sentenza 21 febbraio 1983; Pres. Martinetto, Est. Panzani; Drago e altri (Avv. V. Fanelli,Bonsignori, Sansone, Treves)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 2867/2868-2879/2880Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175452 .
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2867 PARTE PRIMA 2868
conseguenza di una ipotetica norma che disciplini la diserzione
bilaterale dell'udienza di discussione nel processo del lavoro. Ne
deriva che il provvedimento di cancellazione emesso nell'ipotesi in esame, non solo è in aperto contrasto con gli art. 181, 1°
comma, e 309 c.p.c., ma stravolge tutto un sistema processuale basato sulla tipicità dei casi di cancellazione — estinzione —
rimessione al (primo giudice. Non può addursi, a contrariis, che la cancellazione è imposta
proprio dagli art. 181, 1° comma, e 309 c.p.c., adattati al
processo del lavoro, poiché un tale « adattamento » non solo
fuoriesce dai pur ampi limiti dell'interpretazione estensiva delle
norme giuridiche, ma si risolve in una vera e propria manipola zione normativa, al giudice non consentita.
Circa la tesi sub d), la sua inaccoglibilità discende, inoltre, dal
contrasto con l'art. 307, 4° comma, c.p.c., secondo cui « l'estin
zione opera di diritto ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa ».
La tesi sub f), espressa da autorevolissima dottrina, troverebbe il proprio fondamento sia nelle norme che nei procedimenti
speciali di cui al quarto libro del codice di procedura civile, che disciplinano l'ipotesi analoga della inattività delle parti, spe cificatamente gli art. 662 e 707, 2° comma, sia nell'esigenza di
rispettare le peculiarità strutturali e funzionali del rito Speciale nonché il principio della domanda (art. 99 c.p.c.) e gli art. 420, ult. comma, 181 e 309.
Tale teoria è, tuttavia, inaccoglibile. In primo luogo presup
pone l'indimostrata natura di mero rinvio delle udienze di cui
agli art. 181 e 309 c.p.c. In secundis, occorre ribadire, anche in riferimento all'art. 662
c.p.c., quanto già rilevato in merito all'art. 707, 2° comma, c.p.c. Tali norme, in quanto relative, rispettivamente, al procedimento per convalida di sfratto e al procedimento per la separazione personale dei coniugi, disciplinanti l'ipotesi della mancata compa rizione non già di tutte le parti, bensì' di una sola di esse, il
locatore ed il coniuge ricorrente, non si prestano a legittimare alcuna interpretazione estensiva e/o analogica.
La dottrina in esame, inoltre, prospetta, de iure condendo, un modo di chiusura del processo, l'archiviazione, che appare, da iure condito, inaccoglibile, sebbene fondato in una prassi applica tiva adottata nell'ambito di diversi procedimenti.
Va osservato, invero, che l'archiviazione degli atti processuali, istituto previsto nel processo penale dall'art. 74, 2° e 3° comma,
c.pjp., è estraneo al sistema dei mezzi tipici ordinari (cosa giudicata formale e sostanziale: art. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) e straordinari (estinzione ex art. 306 s.s. c.p.c. e conciliazione
giudiziale) di chiusura del processo civile e, pertanto, ammetterla
quale soluzione della fattispecie in esame, richiederebbe non solo « un ardire ermeneutico non indifferente », ma comporterebbe un'inammissibile attribuzione al giudice civile del potere di ar chiviazione.
È, pertanto, opinione del collegio che la mancata comparizione delle parti nel processo del lavoro, all'udienza di discussione,
produca gli stessi effetti previsti, dagli art. 181, 1" comma, 309
c.p.c., per il procedimento di cognizione ordinaria. Il giudice è tenuto a fissare una nuova udienza di cui il
cancelliere dà notizia alle parti costituite, con la conseguenza che al verificarsi di una nuova diserzione bilaterale, la causa dovrà essere cancellata dal ruolo con ordinanza non impugnabile e con
conseguente estinzione se alcuna delle parti non ne avrà chiesto la riassunzione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 307, 1°
comma, c.p.c. (tesi indicata sub g). Che l'ipotesi in esame sia da disciplinare con l'integrale appli
cazione delle norme ordinarie, è un dato, de iure condito, confermato anche dall'art. 311 c.p.c. (norma direttamente operan te nel processo del lavoro in primo grado, stante la collocazione
degli art. 409 a 432, nel capo 1° del titolo IV del libro secondo
del c.p.c.), il quale dispone che il procedimento davanti ai
pretori, per tutto ciò non regolato espressamente, « è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale, in quanto applicabili ».
Mette conto di ricordare, infine, che, sulla stessa linea, la
dottrina ritiene applicabile, nel processo del lavoro, gli istituti della sospensione ed interruzione del processo, in tutte le ipotesi di cui agli art. 295-305 c.p.c.; tesi, quest'ultima, corroborata dalla Suprema corte che ammette la proponibilità del regolamen to preventivo di giurisdizione e di competenza, con il conseguen te effetto sospensivo ex art. 48, 367, 368 c.p.c. (Cass., sez. un., 11
marzo 1974, n. 630, id., 1974. I, 1033; 5 agosto 1977, n. 5320, id.,
1978, I, 694) esteso, quest'ultimo, finanche alle ordinanze di
mutamento di rito e di competenza (Cass. 21 maggio 1980, n.
3340, id., Rep. 1980, voce Competenza civile, n. 203; 14 novem
bre 1980, n. 6102, ibid., n. 216; 14 febbraio 1977, n. 673, id.,
1977, I, 822).
Tanto premesso, avendo il pretore disposto, nel caso di specie,
rispettivamente con ordinanze del 25 settembre 1980 ed 8 giugno
1981, la cancellazione della causa dal ruolo, per mancata compa rizione di entrambe le parti all'udienza di discussione, senza
operare il necessario rinvio di cui al combinato disposto degli art. 181, 1° comma, e 309 c.p.c., l'estinzione del processo, ex art.
307, 2° comma, c.p.c., non poteva essere pronunciata.
L'appello, pertanto, dev'essere accolto, dichiarando illegittima mente disposta, per violazione degli art. 181, 1° comma, 307, 2°
comma, e 309 c.p.c., l'estinzione del processo di primo grado. Ne
consegue, ex art. 354, 2° comma, c.p.c., la rimessione della causa
al Pretore di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro. (Omissis)
TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 21 febbraio 1983; Pres.
Martinetto, Est. Pànzani; Drago e altri (Aw. V. Fanelli,
Bonsignori, Sansone, Treves).
TRIBUNALE DI TORINO;
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi naria delle grandi imprese in crisi — Società sottoposta alla
stessa direzione di società in amministrazione straordinaria —
Fattispecie (D. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
crisi, art. 3; 1. 3 aprile 1979 n. 95, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. unico).
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi
naria delle grandi imprese in crisi — Società di persone —
Estensione della procedura ai soci illimitatamente responsabili — Esclusione (R. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fal
limento, art. 147; d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. 1; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. unico).
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi naria delle grandi imprese in crisi — Conversione del falli mento di una società di persone in amministrazione straordi naria — Fallimento del socio illimitatamente responsabile —
Improcedibilità (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 118; d.l. 30
gennaio 1979 n. 26, art. 4; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. unico).
Il requisito della direzione unica richiesto dall'art. 3, 1° comma, lett. c), /. 3 aprile 1979 n. 95 per l'estensione della procedura di amministrazione straordinaria costituisce una forma di mani
festazione del controllo su cui è fondato il concetto di gruppo accolto dalla legge citata e deve ritenersi esistente quando, ancorché non sussista piena coincidenza degli organi ammini strativi delle diverse società, si realizzino rilevanti collegamenti organizzativi, tecnici, patrimoniali o finanziari resi possibili dalla circostanza che la stessa persona, per le cariche sociali
ricoperte e per la titolarità di azioni o quote, rappresenta l'ispiratore e l'organizzatore dell'attività delle società (nella specie, due società sono state considerate sottoposte alla stessa direzione sulla base dei seguenti elementi di fatto: aj la
inedesima persona era socio accomandatario di una società e
presidente del consiglio di amministrazione dell'altra-, b) tra le
società si erano verificati movimenti finanziari di notevole
importo attraverso l'intermediazione della suddetta persona; c) una società aveva prestato fideiussione a garanzia di obbliga zioni contratte da società appartenenti al gruppo controllato dall'altra società; dj una delle due società aveva ottenuto in
locazione, a prezzo agevolato, un immobile industriale da società controllata dall'altra). (1)
(1) La sentenza ha definito il procedimento nel corso del quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. n. 95/79 nella parte in cui non prevede che nel giudizio per la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria vengano sentiti dal tribunale in camera di consiglio i creditori già istanti per la dichiarazione di fallimento (v. Trib. Torino 23 marzo 1982, Foro it., 1982, I, 2629): la questione è stata ritenuta infondata da Corte cost. 29 dicembre 1982, n. 244, id., 1983, I, 278 e 550, con nota di Lanfranchi.
La decisione in epigrafe ha compiuto una completa e approfondita ricognizione critica delle diverse posizioni emerse in dottrina e in giurisprudenza in merito alla situazione prefigurata dall'art. 3, 1° comma, lett. c), della c.d. legge Prodi, optando a favore dell'indirizzo che riconosce nella direzione unica una particolare connotazione del con trollo, alternativa a quelle previste dalla lett. a) e b), nella quale la configurazione del concetto normativo di gruppo non si esaurisce nell'ipotesi della totale coincidenza degli organi amministrativi delle società, ma abbraccia tutti i casi nei quali, anche indipendentemente dalla composizione di tali organi, sia riscontrabile una effettiva identità delle linee di gestione delle società. Sulla nozione di direzione unica v. Trib. Roma 6 dicembre 1980, id., 1981, I, 1189, citata in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La procedura di amministrazione straordinaria disposta nei con
fronti di una società di persone non può essere estesa ai soci illimitatamente responsabili. (2)
Qualora il fallimento di una società di persone sia convertito nella procedura di amministrazione straordinaria, il fallimento del socio illimitatamente responsabile non può essere chiuso a norma dell'art. 118 l. fall., ma diviene improcedibile con
efficacia ex nunc. (3)
Motivi della decisione. — La ricorrente chiede la conversione del fallimento della s.a.s. Sicmu in amministrazione straordinaria sotto diversi profili.
1. - In primo luogo tra la Sicmu e la Controfin, società posta in amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 1 1. 3 aprile 1979 n. 95, sussisterebbe il rapporto di controllo previsto dall'art.
3, lett. a), della stessa legge. Rileva la ricorrente che le ipotesi considerate dall'art. 3, lett.
a) e b), configurano anche una sorta di controllo « indiretto ». Tale controllo della Sicmu sulla Centrofin deriverebbe dal fatto che il socio accomandatario della Sicmu (Gianfranco Maiocco) e il socio accomandante (Bianca Drago in Maiocco) assommano in sé il 100 % del pacchetto azionario della Centrofin. Essi pertanto — si dice — consentono alla Sicmu attraverso l'intermediazione delle loro persone fisiche di esercitare il controllo indiretto sulla Centrofin.
E tale controllo sarebbe anche più pregnante per il fatto che la Sicmu è una società in accomandita semplice, priva di perso nalità giuridica e dotata di semplice autonomia patrimoniale. Ne
deriverebbe che i soci si identificherebbero con l'accomandita. Infine una diversa forma di controllo indiretto deriverebbe dal
fatto che il Maiocco e la Bianca Drago in Maiocco rivestivano la
qualità di presidente e vice presidente della Centrofin. Sempre attraverso le persone dei soci la Sicmu pertanto avrebbe esercita
motivazione; App. Torino 17 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce
Liquidazione coatta amministrativa, n. 119; Trib. Udine 18 aprile 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 36; Trib. Napoli 13 febbraio 1982, id., 1982, I, 1162, con nota di richiami, cui adde, per la dottrina, Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
crisi, Padova, 1980, 128 ss.; M. Sandulli, L'amministrazione straordi naria della « flotta Lauro », in Dir. fallim., 1982, I, 549; Gasperoni, Grandi imprese in crisi e amministrazione straordinaria, in Riv. dir.
civ., 1981, I, 13 ss.; Valfreda, Estensione della procedura di ammi nistrazione straordinaria a società a direzione unica, in Giur. comm.,
1982, li, 677. Da segnalare che, prima dell'entrata in vigore della 1. n. 95/79,
Cass. 14 settembre 1976, n. 3150, Foro it., 1977, I, 1998, aveva già rilevato che la figura del gruppo è riscontrabile anche quando ricorrano le seguenti condizioni: a) più imprese svolgano un'attività coordinata e interdipendente, sicché appaiono necessariamente informa te ad unità di indirizzo; 6) si assicuri tale unità di principi direttivi mediante la c.d. « unione personale » estrinsecantesi nell'identità dei
dirigenti o dei titolari delle azioni (o delle quote) delle società. Sulla responsabilità degli amministratori delle società collegate a
direzione unitaria, espressamente regolata dall'ult. comma dell'art. 3 1.
n. 95/79, v. Borgioli, « Direzione unitaria » e responsabilità nell'am ministrazione straordinaria, in Riv. società, 1982, 13.
(2) La giurisprudenza è divisa sulla possibilità di estendere la
procedura di amministrazione straordinaria disposta per una società di
persone ai soci illimitatamente responsabili: in senso conforme alla sentenza riportata v. Trib. Napoli 30 aprile 1982, Foro it., Rep. 1982, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 92 (per esteso in Dir.
fallim., 1982, II, 835); l'opposta soluzione è, invece, seguita da Trib. Rieti 9 luglio 1982, Giur. comm., 1983, II, 89, secondo cui alla
procedura regolata dalla 1. n. 95/79 è applicabile il principio c.d. estensivo di cui all'art. 147 1. fall., anche al fine di evitare i pericoli di conflitto tra gli organi dell'amministrazione straordinaria della società e quelli del fallimento dei singoli soci. L'opinione accolta dalla decisione in epigrafe si riallaccia all'orientamento espresso, da ultimo, da Cass. 17 dicembre 1981, n. 6677, Foro it., Rep. 1982, voce Amministrazione controllata, n. 18 (riportata per esteso in Giur. comm.,
1982, li, 606, con nota di Cavazzuti), che ha qualificato come eccezionale la norma ex art. 147 1. fall., inferendone che essa non è
suscettibile di applicazione analogica e non può, quindi, estendersi all'amministrazione controllata.
Anche in dottrina sussiste contrasto in ordine al problema della
estensione dell'amministrazione straordinaria ai soci illimitatamente
responsabili: per l'affermativa v. Sandulli, op. cit., 552 ss.; in senso
contrario v. Alessi, L'amministrazione straordinaria e i soci illimita
tamente responsabili, in Giur. comm., 1983, II, 90 ss.
{3) Non risultano precedenti sulla specifica questione. Per utili
riferimenti v. Colesanti, in Nuove leggi civ., 1979, 759, secondo cui la sentenza di conversione del fallimento in amministrazione straordi naria comporta in pari tempo l'improcedibilità della procedura falli
mentare già in corso. Sui provvedimenti da emettere per la chiusura della procedura di
amministrazione straordinaria, v. Trib. Messina 17 marzo 1982, Foro
it., Rep. 1982, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 139.
to il controllo non soltanto sull'assemblea della Centrofin, ma
anche sull'organo amministrativo. La tesi non convince. È stato giustamente osservato in dottrina
che l'art. 3 1. 3 aprile 1979 n. 95 fa riferimento nelle lett. a) e
b) ad una nozione di « controllo » più ampia di quella considera ta dall'art. 2359 c.c. In particolare mentre l'articolo citato implica un concetto di controllo « verticale », diretto o indiretto, l'art. 3 richiama alla lett. b) anche l'ipotesi del controllo esercitato
attraverso la controllante della società posta in amministrazione straordinaria. La disciplina è quindi resa applicabile anche alle cosiddette società « sorelle », vale a dire che non hanno parteci pazioni dirette o rapporti nella forma del controllo a catena, ma che sono tutte soggette alla medesima capo gruppo.
Al di là di questo rilievo, tuttavia, non vi sono motivi per ritenere che il legislatore nell'impiegare il termine tecnico di « controllo » abbia inteso far riferimento ad un concetto diverso da quello impiegato nell'art. 2359 c.c. La norma ora richiamata, com'è noto, fa riferimento esclusivamente a casi di controllo di una società sull'altra nella forma del possesso di quote od azioni sufficienti per assicurare la maggioranza richiesta per le delibera
zioni dell'assemblea ordinaria e nella forma dell'influenza domi nante sempre in virtù delle quote od azioni possedute o di
particolari vincoli contrattuali.
Ne deriva che il caso in esame non può essere fatto rientrare
tra le ipotesi prese in considerazione dall'art. 3, lett. a), 1. 3
aprile 1979 n. 95, posto che il presunto controllo della Sicmu
sulla Centrofin non sarebbe realizzato nelle forme del controllo
intersocietario, ma attraverso il possesso di quote ed azioni
sociali da parte di una persona fisica, situazione che è estranea
alla nozione di controllo accolta dal nostro legislatore. Anche superando il rilievo ora formulato, resta il fatto che la
Sicmu non può essere considerata controllante della Centrofin.
Gli elementi di fatto posti in evidenza dalla difesa della ricorren
te non sono decisivi. La Sicmu infatti non ha il possesso del
pacchetto azionario Centrofin, che è invece del Maiocco e di sua
moglie, né si può ipotizzare una qualche forma di controllo della
Sicmu sulla persona fisica Maiocco tale da far emergere una
qualsiasi forma di controllo indiretto.
Osservare che l'accomandita semplice Sicmu è priva di perso nalità giuridica e che quindi si confonde con le persone dei soci
è più suggestivo che reale. 11 concetto di autonomia patrimoniale è stato ben sviluppato dalla dottrina e dalla giurisprudenza ed è
comunque certo che la società di persone è centro autonomo di
imputazione di rapporti giuridici, ben distinto dalle persone dei
soci. D'altra parte questi non possono liberamente disporre del
patrimonio sociale, ma soltanto nelle forme di legge, senza tacere che il patrimonio in questione è distinto dal patrimonio personale dei soci ed è vincolato in prima istanza dall'adempimento delle
obbligazioni sociali.
Queste considerazioni non possono essere superate facendo
riferimento al fatto che i due soci dell'accomandita in quanto possessori dell'intero pacchetto azionario della Centrofin sono in
grado di nominare gli amministratori della società, per cui vi sarebbe un controllo della Sicmu non soltanto sull'assemblea
Centrofin, ma anche sull'organo amministrativo.
A prescindere dal rilievo che il potere di nomina degli ammi
nistratori non è altro che un corollario del potere di controllo sulle maggioranze assembleari, derivante dal possesso del pac chezzo azionario di controllo, resta il fatto che questo potere fa
capo ai soci della Sicmu, Gianfranco Maiocco e Bianca Drago, e che soltanto in forza di un'inaccettabile identificazione dei soci con la società in accomandita semplice è possibile trasferire
questo controllo direttamente in capo alla società.
2. - Sostiene ancora la ricorrente che nel caso in esame
sussisterebbe quanto meno il rapporto previsto dall'art. 3, lett. b), della legge in quanto la Centrofin sarebbe la società controllante della Sicmu. La tesi si fonda su considerazioni inverse rispetto a
quelle appena esaminate: la Sicmu sarebbe controllata dalla
Centrofin attraverso le persone fisiche del Maiocco e della mo
glie. Essi infatti, rispettivamente titolari del pacchetto di maggio ranza e del pacchetto di minoranza delle azioni Centrofin, sono
anche titolari delle quote dell'accomandita rispettivamente al 55 e
al 45 %.
Inoltre la Centrofin avrebbe esercitato anche il controllo sul
l'amministrazione della Sicijiu, cioè sul Maiocco, unico accoman
datario. Anche in questa forma si sarebbe realizzato il controllo
indiretto della Centrofin sulla Sicmu.
Anche questa tesi non convince. Di nuovo è sufficiente osser
vare che l'intreccio delle partecipazioni azionarie e della titolarità
delle quote e l'immedesimazione nella stessa persona del Maiocco
della qualità di titolare di un pacchetto azionario di maggioranza (Centrofin) e di accomandatario e quindi amministratore della
Sicmu, non spiega ancora come sia possibile configurare un
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2871 PARTE PRIMA 2872
controllo di una società per azioni su di una persona fisica e
attraverso questa su di una società di persone. Del resto l'infondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente
risulta evidente sol che si rifletta sul fatto che i medesimi
elementi servono per sostenere contemporaneamente che la Cen
trofin sarebbe la controllante della Sicmu e che quest'ultima a
sua volta controllerebbe la Centrofin, affermazioni queste che si
elidono vicendevolmente. La verità è che entrambe le società, Sicmu e Centrofin, fanno
capo a Gianfranco Maiocco che è titolare della maggioranza delle
quote della prima e delle azioni della seconda. Questa situazione
però non può trovare alcuna rispondenza nelle ipotesi « classiche »
di controllo considerate dalla lett. a) e è) 1. 3 aprile 1979 n. 95.
Semmai, e ciò appunto deve essere oggetto di esame approfondi
to, questo elemento unito ad altri può portare a configurare
l'ipotesi della direzione unitaria disciplinata dalla lett. c) dell'art.
3 della legge. 3. - La ricorrente fonda principalmente la domanda di conver
sione sulla sussistenza tra la società Centrofin, posta in ammini strazione straordinaria a mente dell'art. 1 1. 3 aprile 1979 n. 95, e
la s.a.s. Sicmu, dichiarata fallita, del rapporto di direzione unica
previsto dall'art. 3, lett. c), 1. cit.
In estrema sintesi l'unicità di direzione è ravvisata dalla ricorrente in questi elementi: a) i soci della Sicmu e della
Centrofin sono i medesimi (Maiocco è azionista di maggioranza della Centrofin, nonché accomandatario, titolare della maggioran za del capitale sociale, della Sicmu; Bianca Drago in Maiocco è titolare delle residue azioni della Centrofin nonché della restante
parte del capitale sociale della Sicmu, in qualità di accomandan
te); b) Maiocco è accomandatario unico della Sicmu, investito
quindi di tutti i poteri di amministrazione; egli, inoltre, è presi dente del consiglio d'amministrazione della Centrofin; c) inoltre il
Maiocco è investito di cariche all'interno dei consigli d'ammini
strazione delle società controllate direttamente o indirettamente
dalla Centrofin, società che in massima parte sono già state poste in amministrazione straordinaria a mente dell'art. 3, 1° comma, lett. b), 1. cit.; d) esistono inoltre collegamenti di carattere
finanziario, industriale, commerciale tra la Sicmu e la Centrofin e
le società da quest'ultima controllate. Prima di procedere all'esame accurato di questi elementi, allo
scopo di accertarne l'effettività e le dimensioni, occorre provve dere ad un'accurata esegesi dell'art. 3, lett. c).
La norma stabilisce che sono assoggettate alla procedura di
amministrazione straordinaria, previa declaratoria dello stato di
insolvenza da parte del tribunale « le società che in base alla
composizione dei rispettivi organi amministrativi risultano sotto
poste alla stessa direzione della società in amministrazione
straordinaria ».
Due sono i quesiti che la lettura della norma pone immedia tamente all'interprete. In primo luogo ci si domanda se debba
esservi completa identità dei componenti degli organi amministra
tivi; in secondo luogo se una volta ravvisata, comunque, l'esi
stenza di una direzione unica, nel senso di un unico centro di volontà preposto alla guida delle due società, tale elemento debba essere considerato sufficiente per l'ammissione alla proce dura di amministrazione straordinaria della società sottoposta alla stessa direzione, ovvero se occorra anche che, per effetto di tale unica direzione, la società sia collegata con quella già posta in amministrazione straordinaria, in tal modo dal punto di vista
produttivo, commerciale, finanziario da configurare un'unica im
presa, sia pur articolata in diversi soggetti giuridici. Ritiene anzitutto il collegio che l'art. 3, lett. e), ponga special
mente l'accento sull'élemento della « stessa direzione ». In altri termini non ci si può fermare alla circostanza che gli amministra
tori delle società siano in parte diversi, per concludere che non sussiste l'unitarietà di direzione e quindi l'estensibilità della
procedura speciale. Ove si dovesse interpretare il concetto di stessa direzione soltanto in base al dato formale della composi zione degli organi amministrativi, ritenendo che il legislatore abbia inteso dettare una presunzione iuris et de iure di sussisten za della stessa direzione in ipotesi di concidenza dei componenti degli organi amministrativi delle società, non si potrebbe non adottare un criterio interpretativo restrittivo richiedendo la coin cidenza della totalità o quantomeno della maggioranza dei mem bri del consiglio d'amministrazione delle società stesse. Da un lato infatti la semplice coincidenza della persona di alcuni
membri del consiglio d'amministrazione non sarebbe sufficiente ad assicurare la sussistenza di una direzione comune; dall'altro lato la coincidenza della figura dell'amministratore delegato o del
presidente del consiglio d'amministrazione investito di ampi pote ri di gestione della società o ancora dei componenti del comitato esecutivo non sarebbe risolutiva, posto che, come è noto, alcune
funzioni assai rilevanti del consiglio d'amministrazione non sono
delegabili (cfr. art. 2423, 2443, 2446, 2447 c.c.). Basta pensare
all'importanza per la vita sociale della funzione di redazione del
bilancio e del conto economico da sottoporre all'assemblea, per
comprendere come non sia possibile ammettere l'esistenza di una
direzione comune sulla base del dato puramente formale dell'i
dentità dei membri del consiglio d'amministrazione, specie quan do, come nel caso in esame, tale identità sia soltanto parziale (il Maiocco è infatti accomandatario Sicmu e presidente del consi
glio d'amministrazione Centrofin). In questo senso d'altra parte si è espressa la giurisprudenza
finora formatasi sull'argomento: «...l'elemento determinante ai
fini dell'applicazione della norma è l'effettiva condotta imprendi toriale della società (la sua mente direttiva e la fonte della sua
volontà) mentre il criterio della comparazione degli organi ammi
nistrativi non può giovare quando un organo amministrativo è
fittizio e non corrisponde alla reale direzione dell'impresa socia
le » (Trib. Roma 6 dicembre 1980, est. Ferrara, ric. Soc. Genghi
ni, Foro it., 1981, I, 1190). Va dunque verificato, attraverso un'indagine di fatto, che
prescinda dal fatto formale della non totale coincidenza degli
organi amministrativi delle due società, se sussista la « stessa
direzione » richiesta dall'art. 3, lett. c). Come s'è detto, si tratta in particolare di stabilire se per unità
di direzione si debba intendere soltanto la riferibilità delle scelte
imprenditoriali ad un unico centro direzionale, magari estraneo
alle due società interessate, ovvero se debba ritenersi, come
sostiene un'autorevole dottrina, che « la pura e semplice comu
nanza di amministratori può dimostrare l'esistenza di un gruppo
personale in senso stretto, ma non dà vita ad una direzione
unitaria, se non vi sono collegamenti organizzativi, produttivi, finanziari che facciano apparire le diverse società come parti di
una stessa impresa ». Il quesito non è puramente astratto perché, come si vedrà, mentre è indubbio che il Maiocco sia stato la
mente direttiva sia della Centrofin (e delle società direttamente e
indirettamente collegate a quest'ultima) sia della Sicmu, è assai
più arduo individuare elementi di collegamento tra le due società che consentano di considerarle come parti della stessa impresa. Di ciò, d'altra parte, è consapevole la difesa della ricorrente che
ha fatto richiamo al concetto, riferito al Maiocco, del maitre de
l'affaire, vale a dire di colui che coordina ed organizza più attività disparate al fine di trarne profitto.
Nel senso della necessità dell'esistenza di collegamenti tra
società tali da configurare un'unica realtà imprenditoriale sem
brano esprimersi i lavori preparatori della legge: «...i quattro
tipi di rapporti, delineati nel 1° comma, si fondano alternativamente
sul controllo attivo, sul controllo passivo, sull'unicità sostanziale
di direzione, sull'inadempimento superiore ad un terzo del valore
delle attività, proprie delle società indebitate; ed hanno tutti lo
scopo di consentire di raggiungere, al di là del giuridico pluralismo di società, l'unità dell'impresa economica sottostante » (cfr. rela
zione al disegno di legge di conversione).
L'indagine tuttavia deve essere ulteriormente approfondita. Va
infatti osservato in primo luogo che i criteri di collegamento dettati dall'art. 3 della legge e che consentono di porre in amministrazione straordinaria le società che si trovino appunto ad avere quel particolare nesso o relazione con la società già in amministrazione straordinaria, sono alternativi tra di loro e non sembrano in alcun modo postulare l'esistenza di una sostanziale unicità d'impresa sottostante ai diversi schemi societari.
Le ipotesi previste dalle lett. a) e b) dell'art. 3 infatti si fondano sul criterio del « controllo » diretto o indiretto. La
dottrina, come si è avuto modo di rilevare, identifica essenzial mente tale concetto di controllo nella nozione espressa dall'art. 2359 c.c. sia pure con alcune connotazioni diverse. Ne deriva che il rapporto delineato dalle due ipotesi considerate si fonda sul controllo di diritto (possesso della maggioranza del capitale) o di fatto (possesso di una quota di capitale sufficiente per il controllo della società o legami di carattere contrattuale che consentano di esercitare un'influenza dominante). È del tutto evidente che tale tipo di rapporto non postula l'esistenza di un'unitarietà d'impresa. Si tratta anzi di un rapporto espresso in termini puramente formali. Altrettanto può dirsi per quanto concerne l'ipotesi considerata dalla lett. d) dell'art. 3. Il criterio di collegamento è rappresentato dall'aver concesso crediti o ga ranzie alla società in amministrazione straordinaria e alle società di cui agli altri rapporti di collegamento per un importo supe riore, secondo le risultanze dell'ultimo bilancio, ad un terzo del valore complessivo delle proprie attività. In questo caso il legisla tore ha ritenuto che una rilevante esposizione debitoria, nei termini esposti dalla norma, si giustifichi soltanto ove sia presen te un controllo di fatto della società in amministrazione straordi naria sulla società che ha concesso crediti o garanzie. Anche in
questo caso, però, ciò che conta è rappresentato dal « controllo »
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
(ciò a prescindere da casi, pur possibili nella realtà in cui questa rilevante esposizione debitoria sia frutto delle vicende di partico lari rapporti contrattuali, al di fuori di un preciso vincolo di
controllo), che prescinde totalmente dall'esistenza di un'unitarietà
d'impresa sottostante.
Si può ancora osservare che il criterio del controllo (evidente mente di fatto) sta alla base pure dell'ipotesi considerata dalla
lett. c) dell'art. 3. In null'altro infatti che nel controllo si risolve l'unità di direzione.
Sotto altro profilo va notato che i criteri di collegamento dettati dall'art. 3, 1" comma, non valgono soltanto a delineare
quali siano le società attratte nella procedura di amministrazione
straordinaria. Questi criteri infatti, con i quali il legislatore ha
dettato a fini speciali una nozione di « gruppo » sia pur senza
far uso del termine, rilevano anche per individuare le società nei
cui confronti il commissario o i commissari delle società in
amministrazione straordinaria possono esperire l'azione revocato
ria speciale prevista dall'art. 3, 3° comma. E ancora il commissa
rio straordinario è legittimato nei confronti delle società di cui
alle lett. a), b), e) a proporre la denuncia prevista dall'art. 2409
c.c. e può essere nominato amministratore giudiziario delle socie
tà stesse.
Ancora non va dimenticato che ai sensi dell'ult. comma del
l'art. 3 nei casi di società collegate ai sensi del 1° comma
dell'articolo e ove si verifichi una direzione unitaria, gli ammini
stratori delle società che hanno esercitato tale direzione rispon dono in solido con gli amministratori della società in amministra
zione straordinaria dei danni da questi cagionati alla società
stessa.
In conclusione criteri formalmente unici (i criteri di collega mento previsti dal 1° comma dell'art. 3) presiedono a funzioni
diverse: consentono la gestione unitaria da parte del commissario
straordinario di più società che si trovino legate da quei partico lari rapporti; consentono ancora di porre rimedio alle operazioni di svuotamento patrimoniale della società in amministrazione
straordinaria da parte di altre società, frustrando cosi i piani che
talvolta in una logica di gruppo portano a danneggiare una
società e i soci di una società a favore di altre, e ciò anche con
azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori che
hanno diretto le società del gruppo. È peraltro evidente che se può aver senso sottoporre ad
un'unica disciplina varie società a condizione che facciano parte di un'unica impresa quando si tratta di assicurarne la gestione
unica da parte del commissario giudiziale, non ha invece alcun
senso limitare in questi termini il concetto di gruppo accolto dal
legislatore nell'art. 3 della legge quando si debba operare per eliminare le operazioni di svuotamento patrimoniale.
Di qui la conclusione che il concetto di « gruppo » accolto dal
legislatore sia ben diverso dal concetto economico, vale a dire
dalla nozione di entità economica unitaria realizzata attraverso
un sistematico coordinamento delle politiche delle società parte
cipanti, per il conseguimento di fini che trascendono gli interessi
di ciascuna e si identificano con quelli dell'insieme cosi come
interpretati dal suo soggetto economico.
La nozione di gruppo accolta dal legislatore ha quindi caratte
re esclusivamente normativo e risulta imperniata sul concetto di
controllo e di direzione unitaria di un complesso di imprese.
Queste conclusioni sono rafforzate da due ordini di considera
zioni. In primo luogo la disciplina normativa contenuta nell'art. 3
è profondamente diversa da quella espressa, almeno come linea
di tendenza, dal diritto comunitario. È stato infatti osservato che
in quell'ordinamento l'appartenenza al gruppo deriva dall'esisten
za di un rapporto di controllo cui s'accompagna l'effettiva sotto
posizione a direzione unitaria. Nell'art. 3 invece il requisito della
esistenza di una direzione coordinata ed unitaria è alternativo
rispetto alla nozione di controllo e in pratica s'immedesima in
tale nozione, valendo a costituire un'ipotesi, affiancata alle altre
pure previste dalla norma, di controllo « di fatto » di una società
sull'altra.
Anche sotto questo profilo pertanto risulta ingiustificato il
postulare che le società da porre in amministrazione straordinaria
o che già vi si trovano costituiscano dal punto di vista economi
co un'unica impresa. D'altra parte l'obiezione più seria che può essere posta all'in
terpretazione qui accolta è che la ratio legis, individuata nello
scopo di ricondurre il gruppo in crisi all'unicità di governo che
aveva nel suo momento fisiologico, allo scopo di consentirne il
risanamento, risulterebbe del tutto frustrata ove non sussistano
tra le varie imprese vincoli stabili e duraturi che consentano e
anzi richiedano la gestione unitaria del complesso produttivo.
Proprio in vista di questa gestione unitaria la legge prevederebbe la nomina quale commissario della società cui la procedura viene
estesa della stessa persona già precedentemente nominata per la
società per prima assoggettata alla procedura concorsuale. Proprio a questo scopo il potere di chiedere l'estensione sarebbe ricono
sciuto allo stesso commissario straordinario, di cui è comunque prevista l'audizione in camera di consiglio da parte del tribunale nel procedimento di conversione disciplinato dall'art. 4.
In proposito però va osservato che il postulato dal quale muove il ragionamento non è del tutto dimostrato. È indubbio che la relazione al disegno di legge di conversione, prima citata, si pone in quest'ottica. Non va però dimenticato che la ratio
legis è qualcosa di diverso dalla volontà dei proponenti della
legge. Sotto questo profilo va osservato che la legge sembra in
primo luogo preoccuparsi di assicurare al commissario il control
lo di tutte le società insolventi già facenti parti del gruppo, allo
scopo di permettere un esame adeguato della situazione delle varie aziende e l'elaborazione di un programma completo, anche al fine di evitare che determinati comportamenti illeciti degli amministratori possano andare impuniti.
In quetsi termini si esprime la stessa relazione premessa al
disegno di legge di conversione: «... È nata cosi' l'idea di una
procedura di amministrazione straordinaria con la quale... si sostituisce l'imprenditore con uno o più commissari governativi che, dopo aver allargato il procedimento a tutte le società del
gruppo e dopo averle tutte amministrate per il tempo necessario a rendersi conto della situazione delle varie aziende o unità
produttive autonome, propongono un piano di ristrutturazione del
complesso, indicando quali unità siano da risanare e cedere,
sempre funzionanti, a terzi e quali invece siano da liquidare, in conformità a quanto previsto dalla lett. c) del sopra ricordato
programma triennale ».
Dunque la procedura, per quanto finalizzata al risanamento delle imprese facenti parte del gruppo, non esclude la possibilità di liquidazione di talune di esse. Il commissario pertanto potrà, avendo in pugno la stessa situazione già sotto il controllo dei
soggetti che in precedenza avevano il dominio del gruppo, valutare con piena cognizione di causa ogni situazione e prendere i
provvedimenti adeguati, impostando il programma di risanamento soltanto là ove ne vale la pena, liquidando per il resto le altre
imprese. Viene quindi meno l'esigenza di configurare il gruppo come un
complesso economico unitario, posto che il commissario potrà fare autonome e decisive scelte imprenditoriali, del tutto svinco late dalla precedente politica, avendo però all'inizio sotto il
proprio controllo tutte le aziende che già erano sotto la direzione del cessato gruppo dirigente.
Una volta stabilito che il concetto di gruppo cui il legislatore ha inteso far riferimento con l'art. 3 della legge è concetto
normativo, fondato sugli elementi del controllo e della direzione
unitaria, intesa come forma di manifestazione del controllo, e che
quindi si è al di fuori della nozione economica di gruppo, va ancora osservato che l'art. 3, lett." c), parla di « stessa direzione ».
Tale concetto proprio, in quanto va inteso come forma di
manifestazione del controllo, richiede che l'unità di direzione sussista effettivamente e che pertanto la comunanza degli ammi nistratori o comunque degli organi amministrativi, prevista dalla
norma, non si traduca in una semplice « unione personale ».
Ritiene pertanto il collegio di condividere quella interpretazio ne dottrinale che richiede la funzionalizzazione delle diverse attività economiche facenti capo alle diverse società e obiettivi anche parzialmente omogenei, con la conseguente creazione di rilevanti collegamenti organizzativi, tecnici, patrimoniali o finan ziari tra le imprese del gruppo.
In questo senso d'altra parte sembra essersi espressa la stessa
giurisprudenza in una delle poche decisioni (sia pure anteriore
all'entrata in vigore della legge in esame) che hanno affrontato il
concetto di gruppo, affermando che « il gruppo di società, aventi ciascuna autonoma personalità, ma costituite a tutela di comuni
interessi economici (holding in senso generico), può essere consi derato unitario, se non sotto il profilo giuridico, certamente sotto
quello economico » (Cass. 472/64, id., Rep. 1964, voce Società, n. 237).
«... Ciò si verifica non soltanto quando una delle società,
fungente da « capo gruppo » ha il possesso delle azioni (o delle
quote) della società subordinata e quindi la controlla, ma anche
quando, pur non ricorrendo tale circostanza, si abbia però che:
a) più imprese svolgano in sostanza un'attività coordinata e
interdipendente, sicché appaiono necessariamente informate ad
unità di indirizzo (come nel caso in cui si distribuiscano tra di
loro per esigenze di tecnica industriale o di opportunità ammi
nistrativa le varie fasi del ciclo produttivo, ovvero si ripartiscano il ciclo produttivo e il momento distributivo, cioè lo smercio, del
prodotto, ovvero si assegnino rispettive zone di operatività); b) si
assicuri tale unità di principi direttivi mediante la c.d. « unione
personale » estrinsecantesi nell'identità dei dirigenti o dei titolari
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2875 PARTE PRIMA 2876
delle azioni (o delle quote) delle società » (Cass. 14 settembre
1976, n. 3150, id., 1977, I, 1998). È possibile che il legislatore abbia avuto presente questo
principio affermato dalla Suprema corte, dando rilevanza giuridi ca a un fenomeno che la citata pronuncia coglieva soltanto sul
piano di fatto, per inferirne conseguenze giuridiche a proposito di tutt'altra fattispecie.
4. - Si tratta ora di verificare sul piano concreto se nella specie i rapporti tra la società Sicmu e la s.p.a. Centrofin integrino gli estremi richiesti dalla legge per l'applicazione della lett. c) dell'art. 3 e per la conseguente conversione del fallimento in
amministrazione straordinaria.
Dall'esame degli atti e in particolare dalle memorie depositate dal curatore del fallimento Sicmu in data 5 marzo 1982 e
all'udienza del 31 gennaio 1983 nonché dalla memoria depositata dalla ricorrente Bianca Drago in Maiocco alla data del 29
gennaio 1983, risultano le seguenti circostanze:
a) Il Maiocco, come si è già detto, era accomandatario della
Sicmu e presidente del consiglio d'amministrazione della Cen
trofin. Inoltre egli ricopriva o aveva ricoperto le cariche di
amministratore unico e presidente del consiglio d'amministrazio
ne in varie società del gruppo, già poste in amministrazione
straordinaria (Imes, Metalteco, Gianetti, Industriai Habitat, In
termerc).
b) Sia nelle scritture contabili « ufficiali » della Sicmu che
nella contabilità riservata reperita dal curatore del fallimento vi
sono prove di movimenti finanziari per notevoli importi intercorsi
tra Sicmu, Centrofin e le altre società del gruppo controllate da
quest'ultima. Tali rapporti peraltro, secondo le scritturazioni con
tabili, non sono diretti, ma avvengono con l'intermediazione della
persona fisica del Maiocco o della Bianca Drago in Maiocco.
È indubbio che la contabilità della Sicmu è poco credibile e
che in particolare gli accertamenti sin qui compiuti dagli organi del fallimento dimostrano la sostanziale inattendibilità del bilan
cio al 31 dicembre 1980 (ultimo bilancio esistente). Ciò risulta con chiarezza anche dagli atti del presente giudizio di conversio ne e in particolare dalle memorie depositate dal curatore del
fallimento e già ricordate, oltre che dallo stralcio di memoria 28
maggio 1982 diretta al giudice istruttore del Tribunale di Torino, nell'ambito del procedimento penale pendente contro il Maiocco, stralcio che è stato prodotto all'udienza del 31 dicembre 1983.
Ritiene peraltro il collegio che l'inattendibilità del bilancio e l'evidente opinabilità di alcune operazioni contabili effettuate in
occasione della chiusura dei conti per l'anno 1980 (quali l'accre dito del saldo del conto cassa sospesi, ammontante a ben 16.217
milioni e non avente corrispondenza nella realtà di fatto, e del saldo del conto « Maiocco », in cui erano annotati i movimenti finanziari tra la Sicmu e il suo accomandatario, a diminuzione del saldo passivo del conto « effetti passivi »), non escludano che
questi movimenti finanziari siano effettivamente avvenuti. Essi infatti trovano riscontro almeno in parte nella contabilità della Centrofin e delle società da quest'ultima controllate.
In particolare dalle schede contabili Sicmu relative agli anni
1980 e 1981 emerge un saldo a debito del Maiocco (il già citato conto « Maiocco ») per ben 10.190 milioni. Una parte di questi movimenti finanziari ha ad oggetto versamenti o prelievi destinati a società del gruppo Centrofin. Complessivamente dalle schede
contabili risultano versamenti da Sicmu a Centrofin e società controllate nel 1980 per 21.753 milioni e versamenti dalle società del gruppo Sicmu nello stesso periodo per 11.942 milioni, con un saldo a favore della Sicmu per 9.811 milioni.
Nella memoria 31 gennaio 1983 il curatore del fallimento
Sicmu ha ulteriormente elaborato questi dati: risulta che al di là
delle modalità di registrazione delle operazioni (sempre riferite a
prelevamenti o accrediti al Maiocco) alla data del 31 dicembre
1980 risultano versamenti da Sicmu a Centrofin e società control
late per ben 6.750 milioni, di cui 2.394 alla sola Centrofin. A sua
volta la Centrofin annota nelle sue scritture un debito verso i
soci (Maiocco e Bianca Drago in Maiocco) per 3.957 milioni. In
realtà deve ritenersi per quanto si è detto che tale somma fosse
pervenuta dalla Sicmu. Ciò anche perché, come rileva il curatore, numerose partite del secondo semestre 1980, indicate nella conta bilità Sicmu come versamenti alla Centrofin, trovano corrispon denza con le rilevazioni dei conti soci della stessa Centrofin.
c) La Centrofin e le altre società del gruppo hanno rilasciato fideiussioni per rilevanti importi a favore della Sicmu. Tra queste spiccano le fideiussioni a favore del gruppo Barclays con il quale la società fallita ebbe ad intrattenere molteplici rapporti sia di
carattere finanziario (anticipazioni da parte della Barclays Bank di Milano) sia di carattere commerciale (contratti di leasing e di lease-back con varie società del gruppo inglese). La Centrofin sottoscrisse due fideiussioni, una di 6.500 milioni in data 24
febbraio 1981 e l'altra di 3.500 milioni in data 17 marzo 1981.
Un'altra fideiussione venne rilasciata dalla s.p.a. Centroimmobi
liare, controllata Centrofin, per 6.593 milioni. In tutti i casi il
soggetto garantito è la Sicmu, che era ingentemente esposta nei
confronti del gruppo Barclays. Altre fideiussioni per minori importi e a favore di altri gruppi
o banche vennero rilasciate, sempre a favore della Sicmu, da parte di altre controllate Centrofin.
Sempre nell'ambito della notevole esposizione debitoria Sicmu
verso il gruppo Barclays va ricordato che con lettera 17 marzo
1981 la Barclays Leasing International e la Sicmu convenivano
un'erogazione a favore della seconda per 3.450 milioni da ripia narsi con i proventi dei contratti di leasing che la Sicmu si
impegnava a procurare (nella sua qualità di venditore di macchi ne utentili) per un importo mensile non inferiore a 2.500 milioni.
Parte della somma anticipata sarebbe stata utilizzata per ripiana re l'esposizione della Sicmu verso la Barclays Banck International.
L'intera operazione doveva essere garantita, oltre che dalla
fideiussione Centrofin per 3.500 milioni di cui s'è già detto, anche dal pegno delle azioni della società Blimutex detenute dalla
Centrofin. Il consenso al pegno risulta dalla lettera 16 marzo 1981 della Centrofin a firma del vice presidente Bianca Drago in
Maiocco. Con lettera del 24 giugno 1981 la Centrofin vendeva alla Barclays Leasing International i due terzi delle azioni costi tuite in pegno al prezzo di 800 milioni.
Ancora va ricordato che, per consentire 1'antic.ipazione di
somme a favore della Sicmu da parte della Barclays Bank, la
Metalteco, altra società controllata dalla Centrofin, con lettera 19
maggio 1981 a firma Maiocco depositava in garanzia presso la
Barclays Leasing International s.p.a. tratte accettate per 5.300
milioni, ricevute dalla Medafrica Line quale acconto per una
fornitura di containers, e ciò a garanzia dell'adempimento delle
obbligazioni assunte dalla Sicmu nei confronti della società in
questione, in rapporto al pagamento anticipato effettuato dalla
Barclays Leasing International a Sicmu di 4.900 milioni a valere
su futuri contratti di leasing da stipularsi tra la Barclays Leasing
International, la Sicmu e clienti utilizzatori presentati da quest'ul tima.
Non ritiene invece il collegio di poter considerare nell'ambito
di questi rapporti finanziari che condussero la Centrofin e le
società da essa controllate a prestare garanzie a favore della
Sicmu, il conferimento di mandato irrevocabile da parte della
Imes, controllante della s.p.a. Gianetti, per la vendita delle azioni
Gianetti per 3.000 milioni alla Barclays Leasing International, a
fronte del ritiro di cambiali ed assegni Sicmu insoluti. La
vicenda, citata nella memoria 29 gennaio 1983 della ricorrente,
trova infatti un incompleto riscontro documentale ed inoltre
risulta contraddetta dalla circostanza che la Centrofin, richieden
do al tribunale di essere posta in amministrazione straordinaria, dimostrò con la produzione dei libri soci di controllare indiret
tamente al 100 % la Gianetti.
Cosi pure la costituzione in pegno dell'intero pacchetto aziona
rio Centrofin da parte del Maiocco e della moglie a favore della
Barclays Bank, avvenuto il 12 agosto 1981, a garanzia di obbliga zioni Sicmu nei confronti del gruppo Barclays, non dimostra
l'esistenza di particolari rapporti tra la società in amministrazione
straordinaria e la Sicmu, ma soltanto la concessione di garanzie
personali da parte dei soci della Sicmu a creditori della società.
d) La Sicmu ha prestato fideiussione a favore delle società di
leasing, garantendo il pagamento dei canoni da parte delle
società del gruppo Centrofin utilizzatrici delle macchine locate.
Complessivamente queste garanzie sono state prestate per il
11.045 milioni, di cui 7.159 milioni si riferiscono a contratti
stipulati dalla s.p.a. Gianetti.
La circostanza non avrebbe (particolare interesse (essendo nor
male prassi commerciale che il venditore di macchine utensili,
quale era la Sicmu, presti fideiussione a favore della società di
leasing per il conduttore che essa stessa presenta ed essendo il
contratto di leasing intimamente connesso a quello di vendita tra la società fallita e la società di leasing) se non fosse per due
circostanze: a) l'importo ingente di queste operazioni; b) il fatto che queste fideiussioni vennero rilasciate anche per contratti di
leasing stipulati su macchine non consegnate alle società utilizza trici e rimaste nei magazzini Sicmu (quando non vendute a terzi) o addirittura su macchine inesistenti. Dalla memoria 12 marzo 1982 del curatore del fallimento risulta che l'ammontare comples sivo delle fideiussioni prestate a società controllate dalla Centrofin
(Gianetti, Imes, Metalteco) dalla Sicmu per leasing su macchine non consegnate corrisponde a 5.040 milioni e per macchine inesistenti a 3.450 milioni (la non corrispondenza con le cifre
prima citate dipende dal fatto che sono stati adottati dal curatore nelle memorie 12 marzo 1982 e 31 gennaio 1983 differenti metodi di calcolo). Va rilevato che le fideiussioni prestate dalla Sicmu
per i contratti di leasing fittizi (per la mancata consegna o per
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'inesistenza delle macchine) stipulati dalle società del gruppo Centrofìn, acquistano un particolare significato. Tali contratti
infatti consentivano alla Sicmu di incamerare il prezzo di vendi
ta, pagato dalla società di leasing, di una macchina che non
veniva poi consegnata e pertanto la fideiussione veniva a costitui re nei rapporti con la società di leasing il negozio con cui la
società fallita assumeva l'obbligo di restituzione della somma
percetta, quasi che la stessa fosse stata mutuata, anziché erogata in conto prezzo. La fideiussione pertanto veniva prestata più nell'interesse della Sicmu che non delle società del gruppo
Centrofìn, che anzi operavano sussidiariamente, a favore della
società fallita.
e) La Sicmu era concessionaria esclusiva per la vendita degli
impianti di elettroerosione prodotti dalla Imes, controllata Cen
trofìn.
/) La Sicmu ebbe in locazione dalla Centroimmobiliare s.p.a.
(controllata Centrofìn) un immobile industriale sito in Borgaro Torinese della superficie complessiva di circa 3.500 mq., servito
da uffici, cortili e da due carriporte della portata di 20 tonn.
ciascuno. Il canone mensile fu stabilito di 1.500.000 lire mensili.
Secondo i calcoli effettuati dal curatore del fallimento il canone
di mercato sarebbe stato superiore (5.500.000 lire mensili).
g) Vi furono alcuni collegamenti tra Sicmu e Centrofìn anche
in rapporto al personale impiegato e alla prestazione di servizi
dall'una all'altra società. Presso la Sicmu operavano alcuni di
pendenti Cecmu (controllata Centrofìn) per il rimborso delle cui
prestazioni la Centrofìn ebbe ad emettere fattura nei confronti
della società fallita per 221 milioni.
Tra Centrofìn e Sicmu in data 1° gennaio 1980 era stato
stipulato un contratto di consulenza in virtù del quale Centrofìn
avrebbe dovuto fornire a Sicmu servizi riguardanti « l'ammini
strazione, la pubblicità, il marketing e il personale ». In relazione
a questi servizi Centrofìn il 22 ottobre 1980 fatturò a Sicmu 150
milioni. Sembra peraltro, secondo gli accertamenti compiuti dal
curatore del fallimento, che questi servizi di consulenza abbiano
avuto ad oggetto soltanto il settore marketing. In conclusione dall'esame di questi molteplici rapporti si ricava
che indubbiamente la Sicmu e la Centrofìn (in una con le altre
società controllate) presentavano, al momento dell'ammissione del
la seconda società alla procedura di amministrazione straordina
ria, uno scarso grado di integrazione e costituivano certamente
imprese distinte, operanti in settori autonomi.
Non sarebbe certamente lecito inferire dall'esistenza di un
contratto di locazione a prezzi agevolati, o dal rapporto di
commercializzazione delle macchine utensili Imes (che incideva
ben poco sul fatturato Sicmu), o dall'utilizzo di pochi dipendenti e servizi di società del gruppo Centrofìn, la prova dell'esistenza di
quei molteplici collegamenti che, come s'è detto, costituiscono la
prova dell'esistenza di un vincolo di direzione unitaria.
Resta però che tra le due società (e attraverso la Centrofìn con
le società controllate) si sono creati molteplici rapporti e vincoli
di carattere finanziario, agevolati dal fatto, incontestato ed incon
testabile, che il Maiocco era l'ispiratore e l'organizzatore dell'atti
vità sia della Sicmu sia delle società ricomprense nel gruppo
Centrofìn.
Va ricordato che, come rileva il curatore del fallimento nella
memoria del 5 marzo 1982, il gruppo Centrofìn (la Sicmu è
preesistente) si è formato nel corso degli ultimi anni (1979
1980) attingendo largamente alle disponibilità finanziarie della
Sicmu. Scrive il curatore: « Con una politica gestionale spregiu
dicata e sovente realizzata con operazioni illecite, i mezzi finan
ziari e le capacità di credito del gruppo sono state utilizzate in
deroga ad ogni principio di corretta autonomia patrimoniale delle
singole società, per realizzare dei programmi di espansione e
aoquisizione di nuovi complessi aziendali che avrebbero richiesto
una disponibilità di risorse ben superiori; venne in tal modo a
crearsi una sorta di 1 comunione
' di mezzi fra tutte le società
del gruppo Centrofìn, compresa la Sicmu, nel vano tentativo di
soddisfare alle esigenze finanziarie determinate dalla insensata
politica di sviluppo ». Questo modus operandi continuò anche nel
1981, praticamente fino al momento in cui il ritiro del fido da
parte delle banche e la dichiarazione di fallimento che ne segui
tolsero alla società Sicmu la possibilità di operare.
Questo sistema seguito dal Maiocco e dai suoi collaboratori
spiega sia gli ingenti movimenti finanziari dalla Sicmu alle altre
società, sia le operazioni di leasing tra Sicmu e società del
gruppo Centrofìn.
Già si è detto che la maggior parte di tali operazioni di
leasing, che vedevano la Sicmu prestare fideiussione per le
società conduttrici e talvolta provvedere direttamente al pagamen
to dei canoni, sono state compiute in frode alle società stesse,
trattandosi di leasing su macchine inesistenti o rimaste nei
magazzini della Sicmu o ancora di leasing su macchinari già di
proprietà delle società conduttrici. Queste operazioni avevano
tutte il fine comune di consentire, in modo sovente illecito, lo
smobilizzo di disponibilità finanziarie da utilizzare nei programmi di espansione avviati dal Maiocco. Anche i finanziamenti dalle
società del gruppo Centrofin alla Sicmu e da quest'ultima alle
prime, contabilizzati in modo irregolare, vanno inquadrati in
questa generale politica per cui senza riguardo all'autonomia
patrimoniale delle singole società si portavano le disponibilità finanziarie ove più faveva comodo perseguendo programmi di
espansione e sviluppo che avrebbero richiesto ben altri tempi e
l'appoggio di un serio gruppo finanziario. E sempre in questa
prospettiva va visto l'ingente numero di fideiussioni prestate da
società del gruppo Centrofin alla Sicmu, fideiussioni che, allo
stesso modo dei finanziamenti e delle operazioni di leasing, erano
attuate senza alcuna contropartita per le società fideiubenti.
Proprio l'esistenza di questi vincoli e la mancanza di ogni
rispetto per l'autonomia patrimoniale delle singole società, nel
quadro di una visione generale degli interessi del « gruppo »,
prova, al di là della evidente illiceità di molte operazioni, l'esistenza della direzione unitaria. Sicmu e Centrofin non aveva no in comune soltanto l'amministratore (nella persona del Maioc
co) e i soci, ma erano gestite unitariamente dal punto di vista
finanziario, nell'ambito della ricerca e dell'impiego dei mezzi necessari per la vita di ciascuna impresa. Va quindi accolta la domanda della ricorrente Bianca Drago in Maiocco per la con versione del fallimento della s.a.s. Sicmu di Gianfranco Maiocco & C., in amministrazione straordinaria.
5. - Maiocco Gianfranco, intervenuto nel presente giudizio di
conversione, ha richiesto con la comparsa di intervento che
venisse giudizialmente accertato, in conseguenza dell'ammissione della Sicmu alla procedura di amministrazione straordinaria, « il
venir meno dei presupposti per la dichiarazione del suo fallimen
to in proprio ». Successivamente peraltro con le memorie 8 marzo 1982 e 29 gennaio 1983 egli ha richiesto che il tribunale
dichiarasse la chiusura del suo fallimento, in applicazione analo
gica dell'art. 118 1. fall, ovvero l'improcedibilità dello stesso.
Osserva anzitutto il collegio che il Maiocco è stato dichiarato fallito dal tribunale ai sensi dell'art. 147 1. fall, per la sua qualità di socio accomandatario, illimitatamente responsabile, della socie tà fallita.
Il suo fallimento pertanto ha carattere accessorio a quello della società e consegue direttamente alla responsabilità illimitata pro
pria dell'accomandatario.
È certo che l'ammissione di una società di persone alla
procedura di amministrazione straordinaria non comporta l'assog gettamento alla medesima procedura del socio illimitatamente
responsabile. Ciò risulta sia dalla disciplina dettata dalla 1. 3
aprile 1979 n. 95, che non regolamenta espressamente la sorte del
socio illimitatamente responsabile, sia dal fatto che l'art. 1 della
legge richiama le norme in tema di liquidazione coatta ammini
strativa. In quest'ultima procedura, com'è noto, l'art. 211 1. fall,
prevede che il commissario liquidatore, dopo il deposito dello
stato passivo e con l'autorizzazione dell'autorità di vigilanza, possa richiedere ai soci illimitatamente responsabili le somme che
egli ritiene necessarie per l'estinzione delle passività. Il procedi mento è quello stesso previsto dall'art. 151 1. fall, per i soci
illimitatamente responsabili delle società cooperative, sostituendosi al giudice delegato il presidente del tribunale e al curatore il commissario liquidatore.
Ne deriva pertanto che nella liquidazione coatta amministrativa il socio illimitatamente responsabile, pur continuando a risponde re con tutto il suo patrimonio per le obbligazioni sociali, non è
assoggettato direttamente alla procedura. In forza del richiamo contenuto nell'art. 1 1. 3 aprile 1979 n. 95, tale principio non
può non valere anche per la ipotesi di società di persone ammessa all'amministrazione straordinaria.
Il vincolo di accessorietà tra il fallimento del socio e quello della società importa che il tribunale pronunci sulla sorte del
primo nel momento in cui dispone la conversione del secondo in amministrazione straordinaria. Militano in tal senso sia il princi pio di carattere generale per cui le pronunce accessorie debbono essere assunte unitamente a quelle sul diritto processuale genera
le, sia il rilievo che al di fuori dell'ipotesi della pronuncia
sull'opposizione alla dichiarazione di fallimento (che costituisce
un evento meramente accidentale) non si saprebbe riconoscere
quale altro mezzo processuale spetterebbe al socio fallito, al di
fuori appunto dell'intervento nel giudizio di conversione del
fallimento della società, per fa valere l'improseguibilità del suo
fallimento.
Non ritiene il collegio di poter configurare un'ipotesi di appli cazione analogica dell'art. 118 1. fall, nel caso in esame. È
indubbio infatti che la norma ora richiamata prevede, secondo
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2879 PARTE PRIMA 2880
l'indicazione pressoché unanime della dottrina, un'elencazione
tassativa, insuscettibile di interpretazione analogica. Deve invece ritenersi che il fallimento di Gianfranco Maiocco
debba essere dichiarato improcedibile, per fatto sopravvenuto. Non va infatti dimenticato che il fallimento ha carattere di
procedimento e che la conversione del fallimento in procedura di
altro tipo, in una con il vincolo di accessorietà tra quel fallimen
to e quello del socio, per il quale non è prevista la possibilità di
applicazione della diversa procedura, non può che importare la
declaratoria dell'improseguibilità. Va peraltro precisato che tale declaratoria fa seguito ad un
fatto sopravvenuto e che pertanto essa ha efficacia ex nunc. Anzi, essendo collegata alla conversione del fallimento, tale efficacia si
produce dal momento dell'emanazione del decreto del ministro
dell'industria che ammette la s.a.s. Sicmu alla procedura di
amministrazione straordinaria.
Come conseguenza della declaratoria d'improcedibilità del fal
limento personale di Gianfranco Maiocco viene meno l'obbligo di
residenza ex art. 49 1. fall, e va quindi revocato, per quanto di
competenza di questo giudice, l'ordine di ritiro del passaporto
disposto con la sentenza 10 dicembre 1981 dichiarativa del
fallimento.
TRIBUNALE DI SIENA; sentenza 19 gennaio 1983; Pres. Gial
longo, Est. Cappelletti; Dell'Orso e altro (Avv. Notari) c.
Sali (Avv. Comporti).
TRIBUNALE DI SIENA; s
separazione di coniugi — Coniuge non antidatano dei tigli avente diritto a mantenimento — Assegnazione delia casa familiare
appartenente all'altro coniuge — Diritto del coniuge assegna tario — Natura — Opponibilità al terzo acquirente — Esclu
sione (Cod. civ., art. 156).
L'assegnazione giudiziale al coniuge non affidatario di figli mino
ri della casa familiare di proprietà dell'altro coniuge, inqua drandosi nell'ampio concetto di mantenimento di cui all'art.
156 c.c., non costituisce a favore del coniuge assegnatario un
diritto reale sull'immobile, ma dà luogo a un semplice diritto
personale di godimento gravante sull'altro coniuge e non oppo nibile al terzo acquirente. (1)
Diritto. — L'appello proposto appare fondato e merita acco
glimento. È invero necessario ai fini del decidere qualificare la natura
giuridica del diritto scaturente dal provvedimento emesso dal
presidente del tribunale in sede di separazione dei coniugi ed in
(1) Non constano precedenti in termini. La pronunzia dà per scontato che, in sede di separazione, l'assegna
zione della casa familiare al coniuge non titolare del diritto di godimento sull'immobile può essere giudizialmente disposta anche ove esso non sia affidatario di figli minori. L'ammissibilità di detta assegnazione è tutt'altro che incontroversa: in senso affermativo (con trariamente alla giurisprudenza consolidatasi in precedenza), cfr. Cass. 19 giugno 1980, n. 3900, Foro it., 1981, I, 1381, con nota di Jannarelli, L'assegnazione della casa familiare nella separazione per sonale dei coniugi, con richiami di giurisprudenza e dottrina an che sul tema della natura giuridica del diritto di godimento del coniuge assegnatario specificamente affrontato nella sentenza in epigrafe; in senso opposto, v. Cass., sez. un., 23 aprile 1982, n. 2494, id., 1982, I, 1897, criticamente annotata da Jannarelli. Ai richiami di cui alle note citate adde, nel senso della massima, App. Roma 27 luglio 1979, id., Rep. 1980, voce Separazione coniugi, n. 69, e, con riferimento all'assegnazione della casa familiare disposta con verbale di separazione consensuale, App. Roma 11 gennaio 1982, Temi romana, 1982, 162.
Sull'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori, cfr. Cass. 1° febbraio 1983, n. 858, Arch, locazioni, 1983, 55, e, con riguardo agli effetti dell'assegnazione sul preesistente rapporto di locazione e sulla legittimazione ad agire in via possessoria, v. Cass. 18 giugno 1982, n. 3734, Foro it., Rep. 1982, voce Possesso, n. 78.
In sede di divorzio, il godimento della casa coniugale non può essere giudizialmente attribuita al coniuge non titolare di un diritto reale o personale sull'immobile nemmeno quando esso sia affidatario di figli minori: cfr. Cass. 21 ottobre 1981, n. 5507, id., 1982, II, 87, con osservazioni critiche di Macario; difformemente dalla pronunzia ri chiamata v. Jannarelli, L'assegnazione della casa familiare, cit.
In tutt'altra prospettiva, Pret. Bari 21 aprile 1981, id., Rep. 1982, voce Locazione, n. 419, ha rilevato che il provvedimento del presiden te del tribunale che, in sede di comparizione delle parti in giudizio di
separazione, assegna la casa coniugale al coniuge non titolare del diritto di godimento sulla stessa, costituisce, per l'altro coniuge, ipotesi di necessità legittimante l'esercizio della facoltà di recesso di cui all'art. 59, n. 1, 1. 392/78.
virtù del quale la casa coniugale (successivamente alienata dal
marito Pistoiesi Rivo agli odierni appellanti) veniva concessa in
uso alla Sali.
Va decisamente respinta la tesi di parte appellata per cui nel
caso di specie si dovrebbe configurare un vero e proprio diritto
reale di abitazione opponibile, quindi, anche agli acquirenti.
Innanzitutto perché qui non si verte nell'ipotesi dell'art. 155
c.c. non risultando la Sali afiìdataria di figli minorenni (peraltro anche in tal caso per nulla pacifico sarebbe qualificare come
diritto reale quello scaturente dal provvedimento giudiziale) ed in
secondo luogo perché nemmeno nel provvedimento emesso dal
presidente del Tribunale di Siena si parla di « abitazione », ma
solo di «assegnazione» della casa «in uso». Né poi (come è
pacifico) la Sali risulta che avesse sulla casa alcun diritto reale o
personale risalente ad epoca antecedente la separazione dei coniugi.
Ora è che il provvedimento di assegnazione della casa alla Sali
può trovare la sua giustificazione probabilmente nel fatto che
appena prima il Pistoiesi Rivo si era dichiarato disposto a
corrispondere alla moglie un assegno mensile di lire 200.000 ed a
lasciarle l'uso dell'appartamento coniugale. È probabile quindi che il provvedimento presidenziale abbia risentito di questa « disponibilità » del coniuge: pertanto, l'assegnazione dell'uso del
la casa coniugale alla Sali rientra nel concetto assai ampio di
« mantenimento » (v. art. 156, 1° comma, c.c.) e rientra quindi non nella categoria dei diritti reali, bensì in quella dei diritti
personali: in questa ottica, la casa d'abitazione, nel provvedimen to temporaneo assunto dal presidente del tribunale, non può essere quindi considerata se non come uno strumento attraverso
il quale si realizza, in parte, sul piano del rapporto debito-credito
che lega i coniugi separati, il soddisfacimento dei bisogni dell'a
limentando.
Per questo il diritto del coniuge a godere dell'abitazione non
trova altro fondamento che nell'obbligazione gravante sull'altro
coniuge, non è diritto reale, né tantomeno è un'obbligazione
propter rem (od obbligazione reale che dir si voglia) che è quella a carico di una persona se ed in quanto è proprietaria o titolare
di un diritto reale su di un bene: non segue quindi le sorti del
bene non è cioè suscettibile di trasferimento da una persona all'altra con il trasferimento del bene. Né poi risulta dal contrat
to di compravendita intercorso tra il marito della Sali e gli
appellanti che questi ultimi si siano assunti l'obbligazione gravan te sul primo in conseguenza del provvedimento presidenziale
sopra citato.
Non può, infatti, aver determinato un trasferimento di tale
obbligazione (tipicamente personale) la semplice dichiarazione
fatta dal Pistoiesi Rivo e recepita nel contratto laddove si legge che « lo stesso dichiari altresì che il quartiere è abitato da Sali
Rita in conseguenza di provvedimento del presidente del Tribuna
le di Siena del 23 gennaio 1979 dinanzi al quale pende causa di
separazione personale dei coniugi » : la presa d'atto di tale
situazione da parte degli acquirenti non potrà equivalere ad una
manifestazione di volontà, ancorché implicita, di assunzione del
l'obbligazione.
E quindi la perdita della proprietà dell'immobile da parte del
Pistoiesi ha fatto venir meno lo strumento per il quale (fino ad
allora) veniva ad essere in parte soddisfatto il diritto della Sali
al mantenimento, con il conseguente obbligo per la stessa di restituirlo al nuovo proprietario.
Né si potrà dire che in tal modo verrebbe ad essere eluso il
fine perseguito dal provvedimento presidenziale! Infatti si rile
va: in primo luogo il diritto scaturente dall'assegnazione non
potrebbe essere a tempo indeterminato, fino al decesso del
beneficiario, in quanto se cosi fosse si ricadrebbe nell'ipotesi del
diritto reale, che deve — come sopra spiegato — essere scartata; in secondo luogo che il provvedimento presidenziale ha carattere
provvisorio ed urgente ed è suscettibile di modifica non solo in
sede di decisione collegiale, ma anche ad opera del giudice istruttore quando si siano verificati mutamenti nelle circostanze che hanno determinato l'ordinanza presidenziale (art. 708, ult.
comma, c.p.c.).
Ed allora si vede bene come alla convenuta appellata non sia venuta meno, dopo la vendita della casa coniugale, la possibilità di essere tutelata di fronte al coniuge obbligato al di lei mante
nimento, in quanto la stessa ben avrebbe potuto ricorrere all'i struttore della causa di separazione onde ottenere una congrua rivalutazione dell'assegno di mantenimento in proporzione al
perduto godimento gratuito dell'abitazione, o comunque al fine di ottenere che fosse posto a carico del marito il pagamento del canone di locazione che resulta fin dal primo momento esserle stato richiesto da parte degli acquirenti; ed in questo caso l'ordinanza presidenziale avrebbe potuto nella sostanza essere
conservata.
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