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sentenza 24 aprile 1987; Pres. Teti, Est. Millozza; Cassa rurale e artigiana di Bressa (Avv.Campeis) c. Fall. soc. Di Giusto e Dosso (Avv. Buliani)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3149/3150-3151/3152Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179141 .
Accessed: 25/06/2014 06:02
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
penso in favore dei medici certificanti con un vincolo giuridico certamente produttivo di effetti.
Né giova all'appellante il richiamo al diverso convincimento di organi amministrativi, sia pure autorevoli, attesa la chiara di
zione della norma, tuttora vigente, e l'esplicito riconoscimento
del dovere di corresponsione del compenso da parte dell'I.n.a.i.l. nel relativo certificato.
Non resta quindi che rigettare l'appello dell'I.n.a.i.l.
TRIBUNALE DI UDINE; sentenza 24 aprile 1987; Pres. Teti, Est. Millozza; Cassa rurale e artigiana di Bressa (Avv. Cam
peis) c. Fall. soc. Di Giusto e Dosso (Aw. Buliani).
TRIBUNALE DI UDINE;
Fallimento — Azione revocatoria fallimentare — Fallimento di
imprenditore apparentemente individuale successivamente este
so al socio occulto e alla società di fatto — Termine annuale
di esperibilità dell'azione revocatoria — Decorrenza (R.d. 16
marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67, 147).
Nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento di imprenditore indivi
duale seguita dall'estensione del fallimento al socio occulto e
alla società di fatto si è in presenza di un 'unica fattispecie co
stituita da due sentenze che si integrano a vicenda e da un solo
procedimento concorsuale con più masse passive, con la conse
guenza che il termine di un anno per l'esperibilità dell'azione
revocatoria fallimentare (nella specie, della prelazione ipoteca ria a garanzia di un credito verso la società) deve essere com
putato dalla data della prima sentenza, con cui è stato dichiarato
il fallimento dell'imprenditore apparentemente individuale, e non
dalla data della successiva sentenza con cui il fallimento è stato
esteso a! socio occulto e alla società. (1)
(1) La sentenza riportata si discosta dall'orientamento segnato dalla
giurisprudenza della Cassazione e riprende un filone interpretativo da molti anni pressoché abbandonato dai giudici di legittimità e di merito.
La tesi della natura integrativa e rettificativa della sentenza di estensio ne ex art. 147 1. fall., i cui effetti — compreso quello della decorrenza dei termini per l'esercizio dell'azione revocatoria — dovrebbero essere ricondotti alla prima pronuncia di fallimento del socio ritenuto imprendi tore individuale è stata, un tempo, prevalente in giurisprudenza: cfr., in senso conforme alla sentenza in epigrafe, App. Genova 16 aprile 1964, Foro it., Rep. 1964, voce Fallimento, n. 244; Trib. Roma 13 gennaio 1966, id., Rep. 1966, voce cit., n. 529; Trib. Genova 16 maggio 1963, id., Rep. 1964, voce cit., n. 246; Trib. Napoli 16 maggio 1960, id., 1961, I, 757, con osservazioni di Andrioli; Trib. Roma 22 aprile 1960, id.,
Rep. 1960, voce cit., n. 385; Trib. Milano 29 maggio 1959, id., Rep. 1959, voce Società, n. 196; Trib. Roma 7 gennaio 1957, id., 1957, I, 1836. L'efficacia ex tunc della sentenza di estensione è stata sostenuta in dottrina da Pazzaglia, Fallimento dichiarato come individuale di im
presa collettiva, in Dir. fallim., 1952, I, 225; Id., Società di fatto e falli mento: questioni vecchie e nuove, id., 1954, II, 117; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, III, 2091 ss.; Candian, Fatti della
giurisdizione che non ha tempo da perdere, in Dir. fallim., 1953, II, 59;
Jaus, Sempre in tema di decorrenza degli effetti, de! fallimento del socio
occulto, id., 1962, It, 352; Bonazza, Efficacia nel tempo detta sentenza c.d. di «estensione» di fallimento, id., 1971, I, 96. Per recenti prese di
posizione a favore della natura rettificativa della sentenza di estensione e della retrodatazione degli effetti, v. Trib. Verona 26 febbraio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 589, e D. Tedeschi, Ancora in tema di decorrenza degli effetti della sentenza c.d. di «estensione»
del fallimento, in Fallimento, 1983, 1227.
Una decisa svolta in materia è stata segnata da una serie di pronunce emesse dalla Cassazione nel 1961 (sent. 15 marzo 1961, n. 583, Foro
it., 1961, I, 756, con nota di Andrioli; 23 maggio 1961, n. 1216, ibid.,
899; 7 ottobre 1961, n. 2048, ibid., 1423), che, confutando la tesi della
natura meramente rettificativa della sentenza di estensione (in tale dire
zione v., però, Cass. 24 gennaio 1959, n. 200, id., 1959, I, 1337), ne
hanno affermato la natura autonoma e l'efficacia costitutiva, con esclu
sione della possibilità di retrodatazione degli effetti: su questa stessa linea
v. Cass. 2 agosto 1968, n. 2746, id., Rep. 1968, voce cit., n. 508; 28
settembre 1973, n. 2447, id., Rep. 1974, voce cit., n. 631; 6 giugno 1975, n. 2238, id., Rep. 1975, voce cit., n. 627; 11 novembre 1977, n. 4883,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 425; Trib. Roma 25 marzo 1977, id., Rep.
1977, voce cit., n. 495; Trib. Genova 15 aprile 1976, ibid., n. 494. A
sostegno della natura autonoma della sentenza di estensione, in dottrina
Carnelutti, Fallimento . . . senza dichiarazione, in Riv. dir. proc., 1953,
I, 239; Mìccio, La sentenza di «estensione» del fallimento al socio occul
to e sua irretroattività, in Riv. dir. comm., 1956, II, 395; Bigiavi, La
sentenza c.d. di estensione del fallimento alla società occulta, in Riv.
Il Foro Italiano — 1987.
Diritto. — Il tribunale non ignora che la Cassazione, per la
prima volta con la sent. 5 marzo 1961, n. 583 (Foro it., 1961,
I, 756), e successivamente, con l'ultima sent. 11 novembre 1977, n. 4883 (id., Rep. 1978, voce Fallimento, n. 425), ha avuto modo di affermare che la dichiarazione di fallimento di un imprendito re individuale, seguita dalla dichiarazione di fallimento di società di fatto fra l'imprenditore stesso ed altro o altri soggetti, non
impedisce che i fallimenti restino formalmente e sostanzialmente
distinti, e ciò nonostante che il procedimento sia unico e cumula
tivo. Da questa affermazione la Suprema corte fa discendere la
conseguenza che il termine di un anno per l'esperibilità dell'azio
ne revocatoria avverso il pagamento di un debito della società, va computato con riguardo al giorno della dichiarazione di falli
mento della società medesima e non a quello antecedente del fal
limento del socio in proprio.
Ora, se è vero che il giudice di merito, quando è chiamato
a decidere questioni che presentino incertezze interpretative, ha
il dovere, una volta che sia intervenuta una pronuncia della Cas
sazione, di adeguarsi alla soluzione da questa adottata, è però altrettanto vero e doveroso che lo stesso giudice di merito possa
esprimere il proprio dissenso quando, come nel caso di specie, la tesi accolta dalla Corte regolatrice si ponga in contrasto con
consistente giurisprudenza e qualificata dottrina e determini pale si e gravi squilibri nell'attuazione pratica.
Dice la Suprema corte, per sostenere la sua tesi, che «l'ordina
mento giuridico vigente prevede l'istituto della correzione delle
sentenze non appellate, ma non anche l'istituto della rettificazio
ne di sentenza, per l'ovvia esigenza della certezza dei rapporti
giuridici e della inviolabilità del giudicato. Anche nei confronti
della sentenza dichiarativa di fallimento opera la preclusione del
giudicato per cui, in mancanza di impugnazione, il contenuto del
provvedimento deve restare fermo» (cosi sent. 583 del 1961). La Suprema corte (erroneamente, a parere del collegio), trasfe
risce pari pari nel processo di fallimento principi e regole che
non solo non sono specificamente previsti, ma neppure si adatta
no ai particolari fini di questo procedimento speciale. Cosi facen
do si dimentica che, tra la prima sentenza e quella c.d. di
estensione, esiste un legame indissolubile e che entrambe danno
vita ad un unico procedimento concorsuale con più masse passi ve: quella della società e quella di ciascun socio. Non si tiene
conto del fatto che la dichiarazione di fallimento del socio occul
to e della società di fatto formata da quest'ultimo e dall'altro
soggetto già dichiarato fallito come imprenditore individuale, non
è altro, sotto il profilo patrimoniale, che il completamento, o
la conclusione, dell'/to' procedurale che ha avuto inizio con la
prima sentenza. Come è possibile in una simile situazione parlare di preclusione nascente dal giudicato, quando la sentenza origi naria non viene contraddetta (e neppure mutata, per quanto ri
guarda gli accertamenti di base rappresentati dallo svolgimento dell'attività di impresa e dallo stato di insolvenza), ma solo inte
grata sotto l'aspetto soggettivo con l'individuazione di una im
dir. civ., 1956, II, 336; Andrioli, Fallimento (dir. priv. e proc.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1967, XVI, 308; Ferrara, Il falli mento, Milano, 1974, 644 ss.; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1974, 351; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1981, 681. A tale indirizzo va ricondotta la posizione di Bianchi d'Espinosa, Sulla senten za di «estensione» del fallimento e suoi effetti, in Riv. dir. comm., 1961, II, 217, che, pur attribuendo alla sentenza di estensione carattere revoca torio e natura integrativa rispetto alla prima dichiarazione di fallimento, sostiene che lo status di fallito del socio occulto e della società è costitui to soltanto dalla sentenza emessa ex art. 147 1. fall., sicché, stante anche il rigore dei termini legali, deve escludersene la retroattività.
Per una posizione intermedia v. Trib. Lucca 9 giugno 1978, Foro it.,
Rep. 1979, voce cit., n. 561 (riportata in Dir. fallim., 1978, II, 670, con note di Bronzini e di Bicocchi), secondo cui mentre gli effetti personali decorrono dalla sentenza di estensione, quelli patrimoniali retroagiscono alla data della prima sentenza.
Con riferimento alla dichiarazione di fallimento di un socio illimitata
mente responsabile successiva a quella della società, v. Cass. 23 maggio
1961, n. 1216, cit., che, al pari di quanto deciso per il caso in cui la
società occulta sia dichiarata successivamente fallita, ha ritenuto che gli effetti, per ciascun soggetto, decorrono dalle singole dichiarazioni di fal
limento: in senso contrario, cfr. Trib. Brescia 14 febbraio 1986, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., n. 377, secondo cui per il computo del termine
per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare di un atto compiuto dal socio fallito in estensione occorre fare riferimento alla data della sen tenza che ha dichiarato il fallimento della società e non alla data della
sentenza di fallimento del socio. Sull'argomento, v. A. Nigro, Il falli mento del socio illimitatamente responsabile, Milano, 1974, 194, ss.
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3151 PARTE PRIMA 3152
presa sociale in luogo di una impresa individuale, ovvero aggiun
gendo alla società già dichiarata fallita un socio che era rimasto
nascosto?
Un valido conforto agli argomenti svolti può trarsi dalla consi
derazione che, nell'eventuale giudizio di opposizione alla senten
za di estensione, non è possibile più discutere né della qualità di impresa commerciale, né della decozione (trattandosi di ele
menti già acquisiti), ma esclusivamente della partecipazione del
socio successivamente scoperto. Solo in questo senso è possibile
parlare di giudicato preclusivo di ulteriori accertamenti, ma non
nel senso affermato dalla Cassazione che parla di due sentenze
e di due fallimenti formalmente e sostanzialmente distinti. Vi so
no, invece, due sentenze che si integrano a vicenda e un solo
procedimento concorsuale con tanti stati passivi quanti sono i
soci più la società, come accade quando, fin dall'origine, si di
chiara il fallimento della società e dei soci personalmente e illimi
tatamente responsabili. Non c'è, dal punto di vista sostanziale, differenza alcuna, salvo la particolarità che, nel caso della sen
tenza c.d. di estensione, l'accertamento della reale situazione di
fatto e di diritto avviene in due tempi anziché in un tempo solo,
e ciò, non per errore o per negligenza, ma per effetto di una
rappresentazione delle cose non corrispondente al vero.
D'altra parte, non si comprende bene perché mai la retroattivi
tà debba essere negata (agli effetti della decorrenza del termine
per l'esercizio della revocatoria) nel caso della sentenza di esten
sione e debba, invece, riconoscersi nell'ipotesi di fallimento di
una società di fatto e dei soci, conseguente a concordato preven
tivo, in cui il «termine per l'azione della revocatoria, in ordine
all'ipoteca giudiziale iscritta sui beni del socio in relazione ad
obbligazioni personali di quest'ultimo, decorre dalla data del de
creto di ammissione della società alla procedura di concordato
preventivo e non dalla data della dichiarazione di fallimento del
socio» (cosi Cass. 28 giugno 1979, n. 3614, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 282, e 23 maggio 1979, n, 2983, ibid., n. 283). Non si comprende questa diversità, si diceva, perché nel campo del dirit
to fallimentare, che è preordinato a fini particolari e diversi da
quelli che regolano il processo civile ordinario, si vuole impedire che qualche creditore possa precostituirsi diritti di prelazione in
violazione del principio della par condicio creditorum che rappre senta il cardine del processo di fallimento. Scopo della revocato
ria fallimentare, infatti, è la reintegrazione del patrimonio del
fallito per salvarlo, nell'interesse della massa, dagli abusi posti in essere nel periodo sospetto, che decorre dalla data della sen
tenza dichiarativa di fallimento dell'impresa apparentemente in
dividuale al momento della pronuncia, ma dimostratasi
successivamente impresa sociale.
A conclusione di quanto detto, il collegio ritiene giusto affer
mare che la sentenza che per prima ha accertato lo stato di insol
venza dell'imprenditore (nella specie individuale) fa stato, agli effetti di tale accertamento, anche per la sentenza c.d. di esten
sione che non è autonoma e svincolata dalla prima, ma integrati va di questa. Da ciò deriva che il computo del termine dell'azione
revocatoria fallimentare decorre dalla data della sentenza dichia
rativa del fallimento di Di Giusto Stenio (3 febbraio 1984) anche
per quanto riguarda i beni della di lui moglie e socia Dosso Nella
dichiarata fallita con la sentenza di estensione datata 18 ottobre
1984. Poiché l'ipoteca della Cassa rurale ed artigiana di Bressa è sta
ta iscritta il 25 giugno 1983, e cioè nell'anno anteriore alla sen
tenza dichiarativa di fallimento di Di Giusto Stenio, il giudice delegato bene ha fatto a contestare e revocare il preteso privile
gio. L'opposizione va perciò rigettata.
li Foro Italiano — 1987.
I
TRIBUNALE DI CAMERINO; sentenza 22 aprile 1987; Pres.
Passarelli, Est. Iacoboni; Università degli studi di Camerino
c. Ellard e altri (Avv. Cinelli, Bommarito).
TRIBUNALE DI CAMERINO;
Istruzione pubblica — Università — Lettori di lingua straniera — Assunzione mediante contratti di diritto privato — Rappor to di lavoro subordinato (D.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, riordi
namento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione
nonché sperimentazione organizzativa e didattica, art. 28).
Il rapporto di lavoro intercorrente tra lettori di lingua straniera
e università degli studi, stipulato con contratto di diritto priva
to, secondo l'espressa formulazione dell'art. 28 d.p.r. 1J luglio 1980 n. 382, si configura come un rapporto di lavoro subordi
nato e non come prestazione d'opera professionale. (1)
II
PRETURA DI PAVIA; ordinanza 20 luglio 1987; Giud. de An
gelis; Cohade-Falasehi e altro (Avv. Bianchi, Nespor, Ada
vastro) c. Università degli studi di Pavia.
Istruzione pubblica — Università — Lettori di lingua straniera — Contratti di diritto privato — Rapporto di lavoro subordi
nato o autonomo — Assenza di previsione legislativa — Liber
tà di scelta delle università (D.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, art.
25, 28). Provvedimenti di urgenza — Istruzione pubblica — Università
— Lettori di lingua straniera — Previsione legislativa di con
tratti a termine — Inderogabilità — Richiesta di provvedimenti
d'urgenza — Inaccoglibilità (Cod. proc. civ., art. 700; d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, art. 28, 123).
In assenza di una precisa configurazione legislativa del rapporto di lavoro tra università degli studi e lettori di lingua straniera,
spetta ai consigli di amministrazione delle università stesse sce
gliere tra l'instaurazione di rapporti aventi natura subordinata
e forme di collaborazione professionale a carattere autonomo;
deve, pertanto, essere indagata in concreto la sostanza dei sin
goli rapporti di lavoro per provvedere ad un loro inquadra mento giuridico. (2)
La disciplina legale del rapporto di lavoro tra lettori di lingua straniera e università degli studi configura contratti a termine
ed ha carattere inderogabile; sono, pertanto, nulli di diritto i
contratti suddetti stipulati a tempo indeterminato, e, in conse
guenza, va respinta la richiesta di provvedimenti d'urgenza ex
art. 700 c.p.c., avanzata da lettori di lingua straniera. (3)
(1-5) Le quattro decisioni offrono una soluzione ad alcune delle ormai numerose controversie, insorte tra lettori di lingua straniera e università degli studi, in ordine, soprattutto, alla natura del rapporto di lavoro che lega i primi alle seconde. L'art. 28 d.p.r. n. 382 del
1980, innovando al regime anteriore, prevede infatti un sistema di assunzioni realizzato mediante contratti a termine, di durata non supe riore all'anno accademico e rinnovabili annualmente per non più di
cinque anni, previo espletamento di pubblico concorso. Tali contratti, inoltre, sono espressamente considerati di diritto privato: Cass. 16 otto bre 1984, n. 5199, Foro it., Rep. 1985, voce Istruzione pubblica, n.
362, risolvendo un regolamento preventivo di giurisdizione, afferma, sulla base di tale previsione, la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie relative a questo rapporto di lavoro. Que stione che sembra ormai risolta in tal senso, tenuto conto che tutte le decisioni riportate sono concordi sul punto, nonostante le ricorrenti eccezioni avanzate dall'avvocatura dello Stato. In senso contrario, v. invece T.A.R. Liguria 16 dicembre 1982, n. 594, Trib. amm. reg., 1983, I, 588, che affermava la giurisdizione del giudice amministrativo, indipendentemente dalla natura del rapporto. Quello della natura del
rapporto costituisce il problema principale esaminato dalle decisioni ri
portate; in assenza di una precisa qualificazione normativa, l'orientamen to prevalente sembra ritenere quello dei lettori un rapporto di lavoro subordinato. Mentre Trib. e Pret. Camerino giungono a tale conclusione in via generale, sulla base della sola interpretazione sistematica delle nor me di riferimento, Pret. Firenze vi giunge da un concreto esame delle
fattispecie riconoscendo invece l'astratta possibilità di dare vita tanto a
rapporti di lavoro subordinato che autonomo. Nel senso della natura su bordinata del rapporto, inteso come una forma di lavoro dipendente, v. anche Pret. Roma 6 ottobre 1986, Giusi, civ., 1987, I, 215, che segue il criterio dell'esame in concreto dei singoli contratti. In senso contrario,
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