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Sentenza 27 febbraio 1962, n. 7; Pres. Cappi P., Rel. Mortati; Grassi (Avv. Sorrentino) c. Borroni;...

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Sentenza 27 febbraio 1962, n. 7; Pres. Cappi P., Rel. Mortati; Grassi (Avv. Sorrentino) c. Borroni; Lanfranchi (Avv. Jemolo) c. Ceni (Avv. Sorrentino); interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Tracanna) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 605/606-611/612 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150392 . Accessed: 25/06/2014 10:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.156 on Wed, 25 Jun 2014 10:17:48 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 27 febbraio 1962, n. 7; Pres. Cappi P., Rel. Mortati; Grassi (Avv. Sorrentino) c.Borroni; Lanfranchi (Avv. Jemolo) c. Ceni (Avv. Sorrentino); interv. Pres. Cons. ministri (Avv.dello Stato Tracanna)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 605/606-611/612Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150392 .

Accessed: 25/06/2014 10:17

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605 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 606

i

pena all'altra che e rilevante, trattandosi di surrogazione dal legislatore espressamente preveduta, ben cognita al

giudice all'atto della irrogazione della pena pecuniaria, e

implicita nella sua stessa decisione. Quanto al trattamento

che ne deriva, õ ancora una volta da richiamare la giuris

prudenza di questa Corte, la quale, come õ noto, in nu

merose sentenze, ha escluso che con l'art. 3 della Costitu

zione si sia inteso stabilire un principio di eguaglianza in

senso assoluto, ritenendo non illegittima una diversa disci

plina quando diverse siano le situazioni cui le norme si

riferiscono. Una considerazione analoga si impone anche

per quelle particolaritä di trattamento che inevitabilmente

derivano dalla natura stessa di un istituto giuridico ; il

che appunto si verifica per la pena, la cui funzioDe e tale

che deve poter trovare attuazione a carico di chiunque ab

bia commesso violazione di una norma penale. Non sembra esatto, a tal proposito, il richiamo che fa

l'Avvocatura dello Stato al principio dell'afflitt ivitä della

pena. Esso invero riguarda la pena nel suo contenuto e

nella fase della sua attuazione, mentre la conversion© ri

guarda il momento anteriore del procedimento per la ese

cuzione della pena, ed e da riportare ad altro principio.

Quando si deve procedere alia esecuzione, ove si accerti

la insolvibilita del condannato, se necessariamente si arresta

la esecuzione di altre sanzioni pecuniarie, non altrettanto

puo avvenire delle sanzioni pecuniarie a carattere propria mente penale, cioö le multe e le ammende. L'ordinamento

giuridico, il nostro come quello in genere di tutti i Paesi,

dispone che si proceda oltre, e che si attui sulla liberty

personale del condannato quella esecuzione della pena che

õ risultata impossibile sui suoi averi; affermandosi con

ciõ il principio che alia esecuzione effettivamente si addi

venga, sia pure in forma diversa, affinche, la pena non resti

minacciata ed irrogata a vuoto, ed agisca invece secondo

la propria natura e funzione. Un tal carattere non con

trasta, e appena il caso di rilevarlo, ne col principio del

perdono e con gli istituti relativi (sospensione condizionale

della pena, perdono giudiziale, ecc.), ne, tanto meno, con

la esigenza della individualizzazione della pena, sia al mo

mento della sua irrogazione (in base ai criteri dettati per il nostro ordinamento dall'art. 133 cod. pen.), sia nella fase

della sua esecuzione.

Questo carattere di inderogabilitä, che e insito nella

stessa natura della pena, non puõ non riguardare insieme

e la pena detentiva e la pena pecuniaria (muita e ammenda) :

forme diverse di una categoria unica, e perõ necessaria

mente subordinate ad unico principio. Ora, nel caso di

multa o ammenda non eseguibile, il principio della indero

gabilitä. si attua appunto con la conversione in pena deten

tiva. La funzione che la conversione assume nelle pene

pecuniarie si manifesta nel modo piu evidente se si consi

derano le conseguenze di una eliminazione della relativa

norma dall'ordinamento giuridico. Prive della possibility della conversione, le multe e le ammende verrebbero net

tamente destituite della funzione preventiva e repressiva che b specificamente della pena in senso stretto ; la effet

tiva incidenza della pena sul colpevole rimarrebbe subor

dinata alia sua capacity economica, in modo che quella

disuguaglianza che ora si lamenta per i condannati insol

vibili certamente si manifesterebbe a carico di quelli sol

vibili; e infine il legislatore, per i casi nei quali ritenesse

tuttora necessaria una effettiva tutela penale, sarebbe ine

vitabilmente indotto a sostituire sempre con pene deten

tive le multe e le ammende non piu convertibili; e ciõ in

pieno contrasto con la tendenza attuale a ridurre al mas

simo le brevi pene carcerarie, per le note ragioni di ordine

morale, sociale e pratico. In base alle considerazioni che precedono, la questione

sottoposta all'esame della Corte viene a puntualizzarsi nel

senso che ciõ che bisogna propriamente stabilire e se il

particolar modo di attuarsi del principio della inderoga bilita in relazione alle pene pecuniarie non sia tale da de

terminare, in ragione del trattamento che ne deriva per i

condannati insolvibili, una violazione dell'art. 3 della Co

stituzione. Ora, che con l'art. 3 non si sia inteso spingere a tal punto il principio di eguaglianza si puõ chiaramente

dedurre dalle norme della Costituzione dedicate all'ordi

namento penale. Risulta da esse ben chiaro il proposito di fissare i car

dini costituzionali del sistema punitivo. Principio di lega lity irretroattivitä della norma penale, personalita della

pen a, divieto della pena di morte, divieto di trattamenti

penali contrari ai senso di umanitä, necessitä di indirizzare

la pena verso la riedneazione del condannato : sono altret

tanti punti fondamentali, che esprimono una visione inte

grale del sistema punitivo. Se, come appare evidente, e a

tale visione ehe furono ispirate le norme degli art. 25 e 27

della Costituzione, e da escludere ehe gli altri punti non

esplicitamente considerati siano sfuggiti all'esame del legis lator costituente e tutto invece lascia ragionevolmente ritenere clxe la dove un intervento esplicito non si 6 verifi

cato gli istituti, e in particolare quello della pena, sono

stati recepiti col principio e con la funzione gia loro propri e accolti nelle leggi. L'esigenza logica che la pena, in senso

proprio, sia ordinata in modo da poter giungere alia effet

tiva sua applicazione, anche eventualmente in forma vica

ria, per tutti i soggetti responsabili e per tutte le accertate

violazioni della norma penale ; l'estensione e la importanza dei precetti giuridici garantiti con pene pecuniarie, data

la complessitä sempre crescente, nella vita contemporanea, dei rapporti economici e sociali cui quei precetti si riferi

scono ; l'istituto della conversione delle pene pecuniarie, ricevuto nel nostro e di regola nell'ordinamento di tutti i

Paesi, sono elementi tali che non potevano sfuggire al legis latore costituente. £ chiaro pertanto che, nel porre i

cardini costituzionali deH'ordinamento penale, la conver

sione delle pene pecuniarie per i condannati insolvibili non

e apparsa punto lesiva del principio di eguaglianza dichia

rato in altra norma della Costituzione. D'altra parte, se

talora in qualche modo diversa si manifesta in concreto

la incidenza della pena, un coefficiente fondamentale ri

compone e livella ogni disparitä, ed 6 la necessitä che tutti

i soggetti, di qualsiasi condizione (e fatte salve le parti colaritä di ciascun caso), siano pari nella responsabilitä di fronte al reato : riaffermazione, non negazione del prin

cipio di eguaglianza. Per questi motivi, dichiara non fondate le question i

sollevate con ordinanza del Pretore di Cantü del 17 di

cembre 1960, sulla legittimitä costituzionale dell'art. 630, 1° comma, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 24, 2°

comma, della Costituzione ; e degli art. 135, 136 cod. pen.,

586, ult. comma, cod. proc. pen., in riferimento agli art. 2, 3 e 13, 1° comma, della Costituzione.

CORTE COST1TÜZIONALE.

Sentenza 27 febbraio 1962, n. 7 ; Pres. Cappi P., Rel. Mok

tati ; Grassi (Aw, Soeeentino) c. Borroni; Lanfranchi

(An. Jemolo) c. Ceni (Aw. Sorkentino) ; interv.

Pres. Cons, ministri (Avv.s dello Stato Tracanna).

Contratti agrari — Canoni di aifitto iii cereali s«g

getti ad ammasso •— Divieto di revisionc per

adeguamento — Incostituzionalitä della norina

tiva — Questione iniondata (Costituzione della Ke

pubblica, art. 3, 24 ; d. legisl. 1° aprile 1947 n. 277,

provvüdimeiit.i in materia di affitto di fondi rustici, art. 5).

Contratti agrari — Canoni di aifitto iii cereali sog

getli ad ammasso — Hiduzionc del 30% — Inco

stituzionalita tlella normativa — Questione in

iondata (Costituzione della Kepulbblica, art. 3, 24,

41, 42 ; 1. 18 agosto 1948 n. 1140, eontratti d'affitto

dei fondi rustici, art. 3 ; 1. 3 agosto 1949 n. 476, proroga

per rannata agraria 1948-49 delle disposizioni vigenti in materia d'affitto di fondi rustici, art. 1 ; 1. 15 luglio 1950 n. 505, proroga delle vigenti disposizioni di legge in tema di contratti agrari, art. 3 ;1. 15 giugno 1951 n. 435,

proroga delle disposizioni in materia di contratti agrar

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607 PARTE PRIMA 608

I art. 1 ; 1. 11 luglio 1952 n. 765, proroga delle disposizioni in materia di contratti agrari, art. 1 ; 1. 5 gennaio 1955 n. 4, norme interpretative dell'art. 1 legge 3 agosto 1949 n. 476 e dell'art. 3 legge 15 luglio 1950 n. 505, art. un.).

$ infoliiata la questione d'inoostituzionalita delVart. 5>

capov., decreto legisl. 1° aprile 1947 n. 277, che vieta la re~ visione per adeguamento dei canoni d'affitto di fondi ru

stioi composti esclusivamente da oereali soggetti ad ammasso, o con riferimento ai prezzi degli stessi prodotti, in rela zione agli art. 3 e 24 della Costituzione. (1)

B infondata la questione d'incostituzionalita delle leggi dello

Stato, che sanciscono la riduzione del 30% dei canoni

d'affitto dei fondi rustici composti esclusivamente da ce

reali soggetti ad ammasso o con riferimento ai prezzi degli stessi prodotti, in relazione agli art. 3, 24, 41 e 42 della

Oostituzione. (2)

La Corte, ecc. — Le due cause, congiuntamente discusse

alla udienza, possono essere riunite e definite con unica

sentenza, data l'identita delle quest ioni con esse sollevate.

Yanno disattese le eccezioni di inamrnissibilita proposte dalla difesa degli affittuari. Infatti la Corte ha altre volte

statuito che il giudizio sulla non manifesta infondatezza

della questione di incostituzionalitä puõ essere validamente

effettuato dal giudice a quo mediante rinvio alle deduzioni

svolte a suo sostegno dalla parte che l'ha sollevata. Anche

in ordine all'apprezzamento della rilevanza da attribuire

alia soluzione della questione stessa per la definizione della

(1-2) Le ordinance 12 e 26 aprile 1960 del Tribunale di Mantova sono riprodotte su Le Leggi, 1961, 547 e 549.

La Corte costituzionale ha pronunciato, per l'ultima volta, sull'art. 24, 1° comma, con sent. 22 dicembre 1961, n. 70 (retro, 13, con nota di richiami) ; sugli art. 41 e 42, con le sent. 14 febbraio 1962, nn. 4 e 5 (retro, 404 e 408, con nota di richiami) ; ha poi pronunciato, successivamente alia decisione riportata, sull'art. 3, con sent. 27 marzo 1962, n. 29, retro, 603, con nota di richiami.

Con particolare riferimento alia materia agraria, cons. Corte cost. 27 febbraio 1962, n. 8 (retro, 400, con nota di richiami), a proposito della riduzione dei canoni d'affitto dei fondi rustici

danneggiati da eccezionali ayversitn. atmosferiche ; Corte cost. 10 aprile 1962, n. 34 (in questo fascicolo, I, 824, con nota di

richiami), a proposito della legge siciliana 30 luglio 1948 n. 37, relativa alle modality di riduzione dei canoni d'affitto di fondi rustici.

* * *

Gli estremi delle leggi dello Stato, cui si fa generico richiamo

nella seconda mässima, sono specificati sia nel dispositivo della sentenza riportata, sia nel corrispondente «neretto»; dalla lettura delle medesime si rileva che :

a) la riduzione coattiva del 30 % si applicava, per 1'an nata 1947-48, « a prescindere se questi (scil. il produttore) sia tenuto o meno a conferire cereali all'ammasso » (legge n. 1140 del 1948, art. 3, 1° comma) ;

b) la stessa riduzione coattiva si applicava, per l'annata

agraria 1948-49, negli stessi casi dell'annata 1947-48, « anche se e cessato l'ammasso dei prodotti, a cui il fitto si riferisce »

(legge n. 476 del 1949, art. 1) ; c) l'art. 3, 1° comma, della legge n. 505 del 1950, proro

gava l'art. 1 della legge n. 476 del 1949 all'annata 1949-50 ; d) l'art. 1, 3° comma, della legge n. 435 del 1951 proro

gava l'art. 3 della legge n. 505 del 1950 all'annata 1950-51 ; e) l'art. 1, 3° comma, della legge n. 765 del 1952 ha pro

rogate l'art. 1, 3° comma, della legge n. 435 del 1961 fino alia entrata in vigore della nuova legge di riforma dei contratti

agrari; /) infine, per l'art. un. della legge n. 4 del 1955, l'art. 1

della legge n. 476 del 1949 e l'art. 3 della legge n. 505 del 1950 « de vono interpretarsi nel senso che la riduzione del 30% del ca

none, si applica, nella detta misura, tanto sul canone risultante dalla conversione in denaro, quanto sul canone pagato diretta

mente in natura». Per quel che attiene alia prima massima, e da rilevare che

per l'art. 1, ult. comma, della legge 11 luglio 1952 n. 765 «resta

in vigore il 2° comma dell'art. 5 del decreto legislativo del Capo

provvisorio dello Stato 1° aprile 1947 n. 277, anche se i cereali

non sono piü soggetti ad ammasso ».

controversia di merito, la Corte ha ritenuto ehe non sia da

richiedere un'apposita motivazione quando dagli atti della causa se ae palesi evident© la sussistenza. Non ha pertanto

importanza il rilievo (da cui si vorrebbe dedurre l'inammissi

bilita per insufficiente accertamento della rilevanza) della

omissione di ogni indagine sul carattere, innovativo o inter

pretative, rivestito dall'art. 1 legge 11 luglio 1952 n. 765, e ciõ anohe a prescindere dalla considerazione ehe, pur se

questo dovesse considerarsi innovativo, permarrebbe sem

pre l'interesse alia soluzione della questione, sia pure li

mitato ad un minor numero di annate agrarie. L'eccezione di incostituzionalitä con cui si allega la vio

lazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3

Cost., e correlativamente dell'art. 24, e prospettata sotto

due aspetti diversi: e cio& in primo luogo con riferimento al carattere arbitrario che si attribuisce alia riduzione coat

tiva nella misura del 30% stabilita pei canoni in grano o

ragguagliati al prezzo del grano ; in secondo luogo in rela

zione all'esclusione, sancita dall'art. 5 decreto legisl. 1°

aprile 1947 n. 277, dell'azione di perequazione del canone

relativamente ai contratti di cui trattasi.

Sul primo punto la Corte deve riconfermare i criteri

enunciati in passato con numerose pronunce (nn. 3, 28, 118 del 1957, Foro it., 1957, I, 206, 506, 1133 ; n. 53 del

1958, id., 1958, I, 1213 ; n. 46 del 1959, id., 1959, I, 1067 ; n. 16 del 1960, id., 1960, I, 535), in ordine all'interpreta zione da dare all'art. 3 Cost, ed ai limiti del sindacato ad

essa consentito per l'accertamento dell'osservanza del prin cipio di uguaglianza da parte del legislatore : criteri secondo

cui, mentre b da ritenere implicita nel principio predetto

l'esigenza di disporre trattamenti differenziati per situa

zioni obiettivamente diverse, rimane tuttavia aperto al

giudice della costituzionalitä l'accertamento delle circo

stanze, dalle quali si desuma l'inesistenza di ogni presuppo sto idoneo a giustificare la diversita del trattamento.

Per rendersi conto se, alia stregua del criterio riferito,

possa ritenersi fondata l'eccepita violazione dell'art. 3, in conseguenza della riduzione ope legis del canone di loca

zione pattuito in grano o in misura equivalente, h da ricor

dare come tale riduzione, giä disposta per l'annata agraria 1944-45 e confermata per quella successiva dal decreto le

gisl. 22 giugno 1946 n. 44, era collegata al regime dell'am

masso obbligatorio di tutta la produzione del grano, im

posto dall'esigenza di non far mancare un prodotto di prima necessitä : esigenza alia quale si voile provvedere, sia dispo nendo che, nel caso di pattuizione del canone di affitto in

quantitativi di grano o con riferimento al suo valore, fosse

corrisposto all'affittuario un «premio di coltivazione»

pari ad 1/3 del prezzo base del prodotto, in compenso delle

maggiori spese colturali conseguenti agli eventi straordi nari che erano intervenuti, sia stabilendo pel prodotto con

ferito all'ammasso un corrispettivo superiore a quello rica

vabile dal libero mercato. L'art. 3 legge 18 agosto 1948

n. 1140, nel confermare tale ripartizione del prezzo fra con

cedente e colono, stabi'l che ad essa dovesse farsi luogo anche quando fosse venuto meno l'obbligo del conferimento

all'ammasso, e quest'ultima statuizione venne ribadita,

per le rispettive annate agrarie, dall'art. 1 legge n. 479

del 1949, dall'art. 3 legge n. 505 del 1950, dall'art. 1 legge n. 435 del 1951, e finalmente prorogata sine die dall'art. 1

legge n. 765 del 1952.

Si sostiene dalla difesa dei concedenti che il manteni

mento della riduzione del canone, pur dopo l'eliminazione

del « premio di coltivazione » e dopo che l'obbligo del con

ferimento all'ammasso (in un primo momento limitato a

determinati contingenti del prodotto, legge n. 454 del

1950) venne abolito, consentendosi solo un ammasso volon

tario, dia luogo ad ingiustificata sperequazione di tratta

mento rispetto a quanto praticato nei casi di canoni non pat tuiti in grano.

Riguardo a tale doglianza deve anzitutto mettersi in

rilievo l'inesattezza deH'argomentazione sulla quale b fon

data, secondo cui la riduzione del canone sarebbe venuta

a pesare sul concedente solo in conseguenza della trasforma

zione del regime dell'ammasso. In realtä fin dalle prime

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609 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 610

leggi ehe ebbero a togliere ai proprietario la disponibilitä del prodotto, questi e venuto a subire l'onere della decur

tazione del canone, poiehe il c. d. «premio di coltiva

zione » previsto dalle leggi stesse in null'altro consisteva

se non nella facoltä conferita all'affittuario di corrispon dere la sua prestazione in misura inferiore a quella pattuita. £ vero clie tale riduzione trovava un qualche compenso, in via di media e di fatto, nella corresponsione a favore del

concedente di un prezzo per il grano da lui conferito in certa

misura superiore a quello di mercato. Ma non 6 meno vero

che di tale beneficio, ancbe se minore nella sua entitä, egli ancora gode pur dopo il passaggio dalPammasso totale

a quello volontario per contingente. Ciõ pud dirsi, non solo

nei riguardi della quantitä rientrante nel contingente, ma

ancbe per la parte rimanente. Infatti mentre per la prima il concedente si avvantaggia in modo diretto del prezzo

superiore a quello della libera contrattazione, qual'6 fis

sato dal Comitato interministeriale prezzi, per l'altra viene

a godere del soyrapprezzo che indirettamente risulta dalla

manovra operata dalla pubblica autorita, la quale gradua l'immissione al consumo del grano ammassato onde stabiliz

zare i prezzi e preservare i produttori dai ribassi che altri

menti si produrrebbero a suo danno. La cura posta dallo

Stato onde ottenere tali risultati appare comprovata anche

dalle recenti disposizioni consacrate nel decreto min. 9

agosto 1961, che, in attuazione delle direttive fissate dal

piano quinquennale per lo sviluppo della agricoltura, di

cui alia legge 2 giugno 1961 n. 454, ha regolato l'ammasso

volontario del grano, alio scopo di incoraggiare e sostenere

(giovandosi degli stanziamenti di appositi contributi posti a carico dello Stato) l'iniziativa dei produttori, e ciõ « anche

in considerazione della nuova riduzione dell'ammasso per

contingente», secondo 6 detto nelle premesse del decreto

ministeriale predetto. Se si tiene presente la circostanza ora messa in rilievo si

rende palese l'infondatezza della tesi di parte, secondo cui

1'amm asso per contingente avrebbe aggravate la sperequa zione fra gli stessi produttori, in quanto avrebbe diversi

ficato le loro posizioni in base alia circostanza del tutto acci

dental dell'essere o no ammessi al conferimento.

Alle considerazioni che precedono, di per sõ sufficienti

a far ritenere non arbitrario il trattamento differenziato

disposto per i canoni in grano, sono poi da aggiungere quelle

deducibili, per una parte, dagli interessi di carattere gene rale cui soddisfa la coltura granaria, rivolta ad un prodotto avvertito di prima necessitä dalla massa della popolazione

(tale quindi da giustificare ogni intervento dello Stato

idoneo ad incrementarla, o per lo meno a non scoraggiarla),

e, per l'altra parte, dalla struttura dei contratti agrari con

canoni in grano, che si presenta piu uniforme nelle varie

regioni (tale quindi da non fare apparire ingiusta una ri

duzione operata nella stessa misura per tutte). Non esercita influenza sulla conclusione alia quale si e

pervenuti il fatto, rilevato dalla difesa dei concedenti, che

la riduzione coattiva (ai sensi della legge interpretativa 5

gennaio 1955 n. 4), si applica, tanto sul canone pagato in

natura, quanto su quello risultante dalla conversione in

danaro. Infitti l'affittuaTio, che non produce grano nel fondo

locato, dovrä ragguagliare il canone al prezzo corrente (che,

come si õ visto, non fe quello di mercato), sobbarcandosi cosi

aU'onere correlativo. Quest'nltima argomentazione e suffi

ciente anche a far ritenere non probante l'argomentazione di parte, che, a riprova della presunta iniquitä della ridu

zione, fa rilevare come questa colpisca in modo uguale tutti

i canoni, senza riguardo al tipo di coltura effettivamente

praticato nel fondo, e tale quindi da non trovare giustifica zione nei particolari oneri connessi alia produzione del grano.

Le considerazioni esposte conducono pertanto a far ri

tenere infondata l'eccezione basata sulla violazione dell'art.

3 della Costituzione.

Sfornita di fondamento e anche l'eccezione, sollevata

con 1'ordinanza del 26 aprile 1960, di violazione degli art. 41

e 42 Cost. Infatti tali articoli, mentre affermano in via di

massima la libertä dell'iniziativa econcmioa privata ed il

libero godimento della proprietä privata, consentono tut

tavia ehe all'una ed all'altro siano imposti limiti, al fine di

farli armonizzare con l'utilita sociale e render poesibile

l'adempimento di quella funzione sociale ehe non puõ dis

sociarsi dal godimento dei beni di produzione, o, piu gene

ralmente, dall'esercizio di ogni attivita produttiva. L'esi

genza del conseguimento di tali fini, come giustifica l'impo sizione di condizioni restrittive per lo svolgimento dell'auto

nomia contrattuale, cosi puõ consentire la modifica o l'eli

minazione di clausole di contratti in corso, quando esse si

rivelino contrastanti con 1'utilitä sociale.

Nella specie la riduzione obbligatoria dei canoni in grano ba corrisposto all'esigenza di eliminare o attenuare il danno

economico che sarebbe provenuto agli affittuari dal mante

nimento di quelli pattuiti in contratto, in conseguenza del

grave mutamento derivato dagli eventi bellici. E non puõ essere dubbio ebe ricondurre ad equita i rapporti contrat

tuali, i quali appaiono gravemente sperequati a danno di

una delle parti, e tanto piü di quella da ritenere piu debole,

ai sensi del 2° comma dell'art. 3 Cost., rientri nei poteri cbe l'art. 41 conferisce al legislatore.

Si deve ora passare all'esame dell'altro motivo con il

quale si õ denunciata l'incostituzionalita degli art. 5, ult.

comma, decreto legisl. n. 277 del 1947 e 3, ult. comma,

legge n. 1140 del 1948, pel fatto cbe essi, in contrasto con

l'art. 24, precludono alle parti, pei contratti con canoni

in grano, il diritto di invocare avanti alle sezioni specializ zate la revisione dei canoni cbe risultassero sperequati.

£ da ricordare al riguardo cbe il potere di esperimento dell'azione giudiziaria, qual'e garantito dall'art. 24, ba a suo

presupposto il possesso in cbi l'esercita della titolaritä di

un diritto o di un interesse legittimo, cioõ di una situazione

giuridica subiettiva di vantaggio, di carattere sostanziale, il cui riconoscimento, in caso di controversia, sia pösto ad

oggetto della pretesa fatta valere in giudizio. Si tratta pertanto di vedere se la riduzione coattiva del

30% sui canoni in grano importi di per sõ l'assorbimento

del potere di ricbiedere la revisione dei canoni cosi ridotti,

pereM, se cosi fosse, i motivi dedotti a dimostrazione della

legittimitä della riduzione dovrebbero farsi valere ancbe

per ritenere valido il divieto di perequazione. Per quanto il pnnto abbia dato luogo in dottrina a

dissensi di opinione, non puõ del tutto escludersi la compa tibility della diminuzione coattiva ed uniforme per tutta

una categoria di canoni con la riduzione ad equita dei

medesimi, rendendosi possibile che la competente sezione

specializzata, dopo avere valutato, alia stregua dei criteri

fissati dagli art. 1 e 2 decreto n. 277 del 1947, le condi

zioni particolari relative al contratto denunciato, determini

il quantitativo ritenuto equo di derrate da corrispondere dall'affittuario ed applichi poi sul medesimo la riduzione del

30% (rimanendo in ogni caso precluso che la riduzione

stessa sia fatta valere quale motivo di sperequazione). Tale

compatibility risulta del resto riconosciuta dallo stesso le

gislatore, come si desume dalle leggi che per alcune annate

agrarie hanno ammesso le due categorie di misure (decreto

legisl. 22 giugno 1946 n. 44 ; art. 1 decreto legisl. 12 agosto 1947 n. 975), nonche dai lavori preparatori della legge 16

maggio 1950 n. 505.

£ tuttavia da tenere presente che l'esigenza di operare una riequilibrazione delle prestazioni corrifpettivf, quali erano state stipulate nei contratti agrari, prorcgati sine

die per opera della legge, ha trovato la sua principale ragion d'essere nei mutamento verificatosi nelle condizioni generali

per effetto degli eventi bellici, ed in particolare modo nella

grave alterazione del valore della mõneta. Ora, mentre

per la generality dei detti contratti ei e ritenuto necessario

consentire la riduzione ad equita delle loro clausole con rife

rimento alle situazioni specifiche dei singoli rapporti, vice

versa per quelli, icui canoni erano stati stipulati in grano, e parso opportuno effettuare una perequazione di carattere

generale ed uniforme, nella considerazione che per essi la

particolaritä delle situazioni proprie di questo o di quel

fondo, di questa o di quella zona assumessero un valore

secondario e marginale, tale da non giustificare l'esperi mento di appositi giudizi in perequazione. Siffatto apprez

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611 PARTE PRIMA 612

zamento non puõ ritenersi irrazionale, quando si rioMamino

le precedenti osservazioni in ordine al beneficio accordato

agli affittuari con la riduzione del 30% ed a quell o che ai

concedenti e proyenuto in virtü della corresponsione di

un prezzo politico del grano ammassato, prima, e poi delle

provvidenze adottate in regime di ammasso per contingente. Ne potrebbe dedursi un particolare motivo di incosti

tuzionalitä per violazione dell'art. 3 dal fatto ehe il legisla tore, per singole annate agrarie, ha accordato il rimedio

della perequazione pur in presenza della riduzione coattiva,

percM, una Volta esclusa la sussistcnza di una vera pretesa alia perequazione, sfuggono all'apprfzzamento della Corte

i motivi di opportunity che hanno consigliato l'adozione in

via temporanea di tale trattamento.

Neppure fondata e da ritenere l'altra censura di incosti

. tuzionalitä che la difesa dei concedenti ha prospettato,

sempre sotto l'aspetto della violazione degli art. 3 e 24,

allegando la ingiustificata preclusione del rimedio della

perequazione a danno di coloro i quali, avendo adito per l'annata agraria 1946-47 le sezioni specializzate ed otte

nuto la perequazione con riferimento anche alle riduzioni

del 30%, ai sensi dell'art. 2 decreto n. 975 del 1947, sono

stati poi colpiti da riduzioni del canone giä sottoposto ad

un giudizio nel quale si era tenuto conto di tale falcidia.

Infatti la giurisprudenza della Cassazione ha sempre fatto

esatta applicazione delle leggi che si sono succedute in

materia, statuendo che le revisioni effettuate dal giudice per l'annata agraria 1946-47 in base al cit.. decreto n. 975

del 1947 devono considerarsi limitate esclusivamente a tale

annata, ed ogni loro ultrattivitä h esclusa dalle altre leggi di proroga che, con riferimento alle annate successive, hanno ripristinato il divieto di revisione.

Dall'ammissione fatta della costituzionalitä delle norme, che sottraggono i contratti di cui si parla al giudizio di

perequazione, non discende la conseguenza prospettata dalln

difesa del Ceni, ciofe la eliminazione, nei confronti dei con

tratti stessi, del potere garantito, in via generale, alle parti contraenti dall'art. 1467 cod. civ., poich& deve invece ritenersi che questa norma trova applicazione anche per essi, allorohe ricorrano le condizioni e sotto l'osservanza delle modalitä ivi previste, naturalmente senza che si possa invocare come causa di eccessiva onerosita sopravvenuta la svalutazione monetaria, ed al solo fine di ottenere, non

giä la risoluzione del contratto, bensila modifica delle clau sole relative alia prestazione del canone.

Per questi motivi, pronunciando con unica sentenza sui due procedimenti riuniti indicati in epigrafe, respinge le

eccezioni di inammissibilitä proposte daH'Avvoeatura ge nerale dello Stato e dalla difesa dei Lanfranchi; dichiara

non fondate le questioni proposte con l'ordinanza della Sezione specializzata del Tribunale di Mantova del 12

aprile 1960, sulla legittimitä costituzionale dell'art. 5, ca

pov., decreto legisl. 1 aprile 1947 n. 277, in riferimento

agli art. 3 e 24 Cost., e con l'altra ordinanza 26 aprile 1960, sulla legittimitä costituzionale dell'art. 1 legge 3 agosto 1949 n. 479 ; art. 3 legge 15 luglio 1950 n. 505 ; art. 1 legge 16 giugno 1951 n. 435 ; art. 1 legge 11 luglio 1952 n. 765 ; legge 5 gennaio 1955 n. 4, nonche art. 5, capov., decreto

legisl. 1 aprile 1947 n. 277 e art. 3 , ult. comma, legge 18

agosto 1948 n. 1140, in relazione agli art. 3, 24, 41, 42 della Costituzione.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 19 aprile 1962, n. 778 ; Pres. Fibbi P., Est. Albano, P. M. Colonnese (concl. conf.); Testa (Aw. Vicentini, Aglietta) c. Soc. I.l.v.a. (Avv. Apolloni, Roghi).

(Oonferma App. Genova 13 novembre 1959)

Lavoro (rapporto) — Retribuzione a cottimo inisto —

Indciinilit di anzianitä c preavviso — Nozione d « emolnmenti » (Cod. civ., art. 2121).

NelVipotesi in cwi sia convenuta la retribuzione a cottimo

misto, costituita ciob da elementi fissi (paga-base) ed ele menti variabili (nella specie, una percentuale variabile della paga-base), le indennitä di anzianitä e preavviso vanno calcolate, a norma delVart. 2121, 2° comma, cod. civ., effet'Mindo la media triennale degli elementi variabili e

degli elementi fissi della retribuzione. (1)

La Corte, eco. — Con l'unico motivo del ricorso, il Testa deduce la violazione dell'art. 2120 cod. civ., nonche del l'art. 40 del contratto collettivo dei metallurgici 21 giugno 1956, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civile.

Lamenta il ricorrente che la Corte di merito non avrebb3 tenuto conto che, oltre ai due sistemi di retribuzione, nor malmente praticati fino a pocM decenni fa, e previsti pure dal vigente codice civile : il sistema di retribuzione a tempo o ad economia e quello di retribuzione a cottimo, vi sarebbe un terzo sistema, successivo ai due precedenti e oggi pra ticato normalmente nell'industria : il sistema, cioe, della retribuzione a cottimo misto, in cui si avrebbe il concorso di una paga-base (determinata a tempo) e di una maggio razione di cottimo, calcolata di regola in una percentuale della paga-base.

Lamenta inoltre che erroneamente la Corte, basandosi sul fatto che la retribuzione a cottimo misto sarebbe costi tuita in parte da elementi fissi ed in parte da elementi va

riabili, abbia ritenuto senz'altro applicabile nella specie il 2° comma dell'art. 2121 cod. civ., decidendo cosi che cor rettamente Pl.l.v.a. aveva calcolato l'mdennita di anzia nitä sulla media triennale della retribuzione globale, e non abbia invece tenuto conto dei caratteri essenziali e partico lari del cottimo misto, poc'anzi accennato (medesima retri buzione fissa, costituita -da paga base, oltre contingenza e mensa con in piti una maggiorazione variabile della stessa retribuzione fissa). Aggiunge che la Corte non avrebbe nep pure tenuto conto della circostanza che, durante tutto il rap porto di lavoro e per tutti gli istituti contrattuali (ferie, gra tifica natalizia, indennitä di anzianitä in caso di dimissioni, ecc.), giusta le disposizioni dei contratti collettivi, mai per il lavoratore a cottimo misto si sarebbe fattala media della retribuzione fissa, mentre la media sarebbe stata sempre fatta esclusivamente sull'utile di cottimo, costituente ap punto l'unico elemento variabile della retribuzione. Sostiene, pertanto, che non vi sarebbero nel caso ragioni per appli care un diverso criterio in sede di liquidazione dell'inden nitä di anzianitä e che dovrebbesi perciõ, contrariamente a

quanto ritenuto dalla Corte, applicarsi il principio sancito dall'art. 2120 cod. civ., calcolandosi la detta indennitä sull'ultima retribuzione fissa (paga-base, contingenza e

mensa) e facendosi la media triennale, ai sensi dell'art. 2121, 2° comma, limitatamente all'unico elemento variabile e cioe al cottimo.

(1) La Cassazione esamina per la prima volta una questione che e di notevole import anza, data la diffusione del tipo di re tribuzione a cottimo misto.

Pra le precedenti sentenze di merito conformi all'avviso della Cassazione, oltre la sentenza confermata, App. Genova 13 novembre 1959, Foro it., Hep. 1960, voce Lavoro (rapp.), n. 067, vedi anche Pret. Lovere 17 luglio 1959, ibid., rj. 670.

In dottrina 6 dello stesso awiso Peschiera, Osservazioni sul computo della indennitä di anzianitä in caso di retribuzione composta da compensi fissi e variabili, in Temi gen., 1960, 285, il quale segnala anche due recenti sentenze conformi, inedite : App. Firenze 18 luglio 1960 e Trib. Bergamo 29 novembre 1958.

Ritengono invece esclusi dal calcolo della media triennale gli elementi fissi : App. Brescia 18 marzo 1961, Foro it., Bep. 1961, voce cit., n. 520, e con osservazione adesiva di Ferrara, Indennitä di anzianitä e compensi integrativi variabili, in Giust. civ., 1961, I, 874 ; Trib. Bergamo 5 aprile 1960, Foro it., Bep. 1960, voce cit., n. 669 ; App. Milano 29 ottobre 1954, Orienta menti giur. lav., 1954, 463 e Pret. Genova 28 aprile 1955, id., 1955, 214.

Incidentalmente nello stesso senso D. M., in osservazione ad App. Genova 18 dicembre 1953, in Riv. giur. lav., 1954, II, 164.

In generale, sui criteri di computo delle indennitä. di anzia nitä e preavviso, v. Cass. 13 maggio 1960, n. 1149, Foro it., 1961, I, 103.

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