sentenza 28 novembre 2001, n. 376 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 5 dicembre 2001, n.47); Pres. Ruperto, Est. Marini; Consorzio ricostruzione (Avv. Vosa) c. Comune di Napoli;interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Linda). Ord. Coll. arb. Napoli 3 luglio 2000 (G.U., 1a s.s., n. 41 del 2000)Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 6 (GIUGNO 2002), pp. 1647/1648-1653/1654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198485 .
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1647 PARTE PRIMA 1648
stante giurisprudenza di questa corte, una declaratoria di mani
festa inammissibilità. 3. - Quanto ai due giudizi promossi dal Tribunale di Ancona,
va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità
sollevata in udienza dall'avvocatura generale dello Stato e mo
tivata con l'assunto che il rimettente, adottando il provvedi mento di riunione delle due opposizioni, avrebbe mostrato di
ritenere ammissibile la seconda opposizione e fatto, con ciò
stesso, implicita applicazione della norma — l'art. 647 c.p.c. —
censurata.
Va, in contrario, osservato come il provvedimento di riunione
di più procedimenti relativi alla stessa causa e pendenti davanti
allo stesso giudice — da adottarsi anche d'ufficio, ai sensi del
l'art. 273, 1° comma, c.p.c. — sia privo di qualsiasi contenuto
decisorio e risponda a mere esigenze di economia dei giudizi. E
ciò è sufficiente ad escludere la ricorrenza nella specie sia della
asserita valutazione di ammissibilità della seconda opposizione che dell'applicazione della norma impugnata.
4. - Nel merito, la questione è infondata.
La premessa da cui muove il rimettente è che l'art. 647, 2°
comma, sia «ingiustamente impeditivo della possibilità di ripro
porre opposizione (una volta verificatasi l'improcedibilità), pur ché nei termini e purché tale improcedibilità non sia stata di
chiarata».
In tal modo, e sempre secondo lo stesso rimettente, «il con
venuto in senso sostanziale vedrebbe irrimediabilmente preclusa la possibilità di far valere le sue ragioni senza che ad una sua
negligenza nella ritardata costituzione possa porre riparo, ab
bandonando la prima opposizione e proponendone un'altra nel
rispetto dei termini perentori di cui all'art. 641 c.p.c.». In contrario, è sufficiente osservare che l'art. 647 c.p.c. se
condo il suo inequivoco tenore testuale condiziona il decreto di
esecutività solo «alla mancata opposizione nel termine stabili
to», senza alcun riferimento al preteso divieto di riproporre
l'opposizione prima che sia scaduto il termine fissato nel de
creto.
Né, sul piano sostanziale, si scorgono ragioni che possano le
gittimare l'interpretazione prospettata dal rimettente.
Essendo, pertanto, consentito rinnovare l'opposizione, sem
pre nel rispetto dei termini fissati nel decreto — come del resto
questa corte ha affermato nella sentenza n. 141 del 1976 (Foro it., 1976, I, 1755) —, detta rinnovabilità deve ammettersi non
solo in relazione ad un vizio dell'atto di opposizione in sé con
siderato, ma anche alla mancata o intempestiva costituzione in
giudizio dell'opponente, non sussistendo alcun motivo, in pen denza dei termini per l'opposizione, per ammettere la rinnova zione in un caso ed escluderla nell'altro.
Con l'ovvia conseguenza che — pur in assenza di una tempe
stiva costituzione in giudizio — il decreto di esecutività non può
essere emesso se non sia anche interamente decorso il termine
per l'opposizione. Priva di qualsiasi rilevanza ai fini de quibus è, infine, la non
riassumibilità dell'opposizione non iscritta a ruolo. La ratio dell'art. 647 c.p.c. è, infatti, quella di assicurare l'intangibilità del decreto ingiuntivo qualora, nel termine perentorio previsto dall'art. 641 c.p.c., e salva l'ipotesi di cui all'art. 650 c.p.c., l'ingiunto non abbia provocato la trasformazione del procedi mento monitorio in procedimento ordinario, mediante un'oppo sizione seguita da una valida costituzione in giudizio. Ed una ratio siffatta, connessa alle esigenze di celerità tipiche del pro cedimento monitorio, sarebbe evidentemente frustrata se all'op ponente fosse consentito, in caso di opposizione non seguita da
iscrizione a ruolo della causa, riassumere la causa stessa nel
l'ampio termine previsto dall'art. 307 c.p.c., in tal modo di fatto
differendo in maniera del tutto arbitraria la definitività del de
creto.
Unica consolazione: forzando l'art. 647, 1° comma, c.p.c. (nella parte in cui consente al ricorrente di chiedere la dichiarazione di esecu tività sulla sola base della mancata costituzione dell'ingiunto, anche
prima della scadenza del termine di opposizione), la Corte costituzio nale ritorna a suggerire all'opponente, che non si è potuto costituire
tempestivamente in giudizio, di riproporre l'opposizione, se il relativo termine è ancora pendente.
E troppo poco. Remo Caponi
Il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è,
dunque, erroneo ed è, conseguentemente, infondata la questione di costituzionalità sollevata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi:
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di le gittimità costituzionale dell'art. 647, 1° e 2° comma, c.p.c., sollevata, in riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost., dal Tribu
nale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio nale dell'art. 647, 2° comma, c.p.c., sollevata, in riferimento
agli art. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Ancona, sezione distac
cata di Fabriano, con le ordinanze in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 novembre 2001, n.
376 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 dicembre 2001, n.
47); Pres. Ruperto, Est. Marini; Consorzio ricostruzione
(Avv. Vosa) c. Comune di Napoli; interv. Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato Linda). Ord. Coli. arb. Napoli 3 luglio 2000 (G.U., la s.s., n. 41 del 2000).
Corte costituzionale — Giudizio sulle leggi in via incidentale — Arbitri —
Legittimazione a sollevare questioni di costi
tuzionalità (L. cost. 9 febbraio 1948 n. 1, norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale, art. 1).
Calamità pubbliche, terremoto, alluvioni — Eventi sismici
del novembre 1980 e del febbraio 1981 — Programmi di
ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali —
Controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche —
Devoluzione ad arbitri — Divieto — Questione infondata
di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 76, 77, 97; 1. 14 maggio 1981 n. 219, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
19 marzo 1981 n. 75, recante ulteriori interventi in favore del
le popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980
e del febbraio 1981. Provvedimenti organici per la rico
struzione e lo sviluppo dei territori colpiti; d.l. 11 giugno 1998 n. 180, misure urgenti per la prevenzione del rischio i
drogeologico ed a favore delle zone colpite dai disastri franosi
della regione Campania, art. 3; 1. 3 agosto 1998 n. 267, con
versione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 giugno 1998 n. 180, art. 1; d.leg. 20 settembre 1999 n. 354, disposizioni
per la definitiva chiusura del programma di ricostruzione di
cui al titolo Vili 1. 14 maggio 1981 n. 219, e successive modi
ficazioni, a norma dell'art. 42, 6° comma, 1. 17 maggio 1999 n. 144, art. 8).
Gli arbitri rituali sono legittimati a sollevare in via incidentale
questioni di costituzionalità delle norme di legge che sono
chiamati ad applicare. (1)
(1) La decisione in epigrafe (riportata anche in Giust. civ., 2001, I, 2883, con nota di Vaccarella, e Giur. it., 2002, 689, con nota di Ca
nale) è stata presentata, forse con un po' troppa enfasi, come una deci sione «storica» (Stasio, La Consulta apre ai collegi arbitrali, in II So le-24 Ore del 24 novembre 2001), per aver riconosciuto legittimati a ri correre alla Corte costituzionale gli arbitri, nell'ambito dell'arbitrato rituale regolato dal codice di procedura civile.
Il tema era stato da tempo assai dibattuto e recentemente ripreso in maniera assai approfondita dalia dottrina (Chiara, L'arbitro come giu dice «a quo»: profili ricostruttivi, in Giur. costit., 1997, 1215 ss., il
quale si è espresso in senso favorevole al riconoscimento agli arbitri della legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità; Danovi, La pregiudizialità nell'arbitrato rituale, Padova, 1999, spec. 175 ss.; Montesano, Questioni incidentali nel giudizio arbitrale e sospensione di processo, in Riv. dir. proc., 2000, 1 ss.; Briguglio, La pregiudizia lità costituzionale nell'arbitrato rituale e l'efficacia del lodo, in Riv.
Il Foro Italiano — 2002.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
3, 2° comma, d.l. 11 giugno 1998 n. 180, convertito, con mo
dificazioni, in l. 3 agosto 1998 n. 267, e 8, 1° comma, lett. A),
d.leg. 20 settembre 1999 n. 354, nella parte in cui estendono
il divieto di arbitrato anche alle controversie relative ali 'ese
cuzione delle opere comprese nei programmi di ricostruzione di cui al titolo Vili della l. 14 maggio 1981 n. 219, in riferi mento agli art. 3, 24, 76, 77 e 97 Cost. (2)
arbitrato, 2000, 639 ss.), la quale, di fronte alla mancata legittimazione dell'arbitro, poneva essenzialmente un'alternativa tra la soluzione per cui questi avrebbe dovuto ritenersi obbligato ad applicare la legge, an che se sospettata di essere incostituzionale o addirittura considerata si curamente incostituzionale, indicando il rimedio per il cittadino nella
possibilità di impugnare il lodo arbitrale davanti ad un giudice ed ivi
quindi porre la questione di costituzionalità e la soluzione, che racco
glieva i maggiori consensi, di permettere all'arbitro la disapplicazione della legge ritenuta incostituzionale con effetto ovviamente limitato al caso da decidere e con la possibilità anche in questo caso di proporre la
questione in sede d'impugnazione del lodo. La Corte costituzionale, di recente (ord. 17 dicembre 1997, n. 410,
Foro it., 1998,1, 1341, con nota di richiami), aveva in certo senso fatto nascere qualche lieve speranza allorché, affrontando una questione sollevata da un collegio arbitrale, l'aveva dichiarata manifestamente
inammissibile, in quanto avente ad oggetto disposizione già dichiarata
incostituzionale, affermando di lasciare «impregiudicata ogni valuta zione circa la legittimazione del collegio rimettente a sollevare questio ne incidentale di legittimità costituzionale». Adesso con la sent. 376/01 la corte viene a riconoscere esplicitamente e, nonostante l'affermazione
appena ricordata, inaspettatamente per i più, la legittimazione degli ar bitri a sollevare questioni di costituzionalità, producendo un'indubbia valorizzazione dell'istituto dell'arbitrato.
La motivazione si fonda sui caratteri dell'arbitrato rituale (sul quale cfr. Cass. 6 febbraio 2002, n. 1556, e 10 dicembre 2001, n. 15608, in
questo fascicolo I, 1736, con nota di richiami di F. Fracchia), il quale costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di proce dura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie del contrad dittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile, concluden done che il giudizio arbitrale non si differenzia da quelli che si svol
gono davanti al giudice per la ricerca e interpretazione delle norme ap plicabili, tra le quali ovviamente debbono ritenersi comprese anche
quelle costituzionali. La corte giunge così a sostenere che «in un assetto costituzionale nel quale è precluso ad ogni organo giudicante, tanto il
potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire il giudizio ap plicando leggi di dubbia costituzionalità, anche gli arbitri, il cui giudi zio è potenzialmente fungibile con quello degli organi della giurisdi zione, debbono utilizzare il sistema di sindacato incidentale sulle leg gi».
La Corte costituzionale nella sentenza richiamata fa riferimento ad una nozione «funzionale» e «sostanziale» di «giudice» e «giudizio», af fermando che a tal fine è sufficiente che sussista esercizio di funzioni
giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge da parte di soggetti pure se estranei all'organizzazione della giurisdizione e posti in posi zione super partes. Nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi trent'anni pareva invece essere emersa una posizione secondo cui per la
legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità era necessario che si trattasse di un «giudice» nell'atto di applicare una disposizione ad un caso concreto ed inoltre che ciò avvenisse nel corso di un proce dimento avente carattere giurisdizionale e che la soluzione fosse pre giudiziale per l'emanazione di un provvedimento giurisdizionale e so
prattutto non era mai, forse con la limitata eccezione della Corte dei conti in sede di controllo, stata seguita e non aveva avuto quindi con crete applicazioni l'ipotesi di organi estranei all'ordine giudiziario, ma eccezionalmente investiti di funzioni giudicanti, la quale avrebbe po tuto condurre ad una nozione «sostanziale» di giudice, specifica per il
processo costituzionale e fondata essenzialmente sul tipo di attività e di funzioni svolte.
Il riferimento ad una nozione «sostanziale» di «giudice» e di «giudi zio» è stato utilizzato dalla corte — la quale tiene infatti a precisare che le proprie osservazioni sono svolte «ai limitati fini che qui interessano e
senza addentrarsi nella complessa problematica relativa alla natura giu risdizionale dell'arbitrato rituale» — forse allo scopo di non porsi in
rotta di collisione con la giurisprudenza della Corte di cassazione, che
ha negato il carattere giurisdizionale dell'attività svolta dagli arbitri ri
tuali, sostenendo che essi non svolgono funzione sostitutiva di quella del giudice ordinario, ma disimpegnano attività privata, nell'ambito di
un procedimento ontologicamente alternativo alla giurisdizione statale
(Cass. 1° febbraio 2001, n. 1403, e 3 agosto 2000, n. 527/SU, id., 2001,
I, 838, con nota di richiami e osservazioni di C.M. Barone). Per l'affermazione secondo cui la Corte di giustizia delle Comunità
europee non è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale, ex art.
177 del trattato Cee, su questioni ad essa sottoposte da un organo arbi
trale, v. Corte giust. 23 marzo 1982, causa 102/81, id., 1982, IV, 357.
Più di recente, Corte giust. 27 aprile 1994, causa C-393/92, id., 1995,
Il Foro Italiano — 2002.
Diritto. — 1. - Il collegio arbitrale costituitosi in Napoli per la risoluzione della controversia insorta tra il consorzio Co.Ri.
ed il comune di Napoli dubita, in riferimento agli art. 3, 24, 76, 77 e 97 Cost., della legittimità costituzionale degli art. 3, 2°
comma, d.l. 11 giugno 1998 n. 180 (misure urgenti per la pre venzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone col
pite dai disastri franosi nella regione Campania), convertito, con
modificazioni, in 1. 3 agosto 1998 n. 267, e 8, 1° comma, lett.
IV, 45, ha ritenuto che un organo giurisdizionale nazionale che decide, in un caso previsto dalla legge, sul gravame avverso un lodo arbitrale, deve essere considerato giurisdizione nazionale ai sensi dell'art. 177 del trattato Cee, anche quando, in base al compromesso concluso tra le
parti, deve giudicare secondo equità. Le affermazioni della Corte costituzionale, secondo cui l'arbitrato
costituisce «un procedimento previsto e disciplinato dal codice di pro cedura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie del con traddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordina
ria», sembrano comunque doversi riferire non a qualsiasi arbitrato ri
tuale, dovendosi escludere le ipotesi in cui viene richiesto agli arbitri di
giudicare secondo equità (nel senso che trattasi di arbitrato rituale al lorché la clausola pattizia devolve la cognizione a tre arbitri con facoltà di «giudicare con equità e senza formalità» e con «giudizio inappella bile», v. Cass. 4 giugno 2001, n. 7520, id., 2001, I, 3636, con nota di richiami e osservazioni di C.M. Barone).
Come rileva infatti Luiso (Sulla legittimazione del giudice privato a sollevare una questione di costituzionalità, in Giust. civ., 20Ò2, II, 59
ss.), la decisione in epigrafe dovrebbe valere pure per l'arbitrato irri
tuale, quando le parti chiedono all'arbitro una decisione della contro
versia, mentre non può valere per l'arbitrato rituale allorché gli arbitri siano chiamati a giudicare secondo equità, essendo chiaramente irrile vante la risoluzione della questione di costituzionalità di una disposi zione normativa dalla quale essi possono prescindere per la soluzione della controversia ad essi sottoposta.
Sul principio del contraddittorio nell'arbitrato rituale, v. Cass. 21 settembre 2001, n. 11936, Foro it., 2002, I, 444, con nota di richiami e osservazioni di C.M. Barone, secondo cui la mancata ammissione di
prova testimoniale e il rifiuto di riconvocazione a chiarimenti del con sulente tecnico d'ufficio opposti dagli arbitri rituali non sono indicativi di violazione del principio del contraddittorio, ma costituiscono appli cazione del potere di preventiva valutazione discrezionale dell'ammis sibilità e rilevanza dei mezzi istruttori, spettante anche agli arbitri.
L'allargamento della legittimazione agli arbitri è stata naturalmente accolta con entusiasmo da quanti si erano espressi già precedentemente in senso favorevole, parlando di sentenza «oltre che storica, coraggiosa, ragionevole e utile» (Briguglio, Cittadini più tutelati nell'arbitrato
rituale, in II Sole-24 Ore del 25 novembre 2001), mentre altri (Luiso, op. loc. cit.), più moderatamente, hanno ritenuto la decisione in que stione apprezzabile, ma non affatto necessitata, dal momento che la
possibilità, per l'arbitro, di disapplicare la legge ritenuta incostituzio nale era praticabile e non produceva inconvenienti di rilievo ed hanno sottolineato gli indubbi inconvenienti che potrebbero derivare da un
punto di vista pratico (redazione dell'ordinanza, invio degli atti, notifi
che, comunicazioni, ecc.) per i collegi arbitrali, o segnatamente per al cuni tipi, come ad esempio quelli tecnici di cui non fa parte alcun giuri sta.
L'allargamento della legittimazione agli arbitri potrebbe comportare un ben maggiore ampliamento dell'accesso alla Corte costituzionale, essendo chiaramente assai facilitato il ricorso a lites fìctae, create allo
scopo di sottoporre alla corte un dubbio di legittimità costituzionale e
potendo, entro certi limiti, funzionare come una sorta di ricorso diretto alla giustizia costituzionale.
In tema di costituzionalità dell'arbitrato obbligatorio, v. Corte cost. 21 aprile 2000, n. 115, Foro it., 2002,1, 668, con nota di richiami.
(2) Nel merito la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la que stione di costituzionalità sollevata sulla base di una diversa, ed opposta, interpretazione dell'art. 3, 2° comma, d.l. 180/98, il quale, a giudizio della corte, enuncia una regola di carattere generale, riguardante le controversie relative alle opere pubbliche comprese in tutti i programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali.
Per l'affermazione secondo cui, in tema di interventi pubblici nelle aree depresse, l'art. 25 d.l. 24 aprile 1995 n. 123 ha dichiarato, effet tuando un'interpretazione autentica che assume carattere di principio generale, la legittimità delle clausole compromissorie inserite nei disci
plinari inerenti agli interventi attuati ai sensi della 1. 14 maggio 1981 n.
219, clausole che attribuiscono ai collegi arbitrali la competenza a giu dicare sulle controversie inerenti al rapporto, v. Coli. arb. Roma, 28 febbraio 1997, Foro it., Rep. 1999, voce Calamità pubbliche, n. 46.
In tema di attuazione del programma straordinario di edilizia resi denziale di cui al titolo Vili 1. 219/81, v. Cass. 7 luglio 1999, n.
385/SU, id., Rep. 2000, voce Espropriazione per p.i., n. 267; Tar Cam
pania, sez. I, 29 giugno 1989, n. 379, id., Rep. 1990, voce Calamità
pubbliche, n. 12; Corte conti, sez. contr., 12 ottobre 1989, n. 2163,
ibid., voce Opere pubbliche, n. 507; Tar Campania, sez. I, 9 aprile 1987, n. 175, id., 1989, III, 117, commentata da Annunziata, in Giur.
merito, 1987, 1000, e Giur. it., 1988, III, 1, 10. [R. Romboli]
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PARTE PRIMA 1652
d), d.leg. 20 settembre 1999 n. 354 (disposizioni per la definiti va chiusura del programma di ricostruzione di cui al titolo Vili
della 1. 14 maggio 1981 n. 219, e successive modificazioni, a
norma dell'art. 42, 6° comma, 1. 17 maggio 1999 n. 144). Ad avviso del collegio rimettente le norme impugnate, attri
buendo all'esclusiva cognizione del giudice statale le controver
sie, già oggetto di compromesso arbitrale, relative al programma straordinario di edilizia residenziale per Napoli, di cui al titolo Vili della 1. 14 maggio 1981 n. 219 (conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 19 marzo 1981 n. 75, recante ulteriori
interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismi
ci del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimenti orga nici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti), viole rebbero i limiti posti tanto alla decretazione d'urgenza dall'art.
77 Cost., quanto alla legislazione delegata dall'art. 76 Cost.,
ponendosi sotto altro aspetto in contrasto con il generale canone
di ragionevolezza e con il principio di eguaglianza. Vengono, infine, evocati, dallo stesso rimettente, in modo del
tutto apodittico i parametri di cui agli art. 24 e 97 Cost.
2. - Si deve preliminarmente accertare — in riferimento alla
eccezione di inammissibilità avanzata dall'avvocatura dello
Stato — se il collegio arbitrale sia legittimato a sollevare, ai
sensi dell'art. 1 1. cost. 9 febbraio 1948 n. 1, la questione di le
gittimità costituzionale.
In proposito, occorre muovere dalla giurisprudenza di questa corte secondo cui, per aversi giudizio a quo, è sufficiente che
sussista esercizio di «funzioni giudicanti per l'obiettiva applica zione della legge» da parte di soggetti, «pure estranei all'orga nizzazione della giurisdizione», «posti in posizione super par tes» (sentenze n. 387 del 1996, Foro it., 1997, I, 7; n. 226 del
1976, id., 1977,1, 18, e n. 83 del 1996, id., 1996,1, 2298). Ai limitati fini che qui interessano, e senza addentrarsi nella
complessa problematica relativa alla natura giuridica dell'arbi
trato rituale, basta osservare che l'arbitrato costituisce un pro cedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile
per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini
della risoluzione di una controversia, con le garanzie di con
traddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria. Sotto l'aspetto considerato, il giudizio arbitrale non si
differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali
della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l'in
terpretazione delle norme applicabili alla fattispecie. Il dubbio sulla legittimità costituzionale della legge da appli
care non è diverso, in linea di principio, da ogni altro problema che si ponga nell'itinerario logico del decidente al fine di per venire ad una decisione giuridicamente corretta: anche le norme
costituzionali, con i loro effetti eventualmente invalidanti delle
norme di legge ordinaria con esse contrastanti, fanno parte del
diritto che deve essere applicato dagli arbitri i quali — come
ogni giudice — sono vincolati al dovere di interpretare le leggi
secundum Constìtutionem. In un assetto costituzionale nel quale è precluso ad ogni orga
no giudicante tanto il potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire il giudizio applicando leggi di dubbia costitu zionalità, anche gli arbitri — il cui giudizio è potenzialmente
fungibile con quello degli organi della giurisdizione — debbono
utilizzare il sistema di sindacato incidentale sulle leggi. La tesi della sospensione del giudizio arbitrale al fine di con
sentire alle parti di sottoporre il dubbio di legittimità costituzio nale al giudice ordinario, è solo apparentemente coerente con la
disciplina dettata dall'art. 819 c.p.c. in tema di questioni inci
dentali. La norma codicistica, infatti, postula che — una volta
sospeso il procedimento arbitrale — il giudice competente adito
dalle parti decida la questione incidentale; mentre, nel caso
della questione di costituzionalità, al giudice ordinario sarebbe
demandato solo il compito di reiterare la valutazione di rilevan za e di non manifesta infondatezza, già effettuata dagli arbitri, al fine di sollevare davanti a questa corte una questione pregiudi ziale rispetto ad una decisione di merito che non spetta al giudi ce medesimo ma agli arbitri.
Conclusivamente, dunque, va affermato, alla luce della ri chiamata giurisprudenza di questa corte, che anche gli arbitri rituali possono e debbono sollevare incidentalmente questione di legittimità costituzionale delle norme di legge che sono chiamati ad applicare, quando risulti impossibile superare il
dubbio attraverso l'opera interpretativa. 3. - Nel merito la questione non è fondata.
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3.1. - Il collegio rimettente muove dalla premessa che l'art. 3, 2° comma, d.l. 11 giugno 1998 n. 180, secondo il quale «le
controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche compre se in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità
naturali non possono essere devolute a collegi arbitrali», non
possa riferirsi alle controversie riguardanti le opere di cui al ti
tolo Vili della 1. n. 219 del 1981. Ciò, sia perché il d.l. n. 180 del 1998 sarebbe stato emanato esclusivamente per fronteggiare la situazione di emergenza derivante dai disastri idrogeologici del maggio 1998, sia perché, in ogni caso, il programma di edi
lizia di cui al titolo Vili della menzionata 1. n. 219 del 1981 non potrebbe qualificarsi come programma di ricostruzione di terri
tori colpiti da calamità naturali. Ne discenderebbe che la norma
di cui all'art. 8, 1° comma, lett. d), d.leg. 20 settembre 1999 n.
354, solo apparentemente dichiarativa, avrebbe in realtà esteso
il divieto di arbitrato alle suddette controversie, con palese ec
cesso di delega. Siffatta premessa interpretativa è sicuramente erronea.
L'inequivoco tenore letterale dell'art. 3, 2° comma, d.l. n.
180 del 1998 rende infatti palese che esso enuncia una regola di
carattere generale, riguardante le controversie relative alle opere
pubbliche comprese in tutti i programmi di ricostruzione di ter
ritori colpiti da calamità naturali. Né in ciò può ravvisarsi una
violazione dell'art. 77 Cost. — che comunque risulterebbe sa
nata dall'intervenuta conversione in legge del decreto — atteso
che una norma di carattere generale in tema di programmi di ri
costruzione di territori colpiti da calamità naturali non può certo
ritenersi estranea o disomogenea rispetto alla materia di un de
creto legge adottato in conseguenza della straordinaria necessità
ed urgenza di provvedere in merito ad una specifica calamità
naturale.
Non può d'altro canto dubitarsi che il programma straordina
rio di edilizia residenziale per l'area metropolitana di Napoli, di cui al titolo Vili della 1. n. 219 del 1981, rientri a pieno titolo tra
i programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità natu
rali. A favore di tale conclusione depone infatti la ratio comples
siva della 1. n. 219 del 1981 — recante provvedimenti organici
per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dagli eventi
sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981 — unita alla cir
costanza che il comune di Napoli era già stato a suo tempo indi
viduato — con d.p.c.m. 22 maggio 1981, adottato ai sensi del
d.l. 13 febbraio 1981 n. 19 (individuazione dei comuni colpiti dal sisma del novembre 1980), convertito, con modificazioni, in
1. 15 aprile 1981 n. 128 — tra quelli «gravemente danneggiati» dal terremoto che aveva colpito la regione Campania nel 1980.
L'art. 8, 1° comma, lett. d), d.leg. 20 settembre 1999 n. 354, escludendo che il commissario straordinario possa prendere in
esame, ai fini della definizione transattiva delle controversie di
cui si tratta, le istanze di accesso ad arbitrato notificate dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 180 del 1998, non ha dunque af
fatto ampliato l'ambito di applicazione del divieto di arbitrato introdotto dall'art. 3, 2° comma, del suddetto decreto legge e
non è pertanto censurabile, a tale riguardo, sotto il profilo del
l'eccesso di delega. 3.2. - Il parametro di cui all'art. 3 Cost, è evocato dal rimet
tente sia con riguardo al generale canone di ragionevolezza, sia
sotto il profilo dell'asserita violazione del principio di egua
glianza. Per ciò che concerne il primo aspetto, va premesso che la di
screzionalità di cui il legislatore sicuramente gode nell'indivi duazione delle materie sottratte alla possibilità di compromesso incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza. Siffatto
limite non può certo dirsi superato nella specie, considerato il
rilevante interesse pubblico di cui risulta permeata la materia
relativa alle opere di ricostruzione dei territori colpiti da cala
mità naturali, anche in ragione dell'elevato valore delle relative
controversie e della conseguente entità dei costi che il ricorso ad
arbitrato comporterebbe per le pubbliche amministrazioni inte
ressate.
Nessuna lesione del principio di eguaglianza può d'altro
canto ravvisarsi nel fatto che controversie di uguale natura ed
oggetto siano assoggettate o meno al divieto di arbitrato a se
conda della data di notifica del relativo atto introduttivo.
Secondo la costante giurisprudenza di questa corte, infatti, il
fluire del tempo costituisce idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive, cosicché non sussiste alcuna ingiù
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stificata disparità di trattamento per il solo fatto che situazioni
pur identiche siano soggette a diversa disciplina ratione tempo ris (sentenze n. 409 del 1998, id., 1999, I, 3144, e n. 18 del
1994, id., 1994,1, 667). La circostanza che il legislatore, nell'esercizio della sua di
screzionalità, abbia nella specie ritenuto di porre al riparo dagli effetti della nuova legge non soltanto le controversie per le quali fosse già stato emesso il lodo — così come una rigorosa appli cazione del suddetto principio avrebbe consentito — ma anche
quelle in relazione alle quali fosse stata solo notificata, alla data
di entrata in vigore del d.l. n. 180 del 1998, l'istanza di accesso
ad arbitrato, non può d'altro canto ascriversi a violazione del
l'art. 3 Cost, in danno di coloro i quali, alla stessa data, non
avevano nemmeno introdotto il giudizio arbitrale.
3.3. - Del tutto prive di specifica motivazione risultano infine
le censure riferite agli art. 24 e 97 Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale degli art. 3, 2° comma, d.l. 11 giugno 1998 n. 180 (misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite dai disa
stri franosi nella regione Campania), convertito, con modifica
zioni, in 1. 3 agosto 1998 n. 267, e 8, 1° comma, lett. d), d.leg. 20 settembre 1999 n. 354 (disposizioni per la definitiva chiusura del programma di ricostruzione di cui al titolo Vili della 1. 14
maggio 1981 n. 219, e successive modificazioni, a norma del
l'art. 42, 6° comma, 1. 17 maggio 1999 n. 144), sollevata, in ri
ferimento agli art. 3, 24, 76, 77 e 97 Cost., dal Collegio arbitrale
di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 17 maggio 2001, n. 136 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 maggio 2001, n. 20); Pres. Ruperto, Est. Bile; Cressati (Avv. Montaldo),
Argiolas; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord. Tar Lazio 7 aprile (due), 14 aprile (due), 15 aprile, 21 aprile 1999 e 24 maggio 2000; Tar Toscana 23 febbraio e 9
marzo 1999; Tar Marche 27 gennaio 1999 (otto); Tar Pie
monte 8 luglio 1999 e 9 marzo 2000; Tar Lombardia 10 e 24
febbraio 2000; Cons. Stato 23 febbraio 1999; Corte conti, sez. giur. reg. Emilia-Romagna, 14 e 20 gennaio 1999; sez.
giur. reg. Sardegna 9 febbraio 1999; sez. giur. reg. Sicilia 29
marzo 1999; sez. giur. reg. Lazio 21 maggio 1999 (G.U., la
s.s., nn. 23, 29, 35, 37, 39, 46 e 48 del 1999; nn. 3, 4, 5, 6, 8, 27,30,41 e 48 del 2000).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Qualifiche funzionali — Inquadramento — Crediti retributivi matu
rati — Interessi e rivalutazione — Esclusione — Incostitu
zionalità (Cost., art. 3, 36; 1. 11 lùglio 1980 n. 312, nuovo as
sètto retributivo-funzionale del personale civile e militare
dello Stato; 1. 23 dicembre 1998 n. 448, misure di finanza
pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, art. 26). Pensione civile, militare e di guerra
— Impiegati dello Stato
— Dirigenti collocati a riposo prima del 1° gennaio 1979 —
Riliquidazione del trattamento di quiescenza — Inte
ressi e rivalutazione — Esclusione — Incostituzionalità
(Cost., art. 3, 36; 1. 23 dicembre 1998 n. 448, art. 26).
È incostituzionale l'art. 26, 4° e 5° comma, l. 23 dicembre 1998
n. 448, nella parte in cui prevede che le somme corrisposte al
personale del «comparto ministeri» per effetto dell 'inquadra mento definitivo ex art. 4, 8° comma, l. 312/80, non danno
luogo ad interessi né a rivalutazione monetaria. (1)
(1-2) La corte risolve le questioni di legittimità proposte sulla base
dei principi tratti dalla sua giurisprudenza e secondo i quali: a) la retro
attività di una norma, qualificata o meno come «interpretativa», non è
Il Foro Italiano — 2002.
È incostituzionale l'art. 26, 4° e 5° comma, l. 23 dicembre 1998
n. 448, nella parte in cui prevede che le somme liquidate sui
trattamenti pensionistici in applicazione della sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 1991, non danno luogo ad inte
ressi né a rivalutazione monetaria. (2)
Diritto. — 1. - Tutte le ordinanze in epigrafe propongono la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, 4° comma, 1.
23 dicembre 1998 n. 448, secondo cui «le somme corrisposte al
personale del comparto ministeri per effetto dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 4, 8° comma, 1. 11 luglio 1980 n. 312, e le somme liquidate sui trat
tamenti pensionistici in conseguenza dell'applicazione della
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991 (Foro it., 1991,
I, 375) non danno luogo ad interessi né a rivalutazione moneta
ria». La questione è proposta da taluni giudici in relazione alle
somme corrisposte al personale del «comparto ministeri» e da
altri in relazione a quelle liquidate in base alla sentenza citata.
Fra le ordinanze del primo gruppo, alcune (nn. 631, 740 e 741
del 1999, 6 e 717 del 2000) impugnano anche il 5° comma del
l'art. 26, secondo cui «fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla
data di entrata in vigore della presente legge, le somme corri
sposte in difformità da quanto disposto dal 4° comma sono con
siderate a titolo di acconto sui trattamenti economici e pensioni stici in essere e recuperate con i futuri miglioramenti comunque
spettanti sui trattamenti stessi».
2. - Le ordinanze relative al «comparto ministeri» sono state
rese in giudizi intentati da dipendenti per ottenere interessi e ri
valutazione su somme tardivamente percepite per inquadra mento definitivo, ai sensi della 1. n. 312 del 1980. Nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 378 e 379 del 2000 si chiedeva anche il
pagamento del capitale.
Quanto ai parametri, l'ordinanza n. 631 del 1999 invoca gli art. 3, 36 e 97 Cost.; altrettanto fa la n. 717 del 2000, con
espressa limitazione al 1° comma per gli art. 36 e 97; le nn. 740
e 741 del 1999 enunciano soltanto l'art. 3; le nn. 440 e 747 del
1999, 378 e 379 del 2000 si riferiscono agli art. 3, 1° comma, e
36, 1° comma; le nn. 650 del 1999, 423 e 424 del 2000 ritengo no violati gli art. 3 e 36; la n. 6 del 2000 evoca gli art. 3, 35 e 36; tutte le altre deducono la congiunta violazione degli art. 3,
24, 36, 97, 102, 103 e 113.
di per sé incostituzionale purché sia adeguatamente giustificata sul pia no della ragionevolezza e non entri in contrasto con altri valori costitu
zionalmente protetti; b) le «esigenze di bilancio» dello Stato non pos sono giustificare trattamenti differenziati in ambiti omogenei in occa
sione dell'applicazione di norme vigenti, come emendate dalla Corte
costituzionale. I precedenti dai quali quei principi sono tratti trovansi
puntualmente richiamati in motivazione; fra le altre si segnalano le
sent. 20 luglio 1999, n. 327, Foro it., 2000,1, 366 (per applicazione del
principio sub a); 13 luglio 1995, n. 320, id., 1995,1, 3089, e 16 maggio 1997, n. 138, id., 1997,1, 3469 (per applicazione del principio sub b).
Fra le ordinanze di rimessione si leggono: Tar Lazio, sez. I, 20 luglio 1999, n. 1666, id., Rep. 2000, voce Impiegato dello Stato, n. 961; 7 ot
tobre 1999, n. 2176, ibid., n. 962; Tar Toscana, sez. I, 8 novembre
1999, n. 878, ibid., n. 963; 28 ottobre 1999, n. 839, ibid., n. 964; Tar
Piemonte, sez. I, 2 settembre 1999, n. 1013, ibid., n. 965; Cons. Stato, sez. IV, 10 settembre 1999, n. 1439, id., Rep. 1999, voce cit., n. 924; Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 4 maggio 1999, n. 151, ibid., voce
Pensione, n. 394. Corte conti, sez. giur. reg. Friuli-Venezia Giulia, 29 giugno 1999, n.
159, id., Rep. 2000, voce cit., n. 389, ha però negato interessi e rivalu
tazione in diretta applicazione dell'art. 26, 5° comma, 1. 448/98; mentre
Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2000, n. 1137, ibid., voce Impiegato dello
Stato, n. 952, ha ritenuto insussistente la colpa nel ritardo dell'ammini
strazione quando la possibilità di dar corso al pagamento è subordinata
dalla legge alle disponibilità degli stanziamenti di bilancio; nella giuris
prudenza amministrativa costituisce principio consolidato che interessi
e rivalutazione monetaria non sono dovuti se collegati ad un'attività di
screzionale della pubblica amministrazione mentre spettano se collegati ad un'attività vincolata, meramente applicativa di norme di legge: Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2000, n. 1846, e 8 aprile 2000, n. 2046,
ibid., nn. 953 e 954; sez. V 15 giugno 1998, n. 847, ibid., n. 956.
Per ogni riferimento, v. la nota di richiami a Corte cost. 327/99, cit., nonché Cons. Stato, ad. plen., 15 giugno 1998, n. 3, id., 1998, III, 401, con nota di Pardolesi, sulle modalità di calcolo ed il divieto di cumulo
di interessi e rivalutazione per gli emolumenti tardivamente corrisposti ai pubblici dipendenti.
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