento fatto dalla Corte costituzionale alle di
sposizioni (art. 7 e 52) della carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, firmata a Nizza nel dicembre 2000, pur con la sottolineatura
che trattasi di una carta «priva di efficacia giuridica». La corte ha poi fatto nuovamente riferimento alla stessa carta nella sent. 12 novembre
2002, n. 445, Foro it., 2003,1, 1018, con nota di richiami.
Cfr., in proposito, di recente, Cartabia-Celotto, La giustizia costi
tuzionale in Italia dopo la carta di Nizza, in Giur. costit., 2002, 4477; Pizzorusso-Romboli-Ruggeri-Saitta-Silvestri (a cura di), Riflessi della carta europea dei diritti sulla giustizia e la giurisprudenza costi
tuzionale: Italia e Spagna a confronto, Milano-Madrid, 2003. Con riguardo alla installazione di videocamere in luoghi di privata
dimora o supponibili come tali. v. Cass. 10 gennaio 2003. Cherif Ah
med, Ced Cass., tv. 223733, secondo cui il servizio di osservazione realizzato dalla polizia giudiziaria per mezzo di una telecamera instal lata all'interno di un bagno di un locale pubblico, non configura una
forma di intercettazione tra presenti ai sensi dell'art. 266, 2° comma,
c.p.p., in quanto il luogo in questione, caratterizzato da una frequenza assolutamente temporanea degli avventori e condizionata unicamente
alla soddisfazione di un bisogno personale, non può essere assimilato ai
luoghi di privata dimora di cui all'art. 614 c.p., che presuppongono una
relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che li fre
quentano; 12 aprile 2000, Carvajal, Foro it., Rep. 2002, voce Prova pe nale, n. 55, la quale ha affermato che le videoregistrazioni eseguite al
l'interno di un'abitazione su iniziativa di una delle persone riprese (nella specie, un agente sotto copertura), trattandosi di attività di docu
mentazione posta in essere da un soggetto che prende parte a quanto ri
preso, ben possono costituire legittima fonte di prova e sono pertanto utilizzabili, non potendosi estendere alle stesse, date le modalità della
captazione, le limitazioni e le formalità proprie dell'attività di intercet
tazione. Circa l'utilizzabilità di videoregistrazioni come prova della commis
sione di un reato, v. Cass. 18 ottobre 1993, Fumerò, id., Rep. 1994, vo
ce cit., n. 50. In ordine alla nozione di luogo di privata dimora, ai fini dell'applica
zione dell'art. 266, 2° comma, c.p.p., per le intercettazioni, è stato
escluso che tale possa ritenersi l'abitacolo di un'autovettura, in quanto
spazio destinato naturalmente al trasporto dell'uomo o al trasferimento
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