+ All Categories
Home > Documents > sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45);...

sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45);...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: lamdien
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
5
sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta), Ord. Cons. Stato 25 febbraio 1994 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1995) Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 15/16-21/22 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190566 . Accessed: 25/06/2014 05:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani;

sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45);Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani; interv.Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta), Ord. Cons. Stato 25 febbraio 1994 (G.U., 1 a s.s.,n. 9 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 15/16-21/22Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190566 .

Accessed: 25/06/2014 05:33

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani;

PARTE PRIMA

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 ottobre 1995, n. 447

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del

Friuli (Aw. Mussato) c. Pravisani; interv. Pres. cons, mini stri (Aw. dello Stato Zotta), Ord. Cons. Stato 25 febbraio 1994 (G.U., la s.s., n. 9 del 1995).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Frocedimento

penale — Sospensione obbligatoria dal servizio — Obbligo di riammissione dopo cinque anni — Questione infondata di

costituzionalità (Cost., art. 3, 4, 97; d.p.r. 10 gennaio 1957

n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 91, 92; 1. 7 febbraio 1990 n. 19, modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubbli ci dipendenti, art. 9).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 9, 2° comma, l. 7 febbraio 1990 n. 19, nella parte in cui prevede per la pubblica ammini

strazione l'obbligo indiscriminato di riammettere nel posto di

lavoro il dipendente, già sospeso cautelarmente dal servizio

ai sensi dell'art. 91 d.p.r. 3/57 per essere stato sottoposto

a procedimento penale e successivamente condannato, ancor

ché con sentenza non ancora passata in giudicato, alla sca

denza del termine di cinque anni dall'inizio del periodo di

sospensione, in riferimento agli art. 3, 4 e 97 Cost., attesa

la possibilità di applicare la sospensione facoltativa ai sensi

dell'art. 92 d.p.r. 3/57. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1995, n. 374

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 agosto 1995 n. 32);

Pres. Baldassarre, Est. Caianiello; Masini c. Min. finanze.

Ord. Tar Puglia, sez. Bari, 26 aprile 1994 (G.U., la s.s., n.

48 del 1994).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Procedimento

disciplinare — Sentenza penale irrevocabile di proscioglimen to — Data di deposito — Decorrenza del termine — Omessa

previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.p.r. 10

gennaio 1957 n. 3, art. 97).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Procedimento

disciplinare — Sentenza penale irrevocabile di proscioglimen to — Obbligo di trasmissione della notizia a carico dei re

sponsabili degli uffici giudiziari — Omessa previsione — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 97).

È incostituzionale l'art. 97, 3° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957

n. 3, nella parte in cui prevede, in caso di sentenza o ordinan

za che pronuncia sull'impugnazione, che il procedimento di

sciplinare deve avere inizio entro centottanta giorni dalla data

in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento,

indipendentemente dalla data di deposito della sentenza o or

dinanza conclusiva del procedimento, se successiva alla data

in cui si verifica l'irrevocabilità della pronuncia di proscio

glimento. (2) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

97, 3° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, relativamente

alla parte in cui non prevede a carico dei responsabili degli

uffici giudiziari un obbligo di trasmissione della notizia della irrevocabilità della sentenza di proscioglimento alla pubblica

amministrazione di appartenenza del dipendente sottoposto a procedimento penale, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (3)

(1-3) Con la sent. 447/95 la corte evidenzia la concorrenza dei diversi

istituti della sospensione obbligatoria ex art. 91 t.u. 3/57 e di quella facoltativa ex art. 92, il primo basato su presupposti meramente forma

li ed il secondo su presupposti sostanziali discrezionalmente valutabili

dall'amministrazione, cosi da realizzare in termini soddisfacenti il con

temperamento dei contrapposti interessi del dipendente al lavoro (art. 35 Cost.) e dell'amministrazione al buon andamento della sua attività

(art. 97 Cost.). Con la sent. 374/95 la corte, accogliendo l'invito al riesame contenu

II Foro Italiano — 1996.

I

Diritto — 1. - È stata sollevata questione incidentale di legit timità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 4 e 97 Cost.,

dell'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19 (modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e de

stituzione dei pubblici dipendenti), nella parte in cui prevede per la pubblica amministrazione l'obbligo indiscriminato di riam mettere nel posto di lavoro il dipendente — già sospeso dal

servizio per essere stato sottoposto a procedimento penale e suc

cessivamente condannato, ancorché con sentenza non ancora

passata in giudicato — alla scadenza del termine di cinque anni

dall'inizio del periodo di sospensione per sospetta violazione del

principio di ragionevolezza (perché non distingue le diverse si tuazioni in cui può versare il dipendente sospeso secondo sia

la maggiore o minore gravità del reato, sia l'esistenza, o meno,

di una sentenza di condanna a suo carico, ancorché non passata in giudicato), nonché del principio di buon andamento e di im parzialità dell'amministrazione stessa e della necessaria sussi

stenza dei presupposti di dignità e di capacità del pubblico di

pendente. 2. - Vanno preliminarmente respinte le eccezioni — sollevate

dall'avvocatura dello Stato — di inammissibilità della questione. Per un verso, infatti, dall'ordinanza di rimessione non risulta

in punto di fatto che il comune ricorrente abbia inteso applicare

la sospensione facoltativa di cui all'art. 92 cit., facendosi in

essa unicamente riferimento al rinnovo della sospensione caute

lare, inizialmente adottata ex art. 91 cit.; sicché la questione va esaminata in questa prospettazione offerta dal giudice rimet

tente che è centrata sul disposto dell'art. 91 (sospensione caute

lare obbligatoria) senza possibilità di qualificare il provvedimento di rinnovo come un'ipotesi di ricorso alla sospensione cautelare

facoltativa (art. 92). Altra questione, attinente al merito e non

più all'ammissibilità, è quella della astratta possibilità per il co

mune ricorrente di adottare la sospensione cautelare facoltativa

del dipendente, profilo questo del quale si dirà oltre.

to nell'ordinanza di rimessione in relazione al mutato contesto storico sociale ed all'espandersi dei fenomeni di illegalità nel campo della pub blica amministrazione, ribalta la pronunzia di infondatezza della mede

sima disposizione di cui alla sent. 25 maggio 1990, n. 264, Foro it.,

1990, 1, 2723, ove era stata ritenuta legittima la previsione della decor

renza del termine di centottanta giorni per l'inizio del procedimento disciplinare dal passaggio in giudicato della sentenza penale di proscio

glimento o di assoluzione del dipendente dello Stato, indipendentemen te dal deposito della pronunzia o dalla conoscenza da parte dell'ammi nistrazione, in ossequio al favor della giurisprudenza della stessa corte circa l'apposizione dei termini all'esercizio dell'azione disciplinare nei

confronti del pubblico dipendente, secondo i precedenti richiamati nella sentenza 264/90 e nella nota di richiami, cui si rimanda per ogni ulte

riore riferimento. Prima della riforma in materia introdotta dalla 1. 19/90, il termine ex art. 97, 3° comma, t.u. 3/57 era riferito solo ai casi di sentenza assolutoria, mentre alla sentenza di condanna conseguiva la destituzione di diritto nelle ipotesi di cui all'art. 85 d.p.r. 3/57 (negli altri casi, l'apertura di procedimento disciplinare doveva comunque av venire «entro un ragionevole lasso di tempo»: Tar Umbria 30 luglio 1991, n. 419, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1048; Cons.

Stato, sez. IV, 28 aprile 1981, n. 376, id., Rep. 1981, voce cit., n.

951, che però ritiene necessario almeno l'inizio del procedimento entro centottanta giorni dalla sentenza penale che abbia accertato l'esistenza del fatto illecito); con la 1. 19/90 il termine di centottanta giorni è stato riferito anche al procedimento disciplinare dopo sentenza di condanna, con decorrenza dalla conoscenza della sentenza da parte dell'ammini strazione.

Nel caso dopo la sentenza di condanna non sia più possibile, per decorrenza dei termini, attivare il procedimento disciplinare, al dipen dente già sospeso dal servizio spetta la reintegrazione piena sul piano giuridico ed economico per il periodo di sospensione: Cons. Stato, sez.

IV, 24 maggio 1995, n. 360, Cons. Stato, 1995, I, 638, che espressa mente critica il diverso orientamento della Corte dei conti che riferisce la restitutio in integrum prevista dall'art. 97 t.u. 3/57 solo a pronunzie assolutorie penali (Corte conti, sez. contr., 16 aprile 1992, n. 69, Foro

it., Rep. 1994, voce cit., n. 1047 e 3 marzo 1988, n. 1907, id., Rep. 1989, voce Pubblica sicurezza (amministrazione della), nn. 30, 31).

Sussiste contrasto in giurisprudenza sulla questione se entro il detto termine deve essere solo adottato o anche comunicato all'interessato il provvedimento disciplinare: per la prima soluzione, Tar Lazio, sez.

Ili, 29 giugno 1985, n. 954, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 839; per la seconda, Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 1994, n. 341, id., Rep. 1994, voce cit., n. 966.

Per ogni riferimento di carattere generale sul procedimento discipli nare conseguente a fatti oggetto di processo penale e sulla sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente, v. la nota di richiami a Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 419, id., 1995, III, 591.

This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Per altro verso, la successiva entrata in vigore della 1. 18 gen

naio 1992 n. 16 (norme in materia di elezioni e nomine presso

le regioni e gli enti locali) — che, all'art. 1, comma 4 septies, ha previsto che si fa luogo alla immediata sospensione, dalla

funzione e dall'ufficio ricoperti dal pubblico dipendente qualo ra ricorra alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c)

e) ed f) del 1° comma della medesima disposizione — non rile va vuoi perché, secondo la giurisprudenza amministrativa in ma

teria trova comunque applicazione la disposizione censurata, vuoi

perché nella specie una tale sospensione, ancorché obbligatoria,

deve comunque costituire oggetto di un espresso provvedimen

to, che nella specie — come risulta dall'ordinanza di rimessione — manca.

3. - Nel merito la questione non è fondata nei termini che

saranno appresso precisati. 3.1. - Non sussiste innanzi tutto la denunciata violazione del

principio di ragionevolezza. La finalità cui si ispira la disposizione censurata — che è

quella di eliminare o ridimensionare gli automatismi per cui dalla condanna penale o dall'assoggettamento a procedimento penale

del pubblico dipendente derivano conseguenze sul piano disci

plinare quanto al rapporto di pubblico impiego — è pienamente

coerente con la giurisprudenza di questa corte, che ha ritenuto

l'illegittimità costituzionale della destituzione di diritto del pub blico dipendente come conseguenza automatica di una condan

na penale (sentenze n. 971 del 1988, Foro it., 1989, I, 22; n.

40 del 1990, id., 1990, I, 355). Il legislatore, quindi, ha provve duto ad eliminare (al 1° comma della disposizione censurata)

la destituzione di diritto, sicché ora tale grave provvedimento,

che comporta l'estromissione del pubblico dipendente dal posto di lavoro, può essere adottato soltanto all'esito di un procedi

mento disciplinare e sulla base di specifici addebiti che, ancor

ché per altro verso idonei ad integrare gli estremi di un reato,

debbono essere valutati sotto il (diverso ed autonomo) profilo

disciplinare. Nello stesso contesto di riforma della materia ed

ispirandosi al medesimo principio di privilegiare la valutazione

degli addebiti disciplinari in sé piuttosto che far discendere con

seguenze di natura disciplinare da addebiti mossi in sede pena

le, il legislatore — con la disposizione censurata (secondo e ter

zo periodo) — ha parimenti limitato quel particolare potere (del

l'amministrazione) di sospensione cautelare del dipendente,

previsto dal 1° comma, prima parte, dell'art. 91 citato (la se

conda parte concerne la diversa ipotesi di sospensione, questa

si, autenticamente obbligatoria come recita la rubrica dell'arti

colo perché vincolativamente adottata «ove sia stato emesso man

dato o ordine di cattura»); potere fondato sul mero dato for

male della pendenza di un procedimento penale a carico del

dipendente senza necessità di alcuna sommaria cognitio in ordi

ne né alla responsabilità dell'imputato, né al (maggiore o mino

re) rilievo disciplinare della condotta delittuosa, e solo condi

zionato — oltre che, appunto, alla sussistenza di tale presuppo

sto formale — all'apprezzamento della particolare gravità della

natura del reato per il quale si procede. Relativamente a questa

ipotesi il legislatore ha posto un limite massimo al protrarsi —

in ragione della mancata conclusione del procedimento penale — della situazione di estromissione dal posto di lavoro del pub

blico dipendente, la cui aspettativa ad una valutazione nel meri

to del profilo disciplinare degli addebiti mossigli in sede penale

non può ragionevolmente essere procrastinata sine die. Nel do

veroso bilanciamento (sentenza n. 374 del 1995 (id., 1996, I,

15) tra gli opposti interessi — nella specie: quello del dipenden

te di risprendere il servizio (che riflette la tutela del diritto al

lavoro garantito dall'art. 35 Cost.) e quello dell'amministrazio

ne (il cui buon andamento ha rilievo anch'esso costituzionale

ex art. 97 Cost.) di escludere temporaneamente dal servizio il

dipendente sul quale faccia ombra il solo fatto dell'imputazione

per un grave reato suscettibile di essere valutato sotto il profilo

disciplinare — il legislatore non irragionevolmente ha fissato

un (peraltro congruo) termine massimo quinquennale, scaduto

il quale il dato formale dell'imputazione penale cessa di avere

quella idoneità, originariamente riconosciuta dall'art. 91, a le

gittimare il perdurare della sospensione cautelare, salva rima

nendo peraltro, come subito sarà precisato, la potestà della am

ministrazione di tutelare diversamente l'interesse ad un corretto

svolgimento della funzione pubblica.

3.2. - Infatti, neppure è violato il principio (parimenti evoca

to dal giudice rimettente) del buon andamento dell'amministra

li, Foro Italiano — 1996.

zione (art. 97 Cost.), perché la perdita automatica di efficacia della sospensione cautelare ex art. 91 cit. non comporta affatto

che — perdurando, nonostante il non breve lasso di tempo tra

scorso, l'esigenza cautelare di non riammettere in servizio il di

pendente in ragione della particolare gravità e dell'irrimediabile

pregiudizio che all'attività dell'ente pubblico, datore di lavoro, deriverebbe dalla (seppur condizionata) riattivazione del rapporto

di impiego — nessuno strumento residui all'amministrazione per

contrastare ed evitare tale pregiudizio. Ed invero, come esatta

mente osserva l'avvocatura di Stato, la sopravvenuta inefficacia

di diritto della sospensione cautelare adottata ex art. 91 — pro

prio perché si fonda su un presupposto autonomo e diverso

da quello della sospensione c.d. facoltativa di cui all'art. 92 — non esclude, né preclude, il ricorso a quest'ultima come stru

mento alternativo di cautela e garanzia delle ragioni dell'ammi

nistrazione. È cioè possibile che, pur decorso il termine quin

quennale suddetto, sussistano «gravi motivi» che, ancorché non

sia esaurito il procedimento penale, giustifichino la perdurante

(ma non ancora definitiva) estromissione del dipendente dal po

sto di lavoro, motivi che però non possono consistere più nel

mero dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e deb

bono) riguardare la commissione dell'addebito disciplinare; ciò alla luce di una sommaria cognitio dei fatti che, valutando allo

stato ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del

dipendente, rinvenga in quest'ultima un insuperabile ostacolo

alla sua riammissione in servizio. Questo diverso tipo di sospen sione però, proprio perché si fonda su un presupposto sostan

ziale e non già (come quella dell'art. 91) formale, comporta — a garanzia del diritto di difesa del dipendente — che nel

termine di quaranta giorni dalla data in cui il provvedimento stesso è stato comunicato all'interessato siano in ogni caso con

testati gli addebiti al medesimo, il quale quindi — impugnando eventualmente il provvedimento — è posto in condizione di ne

garne la sussistenza o l'idoneità a valere come «gravi motivi»

per la sospensione. Cosi dispone il 2° comma dell'art. 92, che, nella parte in cui prescrive l'immediata e tempestiva contesta

zione degli addebiti, tuttora si pone rispetto al successivo art.

117 — ove questo si ritenga non abrogato, come peraltro è con

troverso nella giurisprudenza amministrativa, pur dopo l'entra

ta in vigore del nuovo processo penale — come norma speciale,

sicché, in tal caso, la obbligatoria sospensione del procedimento

disciplinare in pendenza del procedimento penale si ha non ap

pena comunicata tale contestazione. Non essendo poi questa so

spensione ancorata ad un dato formale, non c'è neppure ragio

ne di quel meccanismo risolutorio automatico quale quello pre visto dalla disposizione censurata, che infatti contempla la

sopravvenuta inefficacia di diritto non già di qualsiasi sospen sione cautelare, ma soltanto di quella disposta «a causa del pro cedimento penale»; fermo però restando che, come riconosciu

to dalla giurisprudenza amministrativa, il dipendente può sem

pre domandare la revoca del provvedimento cautelare per essere

cessati i «gravi motivi» che — in considerazione appunto delle

esigenze di buon andamento dell'amministrazione — prima lo

giustificavano. 3.3. — La riconosciuta possibilità per l'amministrazione di

ricorrere alla sospensione facoltativa esclude poi anche la de

nunciata irragionevolezza della disposizione censurata sotto l'ul

teriore profilo che la norma non distinguerebbe le diverse situa

zioni in cui può versare il dipendente sospeso; ed infatti il ricor

so testuale ad una clausola generale, insita nel sintagma «gravi

motivi», di contenuto (non rigido, bensì) elastico, impone al

l'amministrazione di apprezzare (e quindi differenziare) le si

tuazioni di fatto in ragione sia della maggiore o minore gravità

degli addebiti, sia di ogni altra circostanza soggettiva od ogget tiva della condotta quale risultante allo stato.

3.4. - E neppure, infine, è leso l'ulteriore parametro invocato

(art. 4 Cost.), atteso che la valutazione dei «gravi motivi» della

sospensione cautelare ex art. 92 cit. comporta la necessità di

apprezzare se gli addebiti contestati al dipendente siano tali da

influire negativamente sui presupposti di dignità e capacità del

lo stesso richiesti per la prosecuzione del rapporto di impiego.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19

(modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale del

la pena e destituzione dei pubblici dipendenti) sollevata, in rife rimento agli art. 3, 4 e 97 Cost., dal Consiglio di Stato con

l'ordinanza indicata in epigrafe.

This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani;

PARTE PRIMA

II

Diritto. — I. - È stata sollevata, in riferimento agli art. 3

e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3° comma, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle di sposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Sta to), il quale prevede che il procedimento disciplinare nei con

fronti di un dipendente dello Stato deve avere inizio entro cen

tottanta giorni «dalla data in cui è divenuta irrevocabile la

sentenza definitiva di proscioglimento». Si sostiene nell'ordinanza

di rinvio che far decorrere il termine di centottanta giorni, en

tro il quale, a pena di decadenza, deve essere iniziata l'azione

disciplinare, dalla data in cui la sentenza di proscioglimento sia

divenuta irrevocabile è irragionevole e contrario al principio del

buon andamento, per la difficoltà che la pubblica amministra

zione incontra a conoscere il momento in cui tale evento si veri

fica indipendentemente dal deposito della sentenza conclusiva

dell'(Ver processuale. È stata altresì' sollevata questione di legittimità costituzionale

della medesima norma, in riferimento agli stessi parametri co

stituzionali sopra detti, nella parte in cui essa non prevede a

carico dei funzionari dell'amministrazione della giustizia un

espresso obbligo, sanzionato penalmente o amministrativamen

te, di trasmettere la notizia della intervenuta irrevocabilità della

sentenza di proscioglimento alla pubblica amministrazione di

appartenenza del dipendente, ai fini del tempestivo esercizio del

l'azione disciplinare. 2.1. - La prima questione è fondata, relativamente al profilo

in cui è censurata l'irrilevanza della data di deposito del provve

dimento che determina o dichiara la formazione del giudicato

penale di proscioglimento. Come la stessa ordinanza di rimessione mostra di farsi cari

co, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3° com

ma, del testo unico degli impiegati civili dello Stato n. 3 del 1957, è stata già esaminata da questa corte che la dichiarò non

fondata con la sentenza n. 264 del 1990 (Foro it., 1990, I, 2723). La questione oggetto del presente giudizio è stata prospetta

ta, però, in termini diversi da quelli disattesi con la citata sen

tenza, che escluse la possibilità di una pronuncia correttiva, nei

termini allora invocati. Nell'ordinanza di rinvio si sottolineava

l'esigenza che il detto termine di centottanta giorni, stabilito

a pena di decadenza per l'esercizio dell'azione disciplinare, de

corresse, invece che dalla data in cui la sentenza definitiva fosse

divenuta irrevocabile, dalla data della comunicazione della sen

tenza stessa da parte degli uffici giudiziari all'amministrazione

di appartenenza del dipendente. In relazione a questa prospetta

zione, la corte ha ritenuto, nella menzionata sentenza n. 264

del 1990, che nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, quale

«quello dell'amministrazione a non vedersi impedito l'esercizio

di potere disciplinare e quello dell'impiegato a vedere definita la sua posizione», non fosse irragionevole far decorrere tale ter

mine di centottanta giorni da un evento obiettivo e certo quale il passaggio in giudicato della sentenza penale definitiva di pro

scioglimento, in luogo di un evento incerto, quale quello della

comunicazione della sentenza all'amministrazione, rimesso all'i

niziativa o alla collaborazione degli addetti agli uffici giudiziari. 2.2. - Nel presente giudizio la questione viene prospettata sot

to un profilo diverso, in quanto si denuncia l'irragionevolezza della norma ponendosi in risalto, come si è ricordato, le diffi

coltà che incontra l'amministrazione a conoscere, prima del de

posito della sentenza (o ordinanza) terminativa del processo, il momento in cui si è verificata la irrevocabilità della pronun cia di proscioglimento quando, come nella specie, questo mo

mento non coincida, perché precedente, con il deposito della

sentenza (o ordinanza) con cui l'iter processuale si conclude.

Orbene, proprio muovendo dalle considerazioni svolte nella

menzionata sentenza n. 264 del 1990 — secondo cui risponde alle esigenze di bilanciamento fra i contrapposti interessi riferire

ad un evento certo la decorrenza del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione disciplinare — non può considerarsi ra

gionevole ancorare il decorso del termine anzidetto ad un even

to che non presenta i requisiti di certezza che soli possono deri

vare dal deposito del provvedimento che conclude il processo,

quando tale deposito sia successivo alla data di formazione del

giudicato di proscioglimento (adottato per motivi diversi da quelli dell'insussistenza del fatto e della non commissione del fatto

da parte dell'imputato).

Il Foro Italiano — 1996.

In proposito, si deve osservare che la norma impugnata si

riferisce genericamente, nello stabilire il dies a quo del termine

di decadenza di centottanta giorni, alla data in cui è divenuta

irrevocabile la sentenza di proscioglimento. Ma questo evento può verificarsi sia per effetto della stessa

sentenza (poi divenuta) irrevocabile, come nel caso di sentenza

di merito non impugnata nel termine stabilito dalla legge, sia

per effetto di altro provvedimento, emesso dal giudice investito

dell'impugnazione avverso l'anzidetta sentenza, provvedimento a sua volta divenuto irrevocabile.

Mentre è da ritenersi pacifico che, nel caso in cui si tratti

di sentenza di merito non impugnata, l'irrevocabilità della pro nuncia non può prescindere dal deposito della relativa motiva

zione, necessariamente anteriore, diverso è il caso della senten

za di merito impugnata, anche tardivamente.

Basta al riguardo considerare, fra le varie possibili, l'ipotesi,

verificatasi nel giudizio a quo, in cui l'irrevocabilità maturi a

seguito di declaratoria di inammissibilità (o, anche, di rigetto) del ricorso per cassazione, formandosi il giudicato di prosciogli mento alla data della lettura del dispositivo (art. 648, 2° com

ma, secondo periodo, c.p.p.), ma verificandosi il deposito della

motivazione in un tempo, anche sensibilmente, successivo (cfr. art. 617 c.p.p.). Analogamente, può verificarsi una significativa

scissione temporale tra data di formazione del giudicato e depo sito del provvedimento conclusivo dell'intero iter processuale

quando questo sia rappresentato da una declaratoria di inam

missibilità del gravame, segnatamente per tardività dell'impu

gnazione proposta; vicenda, questa, che comporta, secondo gli

orientamenti della giurisprudenza, la formazione del giudicato

con decorrenza dalla scadenza del termine per impugnare la pro nuncia di merito, solo formalmente dichiarata dalla successiva

decisione del giudice dell'impugnazione. 2.3. -A seguirsi la disposizione censurata, che prescinde in

ogni caso dal momento di deposito del provvedimento giurisdi

zionale che conclude in via definitiva l'iter del processo, deter

minando o dichiarando l'irrevocabilità della statuizione di pro

scioglimento, si manifesta, come posto in risalto nell'ordinanza

di rinvio, una reale incertezza per l'amministrazione: sia in or

dine alla conoscenza tempestiva della data di irrevocabilità, giac

ché, in particolare nella seconda ipotesi sopra fatta, è pendente

comunque una impugnazione, anche se successivamente ne sia

verificata l'inammissibilità; sia in ordine alla valutazione del fatto

da apprezzare in ambito disciplinare, conoscibile talvolta nella

sua completezza oggettiva e soggettiva solo in base alla motiva

zione del provvedimento conclusivo dell'intero processo. Nelle ipotesi considerate, dunque, l'esercizio dell'azione di

sciplinare potrebbe risultare aleatorio o anche precluso, risul

tandone vulnerato quel requisito di certezza obiettiva sottoli

neato da questa corte nella richiamata sentenza n. 264 del 1990,

quale elemento di ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi sottesi alla potestà disciplinare della pubblica ammini

strazione.

2.4. - Da quanto precede risulta il contrasto della norma im

pugnata con i parametri costituzionali invocati, sia sotto il pro filo della ragionevolezza che sotto quello del buon andamento

della pubblica amministrazione, perché, prescindendosi dal mo

mento del deposito del provvedimento (sentenza o ordinanza) che dichiara o che stabilisce l'irrevocabilità del proscioglimento,

per determinare l'evento dal quale decorre il termine previsto

per l'inizio del procedimento disciplinare, si rende estremamen te difficoltoso l'eserizio della relativa potestà amministrativa, che può addirittura risultare in talune ipotesi impedita.

Per ricondurla a conformità con i parametri costituzionali detti, la norma impugnata deve essere pertanto dichiarata costituzio

nalmente illegittima nella parte in cui prevede, in caso di sen

tenza o ordinanza che pronunci in sede di impugnazione, che il procedimento disciplinare debba avere inizio entro centottan

ta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza

di proscioglimento, indipendentemente dalla data di deposito della decisione, conclusiva dell'iter processuale, resa appunto in sede di impugnazione, se detta data sia successiva a quella di formazione del giudicato di proscioglimento.

3. - La questione relativa alla richiesta addizione normativa

di un obbligo positivo e sanzionato espressamente, a carico dei

«funzionari del ministero di grazia e giustizia» (recte: dei re sponsabili amministrativi degli uffici giudiziari), di comunica zione della notizia della intervenuta irrevocabilità della sentenza

terminativa, già disattesa da questa corte nella citata sentenza

This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

n. 264 del 1990, deve, per le considerazioni ivi svolte, essere

dichiarata manifestamente infondata, tanto più alla luce del

l'accoglimento della prima questione sollevata, idoneo a garan tire le esigenze poste dal remittente a base dell'ulteriore censu

ra, senza interferire in ambiti di scelte affidate alle determina

zioni legislative nella materia. Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegit

timità costituzionale dell'art. 97, 3° comma, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto

degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui prevede, in caso di sentenza o ordinanza che pronuncia sull'impugnazio

ne, che il procedimento disciplinare deve avere inizio entro cen

tottanta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sen

tenza di proscioglimento, indipendentemente dalla data di de

posito della sentenza o ordinanza conclusiva del procedimento, se successiva alla data in cui si verifica l'irrevocabilità della pro nuncia di proscioglimento; 2) dichiara la manifesta infondatez

za della questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3°

comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposi zioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), relativamente alla parte in cui non prevede a carico dei respon sabili degli uffici giudiziari un obbligo di trasmissione della no tizia della irrevocabilità della sentenza di proscioglimento alla

pubblica amministrazione di appartenenza del dipendente sotto

posto a procedimento penale, sollevata, in riferimento agli art.

3 e 97 Cost., dal Tar per la Puglia, sede di Bari, con l'ordinan

za indicata in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 ottobre 1995, n. 446

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Soc. Costruzioni edili e stra

dali c. Provincia di Catanzaro; interv. Pres. cons, ministri.

Ord. Trib. Vibo Valentia 16 dicembre 1994 (G.U., 1" s.s., n. 21 del 1995).

Comune e provincia — Forniture di beni e servizi — Mancanza

di autorizzazione contabile — Responsabilità contrattuale —

Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod.

civ., art. 2041, 2042, 2900; d.l. 2 marzo 1989 n. 66, disposi zioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale, art. 23; 1. 24 aprile 1989 n. 144, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 2 marzo 1989

n. 66, art. 1).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, 4° comma, d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in l. 24 aprile 1989 n. 144, nella parte in cui, in caso di contratti di forniture di beni e servizi ad

enti locali non corredati dalle prescritte autorizzazioni conta

bili, riconosce al privato l'esercizio della sola azione di re

sponsabilità contrattuale nei confronti del singolo funziona rio (o amministratore) pubblico, con esclusione della respon sabilità della pubblica amministrazione, in riferimento agli art.

3 e 24 Cost. (1)

(1) All'attenzione della corte è sottoposta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, 4° comma, d.l. 66/89, convertito in 1. 144/89,

riprodotto da ultimo dal d.leg. 77/95, nella parte in cui, prevedendo la diretta ed esclusiva responsabilità contrattuale del pubblico funziona

rio (o amministratore) in caso di stipula di contratti di forniture relative

a beni e servizi ad enti locali non corredati dalle prescritte autorizzazio

ni contabili e finanziarie, esclude, alla luce del principio di sussidiarietà

di cui all'art. 2042 c.c., l'esperibilità deì\'actio de in rem verso da parte del privato fornitore nei confronti della pubblica amministrazione.

Segnatamente, il vulnus agli art. 3 e 24 Cost, è scorto dal giudice rimettente nel sostanziale azzeramento delle prospettive di tutela del con

traente privato. Per un verso, infatti, la responsabilità contrattuale del

l'agente pubblico come persona fisica è destinata a rimanere solo sulla

carta, stante la sua (quasi) sicura insolvenza a fronte di impegni patri

II Foro Itauano — 1996.

Diritto. — 1. - È stata sollevata questione di legittimità costi tuzionale — in riferimento all'art. 3 Cost, (sotto il duplice pro filo del difetto di ragionevolezza e della disparità di trattamen to) e all'art. 24 Cost, (per il sostanziale diniego di tutela giuris dizionale)— dell'art. 23, 4° comma, d.l. 2 marzo 1989 n. 66

(disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) convertito in 1. 24 aprile 1989 n. 144, nella parte in cui, nel caso di acquisizione di beni e servizi per effetto di lavori di «somma urgenza» non regolariz zati successivamente nei termini prescritti, esclude in ogni caso,

ed anche in relazione all'arricchimento senza causa di cui al

l'art. 2041 c.c., la responsabilità patrimoniale della pubblica am ministrazione, prevedendo che il rapporto obbligatorio intercorra

moniali non di rado ciclopici; per altro verso, al privato è scippata l'àncora di salvataggio dell'azione di arricchimento senza causa nei con fronti della più affidabile pubblica amministrazione.

La parabola argomentativa, tracciata dalla Consulta per fugare i so

spetti di incostituzionalità, è cosi articolata:

a) effettivamente la diretta esperibilità dell'azione di indebito arric chimento nei riguardi della pubblica amministrazione è impedita, alla luce del principio di sussidiarietà, dall'attribuzione al privato dell'azio ne di responsabilità contrattuale verso il pubblico operatore (cfr., nel senso della non esercitabilità dell' azione «fi arricchimento anche in ipo tesi di esperibilità di azione specifica, da parte del depauperato, ai dan

ni di soggetto diverso dal locupletato, con riferimento alla normativa

sottoposta all'esame della corte, Pret. Napoli-Castellammare di Stabia 10 febbraio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Arricchimento senza causa, n. 24, e Giur. merito, 1994, 282, con nota di Mascolo; nonché, in

dottrina, Trabucchi, Arricchimento, voce àe\\'Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, 7;.

b) Yactio de in rem verso può per contro essere intentata da parte dell'amministratore, a sua volta depauperato a seguito dell'esercizio nei suoi confronti, da parte del fornitore, del diritto di credito nascente dal contratto ex art. 23, cit.;

c) conseguentemente, lo stesso fornitore, surrogandosi ex art. 2900

c.c. all'amministratore inerte, è legittimato a chiamare in giudizio l'am ministrazione locupletata dalla fornitura, anche in via contestuale all'e

sperimento della menzionata azione di responsabilità contrattuale.

Proprio il riconoscimento di tale legittimazione surrogatoria dimostra

conclusivamente, ad avviso della Consulta, l'insussistenza dei vuoti di tutela adombrati dal giudice remittente con riguardo alla posizione del

privato fornitore.

Seguendo tale circuito motivazionale, la corte sembra, invece, non condividere l'opzione giurisprudenziale secondo cui, in omaggio ad una

concezione concreta di sussidarietà, ex art. 2042 c.c., l'azione di arric chimento ben potrebbe essere spiccata direttamente all'indirizzo del sog

getto locupletato laddove il diverso soggetto dichiarato responsabile ad altro titolo risulti insolvente (cosi Cass. 18 agosto 1993, n. 8751, Foro

it., Rep. 1993, voce cit., n. 2; in dottrina, Trimakchi, L'arricchimento

senza causa, Milano, 1962, 43). L'adesione a tale approccio, avrebbe, infatti, con tutta evidenza, con

sentito di rigettare la questione, prospettando l'incardinabilità di una

diretta azione di arricchimento ad opera del fornitore nei confronti del

l'amministrazione, piuttosto che una tortuosa legittimazione surrogato

ria, utendo iuribus del funzionario a sua volta depauperato.

* * *

Criterio di sussidiarietà e legittimazione surrogatoria nell'esercizio

deU'«actio de in rem verso» nei confronti della pubblica amministrazione.

I. - Nel corso degli ultimi anni la fisionomia della pubblica ammini

strazione è stata percorsa, sul versante normativo, da fremiti rinnovato ri di rara intensità.

La stella polare seguita dal legislatore è rappresentata dalla necessità

di dare una spallata ad una ormai anacronistica concezione autoritaria

dell'azione dei pubblici poteri — imperniata sulla impermeabilità rispet to ad ogni sorta di controllo da parte della collettività e sulla esclusione

aprioristica di contributi estemi —, per abbracciare valori squisitamen te privatistico-imprenditoriali, quali l'efficienza, la produttività, la con trattualizzazione delle scelte, e, non da ultimo, la responsabilizzazione individuale degli operatori.

La corsa ad ostacoli, iniziata nel 1986 — con l'istituzione del ministe

ro dell'ambiente e la creazione delle prime forme di partecipazione di

privati e, soprattutto, enti esponenziali di interessi collettivi — ha cono

sciuto le sue tappe essenziali con la i. 7 agosto 1990 n. 241 e con il

d.l. 3 febbraio 1993 n. 29, entrambi modificati dalla 1. 273/95: la pri ma, elevando i cittadini da spettatori a protagonisti dell'azione pubbli

ca, ha trasformato il procedimento amministrativo in luogo di confron

to dialettico tra pubblica amministrazione e privati, oltre che di compo sizione dei rispettivi interessi; il secondo, munendo tale rivoluzione

This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 05:33:10 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended