sentenza 28 novembre 1983; Pres. Manniti, Est. Sommella; Gini e Nori (Avv. Uva, Morgia) c.Credito italiano (Avv. Montesano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 1085/1086-1087/1088Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176015 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
esercizi sociali non più attuali occorre dimostrare la sussistenza di un interesse che non può né presumersi né considerarsi insito nella mera qualità di socio, interesse la cui sussistenza, quale condizione dell'azione, va verificata anche d'ufficio. Il collegio
reputa di dover ribadire tale indirizzo, osservando inoltre che tale
interpretazione non contrasta, come è stato affermato in dottrina, con il c.d. principio della continuità dei bilanci, perché l'esame
dello stesso viene in considerazione appunto nel valutare l'esi
stenza dell'interesse attuale e concreto all'impugnazione. Il Ciardo non ha indicato in cosa consista il suo particolare
interesse alla impugnazione della delibera in questione, interesse
che non è ravvisabile nella sua, dichiarata, intenzione di cedere
le quote che gli appartengono, esigenza questa sicuramente sod
disfatta dalla chiarezza e precisione dell'ultimo bilancio, l'unico « attuale » al fine della eventuale valutazione della convenienza ad acquistare e della determinazione del prezzo delle predette
quote. Né un particolare interesse potrebbe ravvisarsi nel fatto che
una visione a ritroso dei criteri di impostazione dei singoli bilanci gioverebbe alla ristrutturazione del piano degli ammorta
menti perché, a tale fine, il solo bilancio del 1979 significhereb be ben poco e perché nulla vieta che, nel nuovo bilancio relativo
all'anno 1980, siano previste opportune scritture rettifìcative dei
criteri seguiti ab initio per gli ammortamenti. (Omissis)
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 28 novembre 1983; Pres. Manniti, Est. Sommella; Gini e Nori (Avv. Uva, Mor
gia) c. Credito italiano (Avv. Montesano).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Famiglia (regime patrimoniale della) — Fondo patrimoniale —
Trascrizione dell'atto costitutivo — Annotazione a margine dell'atto di matrimonio — Omissione — Inopponibilità ai terzi
(Cod. civ., art. 162, 167, 2647).
Perché una convenzione matrimoniale, avente ad oggetto beni
immobili (nella specie, costituzione del fondo patrimoniale) sia
opponibile ai terzi, occorre l'annotazione a margine dell'atto di
matrimonio e la trascrizione nei registri immobiliari. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Sostengono i coniugi Gini-Nori che il tribunale, erroneamente interpretando le disposi zioni di cui agli art. 162 e 2647 c.c., ha affermato che l'atto di
costituzione del fondo patrimoniale, da essi stipulato il 4 aprile 1978 e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari di
Roma, è inopponibile al Credito italiano, perché non annotato a
margine del loro atto di matrimonio.
Ad avviso degli appellanti i primi giudici, cost ragionando, hanno conferito alla detta annotazione un'importanza prevalente sulla trascrizione, in quanto hanno degradato la funzione di questa da mezzo di opponibilità degli effetti dell'atto ai terzi a strumento
di mera pubblicità-notizia, e non si sono poi avveduti che per
(1) Nello stesso senso la sentenza di primo grado Trib. Roma 12 giu
gno-6 novembre 1980, Foro it., 1981, 1, 1436, con nota di richiami, non
ché, in dottrina Cian e Casarotto, Fondo patrimoniale della famiglia, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982, III, 832 e
Gabrielli, Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, voce cicli 'Enci
clopedia del diritto, Milano, 1982, XXXII, 314-15; vedi anche la nota
di Figliolia a Trib. Roma cit., in Giur. it., 1982, I, 2, 278. Contra De Rubertis, La trascrizione del vincolo derivante dal
fondo patrimoniale (nota a Trib. Roma cit.), in Dir. famiglia,
1981, 1074, a cui dire oggetto dell'annotazione in margine all'atto
di matrimonio non è il vincolo, perché altrimenti « il legislatore non avrebbe certo omesso di prescrivere l'annotazione anche del
vincolo derivante dal fondo patrimoniale costituito per testamento o
dalla surrogazione reale di un bene già vincolato »; con la conseguen za che « il vincolo derivante dal fondo patrimoniale nasce e diventa
opponibile ai terzi solo con la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. e
che, a riguardo, la caduta del 4° comma del vecchio testo non ha
prodotto trasformazioni radicali » (cfr., sul punto, anche Sacco, in
Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, Padova, 1977, I, 1, 333; Forchielli, ibid., 913;
Fragali, La comunione, appendice di aggiornamento, in Trattato
diretto a Cicu e Messineo, Milano, 1977, 94). Particolare la posizione di Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia, Le successioni, Milano, 1981,
61-62, a cui dire, « poiché l'annotazione costituisce un mezzo di
pubblicità notificativa, deve ritenersi che in mancanza di essa gli effetti
scaturenti dalla convenzione possono essere fatti valere nei confronti del
terzo che si dimostri essere stato a conoscenza della convenzione stessa
al momento dell'acquisto del suo diritto»; sicché «l'annotazione
consente di opporre ai terzi la convenzione annotata, ma non gli atti
singolarmente assoggettati al regime della trascrizione. Tali atti possono
essere opposti ai terzi solo in quanto trascritti».
realizzare lo scopo precipuo già assolto dalla trascrizione risultava
incongruo anche l'adempimento della annotazione, bastando al più l'alternativa delle due forme di pubblicità.
La censura è infondata. Al riguardo va tenuto presente che
l'art. 162 c.c. (nel testo sostituito dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151)
regola la pubblicità delle convenzioni matrimoniali, disponendo che queste (da stipularsi in ogni caso per atto pubblico, eccetto
che per il regime di separazione, la cui scelta può anche essere
dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio) « non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell'atto di matrimonio
non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le
generalità dei contraenti ». Pertanto questa disposizione pone in
essere nuove formalità, le quali, come è stato ritenuto anche dalla
prevalente dottrina, coesistono con quelle precedenti, giacché l'art.
206 1. n. 171/75, modificando l'art. 2647 c.c., ha lasciato fermo
l'obbligo della trascrizione per gli atti di costituzione del fondo
patrimoniale aventi ad oggetto beni immobili, nonché per le
convenzioni matrimoniali che escludono tali beni dalla comunione
tra i coniugi e per gli atti di acquisto di beni personali che non
fanno parte della comunione.
Attualmente, quindi, per l'opponibilità ai terzi delle convenzioni
matrimoniali (aventi ad oggetto beni immobili), occorre sia l'anno
tazione a margine dell'atto di matrimonio, essendo chiarissimo il
tenore dell'art. 162 c.c., sia anche la trascrizione nei registri immobiliari, risultando, questa tuttora prescritta dalla citata norma
di cui all'art. 2647 ed individuando l'oggetto del vincolo di
indisponibilità. D'altronde che le due anzidette formalità debbano essere consi
derate coessenziali (in quanto la prima di esse viene ad essere
integrata dalla seconda) trova ulteriore e definitiva conferma
nell'art. 163 c.c., ai sensi del quale anche le modifiche delle
convenzioni matrimoniali hanno efletto rispetto ai terzi « solo se
ne è fatta annotazione in margine all'atto di matrimonio », la
quale « deve inoltre essere fatta a margine della trascrizione ove
questa sia richiesta a norma degli art. 2643 ss. ».
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha escluso che la
convenzione matrimoniale, stipulata dai coniugi Nori-Gini, an
corché trascritta, fosse opponibile ai terzi in difetto di annota
zione a margine dell'atto di matrimonio. E tale pronuncia resiste
alle critiche degli appellanti.
Infatti, i primi giudici non hanno affatto fondato la loro
decisione sulla considerazione che la mancata ripetizione, nel
nuovo testo dell'art. 2647 c.c., del richiamo agli effetti giuridici della trascrizione, comporta il declassamento di tale forma di
pubblicità al rango di pubblicità-notizia. Al contrario essi, dopo avere posto in luce che il nuovo sistema prevede la coesistenza
delle due diverse e distinte misure di pubblicità, hanno osservato
che, contrariamente a quanto sostenuto dai convenuti, non può ritenersi l'inutilità dell'annotazione in presenza della trascrizione,
perché l'annotazione stessa è espressamente contemplata dalla
legge come condizione di opponibilità ai terzi delle « convenzio
ni » e delle loro « modifiche », sicché realizza la funzione tipica della pubblicità legale e con effetti che non trovano uguale ed
esplicita disciplina nel nuovo testo dell'art. 2647.
In definitiva il tribunale ha voluto soltanto chiarire il significa to dell'annotazione e le ragioni per le quali, questa, realizzando in
modo esclusivo e generale il collegamento delle convenzioni con il
matrimonio, non può essere considerata come mezzo di pubblicità alternativo a quello della trascrizione di beni immobili.
Ed invano gli appellanti hanno anche sostenuto che nonostante
la soppressione dell'ultimo comma dell'art. 2647 la trascrizione
dei vincoli di indisponibilità continua ad essere strumento di
opponibilità di questi nei confronti dei terzi creditori, essendo
rimasta ferma la norma di cui all'art. 2915 c.c.
Al riguardo è da osservare che il contenuto del predetto articolo
ben può essere ora interpretato come riferentesi a vincoli di
indisponibilità diversi da quelli della comunione e del fondo
patrimoniale, non essendo altrimenti concepibile che soltanto sulla
base di tale norma e dopo la scomparsa del 4° comma dell'art.
2647 rimanga contraddetta tutta la parte del nuovo sistema
pubblicitario. Del pari neppure ha pregio l'ulteriore argomentazione degli
appellanti secondo cui il tribunale, dopo avere riconosciuto alla
"(trascrizione un valore speciale di pubblicità rispetto a quello
generale dell'annoiamento, è poi pervenuto a conclusioni conflig
genti con il principio giuridico che riconosce la prevalenza della
norma speciale su quella generale.
In proposito va osservato, in aggiunta a quanto già si è detto, che il tribunale non si è espresso nei suddetti termini, bensì nel senso che la novità della riforma consiste nel prevedere per tutti i
tipi di convenzione un uguale mezzo per renderle opponibili ai
terzi, cioè la speciale annotazione dei loro estremi a margine
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1087 PARTE PRIMA 1088
dell'atto di matrimonio, con la conseguenza che il nuovo sistema
di pubblicità (previsto dall'art. 162 c.c.) investe le convenzioni in
sé considerate ed a prescindere dai risultati di queste sulla
-circolazione immobiliare: il che vale ad evidenziare in che modo
ed entro quali limiti il nuovo regime coesiste con quello pre cedente.
Ed ugualmente priva di consistenza si rivela l'ultima argomen tanzione degli appellanti, in ordine alle difficoltà pratiche che
presenta il sistema della doppia pubblicità, giacché tali difficoltà
potrebbero al più indurre il legislatore ad emanare norme di
attuazione e di coordinamento, non invece a negare l'esistenza e
la operatività del nuovo regime. Alla stregua delle esposte consi
derazioni entrambi gli appelli proposti vanno disattesi e l'impugna ta sentenza deve essere integralmente confermata. (Omissis)
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 27 settembre 1983; Pres. Caroselli, Est. Loi; Soc. S.i.s.a.s. (Avv. Camilli) c.
Soc. S.i.o. (Avv. Boitani, Casella, Ardito, Acerbi).
CORTE D'APPELLO DI MILANO;
Società — Società di capitali — Amministratori — Clausola « simul stabunt simul cadent » — Efficacia — Fattispecie (Cod.
civ., art. 2382, 2383, 2385, 2386). Società — Società di capitali — Amministratori — Clausola
« simul stabunt simul cadent » — Legittimità (Cod. civ., art.
2382, 2383, 2385, 2386). Società — Società di capitali — Assemblea — Deliberazioni —
Eccesso di potere — Condizioni (Cod. civ., art. 2377). Società — Società di capitali — Assemblea — Deliberazioni —
Eccesso di potere — Insussistenza — Fattispecie (Cod. civ., art.
2377).
La clausola dello statuto di società per azioni, secondo la quale « se per dimissioni o per altre cause viene a mancare più della
metà degli amministratori, anche gli altri amministratori si
intendono dimissionari e deve convocarsi d'urgenza l'assemblea
per la totale ricostituzione del consiglio », prevede un'ipotesi di
automatica decadenza degli amministratori non dimissionari al
verificarsi della fattispecie considerata, che opera indipenden temente da qualsiasi espressa o tacita loro manifestazione di vo
lontà. (1) È legittima la clausola simul stabunt simul cadent. (2) È viziata da eccesso di potere la deliberazione assembleare con la
quale i soci di maggioranza perseguano un interesse personale non identificabile, perché antitetico, con l'interesse della società, ovvero ledano fraudolentemente i diritti di partecipazione e pa trimoniali che competono ai soci uti singuli. (3)
La deliberazione con la quale l'assemblea, rinnovando l'organo amministrativo decaduto in virtù della clausola simul stabunt
simul cadent, ne riduce il numero dei componenti e ne esclude
i consiglieri dimissionari che nella precedente composizione
dell'organo erano espressione della minoranza, non è annullabi le per eccesso di potere della maggioranza. (4)
Motivi della decisione. — Il tribunale ha disatteso la domanda
proposta dalla S.i.s.a.s. sulla base delle proposizioni che seguono. Ha interpretato l'art. 15 dello statuto come una tipica clausola
simul stabunt simul cadent. Il dato letterale, ha affermato, non
lascerebbe spazio ad una manifestazione di volontà contraria
degli amministratori, sia perché la clausola precisa che anche gli
(1-4) La sentenza conferma Trib. Milano 22 marzo 1982, Foro it., 1982, I, 2636, con nota di richiami (il quarto rigo della terza mas sia di quella sentenza contiene un errore tipografico — trasfuso anche nel Rep. 1982, voce Società, n. 186, rigo terzo — e deve leggersi come segue: « amministratori dimissionari, non è annullabile per eccesso di »).
Sull'eccesso di potere quale vizio della deliberazioni dell'assemblea dei soci, cfr. Trib. Roma 22 ottobre 1980, Società, 1982, 414, e Trib. Milano 15 gennaio 1981, Riv. dir. comm., 1982, II, 131, nonché, in
dottrina, M. Marulli, Assemblea di società per azioni, in Giur.
comm., 1983, I, 865 ss., 912, e, in nota alla sentenza che si riporta, A. Pazzaglia, Clausola « simul stabunt simul cadent », nomina dei nuovi amministratori ed eccesso di potere, in Giust. civ., 1984, I, 572.
Sull'eccesso di potere quale vizio delle deliberazioni del consiglio di amministrazione di società azionaria, cfr. Trib. Roma 18 marzo 1982, Foro it., 1982, I, 2050 ed in Giur. comm., 1983, II, 592, con note di F. Bonelli, L'impugnativa delle deliberazioni del consiglio di ammi
nistrazione, di L. Giaccardi Marmo, Eccesso di potere nella delibera zioni del consiglio di amministrazione di società per azioni, e di L.
Cursio, Delibere « invalide » dèi consiglio di amministrazione e poteri di impugnazione degli amministratori.
amministratori superstiti « si intendono dimissionari » sia perché la
stessa fa subito dopo riferimento alla « totale ricostituzione del
consiglio ». La ratio della disposizione statutaria sarebbe quindi
quella tipica di assicurare all'assemblea un maggior controllo
sulla composizione del consiglio di amministrazione, nel presup
posto che la nomina dell'organo gestorio esprime la fiducia dei
soci, non tanto nella somma, quanto nella sintesi delle capacità dei singoli amministratori designati a comporre il consiglio.
Ha considerato la clausola 15 pienamente valida, in quanto non
contraria alle norme interpretative (art. 1418, 1° comma, 2385 e
2386 c.c.), né elusiva del regime legale in tema di cessazione e
sostituzione degli amministratori (art. 1344, 2383 c.c.). Ha consi
derato in ogni caso decisiva, ai fini di contrastare l'assunto
dell'impugnante, la inequivoca manifestazione di volontà dell'as
semblea di revocare i consiglieri Falciola e Pellò, come mezzo per ricostituire un consiglio ritenuto funzionale agli interessi della
società, cosi come interpretati dalla maggioranza. Infine ha ritenu
to non provata quella particolare deviazione dell'atto dallo scopo
economico-pratico del contratto di società, comunemente deno
minata « eccesso di potere ». La volontà di escludere dal consiglio i precedenti amministratori Falciola e Pellò non sarebbe di per sé
sufficiente a dimostrare l'intendimento di ispirare la nomina ad un interesse estraneo e contrastante con quello sociale. Cosi pure non sarebbe utilizzabile al fine di dimostrare un uso distorto del
potere, l'intendimento della maggioranza, consacrato negli atti, di
superare la situazione di conflitto all'interno dell'organo di ge stione, attraverso la nomina di un collegio omogeneo.
Il nucleo di verità di tali proposizioni non è scalfito dalla
censura dell'appellante. La validità della prima proposizione appare difficilmente con
testabile. Secondo l'impugnante il testo dell'art. 15 dello statuto « se per dimissioni o per altre cause viene a mancare più della
metà degli amministratori, anche gli altri amministratori si inten dono dimissionari e deve convocarsi d'urgenza l'assemblea per la totale ricostituzione del consiglio » consentirebbe l'interpretazione
prospettata dalla S.i.s.a.s., oltre tutto meglio rispondente ad un
principio di buona fede e di salvaguardia degli interessi delle minoranze. In particolare, sempre secondo l'appellante, l'espres sione « si intendono per...» andrebbe letta come se contenesse l'ulteriore inciso « se non manifestano una diversa volontà », ed il
riferimento all'elemento « volontà » e correlativamente alla pre sunzione iuris tantum di cessazione dall'ufficio sarebbe rafforzato dal termine « dimissionari », antitetico rispetto alla nozione di
decadenza ed alla conseguente automaticità della dissoluzione
dell'organo di gestione. È sufficiente enunciare la censura per coglierne l'intima fragilità. Due ordini di considerazioni mettono in evidenza l'inaccettabi
lità della interpretazione prospettata. L'espressione « si intendono
per .. », del tutto coerente con il significato delle clausole simul stabunt simul cadent, significa appunto che, per effetto della
cessazione di uno o più componenti del consiglio, si verifica la
causa cui la volontà dei soci ha attribuito l'effetto di determinare la dissoluzione dell'organo e l'esigenza di una sua ricostituzione, senza lasciar spazio per le implicazioni e riserve prospettate che,
lungi dal chiarire il significato dei termini usati, li contraddicono vistosamente.
Affermare cioè che i termini « si intendono dimissionari »
presuppongono una semplice presunzione di dimissioni, significa alterare il valore della espressione usata, volta semplicemente a focalizzare l'attenzione sull'effetto che determina la cessazione della carica di alcuno dei componenti, precisando appunto che anche nei confronti di chi non ha manifestato tale volontà opera lo stesso effetto giuridico, come se fosse dimissionario.
Anche il termine « dimissionari » in luogo di « amministratori
decaduti » è usato in modo proprio e conforme alle prassi societarie, volendosi accentuare il distacco da qualsiasi ipotesi sanzionatoria, che abitualmente si collega alla nozione di deca
denza.
Infine per quanti sforzi interpretativi si facciano, appare arduo
attribuire alle parole di chiusura, « per la totale ricostruzione del
consiglio », un significato diverso da quello accolto dal tribunale. Anche sotto il profilo della ratio — e questa rappresenta la
seconda considerazione — l'interpretazione prefigurata svirilizza
quasi del tutto il significato della clausola che, lunghi dal tutelare la proporzione ed il dosaggio degli interessi dei diversi gruppi di
soci, si limiterebbe a riprodurre gli effetti che l'art. 2386 c.c. fa discendere dalla cessazione della carica di alcuni amministratori, salvo la differenza di escluderne la sostituzione per « cooptazio ne ». Con una innegabile portata riduttiva del patto, portata riduttiva disattesa per altro verso dalla stessa appellante, allorché ne sottolinea il collegamento con la protezione degli interessi delle minoranze e con l'esigenza di garantire anche ad esse la calibrata partecipazione alla gestione della società.
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