+ All Categories
Home > Documents > sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres....

sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: nguyenkiet
View: 214 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
4
sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi); interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Latina 8 marzo 2001 (G.U., 1 a s.s., n. 39 del 2001) Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 385/386-389/390 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200449 . Accessed: 25/06/2014 08:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 08:57:08 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi);

sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 giugno 2002, n. 25);Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi); interv.Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Latina 8 marzo 2001 (G.U., 1 a s.s., n.39 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 385/386-389/390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200449 .

Accessed: 25/06/2014 08:57

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 08:57:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi);

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

consolidato l'orientamento della giurisprudenza, anche di legit timità, riferito dal rimettente, secondo il quale la sentenza pro nunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. non aveva efficacia di giu dicato nel giudizio disciplinare, nell'ambito del quale l'accer

tamento dei fatti e la loro riferibilità all'incolpato doveva avve

nire in modo autonomo.

3. - La componente negoziale propria dell'istituto del patteg

giamento, resa evidente anche dalla facoltà concessa al giudice di verificare la volontarietà della richiesta o del consenso (art.

446, 5° comma, c.p.p.), postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall'imputato e

preclude che successive modificazioni legislative vengano ad

alterare in peius effetti salienti dell'accordo suggellato con la

sentenza di patteggiamento. Ed effetto saliente dell'accordo, se

condo la disciplina previgente, era indubbiamente la garanzia

per l'imputato patteggiante che il suo diritto di difesa sarebbe

rimasto integro in tutti i successivi giudizi (civili, amministrati vi e disciplinari) nei quali il medesimo fatto avesse avuto rilie vo.

La novella del 2001 ha innanzitutto modificato, con il suo art.

1, l'art. 653 c.p.p., attribuendo efficacia di giudicato nel giudi zio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche auto

rità non più solo, come in precedenza, alla sentenza penale irre

vocabile di assoluzione, ma anche a quella di condanna quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità

penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

Il nuovo testo dell'art. 445 c.p.p., come modificato dall'art. 2

1. n. 97 del 2001, ha ribadito, in riferimento alle sentenze di

patteggiamento, il principio secondo cui esse non hanno effica

cia nei giudizi civili e amministrativi, escludendone però, con la locuzione che figura nell'ultimo periodo del 1° comma («Salvo

quanto previsto dall'art. 653 (...)»), l'operatività nei giudizi di sciplinari. Infine, l'art. 10 predetta legge, sotto la rubrica «di

sposizioni transitorie», ha stabilito che le nuove regole, ivi

comprese quelle concernenti l'efficacia del giudicato della sen

tenza di applicazione della pena su richiesta, riguardano anche i

procedimenti disciplinari in corso (1° comma). L'anzidetta disposizione transitoria, in contrasto con il con

giunto operare delle garanzie poste dagli art. 3 e 24 Cost., ha ra

dicalmente innovato alla disciplina che l'imputato aveva avuto

presente nel ponderare l'opportunità di addivenire al patteggia mento ed ha retroattivamente attribuito al consenso prestato l'ulteriore significato di una rinunzia alla difesa anche nel suc

cessivo procedimento disciplinare; rinunzia pressoché totale, deve aggiungersi, posto che l'efficacia di giudicato della sen

tenza di cui all'art. 444 c.p.p. si estende a tutti gli elementi della

fattispecie. In tal modo l'art. 10, 1° comma, poc'anzi citato, non

tanto ha violato un'aspettativa generica e non titolata di perma nente vigenza di una determinata disciplina legislativa

aspettativa, che, in termini così generali, questa corte ha sempre escluso potesse essere tutelata —

quanto ha leso un affidamento

qualificato dal suo intimo legame con l'effettività del diritto di

difesa nel procedimento disciplinare e quindi costituzionalmente

protetto dal simultaneo agire, nella presente fattispecie, dei pa rametri evocati dal giudice rimettente. Proprio per la già rilevata

componente negoziale insita nell'istituto del patteggiamento, che esige una consapevole manifestazione di volontà dell'im

putato ed impone di preservare la genuinità dell'accordo, il

quadro normativo entro il quale è maturata la scelta dell'impu tato non poteva non essere assunto dal legislatore come ele

mento determinante della strategia processuale del patteggiante.

Quella disciplina, dunque, nel suo nucleo essenziale, che investe

l'effettività della difesa nel giudizio disciplinare, non poteva es

sere retroattivamente rimossa, ma doveva essere preservata, in

quanto indefettibile condizione della già intervenuta applicazio ne della pena su richiesta.

L'art. 10, 1° comma, 1. n. 97 del 2001 va pertanto dichiarato

illegittimo nella parte in cui prevede che gli art. 1 e 2 stessa leg

ge si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 10, 1° comma, 1. 27 marzo 2001 n.

97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento

disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei di

pendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui

prevede che gli art. 1 e 2 stessa legge si riferiscono anche alle

sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate an

teriormente alla sua entrata in vigore.

Il Foro Italiano — 2004 — Parte 1-7.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 giugno 2002, n.

25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste

italiane (Avv. Fiorillo, Pessi); interv. Pres. cons, ministri

(Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Latina 8 marzo 2001

(G.U., las.s„ n. 39 del 2001).

Previdenza e assistenza sociale — Dipendenti delle Poste

italiane — Soppressione del contributo all'Istituto poste

legrafonici — Corrispondente onere a carico dei dipen

denti postali — Determinazione della misura per gli anni

2001 e 2002 — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 36; 1. 23 dicembre 2000 n. 388, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato

(legge finanziaria 2001), art. 68). Previdenza e assistenza sociale — Dipendenti delle Poste

italiane — Soppressione del contributo all'Istituto poste

legrafonici — Corrispondente onere a carico dei dipen

denti postali — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, approva zione del t.u. delle norme sulle prestazioni previdenziali a fa

vore dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 37; 1. 27

dicembre 1997 n. 449, misure per la stabilizzazione della fi

nanza pubblica, art. 53; d.l. 20 gennaio 1998 n. 4, disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione al

l'occupazione e di carattere previdenziale, art. 2; 1. 20 marzo

1998 n. 52, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.

20 gennaio 1998 n. 4, art. 1).

E inammissibile, per carenza di rilevanza nel giudizio a quo, la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, nella parte in cui, anche dopo la

soppressione a far data dal 28 febbraio 1998 del corrispon dente contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto po

stelegrafonici, continua a porre a carico dei dipendenti po stali gli oneri di contribuzione per il finanziamento al fondo di previdenza e credito in favore dell 'Istituto postelegrafonici nella misura dell'I,75 per cento per l'anno 2001 e dell'I per cento per l'anno 2002, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (1)

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4, convertito, con modi

ficazioni, in l. 20 marzo 1998 n. 52, e 53, 6° comma, lett. a), l.

27 dicembre 1997 n. 449, nella parte in cui, anche dopo la

soppressione a far data dal 28 febbraio 1998 del corrispon dente contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto po

stelegrafonici, continuano a porre a caricò dei dipendenti po stali gli oneri di contribuzione per il finanziamento al fondo di previdenza e credito in favore dell 'Istituto postelegrafonici nella misura del 2,50 per cento sino all'anno 2000, a titolo di

rivalsa di cui all'art. 37 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, in

riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (2)

( 1 -2) La Corte costituzionale rileva come il trattamento di buonuscita

per i dipendenti postali, in servizio alla data del 28 febbraio 1998, con

vive pro rata con il precedente sistema della buonuscita, correlato alla

pregressa natura pubblica del datore di lavoro. Quanto all'ingiustificata imposizione di un contributo a fronte del quale non sussisterebbe ormai

alcuna controprestazione, la corte, rifacendosi alla propria giuris

prudenza, osserva come nella materia in questione vige il principio di

solidarietà (che esclude che ad ogni prestazione corrisponda un incre

mento della prestazione previdenziale), che il contributo ha carattere

transitorio in connessione alla trasformazione del datore di lavoro e

della disciplina del trattamento di fine rapporto e che tale soluzione è, in certa misura, richiesta dalle esigenze di bilancio.

Nel senso che, per i dipendenti dell'ente Poste italiane, l'indennità di

buonuscita, nel caso in cui il contratto collettivo stabilisca aumenti sti

pendiali scaglionati nel tempo, deve essere commisurata all'ultimo sti

pendio percepito e, conseguentemente, nel relativo calcolo, non può te

nersi conto degli aumenti stipendiali maturati in data successiva alla

cessazione del rapporto di lavoro per collocamento in quiescenza, v.

Cass. 10 marzo 2003, n. 3540, Foro it., Mass., 310.

In proposito, v. pure Cass. 1° giugno 2002, n. 7957, id., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 1495, secondo cui l'art. 6 d.l. n. 487 del

1993, convertito in 1. n. 71 del 1994, ha previsto «a regime», con decor

renza 1° agosto 1994, la competenza dell'Istituto postelegrafonici in

ordine al complessivo trattamento di quiescenza dei dipendenti, com

prensivo di trattamento pensionistico e di indennità di buonuscita e, per

quanto concerne i dipendenti cessati dal servizio tra il 10 gennaio e il

31 luglio 1994, la normativa attribuisce all'ente Poste una competenza

This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 08:57:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi);

387 PARTE PRIMA 388

Diritto. — 1. - Il giudice del lavoro del Tribunale di Latina

dubita, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., della legittimità co

stituzionale dell'art. 2, 4° comma, 1. 20 marzo 1998 n. 52 [recte: del combinato disposto dell'art. 2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4 (disposizioni urgenti in materia di sostegno al reddito, d'incentivazione all'occupazione e di carattere previdenziale), convertito nella 1. 20 marzo 1998 n. 52, e dell'art. 68, 4° com

ma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -

legge finanziaria

2001)]. Secondo il giudice rimettente, le norme suindicate, imponen

do ai lavoratori postali il contributo del 2,50 per cento fino a

tutto l'anno 2000, dell'1,75 per cento per il 2001 e dell' uno per cento per il 2002, periodi tutti successivi alla trasformazione

dell'ente Poste in società per azioni, avvenuta il 28 febbraio

1998, ed al correlativo passaggio, per quanto concerne i dipen denti, dal regime della buonuscita erogata dall'Istituto postele

grafonici a quello del trattamento di fine rapporto regolato dal

l'art. 2120 c.c„ il quale non prevede alcun contributo a carico

dei lavoratori, assoggettano i dipendenti delle Poste italiane

s.p.a. ad un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a

quello di cui fruisce la generalità dei dipendenti privati, e ciò in

contrasto con l'art. 3 Cost.

Inoltre, il giudice rimettente ritiene che il contributo suindi

cato costituisca un'illegittima decurtazione della retribuzione, in

violazione dell'art. 36 Cost.

2. - Occorre anzitutto rilevare, valutando l'ordinanza nel suo

complesso e tenendo conto della circostanza che il giudice ri

mettente non contesta la natura interpretativa del citato art. 2, 4°

comma, d.l. n. 4 del 1998, che il dubbio di legittimità costitu

zionale investe anche la disposizione interpretata (art. 53, 6°

comma, lett. a, 1. 27 dicembre 1997 n. 449). 3. - Non è ammissibile la questione relativa all'art. 68, 4°

comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, che disciplina il contributo

in questione per periodi successivi alla cessazione del rapporto all'esame del giudice a quo, e che è norma pertanto inapplica bile alla fattispecie sottoposta al giudizio del medesimo.

4. - Per quel che riguarda la questione relativa all'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 4° comma, citato d.l. n. 4 del 1998, e

dell'art. 53, 6° comma, lett. a), 1. n. 449 del 1997 l'affermazione

del giudice a quo della rilevanza risulta non implausibilmente motivata, con la descrizione della fattispecie quale si desume

dall'ordinanza nel suo complesso ed in particolare con le enun

ciazioni che, anche successivamente al 28 febbraio 1998, nei

confronti dei dipendenti postali è stata praticata la trattenuta del

2,50 per cento e che il rapporto di lavoro in questione è cessato

il 1° giugno 2000. 5. - Tale questione non è fondata.

Occorre premettere che la previdenza e l'assistenza per i la

voratori postali, gestita a partire dal 1° agosto 1994 per tutti i

dipendenti dall'Istituto postelegrafonici-Ipost (gestione che in

precedenza era limitata ai dipendenti degli uffici locali e delle

agenzie), era disciplinata dalle norme previste per il personale statale (art. 6, 7° comma, d.l. 1° dicembre 1993 n. 487, conver

tito, con modificazioni, dalla 1. 29 gennaio 1994 n. 71, recante

«trasformazione dell'amministrazione delle poste e delle tele

comunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del ministero»).

Ai dipendenti postali spettava pertanto, al momento della ces sazione del rapporto, la buonuscita commisurata all'ultima re

tribuzione ed agli anni di servizio, erogata dal suindicato istitu

per la liquidazione in via provvisoria delle sole pensioni, per cui sono rimaste immutate le attribuzioni dell'Inpdap circa il trattamento di buo nuscita spettante a tali dipendenti, con conseguente difetto di legittima zione passiva dell'Istituto postelegrafonici.

In ordine ai criteri di determinazione dell'indennità di buonuscita per i dipendenti delle Poste italiane, v. App. Bologna 18 gennaio 2001, id., Rep. 2001, voce Impiegato dello Stato, n. 755, commentata da Gennari, in Lavoro giur., 2001. 447; Cass. 16 novembre 2000, n. 14836, Foro it., 2001,1, 3285, con nota di richiami; 27 ottobre 2000, n. 14222, id., Rep. 2001, voce cit., n. 756; 12 ottobre 2000. n. 13634, ibid., n. 757, com mentata da Buzzelli, in Giur. it., 2001, 2053.

Per la sussistenza della giurisdizione ordinaria in merito alle contro versie relative all'indennità dì buonuscita tra i dipendenti dell'ente Po ste italiane e l'Istituto postelegrafonici, v. Cass. 26 ottobre 2000, n.

1140/SU, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 752.

Il Foro Italiano — 2004.

to, al cui finanziamento concorreva in via primaria il contributo

previdenziale obbligatorio a carico dell'amministrazione che si

rivaleva sui dipendenti nella misura del 2,50 per cento della ba

se imponibile (secondo quanto stabilito dall'art. 37 d.p.r. 29 di

cembre 1973 n. 1032). È da sottolineare che tale disciplina del trattamento spettante

alla cessazione del rapporto era prevista dalla stessa legge che

in altra disposizione del medesimo articolo stabiliva la trasfor

mazione dei rapporti di lavoro in rapporti di diritto privato (art.

6, 2° comma), in correlazione alla trasformazione dell'ammini

strazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico.

Per i dipendenti privati era intanto intervenuta la 1. 29 maggio 1982 n. 297, che, modificando integralmente l'originario testo

dell'art. 2120 c.c., ha sostituito all'indennità di anzianità il trat

tamento di fine rapporto, determinato con criteri diversi da

quelli previsti per la buonuscita e per il cui finanziamento è sta

bilito il sistema degli accantonamenti, senza alcun contributo a

carico dei lavoratori.

La successiva modificazione del sistema previdenziale e so

prattutto, per quel che qui interessa, del trattamento spettante ai

lavoratori postali alla cessazione del rapporto è conseguente alla

trasformazione del loro datore di lavoro da ente pubblico eco

nomico in società per azioni, avvenuta ai sensi dell'art 1, 2°

comma, d.l. 1° dicembre 1993 n. 487, convertito nella 1. 29 gen naio 1994 n. 71, dell'art. 2, 27° comma, 1. 23 dicembre 1996 n.

662 e della delibera Cipe 18 dicembre 1997. Infatti, l'art. 53, 6° comma, 1. 27 dicembre 1997 n. 449, ha stabilito che «a decorre

re dalla data di trasformazione dell'ente Poste italiane in società

per azioni ai sensi dell'art. 2, 21° comma, 1. 23 dicembre 1996

n. 662 al personale dipendente dalla società medesima spettano:

a) il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. e, per il

periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita matu

rata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di

cui all'alinea del presente comma. Dalla stessa data è soppresso il contributo dovuto dal datore di lavoro all'Istituto postelegra fonici ai sensi dell'art. 37 t.u. approvato con d.p.r. 29 dicembre

1973 n. 1032». La medesima norma ha stabilito inoltre la sop

pressione della gestione separata esistente presso il detto istituto

per l'erogazione della buonuscita e la sua liquidazione ad opera di un commissario. Successivamente l'art. 2, 4° comma, d.l. n. 4

del 1998 ha stabilito che «la disposizione di cui all'art. 53, 6°

comma, lett. a), 1. 27 dicembre 1997 n. 449, si interpreta nel

senso che resta fermo, a carico del lavoratore, il contributo di

finanziamento al fondo di previdenza e credito dovuto all'Isti

tuto postelegrafonici nella misura del 2,50 per cento derivante

dalla rivalsa di cui all'art. 37 t.u. delle norme sulle prestazioni

previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato,

approvato con d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032».

Infine, l'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, ha di sposto la soppressione dal 1° gennaio 2003 del suindicato con

tributo a carico dei lavoratori e ne ha fissato la misura per gli anni 2001 e 2002 rispettivamente nell'1,75 per cento e nell'I

per cento.

Da tutto quanto esposto risulta chiaramente che l'attribuzione

ai dipendenti postali del diritto al trattamento di fine rapporto

disciplinato dall'art. 2120 c.c. costituisce l'approdo di un iter

legislativo nel cui svolgimento il legislatore ha dovuto tenere

conto del fatto che al regime previdenziale ed in particolare al

trattamento dovuto ai lavoratori alla cessazione del rapporto, ri

guardato sia nelle fonti di finanziamento, sia nella natura della

prestazione erogata, non poteva essere indifferente la qualità del

datore di lavoro, dapprima amministrazione statale, successiva

mente ente pubblico economico, infine società per azioni. Ri

sulta altresì che siffatta attribuzione quale sbocco dell'esposta vicenda legislativa, per i dipendenti in servizio alla data del 28

febbraio 1998, è anche parziale e convive pro rata con il prece dente sistema della buonuscita, correlato alla pregressa natura

pubblica del datore.

Ne consegue l'inconferenza della prospettazione, quale ter

tium comparationis, della disciplina prevista per i lavoratori

privati e che tali sono sempre stati.

Il contributo in oggetto, invero, non attiene alla disciplina del

trattamento di fine rapporto contenuta nell'art. 2120 c.c., bensì a

quella del finanziamento dell'indennità di buonuscita alla cui

erogazione, per quanto a loro favore maturato prima del 28 feb

braio 1998, i dipendenti postali continuano ad essere interessati.

This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 08:57:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 20 giugno 2002, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 26 giugno 2002, n. 25); Pres. Ruperto, Est. Amirante; Giannetta c. Soc. Poste italiane (Avv. Fiorillo, Pessi);

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

6. - Il giudice rimettente adduce quale ulteriore profilo di

contrasto delle norme denunciate con l'art. 3 Cost, l'irragione volezza del perdurare dell'imposizione di un contributo cui non

corrisponde alcuna controprestazione a favore di coloro che de

vono pagarlo. Anche sotto questo riguardo la questione è infondata, per una

pluralità di convergenti ragioni. Anzitutto, in un sistema a ripartizione, quale quello che in

forma la disciplina della buonuscita, il principio di solidarietà, che ispira la previdenza sociale in senso lato considerata so

prattutto nel suo aspetto funzionale (cfr. le sentenze n. 187 del

1975, Foro it., 1975,1, 2681; n. 30 del 1976, id., 1976,1, 903; n. 169 del 1986, id., 1986, I, 2097; n. 173 del 1986, ibid., 2087), assume il massimo rilievo.

In questo ordine di idee, come è stato già affermato (v. sen

tenza n. 264 del 1994, id., 1995,1, 1126), non è necessario, per la legittimità costituzionale del contributo, che a ciascuna con

tribuzione corrisponda un incremento della prestazione previ denziale.

In secondo luogo, l'imposizione dell'obbligo contributivo di

cui si discute ha assunto carattere transitorio per effetto dell'art.

68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, che ne prevede la

soppressione a decorrere dal 1° gennaio 2003, ed è quindi stret

tamente legata alla particolare situazione di passaggio dal regi me della buonuscita a quello del trattamento di fine rapporto, a

sua volta correlata alla trasformazione del soggetto datore di la

voro.

Infine, non può trascurarsi il rilievo secondo cui il legislatore,

imponendo il contributo, ha dovuto tener conto, nell'esercizio

della propria discrezionalità, delle esigenze di bilancio, come

osserva l'avvocatura dello Stato. Infatti, l'8° comma del citato

art. 68 stabilisce che «al fine di migliorare la trasparenza delle

gestioni previdenziali l'eventuale differenza tra l'indennità di

buonuscita, spettante ai dipendenti della società Poste italiane

s.p.a. maturata fino al 27 febbraio 1998, da un lato, e l'ammon

tare dei contributi in atto posti a carico dei lavoratori, delle ri

sorse dovute dall'Inpdap e delle risorse derivanti dalla chiusura

della gestione commissariale dell'Ipost, dall'altro, è posta a ca

rico del bilancio dello Stato».

7. - Le considerazioni che precedono valgono a dimostrare

l'infondatezza del dubbio sulla legittimità costituzionale delle

norme denunciate anche riguardo all'art. 36 Cost., altro para metro evocato dal giudice rimettente.

Il permanere dell'obbligo contributivo, peraltro per un limi

tato periodo di tempo, non ha comportato alcun peggioramento del livello retributivo dei lavoratori postali, essendo indifferente

sotto il profilo economico che sia dovuto a titolo di contributo

diretto ciò che prima era dovuto a titolo di rivalsa. Si può infine

ribadire che l'adeguatezza della retribuzione, ai sensi dell'art.

36 Cost., va valutata nel suo complesso (v., ex plurimis, senten

za n. 164 del 1994, id., 1994,1, 1647). Per questi motivi, la Corte costituzionale:

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 68, 4° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388 (dispo sizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento

agli art. 3 e 36 Cost., dal Tribunale di Latina, con l'ordinanza

indicata in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale

dell'art. 2, 4° comma, d.l. 20 gennaio 1998 n. 4 (disposizioni

urgenti in materia di sostegno al reddito, di incentivazione al

l'occupazione e di carattere previdenziale), convertito nella 1. 20

marzo 1998 n. 52 e dell'art. 53, 6° comma, lett. a), 1. 27 dicem

bre 1997 n. 449 (misure per la stabilizzazione della finanza

pubblica), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., dal

Tribunale di Latina con la medesima ordinanza.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 aprile 2002, n. 135 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 maggio 2002, edi

zione straordinaria); Pres. Ruperto, Est. Flick; Di Sarno; in

terv. Pres. cons, ministri. Ord. G.i.p. Trib. Alba 5 luglio 2000 (G.U., las.s., n. 45 del 2000).

Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Video

registrazioni in luoghi di privata dimora — Estensione della disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni — Mancata previsione

— Questione infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3, 14; cod. pen., art. 614; cod. proc. pen., art. 189, 266, 267, 268, 269, 270, 271).

E infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

189, 266-271 e, segnatamente, 266, 2° comma, c.p.p., nella

parte in cui non estendono alle riprese visive o videoregistra

zioni, effettuate in luoghi qualificabili come di privata dimo

ra, la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra

presenti, nei medesimi luoghi, in riferimento agli art. 3 e 14

Cost. (1)

(1) La Corte costituzionale, prima di affrontare nel merito la questio ne, si pone il problema di verificare, attraverso un'interpretazione della

portata dell'art. 14 Cost, (libertà di domicilio), se il disposto costituzio nale escluda, in maniera assoluta, le riprese visive, in quanto strumento

«occulto», diverso da quelli «palesi» elencati dall'art. 14 Cost, («ispe zioni, perquisizioni, sequestri»). La corte risolve negativamente il sud detto quesito, sulla base di una lettura della disposizione costituzionale come «norma aperta», osservando come una diversa interpretazione della stessa farebbe sì che la libertà di domicilio verrebbe addirittura ad

essere tutelata in maniera più forte rispetto alla libertà personale (art. 13 Cost.), di cui la prima «costituisce espressione in certo senso sotto ordinata».

La dichiarazione di infondatezza è motivata sul presupposto che

qualora la ripresa visiva in luoghi di privata dimora sia finalizzata alla

captazione di comportamenti a carattere comunicativo, ad essa può es

sere applicata la disciplina prevista per le intercettazioni di comunica

zioni, mentre allorché essa fuoriesca da tale ipotesi, il modello norma

tivo evocato dal giudice a quo come tertium comparationis è inconfe

rente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a con

fronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da

un lato e l'invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall'altro.

Il giudice costituzionale non manca comunque in conclusione di rile

vare «l'opportunità di un riesame complessivo della materia da parte del legislatore».

Da sottolineare il riferimento fatto dalla Corte costituzionale alle di

sposizioni (art. 7 e 52) della carta dei diritti fondamentali dell'Unione

europea, firmata a Nizza nel dicembre 2000, pur con la sottolineatura

che trattasi di una carta «priva di efficacia giuridica». La corte ha poi fatto nuovamente riferimento alla stessa carta nella sent. 12 novembre

2002, n. 445, Foro it., 2003,1, 1018, con nota di richiami.

Cfr., in proposito, di recente, Cartabia-Celotto, La giustizia costi

tuzionale in Italia dopo la carta di Nizza, in Giur. costit., 2002, 4477; Pizzorusso-Romboli-Ruggeri-Saitta-Silvestri (a cura di), Riflessi della carta europea dei diritti sulla giustizia e la giurisprudenza costi

tuzionale: Italia e Spagna a confronto, Milano-Madrid, 2003. Con riguardo alla installazione di videocamere in luoghi di privata

dimora o supponibili come tali. v. Cass. 10 gennaio 2003. Cherif Ah

med, Ced Cass., tv. 223733, secondo cui il servizio di osservazione realizzato dalla polizia giudiziaria per mezzo di una telecamera instal lata all'interno di un bagno di un locale pubblico, non configura una

forma di intercettazione tra presenti ai sensi dell'art. 266, 2° comma,

c.p.p., in quanto il luogo in questione, caratterizzato da una frequenza assolutamente temporanea degli avventori e condizionata unicamente

alla soddisfazione di un bisogno personale, non può essere assimilato ai

luoghi di privata dimora di cui all'art. 614 c.p., che presuppongono una

relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che li fre

quentano; 12 aprile 2000, Carvajal, Foro it., Rep. 2002, voce Prova pe nale, n. 55, la quale ha affermato che le videoregistrazioni eseguite al

l'interno di un'abitazione su iniziativa di una delle persone riprese (nella specie, un agente sotto copertura), trattandosi di attività di docu

mentazione posta in essere da un soggetto che prende parte a quanto ri

preso, ben possono costituire legittima fonte di prova e sono pertanto utilizzabili, non potendosi estendere alle stesse, date le modalità della

captazione, le limitazioni e le formalità proprie dell'attività di intercet

tazione. Circa l'utilizzabilità di videoregistrazioni come prova della commis

sione di un reato, v. Cass. 18 ottobre 1993, Fumerò, id., Rep. 1994, vo

ce cit., n. 50. In ordine alla nozione di luogo di privata dimora, ai fini dell'applica

zione dell'art. 266, 2° comma, c.p.p., per le intercettazioni, è stato

escluso che tale possa ritenersi l'abitacolo di un'autovettura, in quanto

spazio destinato naturalmente al trasporto dell'uomo o al trasferimento

This content downloaded from 195.34.79.79 on Wed, 25 Jun 2014 08:57:08 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended