sentenza 24 ottobre 1995, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45);Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del Friuli (Avv. Mussato) c. Pravisani; interv.Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta), Ord. Cons. Stato 25 febbraio 1994 (G.U., 1 a s.s.,n. 9 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 15/16-21/22Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190566 .
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PARTE PRIMA
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 ottobre 1995, n. 447
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Comune di Pozzuolo del
Friuli (Aw. Mussato) c. Pravisani; interv. Pres. cons, mini stri (Aw. dello Stato Zotta), Ord. Cons. Stato 25 febbraio 1994 (G.U., la s.s., n. 9 del 1995).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Frocedimento
penale — Sospensione obbligatoria dal servizio — Obbligo di riammissione dopo cinque anni — Questione infondata di
costituzionalità (Cost., art. 3, 4, 97; d.p.r. 10 gennaio 1957
n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 91, 92; 1. 7 febbraio 1990 n. 19, modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubbli ci dipendenti, art. 9).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 9, 2° comma, l. 7 febbraio 1990 n. 19, nella parte in cui prevede per la pubblica ammini
strazione l'obbligo indiscriminato di riammettere nel posto di
lavoro il dipendente, già sospeso cautelarmente dal servizio
ai sensi dell'art. 91 d.p.r. 3/57 per essere stato sottoposto
a procedimento penale e successivamente condannato, ancor
ché con sentenza non ancora passata in giudicato, alla sca
denza del termine di cinque anni dall'inizio del periodo di
sospensione, in riferimento agli art. 3, 4 e 97 Cost., attesa
la possibilità di applicare la sospensione facoltativa ai sensi
dell'art. 92 d.p.r. 3/57. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1995, n. 374
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 agosto 1995 n. 32);
Pres. Baldassarre, Est. Caianiello; Masini c. Min. finanze.
Ord. Tar Puglia, sez. Bari, 26 aprile 1994 (G.U., la s.s., n.
48 del 1994).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Procedimento
disciplinare — Sentenza penale irrevocabile di proscioglimen to — Data di deposito — Decorrenza del termine — Omessa
previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.p.r. 10
gennaio 1957 n. 3, art. 97).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Procedimento
disciplinare — Sentenza penale irrevocabile di proscioglimen to — Obbligo di trasmissione della notizia a carico dei re
sponsabili degli uffici giudiziari — Omessa previsione — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 97).
È incostituzionale l'art. 97, 3° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957
n. 3, nella parte in cui prevede, in caso di sentenza o ordinan
za che pronuncia sull'impugnazione, che il procedimento di
sciplinare deve avere inizio entro centottanta giorni dalla data
in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento,
indipendentemente dalla data di deposito della sentenza o or
dinanza conclusiva del procedimento, se successiva alla data
in cui si verifica l'irrevocabilità della pronuncia di proscio
glimento. (2) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
97, 3° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, relativamente
alla parte in cui non prevede a carico dei responsabili degli
uffici giudiziari un obbligo di trasmissione della notizia della irrevocabilità della sentenza di proscioglimento alla pubblica
amministrazione di appartenenza del dipendente sottoposto a procedimento penale, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (3)
(1-3) Con la sent. 447/95 la corte evidenzia la concorrenza dei diversi
istituti della sospensione obbligatoria ex art. 91 t.u. 3/57 e di quella facoltativa ex art. 92, il primo basato su presupposti meramente forma
li ed il secondo su presupposti sostanziali discrezionalmente valutabili
dall'amministrazione, cosi da realizzare in termini soddisfacenti il con
temperamento dei contrapposti interessi del dipendente al lavoro (art. 35 Cost.) e dell'amministrazione al buon andamento della sua attività
(art. 97 Cost.). Con la sent. 374/95 la corte, accogliendo l'invito al riesame contenu
II Foro Italiano — 1996.
I
Diritto — 1. - È stata sollevata questione incidentale di legit timità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 4 e 97 Cost.,
dell'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19 (modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e de
stituzione dei pubblici dipendenti), nella parte in cui prevede per la pubblica amministrazione l'obbligo indiscriminato di riam mettere nel posto di lavoro il dipendente — già sospeso dal
servizio per essere stato sottoposto a procedimento penale e suc
cessivamente condannato, ancorché con sentenza non ancora
passata in giudicato — alla scadenza del termine di cinque anni
dall'inizio del periodo di sospensione per sospetta violazione del
principio di ragionevolezza (perché non distingue le diverse si tuazioni in cui può versare il dipendente sospeso secondo sia
la maggiore o minore gravità del reato, sia l'esistenza, o meno,
di una sentenza di condanna a suo carico, ancorché non passata in giudicato), nonché del principio di buon andamento e di im parzialità dell'amministrazione stessa e della necessaria sussi
stenza dei presupposti di dignità e di capacità del pubblico di
pendente. 2. - Vanno preliminarmente respinte le eccezioni — sollevate
dall'avvocatura dello Stato — di inammissibilità della questione. Per un verso, infatti, dall'ordinanza di rimessione non risulta
in punto di fatto che il comune ricorrente abbia inteso applicare
la sospensione facoltativa di cui all'art. 92 cit., facendosi in
essa unicamente riferimento al rinnovo della sospensione caute
lare, inizialmente adottata ex art. 91 cit.; sicché la questione va esaminata in questa prospettazione offerta dal giudice rimet
tente che è centrata sul disposto dell'art. 91 (sospensione caute
lare obbligatoria) senza possibilità di qualificare il provvedimento di rinnovo come un'ipotesi di ricorso alla sospensione cautelare
facoltativa (art. 92). Altra questione, attinente al merito e non
più all'ammissibilità, è quella della astratta possibilità per il co
mune ricorrente di adottare la sospensione cautelare facoltativa
del dipendente, profilo questo del quale si dirà oltre.
to nell'ordinanza di rimessione in relazione al mutato contesto storico sociale ed all'espandersi dei fenomeni di illegalità nel campo della pub blica amministrazione, ribalta la pronunzia di infondatezza della mede
sima disposizione di cui alla sent. 25 maggio 1990, n. 264, Foro it.,
1990, 1, 2723, ove era stata ritenuta legittima la previsione della decor
renza del termine di centottanta giorni per l'inizio del procedimento disciplinare dal passaggio in giudicato della sentenza penale di proscio
glimento o di assoluzione del dipendente dello Stato, indipendentemen te dal deposito della pronunzia o dalla conoscenza da parte dell'ammi nistrazione, in ossequio al favor della giurisprudenza della stessa corte circa l'apposizione dei termini all'esercizio dell'azione disciplinare nei
confronti del pubblico dipendente, secondo i precedenti richiamati nella sentenza 264/90 e nella nota di richiami, cui si rimanda per ogni ulte
riore riferimento. Prima della riforma in materia introdotta dalla 1. 19/90, il termine ex art. 97, 3° comma, t.u. 3/57 era riferito solo ai casi di sentenza assolutoria, mentre alla sentenza di condanna conseguiva la destituzione di diritto nelle ipotesi di cui all'art. 85 d.p.r. 3/57 (negli altri casi, l'apertura di procedimento disciplinare doveva comunque av venire «entro un ragionevole lasso di tempo»: Tar Umbria 30 luglio 1991, n. 419, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1048; Cons.
Stato, sez. IV, 28 aprile 1981, n. 376, id., Rep. 1981, voce cit., n.
951, che però ritiene necessario almeno l'inizio del procedimento entro centottanta giorni dalla sentenza penale che abbia accertato l'esistenza del fatto illecito); con la 1. 19/90 il termine di centottanta giorni è stato riferito anche al procedimento disciplinare dopo sentenza di condanna, con decorrenza dalla conoscenza della sentenza da parte dell'ammini strazione.
Nel caso dopo la sentenza di condanna non sia più possibile, per decorrenza dei termini, attivare il procedimento disciplinare, al dipen dente già sospeso dal servizio spetta la reintegrazione piena sul piano giuridico ed economico per il periodo di sospensione: Cons. Stato, sez.
IV, 24 maggio 1995, n. 360, Cons. Stato, 1995, I, 638, che espressa mente critica il diverso orientamento della Corte dei conti che riferisce la restitutio in integrum prevista dall'art. 97 t.u. 3/57 solo a pronunzie assolutorie penali (Corte conti, sez. contr., 16 aprile 1992, n. 69, Foro
it., Rep. 1994, voce cit., n. 1047 e 3 marzo 1988, n. 1907, id., Rep. 1989, voce Pubblica sicurezza (amministrazione della), nn. 30, 31).
Sussiste contrasto in giurisprudenza sulla questione se entro il detto termine deve essere solo adottato o anche comunicato all'interessato il provvedimento disciplinare: per la prima soluzione, Tar Lazio, sez.
Ili, 29 giugno 1985, n. 954, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 839; per la seconda, Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 1994, n. 341, id., Rep. 1994, voce cit., n. 966.
Per ogni riferimento di carattere generale sul procedimento discipli nare conseguente a fatti oggetto di processo penale e sulla sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente, v. la nota di richiami a Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 419, id., 1995, III, 591.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Per altro verso, la successiva entrata in vigore della 1. 18 gen
naio 1992 n. 16 (norme in materia di elezioni e nomine presso
le regioni e gli enti locali) — che, all'art. 1, comma 4 septies, ha previsto che si fa luogo alla immediata sospensione, dalla
funzione e dall'ufficio ricoperti dal pubblico dipendente qualo ra ricorra alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c)
e) ed f) del 1° comma della medesima disposizione — non rile va vuoi perché, secondo la giurisprudenza amministrativa in ma
teria trova comunque applicazione la disposizione censurata, vuoi
perché nella specie una tale sospensione, ancorché obbligatoria,
deve comunque costituire oggetto di un espresso provvedimen
to, che nella specie — come risulta dall'ordinanza di rimessione — manca.
3. - Nel merito la questione non è fondata nei termini che
saranno appresso precisati. 3.1. - Non sussiste innanzi tutto la denunciata violazione del
principio di ragionevolezza. La finalità cui si ispira la disposizione censurata — che è
quella di eliminare o ridimensionare gli automatismi per cui dalla condanna penale o dall'assoggettamento a procedimento penale
del pubblico dipendente derivano conseguenze sul piano disci
plinare quanto al rapporto di pubblico impiego — è pienamente
coerente con la giurisprudenza di questa corte, che ha ritenuto
l'illegittimità costituzionale della destituzione di diritto del pub blico dipendente come conseguenza automatica di una condan
na penale (sentenze n. 971 del 1988, Foro it., 1989, I, 22; n.
40 del 1990, id., 1990, I, 355). Il legislatore, quindi, ha provve duto ad eliminare (al 1° comma della disposizione censurata)
la destituzione di diritto, sicché ora tale grave provvedimento,
che comporta l'estromissione del pubblico dipendente dal posto di lavoro, può essere adottato soltanto all'esito di un procedi
mento disciplinare e sulla base di specifici addebiti che, ancor
ché per altro verso idonei ad integrare gli estremi di un reato,
debbono essere valutati sotto il (diverso ed autonomo) profilo
disciplinare. Nello stesso contesto di riforma della materia ed
ispirandosi al medesimo principio di privilegiare la valutazione
degli addebiti disciplinari in sé piuttosto che far discendere con
seguenze di natura disciplinare da addebiti mossi in sede pena
le, il legislatore — con la disposizione censurata (secondo e ter
zo periodo) — ha parimenti limitato quel particolare potere (del
l'amministrazione) di sospensione cautelare del dipendente,
previsto dal 1° comma, prima parte, dell'art. 91 citato (la se
conda parte concerne la diversa ipotesi di sospensione, questa
si, autenticamente obbligatoria come recita la rubrica dell'arti
colo perché vincolativamente adottata «ove sia stato emesso man
dato o ordine di cattura»); potere fondato sul mero dato for
male della pendenza di un procedimento penale a carico del
dipendente senza necessità di alcuna sommaria cognitio in ordi
ne né alla responsabilità dell'imputato, né al (maggiore o mino
re) rilievo disciplinare della condotta delittuosa, e solo condi
zionato — oltre che, appunto, alla sussistenza di tale presuppo
sto formale — all'apprezzamento della particolare gravità della
natura del reato per il quale si procede. Relativamente a questa
ipotesi il legislatore ha posto un limite massimo al protrarsi —
in ragione della mancata conclusione del procedimento penale — della situazione di estromissione dal posto di lavoro del pub
blico dipendente, la cui aspettativa ad una valutazione nel meri
to del profilo disciplinare degli addebiti mossigli in sede penale
non può ragionevolmente essere procrastinata sine die. Nel do
veroso bilanciamento (sentenza n. 374 del 1995 (id., 1996, I,
15) tra gli opposti interessi — nella specie: quello del dipenden
te di risprendere il servizio (che riflette la tutela del diritto al
lavoro garantito dall'art. 35 Cost.) e quello dell'amministrazio
ne (il cui buon andamento ha rilievo anch'esso costituzionale
ex art. 97 Cost.) di escludere temporaneamente dal servizio il
dipendente sul quale faccia ombra il solo fatto dell'imputazione
per un grave reato suscettibile di essere valutato sotto il profilo
disciplinare — il legislatore non irragionevolmente ha fissato
un (peraltro congruo) termine massimo quinquennale, scaduto
il quale il dato formale dell'imputazione penale cessa di avere
quella idoneità, originariamente riconosciuta dall'art. 91, a le
gittimare il perdurare della sospensione cautelare, salva rima
nendo peraltro, come subito sarà precisato, la potestà della am
ministrazione di tutelare diversamente l'interesse ad un corretto
svolgimento della funzione pubblica.
3.2. - Infatti, neppure è violato il principio (parimenti evoca
to dal giudice rimettente) del buon andamento dell'amministra
li, Foro Italiano — 1996.
zione (art. 97 Cost.), perché la perdita automatica di efficacia della sospensione cautelare ex art. 91 cit. non comporta affatto
che — perdurando, nonostante il non breve lasso di tempo tra
scorso, l'esigenza cautelare di non riammettere in servizio il di
pendente in ragione della particolare gravità e dell'irrimediabile
pregiudizio che all'attività dell'ente pubblico, datore di lavoro, deriverebbe dalla (seppur condizionata) riattivazione del rapporto
di impiego — nessuno strumento residui all'amministrazione per
contrastare ed evitare tale pregiudizio. Ed invero, come esatta
mente osserva l'avvocatura di Stato, la sopravvenuta inefficacia
di diritto della sospensione cautelare adottata ex art. 91 — pro
prio perché si fonda su un presupposto autonomo e diverso
da quello della sospensione c.d. facoltativa di cui all'art. 92 — non esclude, né preclude, il ricorso a quest'ultima come stru
mento alternativo di cautela e garanzia delle ragioni dell'ammi
nistrazione. È cioè possibile che, pur decorso il termine quin
quennale suddetto, sussistano «gravi motivi» che, ancorché non
sia esaurito il procedimento penale, giustifichino la perdurante
(ma non ancora definitiva) estromissione del dipendente dal po
sto di lavoro, motivi che però non possono consistere più nel
mero dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e deb
bono) riguardare la commissione dell'addebito disciplinare; ciò alla luce di una sommaria cognitio dei fatti che, valutando allo
stato ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del
dipendente, rinvenga in quest'ultima un insuperabile ostacolo
alla sua riammissione in servizio. Questo diverso tipo di sospen sione però, proprio perché si fonda su un presupposto sostan
ziale e non già (come quella dell'art. 91) formale, comporta — a garanzia del diritto di difesa del dipendente — che nel
termine di quaranta giorni dalla data in cui il provvedimento stesso è stato comunicato all'interessato siano in ogni caso con
testati gli addebiti al medesimo, il quale quindi — impugnando eventualmente il provvedimento — è posto in condizione di ne
garne la sussistenza o l'idoneità a valere come «gravi motivi»
per la sospensione. Cosi dispone il 2° comma dell'art. 92, che, nella parte in cui prescrive l'immediata e tempestiva contesta
zione degli addebiti, tuttora si pone rispetto al successivo art.
117 — ove questo si ritenga non abrogato, come peraltro è con
troverso nella giurisprudenza amministrativa, pur dopo l'entra
ta in vigore del nuovo processo penale — come norma speciale,
sicché, in tal caso, la obbligatoria sospensione del procedimento
disciplinare in pendenza del procedimento penale si ha non ap
pena comunicata tale contestazione. Non essendo poi questa so
spensione ancorata ad un dato formale, non c'è neppure ragio
ne di quel meccanismo risolutorio automatico quale quello pre visto dalla disposizione censurata, che infatti contempla la
sopravvenuta inefficacia di diritto non già di qualsiasi sospen sione cautelare, ma soltanto di quella disposta «a causa del pro cedimento penale»; fermo però restando che, come riconosciu
to dalla giurisprudenza amministrativa, il dipendente può sem
pre domandare la revoca del provvedimento cautelare per essere
cessati i «gravi motivi» che — in considerazione appunto delle
esigenze di buon andamento dell'amministrazione — prima lo
giustificavano. 3.3. — La riconosciuta possibilità per l'amministrazione di
ricorrere alla sospensione facoltativa esclude poi anche la de
nunciata irragionevolezza della disposizione censurata sotto l'ul
teriore profilo che la norma non distinguerebbe le diverse situa
zioni in cui può versare il dipendente sospeso; ed infatti il ricor
so testuale ad una clausola generale, insita nel sintagma «gravi
motivi», di contenuto (non rigido, bensì) elastico, impone al
l'amministrazione di apprezzare (e quindi differenziare) le si
tuazioni di fatto in ragione sia della maggiore o minore gravità
degli addebiti, sia di ogni altra circostanza soggettiva od ogget tiva della condotta quale risultante allo stato.
3.4. - E neppure, infine, è leso l'ulteriore parametro invocato
(art. 4 Cost.), atteso che la valutazione dei «gravi motivi» della
sospensione cautelare ex art. 92 cit. comporta la necessità di
apprezzare se gli addebiti contestati al dipendente siano tali da
influire negativamente sui presupposti di dignità e capacità del
lo stesso richiesti per la prosecuzione del rapporto di impiego.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19
(modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale del
la pena e destituzione dei pubblici dipendenti) sollevata, in rife rimento agli art. 3, 4 e 97 Cost., dal Consiglio di Stato con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
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PARTE PRIMA
II
Diritto. — I. - È stata sollevata, in riferimento agli art. 3
e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3° comma, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle di sposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Sta to), il quale prevede che il procedimento disciplinare nei con
fronti di un dipendente dello Stato deve avere inizio entro cen
tottanta giorni «dalla data in cui è divenuta irrevocabile la
sentenza definitiva di proscioglimento». Si sostiene nell'ordinanza
di rinvio che far decorrere il termine di centottanta giorni, en
tro il quale, a pena di decadenza, deve essere iniziata l'azione
disciplinare, dalla data in cui la sentenza di proscioglimento sia
divenuta irrevocabile è irragionevole e contrario al principio del
buon andamento, per la difficoltà che la pubblica amministra
zione incontra a conoscere il momento in cui tale evento si veri
fica indipendentemente dal deposito della sentenza conclusiva
dell'(Ver processuale. È stata altresì' sollevata questione di legittimità costituzionale
della medesima norma, in riferimento agli stessi parametri co
stituzionali sopra detti, nella parte in cui essa non prevede a
carico dei funzionari dell'amministrazione della giustizia un
espresso obbligo, sanzionato penalmente o amministrativamen
te, di trasmettere la notizia della intervenuta irrevocabilità della
sentenza di proscioglimento alla pubblica amministrazione di
appartenenza del dipendente, ai fini del tempestivo esercizio del
l'azione disciplinare. 2.1. - La prima questione è fondata, relativamente al profilo
in cui è censurata l'irrilevanza della data di deposito del provve
dimento che determina o dichiara la formazione del giudicato
penale di proscioglimento. Come la stessa ordinanza di rimessione mostra di farsi cari
co, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3° com
ma, del testo unico degli impiegati civili dello Stato n. 3 del 1957, è stata già esaminata da questa corte che la dichiarò non
fondata con la sentenza n. 264 del 1990 (Foro it., 1990, I, 2723). La questione oggetto del presente giudizio è stata prospetta
ta, però, in termini diversi da quelli disattesi con la citata sen
tenza, che escluse la possibilità di una pronuncia correttiva, nei
termini allora invocati. Nell'ordinanza di rinvio si sottolineava
l'esigenza che il detto termine di centottanta giorni, stabilito
a pena di decadenza per l'esercizio dell'azione disciplinare, de
corresse, invece che dalla data in cui la sentenza definitiva fosse
divenuta irrevocabile, dalla data della comunicazione della sen
tenza stessa da parte degli uffici giudiziari all'amministrazione
di appartenenza del dipendente. In relazione a questa prospetta
zione, la corte ha ritenuto, nella menzionata sentenza n. 264
del 1990, che nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, quale
«quello dell'amministrazione a non vedersi impedito l'esercizio
di potere disciplinare e quello dell'impiegato a vedere definita la sua posizione», non fosse irragionevole far decorrere tale ter
mine di centottanta giorni da un evento obiettivo e certo quale il passaggio in giudicato della sentenza penale definitiva di pro
scioglimento, in luogo di un evento incerto, quale quello della
comunicazione della sentenza all'amministrazione, rimesso all'i
niziativa o alla collaborazione degli addetti agli uffici giudiziari. 2.2. - Nel presente giudizio la questione viene prospettata sot
to un profilo diverso, in quanto si denuncia l'irragionevolezza della norma ponendosi in risalto, come si è ricordato, le diffi
coltà che incontra l'amministrazione a conoscere, prima del de
posito della sentenza (o ordinanza) terminativa del processo, il momento in cui si è verificata la irrevocabilità della pronun cia di proscioglimento quando, come nella specie, questo mo
mento non coincida, perché precedente, con il deposito della
sentenza (o ordinanza) con cui l'iter processuale si conclude.
Orbene, proprio muovendo dalle considerazioni svolte nella
menzionata sentenza n. 264 del 1990 — secondo cui risponde alle esigenze di bilanciamento fra i contrapposti interessi riferire
ad un evento certo la decorrenza del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione disciplinare — non può considerarsi ra
gionevole ancorare il decorso del termine anzidetto ad un even
to che non presenta i requisiti di certezza che soli possono deri
vare dal deposito del provvedimento che conclude il processo,
quando tale deposito sia successivo alla data di formazione del
giudicato di proscioglimento (adottato per motivi diversi da quelli dell'insussistenza del fatto e della non commissione del fatto
da parte dell'imputato).
Il Foro Italiano — 1996.
In proposito, si deve osservare che la norma impugnata si
riferisce genericamente, nello stabilire il dies a quo del termine
di decadenza di centottanta giorni, alla data in cui è divenuta
irrevocabile la sentenza di proscioglimento. Ma questo evento può verificarsi sia per effetto della stessa
sentenza (poi divenuta) irrevocabile, come nel caso di sentenza
di merito non impugnata nel termine stabilito dalla legge, sia
per effetto di altro provvedimento, emesso dal giudice investito
dell'impugnazione avverso l'anzidetta sentenza, provvedimento a sua volta divenuto irrevocabile.
Mentre è da ritenersi pacifico che, nel caso in cui si tratti
di sentenza di merito non impugnata, l'irrevocabilità della pro nuncia non può prescindere dal deposito della relativa motiva
zione, necessariamente anteriore, diverso è il caso della senten
za di merito impugnata, anche tardivamente.
Basta al riguardo considerare, fra le varie possibili, l'ipotesi,
verificatasi nel giudizio a quo, in cui l'irrevocabilità maturi a
seguito di declaratoria di inammissibilità (o, anche, di rigetto) del ricorso per cassazione, formandosi il giudicato di prosciogli mento alla data della lettura del dispositivo (art. 648, 2° com
ma, secondo periodo, c.p.p.), ma verificandosi il deposito della
motivazione in un tempo, anche sensibilmente, successivo (cfr. art. 617 c.p.p.). Analogamente, può verificarsi una significativa
scissione temporale tra data di formazione del giudicato e depo sito del provvedimento conclusivo dell'intero iter processuale
quando questo sia rappresentato da una declaratoria di inam
missibilità del gravame, segnatamente per tardività dell'impu
gnazione proposta; vicenda, questa, che comporta, secondo gli
orientamenti della giurisprudenza, la formazione del giudicato
con decorrenza dalla scadenza del termine per impugnare la pro nuncia di merito, solo formalmente dichiarata dalla successiva
decisione del giudice dell'impugnazione. 2.3. -A seguirsi la disposizione censurata, che prescinde in
ogni caso dal momento di deposito del provvedimento giurisdi
zionale che conclude in via definitiva l'iter del processo, deter
minando o dichiarando l'irrevocabilità della statuizione di pro
scioglimento, si manifesta, come posto in risalto nell'ordinanza
di rinvio, una reale incertezza per l'amministrazione: sia in or
dine alla conoscenza tempestiva della data di irrevocabilità, giac
ché, in particolare nella seconda ipotesi sopra fatta, è pendente
comunque una impugnazione, anche se successivamente ne sia
verificata l'inammissibilità; sia in ordine alla valutazione del fatto
da apprezzare in ambito disciplinare, conoscibile talvolta nella
sua completezza oggettiva e soggettiva solo in base alla motiva
zione del provvedimento conclusivo dell'intero processo. Nelle ipotesi considerate, dunque, l'esercizio dell'azione di
sciplinare potrebbe risultare aleatorio o anche precluso, risul
tandone vulnerato quel requisito di certezza obiettiva sottoli
neato da questa corte nella richiamata sentenza n. 264 del 1990,
quale elemento di ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi sottesi alla potestà disciplinare della pubblica ammini
strazione.
2.4. - Da quanto precede risulta il contrasto della norma im
pugnata con i parametri costituzionali invocati, sia sotto il pro filo della ragionevolezza che sotto quello del buon andamento
della pubblica amministrazione, perché, prescindendosi dal mo
mento del deposito del provvedimento (sentenza o ordinanza) che dichiara o che stabilisce l'irrevocabilità del proscioglimento,
per determinare l'evento dal quale decorre il termine previsto
per l'inizio del procedimento disciplinare, si rende estremamen te difficoltoso l'eserizio della relativa potestà amministrativa, che può addirittura risultare in talune ipotesi impedita.
Per ricondurla a conformità con i parametri costituzionali detti, la norma impugnata deve essere pertanto dichiarata costituzio
nalmente illegittima nella parte in cui prevede, in caso di sen
tenza o ordinanza che pronunci in sede di impugnazione, che il procedimento disciplinare debba avere inizio entro centottan
ta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza
di proscioglimento, indipendentemente dalla data di deposito della decisione, conclusiva dell'iter processuale, resa appunto in sede di impugnazione, se detta data sia successiva a quella di formazione del giudicato di proscioglimento.
3. - La questione relativa alla richiesta addizione normativa
di un obbligo positivo e sanzionato espressamente, a carico dei
«funzionari del ministero di grazia e giustizia» (recte: dei re sponsabili amministrativi degli uffici giudiziari), di comunica zione della notizia della intervenuta irrevocabilità della sentenza
terminativa, già disattesa da questa corte nella citata sentenza
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
n. 264 del 1990, deve, per le considerazioni ivi svolte, essere
dichiarata manifestamente infondata, tanto più alla luce del
l'accoglimento della prima questione sollevata, idoneo a garan tire le esigenze poste dal remittente a base dell'ulteriore censu
ra, senza interferire in ambiti di scelte affidate alle determina
zioni legislative nella materia. Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegit
timità costituzionale dell'art. 97, 3° comma, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui prevede, in caso di sentenza o ordinanza che pronuncia sull'impugnazio
ne, che il procedimento disciplinare deve avere inizio entro cen
tottanta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sen
tenza di proscioglimento, indipendentemente dalla data di de
posito della sentenza o ordinanza conclusiva del procedimento, se successiva alla data in cui si verifica l'irrevocabilità della pro nuncia di proscioglimento; 2) dichiara la manifesta infondatez
za della questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, 3°
comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposi zioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), relativamente alla parte in cui non prevede a carico dei respon sabili degli uffici giudiziari un obbligo di trasmissione della no tizia della irrevocabilità della sentenza di proscioglimento alla
pubblica amministrazione di appartenenza del dipendente sotto
posto a procedimento penale, sollevata, in riferimento agli art.
3 e 97 Cost., dal Tar per la Puglia, sede di Bari, con l'ordinan
za indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 ottobre 1995, n. 446
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 novembre 1995, n. 45); Pres. Caianiello, Est. Granata; Soc. Costruzioni edili e stra
dali c. Provincia di Catanzaro; interv. Pres. cons, ministri.
Ord. Trib. Vibo Valentia 16 dicembre 1994 (G.U., 1" s.s., n. 21 del 1995).
Comune e provincia — Forniture di beni e servizi — Mancanza
di autorizzazione contabile — Responsabilità contrattuale —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod.
civ., art. 2041, 2042, 2900; d.l. 2 marzo 1989 n. 66, disposi zioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale, art. 23; 1. 24 aprile 1989 n. 144, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 2 marzo 1989
n. 66, art. 1).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, 4° comma, d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in l. 24 aprile 1989 n. 144, nella parte in cui, in caso di contratti di forniture di beni e servizi ad
enti locali non corredati dalle prescritte autorizzazioni conta
bili, riconosce al privato l'esercizio della sola azione di re
sponsabilità contrattuale nei confronti del singolo funziona rio (o amministratore) pubblico, con esclusione della respon sabilità della pubblica amministrazione, in riferimento agli art.
3 e 24 Cost. (1)
(1) All'attenzione della corte è sottoposta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, 4° comma, d.l. 66/89, convertito in 1. 144/89,
riprodotto da ultimo dal d.leg. 77/95, nella parte in cui, prevedendo la diretta ed esclusiva responsabilità contrattuale del pubblico funziona
rio (o amministratore) in caso di stipula di contratti di forniture relative
a beni e servizi ad enti locali non corredati dalle prescritte autorizzazio
ni contabili e finanziarie, esclude, alla luce del principio di sussidiarietà
di cui all'art. 2042 c.c., l'esperibilità deì\'actio de in rem verso da parte del privato fornitore nei confronti della pubblica amministrazione.
Segnatamente, il vulnus agli art. 3 e 24 Cost, è scorto dal giudice rimettente nel sostanziale azzeramento delle prospettive di tutela del con
traente privato. Per un verso, infatti, la responsabilità contrattuale del
l'agente pubblico come persona fisica è destinata a rimanere solo sulla
carta, stante la sua (quasi) sicura insolvenza a fronte di impegni patri
II Foro Itauano — 1996.
Diritto. — 1. - È stata sollevata questione di legittimità costi tuzionale — in riferimento all'art. 3 Cost, (sotto il duplice pro filo del difetto di ragionevolezza e della disparità di trattamen to) e all'art. 24 Cost, (per il sostanziale diniego di tutela giuris dizionale)— dell'art. 23, 4° comma, d.l. 2 marzo 1989 n. 66
(disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) convertito in 1. 24 aprile 1989 n. 144, nella parte in cui, nel caso di acquisizione di beni e servizi per effetto di lavori di «somma urgenza» non regolariz zati successivamente nei termini prescritti, esclude in ogni caso,
ed anche in relazione all'arricchimento senza causa di cui al
l'art. 2041 c.c., la responsabilità patrimoniale della pubblica am ministrazione, prevedendo che il rapporto obbligatorio intercorra
moniali non di rado ciclopici; per altro verso, al privato è scippata l'àncora di salvataggio dell'azione di arricchimento senza causa nei con fronti della più affidabile pubblica amministrazione.
La parabola argomentativa, tracciata dalla Consulta per fugare i so
spetti di incostituzionalità, è cosi articolata:
a) effettivamente la diretta esperibilità dell'azione di indebito arric chimento nei riguardi della pubblica amministrazione è impedita, alla luce del principio di sussidiarietà, dall'attribuzione al privato dell'azio ne di responsabilità contrattuale verso il pubblico operatore (cfr., nel senso della non esercitabilità dell' azione «fi arricchimento anche in ipo tesi di esperibilità di azione specifica, da parte del depauperato, ai dan
ni di soggetto diverso dal locupletato, con riferimento alla normativa
sottoposta all'esame della corte, Pret. Napoli-Castellammare di Stabia 10 febbraio 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Arricchimento senza causa, n. 24, e Giur. merito, 1994, 282, con nota di Mascolo; nonché, in
dottrina, Trabucchi, Arricchimento, voce àe\\'Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, 7;.
b) Yactio de in rem verso può per contro essere intentata da parte dell'amministratore, a sua volta depauperato a seguito dell'esercizio nei suoi confronti, da parte del fornitore, del diritto di credito nascente dal contratto ex art. 23, cit.;
c) conseguentemente, lo stesso fornitore, surrogandosi ex art. 2900
c.c. all'amministratore inerte, è legittimato a chiamare in giudizio l'am ministrazione locupletata dalla fornitura, anche in via contestuale all'e
sperimento della menzionata azione di responsabilità contrattuale.
Proprio il riconoscimento di tale legittimazione surrogatoria dimostra
conclusivamente, ad avviso della Consulta, l'insussistenza dei vuoti di tutela adombrati dal giudice remittente con riguardo alla posizione del
privato fornitore.
Seguendo tale circuito motivazionale, la corte sembra, invece, non condividere l'opzione giurisprudenziale secondo cui, in omaggio ad una
concezione concreta di sussidarietà, ex art. 2042 c.c., l'azione di arric chimento ben potrebbe essere spiccata direttamente all'indirizzo del sog
getto locupletato laddove il diverso soggetto dichiarato responsabile ad altro titolo risulti insolvente (cosi Cass. 18 agosto 1993, n. 8751, Foro
it., Rep. 1993, voce cit., n. 2; in dottrina, Trimakchi, L'arricchimento
senza causa, Milano, 1962, 43). L'adesione a tale approccio, avrebbe, infatti, con tutta evidenza, con
sentito di rigettare la questione, prospettando l'incardinabilità di una
diretta azione di arricchimento ad opera del fornitore nei confronti del
l'amministrazione, piuttosto che una tortuosa legittimazione surrogato
ria, utendo iuribus del funzionario a sua volta depauperato.
* * *
Criterio di sussidiarietà e legittimazione surrogatoria nell'esercizio
deU'«actio de in rem verso» nei confronti della pubblica amministrazione.
I. - Nel corso degli ultimi anni la fisionomia della pubblica ammini
strazione è stata percorsa, sul versante normativo, da fremiti rinnovato ri di rara intensità.
La stella polare seguita dal legislatore è rappresentata dalla necessità
di dare una spallata ad una ormai anacronistica concezione autoritaria
dell'azione dei pubblici poteri — imperniata sulla impermeabilità rispet to ad ogni sorta di controllo da parte della collettività e sulla esclusione
aprioristica di contributi estemi —, per abbracciare valori squisitamen te privatistico-imprenditoriali, quali l'efficienza, la produttività, la con trattualizzazione delle scelte, e, non da ultimo, la responsabilizzazione individuale degli operatori.
La corsa ad ostacoli, iniziata nel 1986 — con l'istituzione del ministe
ro dell'ambiente e la creazione delle prime forme di partecipazione di
privati e, soprattutto, enti esponenziali di interessi collettivi — ha cono
sciuto le sue tappe essenziali con la i. 7 agosto 1990 n. 241 e con il
d.l. 3 febbraio 1993 n. 29, entrambi modificati dalla 1. 273/95: la pri ma, elevando i cittadini da spettatori a protagonisti dell'azione pubbli
ca, ha trasformato il procedimento amministrativo in luogo di confron
to dialettico tra pubblica amministrazione e privati, oltre che di compo sizione dei rispettivi interessi; il secondo, munendo tale rivoluzione
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