sentenza 24 luglio 1998, n. 323 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 luglio 1998, n. 30);Pres. Granata, Est. Contri; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri) c. Regione Sardegna(Avv. Panunzio)Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2613/2614-2615/2616Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192895 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto — 1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla re
gione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato riguarda il de
creto del sottosegretario di Stato del ministero per i beni cultu
rali ed ambientali 30 ottobre 1996, pubblicato nella Gazzetta
ufficiale 11 gennaio 1997, n. 2, recante «dichiarazione di note
vole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero
in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l'emergenza di Cor
zano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forlì». Secondo la regione il decreto, nel sovrapporre le pro
prie valutazioni alle diverse valutazioni espresse dalla stessa re
gione in attuazione di funzioni delegate, provvedendo, in assen
za di confronto con la regione stessa, alla dichiarazione di note
vole interesse pubblico di centri storici, espressamente ritenuta
non necessaria in sede locale, avrebbe violato l'art. 118, 1° com
ma, Cost., con riferimento alle funzioni regionali proprie in
materia urbanistica, comprensiva degli aspetti paesistici, non
ché i principi costituzionali disciplinanti le relazioni tra Stato e regioni nello svolgimento del rapporto di delega, con partico lare riferimento alla necessità che l'assegnazione delle funzioni
delegate avvenga con legge, e che il potere statuale di dettare
istruzioni in ordine alle funzioni delegate alle regioni sia eserci
tato dal governo centrale, ai sensi dell'art. 121, 4° comma, Cost.
Vi sarebbe inoltre una violazione del principio di leale colla
borazione tra Stato e regione, in quanto il provvedimento im
pugnato sarebbe stato adottato senza che alla regione interessa
ta venissero rappresentati i gravi motivi di interesse pubblico che avrebbero richiesto, ad avviso del ministero, le statuizioni
dei vincoli nonostante la contraria determinazione della com
missione provinciale, e senza che venisse richiesto alla regione stessa di formulare una propria valutazione, da tenere presente nelle determinazioni finali.
Infine, sarebbe leso il principio di buon andamento della pub blica amministrazione, in quanto provvedimenti ministeriali di
fatto vanificherebbero decisioni legittimamente assunte in sede
locale dalle autorità regionali competenti in base a delega con
ferita dallo Stato.
2. - L'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato, secondo cui il conflitto sarebbe inammissibile in quanto concernente una materia in relazione alla quale la regione avrebbe
la titolarità di competenze soltanto delegate, è infondata. Non
può, infatti, negarsi che le censure, come proposte, riguardano
profili che attengono ai rapporti tra regione e Stato in ordine
alla ripartizione delle sfere di competenze e ai limiti degli effetti che un atto statale può produrre su funzioni delegate già eserci
tate dalla regione, ciò indipendentemente dalla qualificazione della natura della delega nella concreta materia, delega che, tut
tavia, assume caratteristiche particolari per gli indefettibili com
piti di rilievo nazionale per la tutela dei beni culturali ed am
bientali, unitariamente intesi in base all'art. 9 Cost, (v., tra le
altre, sentenze n. 157 del 1998; n. 341 del 1996, Foro it., Rep.
1996, voce Bellezze naturali, n. 31; n. 302 del 1988, id., 1988,
I, 1017). 3. - Nel merito, il ricorso è privo di fondamento. Lo Stato
ha delegato, tra l'altro, le funzioni amministrative concernenti
la individuazione delle bellezze naturali, riservandosi tuttavia
un potere concorrente di integrare gli elenchi delle bellezze na
turali approvate dalle regioni, potere che si riconnette, come
precedente meramente storico, al potere ministeriale di modifi
cazione (in sede di approvazione) dell'elenco delle località com
pilato secondo la originaria procedura prevista dalla 1. 29 giu
gno 1939 n. 1497.
Tale potere di integrazione degli elenchi corrisponde all'inte
resse, tutt'altro che secondario, della tutela (garantita dalla Co
stituzione tra i principi fondamentali ed affidata alla repubblica nel suo insieme) del paesaggio, da intendersi come comprensivo dei valori ambientali insiti nelle bellezze naturali: esso si colloca
quale rimedio ulteriore rispetto alle procedure delegate che si
svolgono in sede locale. Le caratteristiche particolari del potere
statale di integrazione risultano evidenti dalla circostanza che
la facoltà di modifica degli elenchi regionali, che lo Stato si è riservato all'atto del conferimento della delega, è espressa mente limitato ad aggiunte di completamento, dovendosi esclu
dere — nell'esercizio dell'integrazione — un potere di modifica totalmente o parzialmente soppressiva del vincolo precedente
mente imposto dalla regione. In altri termini, in base alla norma di legge, della cui applica
li Foro Italiano — 1998.
zione si discute, lo Stato può introdurre aggiunte all'elenco sen
za che possa al riguardo operarsi una distinzione tra località
prese in considerazione o meno nel separato procedimento re
gionale posto in essere nell'esercizio della delega. Ed anzi, si
deve ritenere che la inclusione di località nell'elenco di indivi
duazione delle bellezze naturali può legittimamente (sotto il pro filo della ripartizione delle competenze e delle sfere di attribu
zioni garantite allo Stato e alle regioni) avere riguardo a località
per le quali vi sia stata una espressa determinazione negativa da parte della regione, oltre a quelle non incluse per non essere
state neanche prese in considerazione a tali fini, ovvero per di
fetto di iniziativa dei soggetti che concorrono nel procedimento regionale.
Non si configura, quindi, una forma di riesame caducatorio
con rimozione di atto regionale, ma piuttosto un esercizio di
autonomo potere dello Stato, che può portare anche a valuta
zione difforme, purché motivata e con completezza istruttoria, come iniziativa limitata e diretta alla sola imposizione di nuovo
(integrativo ed additivo) vincolo, che si sovrappone (in amplia mento delle località vincolate a causa della priorità dell'interes
se tutelato e degli indefettibili compiti di rilievo nazionale a tu tela dell'ambiente e delle bellezze naturali) alla valutazione e
alle precedenti iniziative e determinazioni positive regionali. L'esistenza di una precedente valutazione negativa regionale
impone allo Stato di comportarsi secondo le regole dei procedi menti che si susseguono nel tempo. Sussiste, cioè, in capo allo
Stato un potere-dovere di acquisire tutti gli atti pregressi, che
devono essere valutati e presi in considerazione nei diversi pro fili emersi. Vi è, quindi, un obbligo di tenere conto (e quindi di motivare al riguardo specificatamente) dei divergenti punti di vista delle autorità che sono precedentemente intervenute, ob
bligo non solo rispondente ai principi generali del procedimento
amministrativo, ma in particolare rafforzato dai doveri di coo
perazione tra le attività del delegante e dell'organo delegato, anche quando lo Stato delegante si sia riservato speciali facoltà
autonome e concorrenti (potere autonomo di imposizione del
vincolo con carattere integrativo in funzione del preminente in
teresse della intera collettività nazionale per la tutela dei beni
ambientali e paesistici). La collaborazione tra Stato e regione non deve, tuttavia, es
sere spinta fino a richiedere una rinnovata formale acquisizione dell'avviso degli organi della regione o una chiamata o avviso
a partecipare, quando risulti — come emerge attraverso la cir
costanziata motivazione contenuta nel provvedimento impugna to in questa sede — una presa in considerazione degli atti pree sistenti enuncianti il punto di vista e le valutazioni espresse da
gli organi regionali, peraltro in tempi tutt'altro che distanziati,
tali da essere riferibili all'attualità delle situazioni e degli inte
ressi da tutelare.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta allo Stato integrare, ai sensi dell'art. 82, 2° comma, lett. a),
d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, con atto motivato (d.m. 30 ottobre
1996) gli elenchi delle bellezze naturali della regione Emilia
Romagna.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 luglio 1998, n. 323 (Gazzetta ufficiale, 1" serie speciale, 29 luglio 1998, n. 30); Pres. Granata, Est. Contri; Pres. cons, ministri (Avv. dello
Stato Ferri) c. Regione Sardegna (Avv. Panunzio).
Sardegna — Caccia — Uccelli migratori — Disciplina dei perio di venatori — Incostituzionalità (L. cost. 26 febbraio 1948 n. 3, statuto speciale per la Sardegna, art. 3; 1. 11 febbraio
1992 n. 157, norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio, art. 18).
È incostituzionale l'art. 49, 1° comma, lett. b), l. reg. Sardegna
riapprovata dal consiglio regionale il 16 dicembre 1996, nella
parte in cui prolunga fino all'ultimo giorno di febbraio il pe
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2615 PARTE PRIMA 2616
riodo di caccia per alcune specie di uccelli (colombaccio, bec
caccia, beccaccino, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, ce
sena, storno, marzaiola, alzavola, pavoncella), in relazione all'art. 18 l. 11 febbraio 1992 n. 157 che, nell'autorizzare le
regioni a disciplinare in modo difforme i periodi di caccia, precisa che i termini devono comunque essere contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio. (1)
Diritto. — 1. - Il presidente del consiglio dei ministri, rap presentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, sotto
pone al controllo di costituzionalità l'art. 49, 1° comma, lett.
b), della legge riapprovata dal consiglio regionale della Sarde
gna il 16 dicembre 1996, recante «norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna» che, in deroga a quanto previsto per le specie elencate dal preceden te art. 48, prolunga fino all'ultimo giorno di febbraio il perio do di caccia ad alcune specie di uccelli (colombaccio, beccac
cia, beccaccino, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, cesena, storno, marzaiola, alzavola, pavoncella). L'art. 49, 1° comma, lett. b), dell'impugnata delibera legislativa viene censurato dal
presidente del consiglio dei ministri nella parte in cui consente di abbattere gli elencati esemplari di fauna selvatica dalla terza
domenica di settembre fino all'ultimo giorno di febbraio del
(1) La Corte costituzionale, a differenza di quanto sostenuto dalla
regione nell'atto di costituzione in giudizio, ritiene che — data la stretta connessione esistente tra l'individuazione delle specie cacciabili e la de limitazione temporale in cui la caccia può essere esercitata — anche le disposizioni relative alla determinazione dei periodi venatori assumo no la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale, vin colanti pure per le regioni speciali.
Nel senso che è immediatamente applicabile, all'interno dell'ordina mento giuridico della regione Sardegna, il disposto normativo di cui all'art. 18, 2° comma, 1. 157/92, quale specifica e puntuale previsione normativa adottata dal legislatore nazionale in esecuzione ed attuazione di direttive della Cee (quale la direttiva 2 aprile 1979 n. 409), con conse guente immediata disapplicazione della previgente normativa regionale con essa confliggente, v. Tar Sardegna 20 dicembre 1995, n. 1991, Foro it., Rep. 1996, voce Caccia e protezione della fauna, n. 13, commentata da Giacalone, in Riv. giur. sarda, 1996, 566, mentre secondo Tar Friuli Venezia Giulia 15 dicembre 1992, n. 525, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 19, la disciplina dei periodi di caccia, stabilita dalla legislazione nazionale (nella specie, art. 18 1. 157/92) costituisce unicamente un prin cipio della materia, e non già dell'ordinamento, né costituisce una nor ma espressione di una grande riforma economico-sociale, per cui essa non si impone alla competenza esclusiva delle regioni o province ad autonomia differenziata.
In ordine alla possibilità per la regione di disattendere il parere del l'Infs, previsto dall'art. 18 1. 157/92 per l'anticipazione della data di inizio della caccia, v. Tar Umbria 11 maggio 1994, n. 146, id., Rep. 1995, voce cit., n. 25.
Per l'affermazione secondo cui, nell'assetto attualmente dato dal le gislatore nazionale all'attività venatoria, i divieti posti dalla direttiva comunitaria in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie medesi me, riservato allo Stato dall'art. 18, 3° comma, 1. 157/92, v. Corte cost. 22 luglio 1996, n. 272, id., 1996, I, 3572, con nota di richiami.
Sulla competenza delle regioni speciali in ordine alla disciplina del calendario venatorio, v. Corte cost. 24 aprile 1996, n. 127, id., 1997, I, 1356, con nota di richiami, che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 6 della legge approvata dall'assemblea regio nale siciliana il 16 maggio 1995, nella parte in cui introduce una disci plina transitoria dell'attività venatoria.
Per un'interpretazione dell'art. 7, n. 4, della direttiva Cee n. 79/409, v. Corte giust. 19 gennaio 1994, causa C-435/92, id., Rep. 1994, voce Unione europea, nn. 1263, 1264, secondo cui la fissazione da parte di uno Stato membro di date di chiusura scaglionate in funzione delle specie di uccelli è incompatibile con tale disposizione, che riguarda, in particolare, le specie migratorie, salvo che lo Stato membro interes sato non possa fornire la prova, fondata su dati scientifici e tecnici appropriati a ciascun caso particolare, che uno scaglionamento delle date di chiusura della caccia non è di ostacolo alla completa protezione delle specie di uccelli che possono essere interessate da detto scagliona mento; la fissazione di date di chiusura che variano secondo le differen ti parti del territorio di uno Stato membro è compatibile con la diretti va purché sia garantita una protezione completa della specie.
La Repubblica italiana è stata condannata per il fatto di aver autoriz zato la caccia a diverse specie di uccelli selvatici durante il periodo della nidificazione e durante le varie fasi della riproduzione e della dipenden za, nonché a diverse specie migratorie durante il ritorno al luogo di nidificazione (v. Corte giust. 17 gennaio 1991, causa C-157/89, id., 1992, IV, 239, commentata da Martire, in Riv. giur. ambiente, 1991, 671).
Il Foro Italiano — 1998.
l'anno successivo, per contrasto con l'art. 3 dello statuto spe ciale per la Sardegna, adottato con 1. cost. 26 febbraio 1948 n. 3, che prevede il rispetto degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della re
pubblica. Quest'ultimo limite viene invocato dal presidente del consi
glio dei ministri in relazione all'art. 18 1. 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che autorizza le regioni a disciplina re i periodi di caccia in modo difforme da quanto in esso previ sto «per determinate specie in relazione alle situazioni ambien
tali delle diverse realtà territoriali», precisando però che «i ter mini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio».
Il limite degli obblighi internazionali si assume violato in rife rimento all'art. 74 della direttiva n. 79/409/Cee, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, che impone agli Stati mem bri di provvedere, in relazione alle specie migratrici, «a che le
specie soggette alla legislazione della caccia non vengano caccia te durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al
luogo di nidificazione». Le censure avanzate dal governo riguardano anche l'omessa
dimostrazione dell'assunto — che viene esplicitato nella relazio ne della commissione consiliare competente e dal quale sembra trarre origine la disciplina impugnata — secondo il quale «non ci si è adeguati al limite massimo per l'esercizio venatorio del 31 gennaio, perché non conciliabile con la reale presenza della fauna migratoria nel territorio della regione Sardegna».
2. - La questione è fondata.
3. - La costante giurisprudenza di questa corte, nel riconosce re carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale alle disposizioni legislative statali che individuano le specie cac ciabili (sentenze nn. 272 del 1996, Foro it., 1996, I, 3572; 35 del 1995, id., 1997, I, 348; 577 del 1990, id., 1991, I, 382; 1002 del 1988, id., 1989, I, 3074), implica — contrariamente all'avvi so della regione resistente — che tale carattere sia proprio an che delle norme strettamente connesse con quelle che individua no le specie ammesse al prelievo venatorio.
La richiamata giurisprudenza costituzionale muove dalla pre messa che la disciplina statale vincola anche le regioni speciali e le province autonome nella parte in cui delinea il nucleo mini mo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve inclu dersi — accanto alla elencazione delle specie cacciabili — la
disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede mi sure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riprodu zione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obbli
ghi comunitari, delimita il periodo venatorio. Il limite delle norme fondamentali delle riforme economico
sociali deriva invero sia da disposizioni che si caratterizzano
per il loro contenuto riformatore, per la loro posizione di norme
principio e per l'attinenza a settori o beni della vita economico sociale di rilevante importanza; sia da «norme legate con queste da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione, che rispondano complessivamente ad un interesse unitario ed
esigano, pertanto, un'attuazione su tutto il territorio nazionale»
(sentenza n. 1033 del 1988, id., Rep. 1989, voce Edilizia e urba
nistica, n. 155). Non potendosi disconoscere il rapporto di coessenzialità e di
necessaria integrazione intercorrente tra le disposizioni che indi viduano le specie ammesse al prelievo venatorio e quelle — vol te ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili — che tale prelievo delimitano dal punto di vista tem
porale, la questione sollevata deve essere accolta.
L'accoglimento della presente questione non comporta tutta via che le regioni siano prive del potere di deroga alla generale disciplina dei periodi venatori, per determinate specie, in relazio ne alle situazioni ambientali, entro l'arco temporale definito dal l'art. 18, 2° comma, 1. n. 157 del 1992, potere che deve essere
preceduto dall'accertamento — condotto attraverso procedure e strumenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico — del le condizioni e dei presupposti di ordine ambientale richiesti dal la disciplina statale, oltre che dalla giurisprudenza comunitaria.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 49, 1° comma, lett. b), 1. reg. Sar
degna, recante «norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna», riapprovata, a segui to di rinvio governativo, dal consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996.
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