sentenza 26 aprile 1985, n. 120 (Gazzetta ufficiale 8 maggio 1985, n. 107 bis); Pres. Elia, Rel.Borzellino; Lavagnini e altri c. I.n.p.s. (Avv. Giordano); interv. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Chiarotti). Ord. Pret. Mantova 10 maggio 1977 (G.U. n. 251 del 1977); Pret. Varese 10ottobre 1977 (G.U. n. 32 del 1978); Pret. Caltanissetta 17 marzo 1982 (G.U. n. 290 del 1982)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 11 (NOVEMBRE 1985), pp. 2861/2862-2863/2864Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180021 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
del gravame non occorra la personale produzione a cura dell'inte
ressato, bensì sia valida, comunque, la spedizione per plico
postale a condizione, tuttavia, che il ricorso, cosi inoltrato,
pervenga agli organi finanziari nei termini: giorni trenta dalla
notifica dell'ordinanza, ex art. 56 1. n. 4 (in tali sensi univoca
mente la Corte di cassazione, sin dal 1957).
Peraltro, anche circoscritta in questi termini, la questione non è
fondata.
Il tertium comparationis offerto dalla Corte d'appello di Roma
è assolutamente disomogeneo quando si rivolge alla produzione dei gravami giudiziari in materia di pensioni; ma lo è altrettanto
anche col riferimento alla proposizione dei ricorsi avanti alle
commissioni tributarie; ovvero, infine, nella indicazione, pur nella
stretta ottica dei procedimenti amministrativi, delle previsioni ad
hoc per taluni specifici tributi (imposte sugli spettacoli, tasse di
CC. GG.). Per contro infatti, nell'ambito amministrativo tributario norma
tive diverse concernenti presentazioni di dichiarazioni, rettifiche,
gravami di vario genere offrono una disarticolala prospettazione
positiva tale da rifiutare — per il riequilibrio del sistema — un
modello generale cui riferirsi per saggiarne la ragionevolezza, a
confronto di singole disposizioni (in tali sensi, sentenza n. 46 del
10 marzo 1983, Foro it., 1983, 1, 2096).
3. - Tuttavia, è da tener conto che la mentovata 1. del 1929 n.
4, la quale — come esposto — si- pone per la sua stessa
intitolazione quale « disciplina generale repressiva delle violazioni
finanziarie », contiene, nei suoi scopi sanzionatori, due ben distin
te connotazioni organiche: le une che hanno carattere strettamen
te penale; le altre che hanno carattere amministrativo (cosi
notava, già, la relazione del ministro delle finanze al relativo
progetto, presentato alla camera addi 22 novembre 1928).
Orbene, per le sanzioni « amministrative » — e che qui interes
sano — il sistema della legge del 1929 è venuto, nel tempo, a
scolorirsi e a perdere gran parte degli oggetti e dei contenuti cui
la norma generale de qua era rivolta. Ciò a seguito della
revisione operata nella disciplina del contenzioso tributario. La
normativa anzidetta è rimasta, tuttavia, in vigore nei confronti di
quei tributi, di diversificata natura, per le cui controversie non
sussista competenza organica delle commissioni tributarie, ai sensi
dell'art. 1 d.p.r. n. 636 del 26 ottobre 1972.
E, dunque, se per effetto degli art. 55 ss. 1. n. 4 il sistema di
tutela ivi delineato e vigente attiene alla regolamentazione comu
ne ai ricorsi gerarchici, a questa — nei suoi principi a portata
generale — va fatto riferimento ogni qualvolta essa possa — e
quindi debba — incidervi.
4. - Deve riconoscersi, a questo punto, avere acquisito nell'or
dinamento valore omogeneizzante la disposizione di cui all'art. 2
d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199 che — senza distinzione di
materia — attribuisce all'interessato al gravame iin via gerarchica
la facoltà di presentare il ricorso direttamente, ovvero mediante
plico raccomandato con avviso di ricevimento. La data di spedi
zione — in tale usufruibile ipotesi — vale quale data di
presentazione, mentre ai sensi del successivo art. 17 del d.p.r.
medesimo restano abrogate le disposizioni contrarie, ovvero in
compatibili: ovviamenite va incompresa, iti queste, quella da cui
discende la ricevibilità ab origine del gravame.
Cosicché è evidente come l'art. 57 1. n. 4/29 — modalità di
presentazione del ricorso (gerarchico) — vada interpretato in tale
unificante chiave ermeneutica di lettura e di applicazione.
Né contrario avviso potrebbe trarsi dal precedente art. 1, 2°
comma, della stessa 1. n. 4, nella parte in cui si stabilisce (recte:
si (Stabiliva) che le disposizioni della norma « non possono essere
abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli
tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore con
specifico riferimento alle singole disposizioni' abrogate o modifica
te ».
Tale disposto è stato comunque abrogato, in virtù dell'art. 13,
1° comma, d.l. 10 luglio 1982 n. 429 (convertito nella 1. 7 agosto
1928 n. 516), ma — ai sensi del successivo art. 35 — con
« effetto » dal 1° gennaio 1983. Tuttavia, con riguardo all'applica
bilità di esso ratione temporis, appare convincente il considerare
— e a ciò confortano anche i più recenti orientamenti del
Consiglio di Stato — che la norma, indubbiamente di rafforzata
resistenza, ponevasi chiaramente e strettamente coordinata, sul
piano logico sistematico, con il contesto normativo specialmente
rivolto a dare assetto coerente e univoco alla disciplina della
repressione penale delle violazioni finanziarie. Là dove, invece,
identiche esigenze negli scopi di omogeneità e di razionalità son
venute a palesarsi ratione materiae, per la diversa ma pur
Il Foro Italiano — 1985 — Parte /-184.
organica sanzionabilità a carattere amministrativo (e quindi anche
per i relativi rimedi), la nonna de qua non poteva perdere la
propria iniziale rigidità. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiaira non fondata,
nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art. 52, 1" comma, r.d.l. 9 gennaio 1940 n. 2, convertito nella 1. 19 giugno 1940 n. 762 (istituzione di un'impo sta generale sull'entrata) e 57 1. 7 gennaio 1929 n. 4 (norme
generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), nella parte in cui si esclude che la tempestiva proposizione del
ricorso contro l'ordinanza dell'intendente di finanza possa essere
realizzata anche con la spedizione del ricorso stesso, mediante
raccomandata, e che in tal caso la data di ispedizione equivalga alla data di presentazione, sollevata dalla Corte d'appello di
Roma, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 aprile 1985, n. 120
(Gazzetta ufficiale 8 maggio 1985, n. 107 bis)- Pres. Elia, Rei.
Borzellino; Lavagnini e altri c. I.n.p.s. <Avv. Giordano); initerv. Pres. cams, ministri (Avv. dello Stato Chiarotti). Ord.
Pret. Mantova 10 maggio 1977 (G.U. n. 251 del 1977); Pret.
Varese 10 ottobre 1977 (G.U. n. 32 del 1978); Pret. Caltanisset
ta 17 marzo 1982 (G.U. n. 290 del 1982).
Previdenza sociale — Pensione — Quote di maggiorazione —
Esclusioni — Questioni inammissibile e infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3, 30, 31, 38; 1. 21 luglio 1965 n. 903,
avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di
pensione della previdenza sociale, art. 21).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 l.
21 luglio 1965 n. 903, nella parte in cui esclude, per i titolari
di pensione, il diritto alle quote di maggiorazione per fratelli e
sorelle inabili ed a carico, in riferimento agli art. 3 e 38
Cost. (1) È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
21 l. 21 luglio 1965 n. 903, nella parte in cui non parifica, ai
fini delle quote di maggiorazione della pensione, il figlio inabile
al coniuge, in riferimento agli art. 3, 30, 31 e 38 Cost. (2)
Diritto. — 1. - Le tre ordinanze di rimessione di cui in
epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale connesse,
poiché incentrate sull'art. 21 1. 21 luglio 1965 n. 903 (trattamenti di pensione della previdenza sociale); pertanto i relativi giudizi
possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Una prima questione, avente ad oggetto l'art. 21 predetto, è
stata sollevata dal Pretore di Mantova, con ordinanza emessa in
data 10 maggio 1977 e con riferimento agli art. 3 e 38 Cast., non
prevedendo la denunciata norma la categoria dei fratelli e delle
sorelle inabili al lavoro, a carico del pensionato, tra i soggetti
aventi diritto alle quote di maggiorazione della pensione (quote
che, per effetto dell'art. 4 dJ. 2 marzo 1974 n. 30, conv. con
modif. in 1. 16 aprile 1974 n. 114, sono state sostituite dagli
assegni familiari). Il dubbio prospettato muove dal raffronto tra la norma denun
ciata e la disciplina stabilita, all'incontro, per il prestatore in
costanza di lavoro, nei cui confronti, per i soggetti in questione, inabili e a carico, opera la corresponsione degli assegni familiari.
Il giudice a quo muove dal presupposto che per effetto della 1.
30 aprile 1969 n. 153 art. 44, 45, 46, del d.l. 30 giugno 1972 n.
267, art. 5 (conv. in 1. 11 agosto 1972 n. 485) ed infine,
soprattutto, del d.l. 2 marzo 1974 n. 30, art. 4 (conv. in 1. 16
aprile 1974 n. 114) l'istituto delle quote di maggiorazione della
pensione è stato tendenzialmente equiparato a quello degli assegni
familiari sino anzi, con l'art. 4 d.l. n. 30/74, cit., alla definitiva
sostituzione del primo con il secondo, mantenendosi, peraltro,
ferme lie esclusdonii1 soggettive di cui in discorso. E quindi, per
(1-2) Delle ordinanze di rimessione si rinvengono Pret. Mantova 10
maggio 1977, in Foro it., 1977, I, 2621, e Pret. Varese 11 ottobre
1977, id., 1978, I, 1069, con note di richiami. Mentre Pret. Calta
nissetta 17 marzo 1982 è massimata in Foro it., Rep. 1983, voce Pre
videnza sociale, n. 655. Con riferimento alla seconda massima, per il superamento della
disparità fra coniugi in materia di assegni familiari, secondo quanto
viene precisato nella motivazione della decisione che si riporta,
v. Corte cost. 7 luglio 1980, n. 105, id., 1980, I, 2096, con nota di
richiami. _ j
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2863 PARTE PRIMA 2864
la conseguita, obiettiva « assimilazione teleologica » l'ordinanza,
conclusivamente, ha ritenuto privo di « giustificazione logica » il
diverso e più gravoso trattamento riservato al pensionato, rispetto al lavoratore, in relazione alla stessa situazione familiare (fratello o sorella, a carico, inabile al lavoro).
3. - La questione non è fondata.
Le due situazioni non rivestono quelle caratteristiche peculiari di essenziale omogeneità, atte ad esaltarne sul piano costituziona
le, ex airt. 3, le assunte disarmonie, quando non siano in
contestazione gli aspetti retributivi garantiti dal dettato dell'art.
36, bensì semplicemente il novero degli aventi titolo.
S'è qui sopra posta in luce l'equiparazione dei due istituti —
quote di maggiorazione e assegni familiari, l'assorbimento effettivo
anzi delle prime nei secondi — ma da ciò non sembra doversi
necessariamente inferire che il diverso e più ristretto ambito
soggettivo abbila a concretane, senz'altro, irrazionale disparità di
trattamento tra lavoratore da un lato e pensionato dall'altro.
In punto, si pone, infatti, con connotazione di bastevole
ragionevolezza la norma, o il complesso di norme che — sul
piano della discrezionalità legislativa — portano a conferire più circoscritto rilievo — naturale ratione — all'omogeneità familiare
tipica intra domesticos parietes, resistente nel tempo e più incisi
vamente assistita nell'ordinamento, per i suoi preminenti valori
primari d'ordine etico-sociale, prima che giuridico. Né sembra, d'altronde, possa utilmente rilevare il richiamo
all'art. 38 Cost, essendo ivi posto un principio d'ordine generale, non confliggente — se al diverso e qui correlato parametro della
ragionevolezza si è corrisposto — con una disciplina adeguatriioe, flessibile alle particolarità delle varie situazioni.
4. - I Pretori di Varese e di Caltanissetta, con ordinanze
emesse rispettivamente in data 11 ottobre 1977 e 17 marzo 1982, denunciano — in violazione degli art. 3, 30, 31 e 38 Cost. —
l'art. 21 1. 21 luglio 1965 n. 903 nella parte in cui l'attribuzione
delle quote di maggiorazione della pensione (recte: ora assegni
familiari) per il figlio maggiorenne a carico resta condizionata
allo stato di inabilità al lavoro e non a quello di invalidità
come previsto, nel medesimo contesto, per il coniuge a carico.
Senonché l'avvocatura dello Stato ha eccepito l'assenza di ogni motivazione in ordine alla violazione degli art. 30, 31 e 38 Cost., mentre la difesa dell'I.n.p.s., considerando che il giudice a quo « non ha puntualmente individuato la normativa di legge da
applicarsi al caso sottoposto al suo giudizio », ha opposto non
essere più richiesta nell'ordinamento la condizione di invalidità,
per il coniuge, ai fini del godimento degli assegni familiari.
5. - Questi ultimi assunti sono fondati. Secondo il già ricordato
art. 4 d.l. 2 marzo 1974 n. 30, nello stabilirsi che « per le persone d'i cui all'art. 21 1. 21 luglio 1965 in. 903 » ini luogo dèlie quote di
maggiorazione competono gli assegni familiari di cui al t.u.
approvato con d.p.r. n. 797/55, si è inteso rendere applicabili al
titolare di pensione, per le persone di cui al detto art. 21 1. n.
903 (e cioè figlii e coniuge), tutte lie norme die! it.u. sugli assegni familiari concernenti, tra gli altri, i requisiti di particolari condi zioni fìsiche o mentali.
Orbene, siffatta normativa richiede tuttora, per la corresponsio ne degli assegni, la condizione di inabilità al lavoro (art. 4), nei
confronti dei figli (maggiorenni), così come era previsto dall'art.
21 1. n. 903/65, mentre per il coniuge non sussiste più la
condizione di invalidità, ai sensi dell'art. 6 t.u. del 1955, cit., e —
per quel che attiene agli assegni alla moglie per il marito — in
forza della sentenza di questa corte n. 105 del 1980 (Foro it., 1980, I, 2096).
Manifesta, pertanto, la carenza delle ordinanze in esame, in
punto di rilevanza.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 326 r.o. 1977, 532 r.o. 1977 e 388 r.o. 1982, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 1. 21 luglio 1965 n. 903, nella parte in cui non
prevede per il titolare di pensione la categoria dei fratelli e delle
sorelle inabili al lavoro tra i soggetti che hanno titolo alle quote di maggiorazione della pensione (ora assegni familiari), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost, con ordinanza emessa in data
10 maggio 1977 dal Pretore di Mantova; dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 1. 21 luglio 1965
n. 903, nella parte in cui non parifica il figlio inabile al coniuge, sollevata con riferimento agli art. 3, 30, 31 e 38 Cost, con
ordinanze emesse rispettivamente in data 11 ottobre 1977 dal
Pretore di Varese e in data 17 marzo 1982 dal Pretore di
Caltanissetta.
11 Foro Italiano — 1985.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 17 aprile 1985, n. 105
•(Gazzetta ufficiale 30 aprile 1985, n. 101 bis); Pres. Roei-irssen, Rei. Bucciarelli Ducci; Franoescutto c. Cova; interv. Pres.
cons, ministri. Ord. Pret. Milano 15 luglio 1977 (G.U. n. 353
del 1977).
Previdenza sociale — Assegni familiari e contributi — Determina
zione — Riferimento a tabelle di salari medi — Questione
infondata di costituzionalità (Cost., art. 1, 2, 3, 4, 36, 38; 1. 4
aprile 1952 n. 218, riordinamento delle pensioni dell'assicurazione
obbligatoria, art. 2; d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, t.u. delle
norme sugli assegni familiari, art. 35).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35
d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, nella parte in cui prevede per alcune categorie di lavoratori che i contributi e gli assegni
familiari possono essere riferiti ad apposite tabelle di salari
medi e di occupazione media mensile, stabilite con decreto
ministeriale, in riferimento agli art. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 Cost. (1)
Diritto. — 1. - La corte è chiamata a decidere se contrasti o memo con gli art. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 Cost, l'art. 35 d.pjr. 30
maggio 1955 n. 797 (t.u. sugli assegni familiari), nella parte in cui consentirebbe per alcune particolari categorie di lavoratori di commisurare i contributi previdenziali, e di conseguenza le pen sioni di vecchiaia e di anzianità, a retribuzioni medie convenzio nali determinate con decreto del ministero del lavoro anziché alle retribuzioni effettivamente percepite; per il dubbio che tale di
sposizione violi il principio della integrale corrispondenza tra retribuzioni di fatto, onere contributivo e trattamento pensionisti co, nonché il principio di uguaglianza, consentendo arbitrarie discriminazioni tra lavoratori.
2. - In via preliminarne va individuata la disposizione che il
giudice a quo intende effettivamente impugnare, come giustamen te rileva la difesa dello Stato.
L'art. 35 d.p.r. n. 797 del 1955 dispone, infatti, che per particolari categorie di lavoratori i contributi e gli assegni fami liari possono essere riferiti rispettivamente ad apposite tabelle di salari medi e di periodi di occupazione media mensile, stabilite con decreto del ministro del lavoro, sentito il comitato speciale per gli assegni familiari e le associazioni professionali interessate. La questione sollevata però ha ad oggetto le modalità di commi surazione delle pensioni (d'invalidità, vecchiaia e anzianità) per le suddette categorie di lavoratori, da liquidarsi con decorrenza successiva al 30 aprile 1968 (art. 1 d.p.r. 27 aprile 1968 n. 488), denunciandosi che essa venga riferita alle retribuzioni medie
convenzionali, in base alle disposizioni vigenti ai fini del calcolo dei contributi dovuti per gii assegni familiari (art. 17, 1° comma, 1. 4 aprile 1952 n. 218). L'art. 35 impugnato viene quindi iln considerazione soltanto mediatamente, mentre la norma da cui discende la situazione dtenunciaita — come in contrasto con gli invocati parametri costituzionali, in quanto consente di rapportare la pensione ad una retribuzione non reale, ma convenzionale — è
piuttosto l'art. 2 1. 4 aprile 1952 n. 218 (riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria), il quale recita nel 1°
comma: « I contributi per le assicurazioni base per la invalidità, vecchiaia e superstiti... sono dovuti nella misura stabilita dalle tabelle A e B allegate al presente decreto e per ogni periodo di lavoro nelle medesime indicato » e nel 4° comma: « Per partico lari categorie di lavoratori ed anche per limitate zone del territorio nazionale, il ministero per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, può stabilire apposite tabelle di retribuzioni medie agli effetti del calcolo del contributo e fissare altresì i
periodi medi di attività lavorativa ».
La questione sollevata dal giudice a quo e rilevante nel
procedimento di merito riguarda pertanto più l'art. 2 1. n. 218 del 1952 che non l'art. 35 d.p.r. n. 797 del 1955.
3. - La questione comunque non è fondata. La normativa impugnata, cosi come sopra individuata, non
(1) L'ordinanza di rimessione, Pret. Milano 15 luglio 1977, è massi mata in Foro it., 1978, I, 542, con nota di richiami.
Sulla natura di atti amministrativi efficaci ex nunc dei decreti ministeriali di determinazione delle retribuzioni convenzionali medie, v. Cass. 25 settembre 1979, n. 4933, id., Rep. 1979, voce Previdenza sociale, n. 140, e 16 giugno 1981, n. 3928, id., Rep. 1981, voce cit., n. 176, la quale ultima afferma il potere del giudice ordinario di disapplicarli nei profili di illegittimità (come, ad esempio, l'eventuale efficacia retroattiva) indipendentemente da impugnazioni in sede di giurisdizione amministrativa.
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