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sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7);...

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sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini). Ammissibilità di richiesta di referendum abrogativo Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 3 (MARZO 1987), pp. 637/638-665/666 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179377 . Accessed: 24/06/2014 21:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.38 on Tue, 24 Jun 2014 21:26:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).

sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7);Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).Ammissibilità di richiesta di referendum abrogativoSource: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 3 (MARZO 1987), pp. 637/638-665/666Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179377 .

Accessed: 24/06/2014 21:26

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637 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 638

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 febbraio 1987, n. 29

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rei. Casavola; Comitato promotore, Bion

di ed altri (Avv. Mellini). Ammissibilità di richiesta di referen dum abrogativo.

CORTE COSTITUZIONALE;

Legge, decreto e regolamento — Referendum abrogativo — Si

stema elettorale del Consiglio superiore della magistratura —

Assenza di una evidente finalità intrinseca al quesito — Inde

fettibilità delle norme elettorali previste dalla Costituzione —

Inammissibilità (Cost., art. 75; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme

sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art. 25, 26, 27).

È inammissibile, perché carente di una evidente finalità intrinseca

al quesito e perché avente ad oggetto norme elettorali di un

organo la cui composizione elettiva è espressamente prevista dalla Costituzione, la richiesta di referendum abrogativo degli art. 25, 26 e 271. 24 marzo 1958 n. 195, che regolano l'elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magi stratura. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 febbraio 1987, n. 28

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Comitato promotore, Filip

pini ed altri (Aw. V. Onida), Associazioni venatorie (Aw. Cla

rizia, Rescigno, Rossano). Ammissibilità di richiesta di

referendum abrogativo.

Corte costituzionale — Giudizi di ammissibilità di referendum — Intervento di rappresentanti di interessi diffusi — Inammis

sibilità (L. 25 maggio 1970 n. 352, norme integrative sui refe

rendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo, art. 33).

Legge, decreto e regolamento — Referendum abrogativo — Legis lazione sulla caccia — Oscurità del quesito — Inammissibilità

(Cost., art. 75; cod. civ., art. 842; 1. 27 dicembre 1977 n. 968,

principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela del

la fauna e la disciplina della caccia, art. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11,

12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33).

È inammissibile l'intervento di alcune associazioni venatorie nel

giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo della legge sulla caccia. (2)

Sono inammissibili, perché rivolte contro complessi di disposizio ni dalle quali non emerge un quesito chiaro, semplice e coeren

te, le richieste di referendum abrogativi: a) dell'art. 842 c.c.,

sull'ingresso nei fondi privati per motivi di caccia o pesca; b)

degli art. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19,

20, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 I. 27 dicembre 1977 n. 968, sulla disciplina della caccia. (3)

III

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 febbraio 1987, n. 27

(Gazzetta ufficiale, V serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7);

(1-6) I. - Le ordinanze dell'ufficio eentrale presso la Corte di cassazio ne che hanno ritenuto regolari le richieste di referendum sono riportate in Foro it., 1987, I, 396. Per una sommaria analisi delle richieste di refe

rendum cfr. A. Pizzorusso, Otto referendum per la primavera 1987, id.,

1986, V, 381. Per un'analisi della disciplina del referendum nei principali

paesi europei cfr. il volume curato da F. Delpérée, Referendums, Bru

xelles, Crisp, 1985, e gli atti della Xlles Journées d'études juridiques Jean

Dabin, a cura di F. Delpérée, Bruxelles, Bruylant, 1986. Sul referendum

a livello locale vedi il n. 3/5 del 1986 della rivista Regione e governo locale, con scritti di L. Vandelli, M. Villone, L. Coen, P. V. Uleri, W.

Bordon, C. Chiola, T. Fonti Llovet, J. Borja, J. Galofré, Ph. Dressayre, F. Delpérée, B. Ernst de la Graete, M. Nijsten, P. Lafitte, S. Busi, R.

Toniatti e M. Ganino. Per un riepilogo dell'esperienza italiana di referendum abrogativo si

vedano le seguenti tabelle, le quali forniscono, la prima, un quadro delle

vicissitudini affrontate dalle trentacinque iniziative fin qui sperimentate e, le altre due, le percentuali dei votanti a favore o contro le nove propo ste sulle quali si è votato e delle astensioni registrate in occasione di tali

votazioni.

Pres. La Pergola, Rei. Gallo; Comitato promotore ed altri

(Avv. Mellini). Ammissibilità di richiesta di referendum abro

gativo.

Legge, decreto e regolamento — Referendum abrogativo — Nuo

ve norme sui procedimenti d'accusa — Ammissibilità (Cost., art. 75; 1. 10 maggio 1978 n. 170, nuove norme sui procedi menti d'accusa per reati presidenziali e ministeriali, art. 1-8).

È ammissibile la richiesta di referendum abrogativo dei primi ot

to articoli della I. 10 maggio 1978 n. 170, recante nuove norme

sui procedimenti di accusa per reati presidenziali e mini

steriali. (4)

IV

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 febbraio 1987, n. 26

(Gazzetta ufficiale, 1° serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rei. Conso; Comitato promotore, Biondi

ed altri (Aw. Mellini). Ammissibilità di richiesta di referen dum abrogativo.

Tabella A

Applicazioni della legge 25 giugno 1970 n. 352, sul referendum abrogativo.

01 cod. pen. (mag. dem.) - non completata la raccolta delle firme 02 divorzio (mov. catt.)

sent. Corte cost. n. 10/72 art. 31 (sciogl. camere-elez. 7/5/72) - art. 34: differim. 365 giorni nessuna proposta presentata - art. 34: differim. 365 giorni nessuna proposta presentata - 01 ref. divorzio (12/5/74): no * 03 finanz. partiti (p. lib.) - inamm. UC 04 aborto (p. rad.)

sent. Corte cost. n. 251/75 art. 31 (sciogl. camera-elez. 20/6/76) -

05 concordato (p. rad.) - inamm. CC - 06 cod. pen. (p. rad.) - inamm. CC 07 c. pen. mil. (p. rad.) - inamm. CC 08 giust. mil. (p. rad.) - inamm. CC 09 giust. poi. (p. rad.) 10 manicomi (p. rad.) 11 finanz. partiti (p. rad.)

art. 34: differim. 365 giorni art. 34: differim. 365 giorni

12 ordine pubblico (p. rad.)— sent. Corte cost. n. 16/78

nessuna proposta presentata 1. 22/5/78 n. 1. 10/5/78 n. 1. 13/5/78 n.

194* 170* 180*

02 ref. finanz. part. (11/6/78): no 03 ref. ordine pubbl. (11/6/78): no

art. 31 (sciogl. camere-elez. 3/6/79) 13 caccia (p. rad.) - inamm. CC 14 cod. pen. (p. rad.) - inamm. CC 15 guardia fin. (p. rad.) - inamm. CC 16 stupefacenti (p. rad.) - inamm. CC 17 centr. nucl. (p. rad.) - inamm. CC 18 ord. pubbl. (p. rad.) 19 ergastolo (p. rad.)

~~

20 porto d'armi (p. rad.) 21 giust. milit. (p. rad.) 22 aborto (p. rad.) 23 aborto max. (mov. cat.) - inamm. CC 24 aborto min. (mov. catt.)

sent. Corte cost. n. 22-30/81 25 stat. lav. (dem. prol.) - inamm. CC - legge 7/5/81, n. 180

- 04 ref. ord. pubbl. (17/5/81): no - 05 ref. ergastolo (17/5/81): no - 06 ref. porto armi (17/5/81): no - 07 ref. aborto rad (17/5/81): no - 08 ref. aborto min (17/5/81): no

-- legge 29/5/82, n. 297.

26 indenn. cont. (d. prol.) sent. Corte cost. n. 26/27/82

nessuna proposta presentata art. 31 (sciogl. camere-elez. 26/6/83) 27 scala mobile (p.c.i.) 1

sent. C. cost. n. 35/85 nessuna proposta presentata ' 09 ref. scala mobile (9/6/85): no

1986 - 28 caccia 1 (ass. ecol.) - inamm. CC 29 caccia 2 (ass. ecol.) - inamm. CC 30 sist. elett. CSM (p. rad. ed altri) - inamm. CC 31 giust. poi. (p. rad. ed altri) 32 resp. giudice (p. rad. ed altri) 33 centr. nucl. 1 (dem. prol. ed altri) 34 centr. nucl. 2 (dem. prol. ed altri) 35 centr. nucl. 3 (dem. prol. ed altri)

^ 1987 - art. 31 (anno ant. scadenza camere)

Abbreviazioni: UC = Ufficio centrale per il referendum presso la corte di Cassazione. CC = Corte costituzionale

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 1-42.

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Page 3: sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).

PARTE PRIMA

Legge, decreto e regolamento — Referendum abrogativo — Nor

me sulla responsabilità civile del giudice — Ammissibilità (Cost., art. 75; cod. proc. civ., art. 55, 56, 74).

È ammissibile la richiesta di referendum abrogativo degli art. 55,

56 e 74 c.p.c., in tema di risponsabilità civile del giudice. (5)

V

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 febbraio 1987, n. 25

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7);

Pres. La Pergola, Rei. Saja; Comitato promotore, Ronchi ed

altri (Aw. V. Onida). Ammissibilità di richiesta di referendum

abrogativo.

Legge, decreto e regolamento — Referendum abrogativo — Nor

me in materia di energia nucleare — Ammissibilità (Cost., art.

75; 1. 18 dicembre 1973 n. 856, modifica all'art. 1, 7° comma,

1. 6 dicembre 1962 n. 1643, sulla istituzione dell'Ente nazionale

per l'energia elettrica, art. unico; 1. 10 gennaio 1983 n. 8, nor

me per l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle

regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili

diversi dagli idrocarburi, art. unico).

Sono ammissibili le richieste di referendum abrogativi: a) del

l'art. unico, 1° comma, l. 18 dicembre 1973 n. 856, sulla costi

tuzione da parte dell'E.n.el. di società con enti stranieri per

la realizzazione o la gestione di centrali elettronucleari; b) del

l'art. unico 1°-12° comma, l. 10 gennaio 1983 n. 8, recante

norme per l'erogazione di contributi a favore dei comuni e del

le regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili

diversi dagli idrocarburi; c) dell'art, unico, 13° comma, legge

predetta, sulla determinazione delle aree di insediamento delle

centrali elettronucleari. (6)

Tabella B

Risultati dei referendum dal 1974 al 1985 calcolati in % sui voti validi

e in % sugli elettori.

% sui voti validi "Io su elettori

Sì No Totali Sì No Totali

1974 - Divorzio 40,7 59,3 100,0 35,0 50,8 85,8 1978 - Legge Reale 23,5 76,5 100,0 17,9 58,3 76,2 1978 - Fin. pubbl. partiti 43,6 56,4 100,0 33,2 43,0 76,2 1981 - Aborto (Mov. vita) 32,0 68,0 100,0 23,5 49,8 73,3 1981 - Aborto (Part. Rad.) 11,6 88,4 100,0 8,3 63,5 71,8 1981 - Ergastolo 22,6 77,4 100,0 16,5 56,4 72,9 1981 - Ordine pubblico 14,9 85,1 100,0 10,7 61,5 72,2 1981 - Porto d'armi 14,1 85,9 100,0 10,2 62,6 72,8 1985 - Decreto «scala mobile» 45,7 54,4 100,0 34,5 41,1 75,6

Tabella C

Non votanti, voti non validi e totale astensioni nei referendum, da! 1974 al 1985 (% su elettori).

Non Voti Totale votanti non validi astensioni

1974 - Divorzio 12,3 1,9 14,2 1978 - Legge Reale 18,8 5,0 23,8 1978 - Fin. pubbl. partiti 18,8 5,0 23,8 1981 - Aborto (Mov. vita) 20,6 6,1 26,7 1981 - Aborto (Part. Rad.) 20,6 7,6 28,2 1981 - Ergastolo 20,6 6,5 27,1 1981 - Ordine pubblico 20,6 7,2 27,9 1981 - Porto d'armi 20,6 6,6 27,2 1985 - Decreto «scala mobile» 22,0 2,4 24,4

II. - Sul sistema elettorale del Consiglio superiore vedi, da ultimo, E. Bruti Liberati, Associazionismo giudiziario e autogoverno, in Dem. e

diritto, 1986, n. 4-5, 85 ss. III. - Sul ruolo delle parti nel processo costituzionale cfr., da ultimo,

R. Romboli, Il processo costituzionale incidentale come processo senza

parti, Milano, 1985.

I

Diritto. — Proseguendo nel duplice orientamento della propria

giurisprudenza, delineato nella sentenza 2 febbraio 1978, n. 16

(Foro it., 1978, I, 265), secondo il quale, in sede di giudizio di ammissibilità di referendum abrogativo, a) «il popolo stesso de

v'essere garantito nell'esercizio del suo potere sovrano» e b) de

vono essere individuati «i valori di ordine costituzionale, riferibili

alle strutture ed ai temi delle richieste referendarie, da tutelare

IV. - Una precedente richiesta di referendum in materia di caccia era stata dichiarata inammissibile da Corte cost. 13 febbraio 1981, n. 27, Foro it., 1981, I, 918, richiamata nel testo.

V. - Anche il referendum sulla legge sui procedimenti di accusa per reati presidenziali e ministeriali ha un precedente nella richiesta presenta ta nel 1977 sulla quale peraltro il corpo elettorale non fu chiamato a

pronunciarsi a causa del sopravvenire della legge cui si riferisce la richie

sta attuale. VI. - Sulla responsabilità civile del giudice cfr., da ultimo App. Lecce,

20 settembre 1986, id., 1987, I, 575, con nota di richiami. Per completezza d'informazione si riportano (sub A) il disegno di legge

(n. 2138 del 10 gennaio 1987) di riforma della disciplina vigente che è

stato recentemente presentato al parlamento (sul quale cfr. anche M. Pi vetti - A. Rossi, La responsabilità civile dei magistrati. Riflessioni a mar

gine del disegno di legge governativo e proposte alternative, di prossima pubblicazione in Questione giustizia) e (sub B, C e D) i pareri che in

relazione ad esso hanno espresso il Consiglio superiore della magistratu ra, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato.

VII - In tema di centrali nucleari vedi Trib. admin. Strasbourg 8 set tembre 1986, Foro it., 1986, IV, 326, con osservazioni di G. Pascuzzi.

A

Disegno di legge n. 2138/S/IX del 10 gennaio 1987: Nuove norme sulla

responsabilità civile del magistrato.

Non c'è dubbio che il tema della responsabilità risarcitoria per fatti connessi all'attività giudiziaria abbia assunto, negli ultimi anni, uno spes sore sempre più consistente ed abbia suscitato una richiesta riformatrice, di cui l'istanza referendaria è soltanto un'espressione.

D'altra parte, le deficienze dell'attuale disciplina degli art. 55, 56 e 74 c.p.c., che ripetono formule tratte da precedenti codificazioni e che

riecheggiano figure penalistiche, rendendo pressoché impraticabile l'ope ratività dell'istituto, la subordinano, inoltre, a meccanismi autorizzativi validi per l'ordinamento anteriore, non certo in linea con un moderno concetto del rapporto cittadini-potere giudiziario.

Raccogliendo queste sollecitazioni e tenendo conto dell'ampia elabora zione svoltasi sul tema, si propone un disegno di legge che ridisciplina la materia.

Occorre premettere, tuttavia, che il principio costituzionale contenuto nell'art. 28 della Carta costituzionale va coordinato con gli altri principi di pari dignità costituzionale; e cioè con il principio secondo cui la «ma

gistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro

potere dello Stato» e con il principio secondo cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». In altri termini, il nodo e la delicatezza del problema stanno nel conciliare due esigenze egualmente tutelate dal nostro ordina mento costituzionale: l'indipendenza del magistrato e la sua responsabilità.

E poiché questi due termini non sono necessariamente contrapposti, si tratta di stabilire quale forma di responsabilità del giudice sia ammissi bile nel nostro ordinamento, caratterizzato dalla prerogativa dell'indipen denza dell'ordine giudiziario.

Si aggiunga che, pronunciandosi sull'art. 28 con la sentenza n. 2 dell'I 1

marzo 1968 (Foro it., 1968, I, 585), la Corte costituzionale ha espresso l'avviso che «la singolarità della funzione giurisdizionale» e «la stessa

posizione super partes del magistrato» possono «suggerire condizioni e limiti alla sua responsabilità, ma non sono tali da legittimare una sua

negazione totale». Ne consegue la legittimità di una normativa ordinaria dissimile da quella

concernente le categorie di impiegati e funzionari dello Stato. Le linee del provvedimento sono cosi' riassumibili.

Si è ritenuto, anzitutto, che la nuova disciplina della responsabilità ci vile non possa essere circoscritta ai giudici ordinari, ma debba estendersi ai magistrati delle giurisdizioni speciali, ed in genere a tutti coloro che

partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdizionali (art. 1). Una diver sa soluzione darebbe luogo a sospetti di incostituzionalità, sotto il profilo della disparità di trattamento.

Si è affermato il principio che l'azione di risarcimento del danno può essere proposta soltanto nei confronti dello Stato (art. 3 e 4). Tale solu zione appare l'unica idonea a garantire l'indipendenza del giudice nell'e sercizio delle sue funzioni, evitandosi che l'azione di danno diventi uno strumento per interferire nel corso dei giudizi. Nel contempo si è ritenuto

indispensabile ribadire il principio, a garanzia dell'indipendenza della fun zione giudiziaria, per cui l'esercizio di tale funzione non può dar luogo a responsabilità, né dello Stato né della magistratura, per l'attività di

interpretazione ed applicazione del diritto e di ricostruzione e valutazione del fatto (art. 2).

Il Foro Italiano — 1987.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell'art.

75, 2° comma, Cost.», la corte svolge le considerazioni che

seguono. 1. — La nautra del referendum abrogativo nel nostro sistema

costituzionale è quella di atto-fonte dell'ordinamento dello stesso

rango della legge ordinaria. Come il legislatore rappresentativo

ispira e coordina la sua volontà ad un oggetto puntuale, cosi la

volontà popolare deve poter ispirarsi ad una ratio altrettanto pun

Presupposto di proponibilità dell'azione risarcitoria verso lo Stato è che siano stati esperiti i mezzi di impugnazione senza esito positivo quan to al fatto causativo di danno (art. 3, 1° comma); si è anche previsto che se il danno non è «comunque» riparabile con tali mezzi, l'azione

possa essere proposta subito, ma sempre dopo l'esaurimento della fase o del grado di giudizio (art. 3, 2° comma), e ciò ad evitare che per effetto di astensioni e ricusazioni si pregiudichi in concreto il principio del giudi ce naturale.

Altro presupposto è la ricorrenza, nel giudice, del dolo e della colpa grave: senza l'uno o l'altra, l'azione diretta verso lo Stato non può essere

proposta. 11 dolo consiste, come è noto, nella coscienza e volontà dell'a

zione; nella disciplina che si propone esso è indicato in termini generali, perciò comprende tanto il dolo penale quanto quello civile; invece per la colpa grave si è ritenuta necessaria una specificazione, anche al fine di evitare difformità interpretative ed eventuali contrasti giurisprudenziali in sede di applicazione. Pertanto la colpa è stata definita nella triplice ipotesi della violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, dell'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclu sa dagli atti del procedimento e della negazione di un fatto la cui esisten za risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento (art. 3, 3°

comma). Quanto alle fattispecie materiali causative di danno, non è possibile

delineare in formule compiute quelle concernenti i fatti commissivi, con siderata la varietà di casistica possibile.

Tuttavia si è ritenuto di porre ad oggetto di una norma specifica (art. 7), la responsabilità connessa con l'emanazione di provvedimenti cautela ri o d'urgenza, per rispondere alla necessità, largamente avvertita, di ri chiamare il giudice ad un uso più prudente della discrezionalità che è insita nella concessione o nel rifiuto di tali forme di tutela. Si è anche ritenuto opportuno cogliere l'occasione offerta dalla disciplina della re

sponsabilità civile per introdurre il principio che ogni provvedimento cau

telare o d'urgenza, se già non suscettibile di rimedio specifico per il diritto

vigente, sia sottoposto ad immediato controllo da parte di un organo

collegiale (art. 7, 2° comma). Anche in questo caso, si tratta di un'esigen za di tutela vivamente sentita, in particolare per i provvedimenti d'urgen za ex art. 700 c.p.c. emanati da giudice monocratico, in una situazione

generale di amministrazione della giustizia in cui l'intervento immediato

dell'organo giurisdizionale appare spesso decisivo per le sorti dei litiganti. Viceversa è possibile individuare (e si è ritenuto necessario farlo ad

evitare una eccessiva dilatazione della responsabilità tale da comprendere qualunque omissione o ritardo) specifiche fattispecie per comportamenti omissivi, e cioè (art. 8) la scadenza del termine perentorio fissato dalla

legge al giudice per il compimento di una determinata attività e l'inutile scadenza del termine dopo l'istanza della parte affinché si provveda.

Dunque, verificatosi un comportamento commissivo od omissivo im

putabile al magistrato a titolo di dolo o colpa grave nei termini anzidetti, che abbia cagionato un danno ingiusto non riparato e non riparabile con mezzi di impugnazione, si può agire contro lo Stato per il risarcimento

(art. 4). È sembrato opportuno riconoscere al magistrato la facoltà di intervenire nel giudizio, in via adesiva, per sostenere le ragioni dello Stato

(art. 5): ovviamente la decisione non ha efficacia di giudicato nell'azione

disciplinare contro il magistrato né può far stato nell'eventuale giudizio di rivalsa. Resta salvo il diritto del danneggiato di agire direttamente con

tro il giudice allorché il fatto costituisca reato, sia mediante la costituzio

ne di parte civile nel processo penale sia con apposita azione risarcitoria a seguito di condanna penale (art. 6, 2° comma).

I fatti che espongono lo Stato al risarcimento costituiscono altrettanti

illeciti disciplinari: intervenuto il risarcimento, l'azione disciplinare è co

munque obbligatoria, ed è promossa dall'autorità competente entro sei

mesi (art. 9). Il disegno introduce una sanzione disciplinare accessoria

(art. 9, 3° comma): nei casi di condanna per i fatti che obbligano lo

Stato al risarcimento, e quale che sia la sanzione principale irrogata, l'or

gano disciplinare può aggiungere la sanzione accessoria della riduzione

dello stipendio in misura proporzionale all'entità del risarcimento fino

ad un terzo dello stipendio mensile, al netto delle trattenute fiscali, e

per un massimo di un anno. II disegno prevede inoltre che, ricorrendo la duplice condizione dell'ef

fettuato risarcimento e della definitività della decisione disciplinare, lo

Stato ha la facoltà di agire in rivalsa, valutato l'esito del procedimento

disciplinare per quanto riguarda l'accertamento della responsabilità: se

ne avvarrà quando la sanzione risulti del tutto sperequata rispetto alla

misura del risarcimento e, in sostanza, priva di efficacia deterrente rispet to alle esposizioni debitorie dello Stato per dolo o colpa grave del magi

strato; potrà non avvalersene quando la reazione del meccanismo interno

appaia rassicurante in rapporto agli interessi dello Stato a non vedersi

tuale. Il quesito referendario è dotato di siffatta ratio quando in esso sia incorporata l'evidenza del fine intrinseco all'atto abro

gativo. Dinanzi ad una norma elettorale la pura e semplice pro

posta di cancellazione, insuscettiva di indicazioni desumibili da

meri riferimenti al sistema, non è di per sé teleologicamente signi ficativa. L'ampia gamma di sistemi elettorali, la loro modulazio

ne e ibridazione, impedisce che si instauri l'alternativa tra l'oggetto di cui si vuole l'eliminazione e il suo contrario.

esposto a responsabilità risarcitorie, ovvero quando sia stata irrogata la sanzione accessoria della riduzione dello stipendio, perché tale sanzione

funge, in buona sostanza, da sostitutivo della rivalsa giacché lo Stato

recupera, sia pure entro certi limiti e a diverso titolo, ciò che ha pagato al danneggiato.

Le norme sulla responsabilità disciplinare non valgono, com'è ovvio,

per i cosiddetti giudici laici; per questi, altresì', si è ritenuto di circoscrive re la facoltà di rivalsa, in presenza del presupposto risarcitorio, alle sole

ipotesi di dolo, perché ai magistrati laici di regola non si richiede per l'esercizio della funzione quella professionalità che si richiede ai togati e che rende ipotizzabile, di volta in volta, la colpa grave.

La rivalsa è azionata dal ministro della giustizia quanto ai magistrati ordinari, giacché nel suo bilancio è inserito l'onere di spesa per esposizio ne risarcitoria; quanto agli altri magistrati, l'azione è promossa dal mini stero (o dal presidente del consiglio dei ministri) al cui settore la funzione

giurisdizionale si riferisce (art. 10, 3° comma). Sono state introdotte deroghe alla competenza territoriale e a quella

del valore; quanto alla prima, si è realizzato un meccanismo analogo a quello previsto per l'art 41 bis del codice di procedura penale per ga rantire l'imparzialità del giudizio di rivalsa ed evitare ai giudici del relati

vo procedimento il disagio di decidere nei confronti di un magistrato del proprio ufficio o del medesimo distretto di appartenenza; quanto alla

seconda, si è ritenuto di attribuire la cognizione al tribunale (art. 9, 4°

comma). Si è ritenuto, inoltre, di porre un limite quantitativo alla re

sponsabilità in via di rivalsa: essa non può mai superare il terzo dello

stipendio netto e per un massimo di un anno; nel caso sia stata irrogata in sede disciplinare la sanzione pecuniaria accessoria, l'entità della rivalsa non può superare la differenza tra l'ammontare della somma concernente la rivalsa e il complesso delle riduzioni operate a titolo di sanzione acces soria inflitta (art. 10, 5° comma; il 6° comma contiene anche una norma

di adattamento per i laici). Gli altri articoli del disegno riguardano: la previsione che nessuna de

roga è introdotta ai regimi della riparazione per errori giudiziari o per

ingiusta detenzione (art. 11), cioè regimi normativi che operano per pro prio conto, l'abrogazione delle norme incompatibili (art. 12) e in partico lare gli art. 55, 56 e 76 c.p.c. nonché l'art. 52 r.d. 12 luglio 1934 n.

1214, per quanto attiene all'azione che il procuratore generale presso la Corte dei conti potrebbe altrimenti proporre contro il magistrato nell'in

teresse dello Stato, la previsione di spesa (art. 13).

Quanto all'onere finanziario, l'ammontare della spesa è stato previsto tenendo conto di indici pregressi, quali il numero di richieste per azione di responsabilità ex art. 56 c.p.c. (appena venti nell'ultimo triennio), il

numero di azioni disciplinari pendenti che potrebbero riguardare fatti di

responsabilità per dolo o per colpa grave suscettibili di risarcimento in

base alla disciplina che si propone e il numero di riparazioni richieste

negli ultimi anni per le vittime di errori giudiziari; si è anche tenuto con

to, nel determinare l'entità dell'onere, del tipo di meccanismo processuale contenuto nel disegno, in particolare della proponibilità dell'azione dopo

l'esperimento dei mezzi di impugnazione e del presupposto del dolo o della colpa grave, che «filtrano» adeguatamente l'esposizione risarcitoria dello Stato.

Articolato

Art. 1. — (Responsabilità per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali). 1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai magistrati ordinari,

compresi i magistrati del pubblico ministero, ai magistrati della giustizia amministrativa e contabile, a quelli delle giurisdizioni speciali nonché agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdizionali.

2. Nelle disposizioni che seguono il termine «magistrato» comprende tutti i soggetti indicati nel 1° comma.

Art. 2. — (Ambito del regime di responsabilità). 1. Nell'esercizio delle

funzioni giurisdizionali, non può dar luogo a responsabilità per danno

l'attività di interpretazione del diritto e di ricostruzione o valutazione del

fatto.

Art. 3. — (Responsabilità per dolo o colpa grave). 1. Chi, per effetto

di un comportamento posto in essere dal magistrato con dolo o colpa

grave nell'esercizio di funzioni giurisdizionali, ha subito un danno ingiu sto non riparato con i mezzi di impugnazione, può agire per ottenere

il risarcimento del danno. 2. Se il danno non è riparabile con i mezzi di impugnazione, l'azione

civile è proponibile soltanto quando è esaurita la fase o il grado del giudi zio, nell'ambito dei quali si è verificato il fatto che ha cagionato il dan

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PARTE PRIMA

L'assenza di manifesta e chiara alternativa impedisce che il vo

to dei cittadini si renda con quella consapevolezza nella scelta, che è irrinunciabile requisito di un atto libero e sovrano di legife razione popolare negativa.

2. — Nella specie si propone di caducare norme elettorali con

tenute nella 1. 24 marzo 1958 n. 195, sulla costituzione e sul fun

zionamento del Consiglio superiore della magistratura, organo la

cui composizione elettiva è esplicitamente disposta dall'art. 104

Cost.

no. L'azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalla data di esaurimento della fase o del grado, o comunque entro il termine di tre anni dalla data del fatto se in questo termine la fase o il grado non si è ancora concluso.

3. Costituiscono colpa grave: a) la violazione di legge determinata da

negligenza inescusabile; b) l'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del proce dimento.

Art. 4. — (Responsabilità dello Stato). 1. Nei casi previsti dall'art.

3, l'azione civile è proposta nei confronti dello Stato. 2. L'azione è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dalla co

noscenza del comportamento che si assume lesivo. Se è ancora pendente il giudizio, nel corso del quale il fatto si è verificato, il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Art. 5. — CIntervento nel giudizio contro lo Stato). 1. Il magistrato interessato può intervenire nel giudizio per sostenere in via adesiva le

ragioni dello Stato. A tal fine il giudice innanzi al quale pende il giudizio

per il risarcimento dispone, nella prima udienza, che ne sia data notizia al magistrato cui viene addebitato il comportamento lesivo.

2. È escluso in ogni caso l'intervento su istanza di parte o per ordine del giudice.

3. La decisione non fa stato nel giudizio disciplinare di cui all'art. 9.

Art. 6. — (Responsabilità civile). 1. Effettuato il risarcimento, lo Stato

può rivalersi nei confronti del magistrato ai sensi dell'art. 10.

2. Resta salvo il diritto del danneggiato di costituirsi parte civile nel

processo penale, se i fatti costituiscono reato, e di esercitare l'azione civi

le in seguito a condanna penale.

Art. 7. — (Responsabilità per provvedimenti cautelari). 1. Le disposi zioni degli art. 2, 3, 4, 5 e 6 si applicano nei casi di adozione, revoca

0 diniego, in sede penale, civile o amministrativa, dei provvedimenti cau

telari. 2. Se non sono previsti altri rimedi giurisdizionali, contro i provvedi

menti cautelari o d'urgenza in sede civile è sempre ammesso'reclamo nei

modi e nei termini di cui all'art. 739 c.p.c. Il reclamo contro i provvedi menti del pretore si propone al tribunale. Il reclamo contro i provvedi menti del giudice singolo in tribunale o in corte d'appello si propone al collegio. L'organo cui è proposto il reclamo può, in attesa della deci

sione, sospendere l'esecuzione del provvedimento impugnato. 3. L'azione di danno può essere esercitata dopo che siano stati esperiti

1 mezzi di impugnazione secondo le norme vigenti e i rimedi previsti dal 2° comma.

Art. 8. — (Responsabilità per diniego di giustizia). 1. Danno luogo a responsabilità, secondo le disposizioni degli art. 2, 3, 4, 5 e 6, l'omis sione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti quando: a) la

legge fissa al giudice termini perentori; b) la parte ha presentato istanza al giudice per ottenere il provvedimento e sono decorsi, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Per gravi moti vi il termine può essere prorogato dal dirigente dell'ufficio, con provvedi mento motivato e su richiesta del magistrato, ma non può comunque superare mesi tre dalla data di deposito dell'istanza.

Art. 9< — (Azione disciplinare). 1. Per i magistrati ordinari, i magistra ti della giustizia amministrativa e contabile e quelli delle giurisdizioni spe ciali costituiscono illecito disciplinare i fatti previsti dagli art. 3, 7 e 8.

2. L'azione disciplinare è promossa dall'autorità competente, entro sei mesi dal giorno in cui il risarcimento è stato effettuato, secondo le leggi vigenti.

3. In caso di condanna, alla sanzione disciplinare può essere aggiunta una sanzione pecuniaria accessoria in misura proporzionale all'ammonta

re del risarcimento, tenuto conto del tipo di sanzione principale inflitta, sino ad un terzo dello stipendio mensile, al netto delle trattenute fiscali, e per il massimo di una annualità.

4. Con decreto del presidente della repubblica, su proposta e di concer

to, rispettivamente, del ministero di grazia e giustizia e del ministro delle

finanze, saranno stabilite le modalità per l'esecuzione della sanzione ac cessoria.

Art. 10. (Azione di rivalsa) — 1. Entro tre mesi dalla conclusione defi

nitiva del procedimento disciplinare il ministro competente, valutatone

Il nesso di strumentalità tra gli art. 25, 26 e 27 della legge suddetta e il carattere elettivo dell'organo è di tutta evidenza.

Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non pos sono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di pa ralisi di funzionamento. Per tale suprema esigenza di salvaguardia di costante operatività, l'organo, a composizione elettiva formal

mente richiesta dalla Costituzione, una volta costituito, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle nor

l'esito per quanto attiene l'accertamento della responsabilità, ha la facol

tà di rivalersi nei confronti del magistrato. 2. Per gli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdi

zionali la facoltà di rivalsa può essere esercitata, dopo che sia stato effet

tuato il risarcimento, soltanto quando l'atto o il comportamento è

imputabile a dolo. 3. L'azione è promossa: a) per i magistrati ordinari e per gli estranei

che partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdizionali ordinarie, dal

ministro di grazia e giustizia; b) per i magistrati del Consiglio di Stato, dei tribunali amministrativi regionali e della Corte dei conti, dal presiden te del consiglio dei ministri; c) per i componenti delle commissioni tribu

tarie, dal ministro delle finanze; d) per i magistrati dei tribunali militari, dal ministero della difesa; e) per gli altri magistrati ed estranei che parte

cipano all'esercizio di funzioni giurisdizionali, dal ministro competente in relazione alla natura del contenzioso che forma oggetto della rispettiva funzione giurisdizionale.

4. Competente per l'azione di rivalsa è il tribunale del luogo ove ha

sede la corte d'appello del distretto più vicino, in cui è compreso il giudi ce che sarebbe competente per territorio e per valore secondo le norme

ordinarie, salvo che in detto ufficio, o in quello che sarebbe competente

per il procedimento in grado di appello, il magistrato stesso sia venuto

ad esercitare le sue funzioni. In tale ultimo caso è competente il tribunale

del luogo ove ha sede la corte del distretto più vicino, diverso da quello in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al momento del fatto o

sia venuto nel frattempo ad esercitare le sue funzioni. 5. L'entità della rivalsa non può comunque superare una somma pari

al terzo dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, e per il massimo

di un anno. Se è stata irrogata al magistrato, in sede disciplinare, la san

zione pecuniaria accessoria, l'entità della rivalsa non può superare la dif

ferenza fra l'ammontare della somma concernente la rivalsa e il complesso delle riduzioni operate a titolo di sanzione pecuniaria accessoria.

6. Per gli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdi zionali, l'entità della rivalsa non può superare il terzo dello stipendio iniziale, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tri

bunale, e per il massimo di un anno, ovvero il terzo dello stipendio effet

tivamente percepito o del reddito da lavoro autonomo, al netto delle

trattenute fiscali e per il massimo di un anno, se inferiore.

Art 11. — (Riparazioni per atti giudiziari). 1. Le disposizioni della

presente legge non pregiudicano il diritto all'equa riparazione, prevista dalle norme vigenti, a favore delle vittime di errori giudiziari o di ingiusta detenzione.

Art. 12. — (Abrogazione delle disposizioni incompatibili e deroga a

disposizioni vigenti). 1. Sono abrogati gli art. 55, 56 e 74 c.p.c. nonché

ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge. 2. La presente legge deroga alle norme contenute nell'art. 52 r.d. 12

luglio 1934 n. 1214, limitatamente alla responsabilità dei magistrati a ti tolo di rivalsa.

Art. 13. — (Clausola finanziaria). 1. All'onere derivante dall'applica zione della presente legge, valutato in lire 3.000 milioni per l'anno 1987

ed in lire 5.000 milioni per ciascuno degli anni 1988 e 1989, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del

bilancio triennale 1987-1989, al capitolo 6856 dello stato di previsione del ministero del tesoro per l'anno finanziario 1987, all'uopo parzialmen te utilizzando l'accantonamento «Modificazioni alle disposizioni sulla no mina del conciliatore e del vice pretore onorario (istituzione del giudice di pace)».

2. Il ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 14. — (Entrata in vigore). 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

B

Consiglio superiore della magistratura

Parere sul disegno di legge n. 2138/S/IX del 10 gennaio 1987: Nuove norme sulla responsabilità civile del magistrato.

1. - La giurisdizione ha assunto, negli ultimi decenni, un carattere di

sempre maggiore complessità determinata sia dal sorgere di nuove do

mande di giustizia e dai modelli di tutela che esse sollecitano (si pensi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

me elettorali contenute nella propria legge di attuazione. Tali norme

elettorali potranno essere abrogate nel loro insieme esclusivamen

te per sostituzione con una nuova disciplina, compito che solo

il legislatore rappresentativo è in grado di assolvere.

Il referendum popolare abrogativo si palesa nella specie stru

mento insufficiente, in quanto idoneo a produrre un mero effetto

ablatorio sine ratione.

allo sviluppo dello strumento cautelare nel campo civile) sia dai muta

menti soprattutto qualitativi della criminalità, che è sempre più «crimina

lità organizzata», con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle

tecniche di intervento giudiziario. D'altra parte, quanto maggiore è la complessità del processo, quanto

più ardua e inedita è la materia su cui esso opera, quanto più penetranti sono gli strumenti di cui esso si avvale, tanto più cresce — specialmente in costanza di gravi carenze strutturali e di frequenti ambiguità dello stes

so dato normativo — il tasso di rischio proprio della giurisdizione e tanto

più forte diventa l'esigenza di tutela del cittadino di fronte alla possibilità di errori.

La via attraverso cui il problema va affrontato è, primariamente, quel la delle riforme delle procedure e dell'ordinamento giudiziario, essendo

evidente che la possibilità di errore (pur ineliminabile in assoluto) è inver

samente proporzionale alla razionalità della disciplina del processo e al

l'inveramento dei suoi fondamentali principi (contraddittorio, difesa,

garanzie della persona) nonché alla capacità degli strumenti di ordina

mento giudiziario di produrre una magistratura che sia sempre più all'al

tezza del compito per risorse organizzative, professionali e culturali.

Il più ampio spettro di tali interventi riformatori non esclude che il

tema del ristoro del cittadino, vittima del sistema di giustizia, abbia una

sua specifica evidenza ed urgenza, sia perché ciò risponde, almeno per un certo settore di lesioni, ad un'indicazione costituzionale, sia perché è socialmente giusto che i rischi del processo siano, per quanto possibile, distribuiti, sia infine perché a tale tema può collegarsi (alle condizioni

e nei modi che saranno più oltre analizzati) un'esigenza di reazione san

zionatoria nei confronti del magistrato responsabile. Alla necessità di riparazione del danno da attività di giustizia, indipen

dentemente dall'illiceità del comportamento che lo ha provocato e per il solo fatto della rilevanza costituzionale del diritto leso (la libertà perso

nale), sicuramente risponde, felicemente inserendosi nel quadro riforma

tore sopra auspicato, la proposta di legge sulla riparazione dei

provvedimenti giurisdizionali «oggettivamente ingiusti», sulla quale il con

siglio ha espresso in data 23 ottobre 1986 il proprio parere positivo.

2. - Un'analisi diversa richiede l'ipotesi di ristoro del danneggiato sotto

il profilo della responsabilità civile, come prevista dal disegno di legge

governativo sul quale il consiglio è ora chiamato a dar parere. Tale ipote si si fonda sul dolo o sulla colpa grave del magistrato per comportamenti commissivi ovvero sulla ingiustificata e renitente inerzia per comporta menti omissivi e, a differenza della richiamata proposta di legge sulla

riparazione, non ha limiti di materia né di ammontare massimo dell'in

dennità, ma carattere di generalità quanto al bene leso e di integralità

quanto alla misura del risarcimento.

Premesso che il dibattito consiliare si è essenzialmente incentrato sulla

responsabilità civile per colpa grave del magistrato, va detto che al ri

guardo sono emerse motivate reazioni critiche, le quali hanno preliminar mente segnalato che tale situazione, sotto il profilo della responsabilità individuale del giudice, è ignota alla massima parte degli ordinamenti

ed ha dato luogo, dove adottata, più a dispute accademiche che ad appli

cazioni significative. D'altra parte, ad un'obiezione secondo cui la diffu

sa inesistenza di tale strumento sanzionatorio è compensata, nella generalità

degli altri paesi, o dal controllo dal basso (giudice elettivo) o da pesanti forme di controllo politico o burocratico dall'alto, o ancora da momenti

di rigida selettività nella carriera, è stato replicato che il processo italiano

si caratterizza per la singolare ampiezza, altrove sconosciuta, dei mezzi

di impugnazione. In realtà, il problema della responsabilità civile del magistrato pone

sempre delicati e complessi problemi sotto il profilo della necessaria sal

vaguardia dell'indipendenza, che non deve mai essere esposta al pericolo di attentati. Nell'ampia discussione si è dovuto constatare che né in dot

trina, né nella disciplina normativa di altri paesi, sono state reperite solu

zioni pienamente tranquillizzanti e che neppure il disegno di legge in esame

riesce a fornire indicazioni accettabili e rassicuranti sul punto. Non è mancata nel dibattito qualche posizione di pregiudiziale rifiuto

dell'ipotesi normativa. Il fatto che al processo sia in qualche modo con

naturata la possibilità di errore (altrimenti non avrebbe senso l'istituto

del giudicato, che serve appunto per escludere, da un certo momento

in poi, la rilevanza dell'errore) e il fatto, d'altra parte, che esistano all'in

terno del processo, per eliminare l'errore, gli appositi strumenti rappre sentati dai mezzi di impugnazione (il cui mancato o infruttuoso esperimento conduce appunto al giudicato) costituirebbero ragione di vera e propria

incompatibilità fra processo e responsabilità del giudice per il processo. Si aggiunge che, se si introducessero meccanismi di «controprocesso» con

finalità sanzionatoria a carico del magistrato, si farebbe sorgere in que

st'ultimo, quando emette il suo provvedimento, un elemento di interesse

personale (alla prudenza, al conformismo, alle scelte meno rischiose) per

3. — Ostano dunque alla sottoposizione del tema in esame al

voto popolare due concorrenti ragioni: l'una attinente alla consa

pevolezza del voto, in assenza di una evidente finalità intrinseca

al quesito; l'altra derivante dalla indefettibilità della dotazione

di norme elettorali per gli organi la cui composizione elettiva è

espressamente prevista dalla Costituzione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale respinge la richiesta

di referendum abrogativo degli art. 25, 26, 27 1. 24 marzo 1958

definizione in contrasto con il principio della soggezione soltanto alla legge. Non si può negare la serietà di tali proposizioni, le quali non solo

saranno utilizzate, nel seguito del presente parere, quando verranno in

discussione i limiti oggettivi della responsabilità per attività giurisdiziona

le, ma sono, nello stesso disegno di legge, la ragione evidente di impor tanti esclusioni, limitazioni e cautele. Sarebbe tuttavia eccessivo (e per

questo la accennata posizione pregiudizialmente negativa è rimasta mino

ritaria) affermare l'incompatibilità, in via di principio, fra attività giuri sdizionale e responsabilità civile (a livelli più bassi, si intende, di quello del dolo, già oggi preso in considerazione dalla legge).

Alla sostanza di tale obiezione di fondo è stato opposto che, se un

qualunque sindacato sull'attività giurisdizionale diverso dai mezzi di im

pugnazione fosse per definizione inconcepibile, costituirebbero arbitrio

gli incipienti sforzi della giurisprudenza disciplinare del consiglio di indi

viduare e sanzionare alcune ipotesi-limite di cattivo esercizio della funzio

ne. Tali interventi, infatti, hanno anch'essi il carattere di un «processo sul processo» e configurano una certa possibilità di far sorgere nel giudi

ce, quando provvede, un elemento di interesse personale ad evitare il

pericolo di successive sanzioni. E tuttavia è generalmente avvertita la po sitività di simili aperture del magistero disciplinare, intese in buona so

stanza a reprimere il cattivo uso dell'indipendenza da parte di alcuni per

salvaguardare la reale indipendenza di tutti.

Tali aperture della giurisprudenza disciplinare implicano dunque, sia

pure per casi-limite, un superamento del dogma della insindacabilità del

processo al di fuori del processo, ma indicano anche su quale terreno

tale superamento, con effetti direttamente sanzionatori per il magistrato, sia potuto correttamente avvenire.

3. - Il problema, dunque, non è quello della astratta compatibilità fra

responsabilità civile e giurisdizione, ma quello di stabilire i limiti, che

certamente esistono, di tale compatibilità, e ciò sotto il profilo non solo

della individuazione di un elemento soggettivo particolarmente qualifica to (colpa grave), ma anche, e prima, della identificazione dei punti ogget tivi di rottura della fisiologia del processo, che come tali possono giustificare una reazione in termini di responsabilità civile.

Va qui considerato che la giurisdizione non è semplicemente fallibile

come tutte le attività umane, ma lo è in modo qualitativamente peculiare, e ciò non perché fare un processo sia professionalmente più difficile del

progettare un ponte o del fare un'operazione chirurgica, ma perché que ste ultime attività hanno un solo risultato positivo (l'esistenza del ponte, la guarigione di un malato) e sono internamente strutturate per il rag

giungimento di esso, mentre il processo deve per definizione aprirsi alla

duplicità delle tesi (contraddittorio), attribuendo a ciascuna uguali chan

ces di svolgimento e di potenzialità di convincimento (diritto di difesa),

per chiudersi infine con una preclusione (cosa giudicata) la cui irremovi

bilità implica la potenziale uguale dignità degli opposti esiti del processo. Ne consegue che il provvedimento giurisdizionale, finché si mantiene

entro l'area di naturale discutibilità dell'oggetto del contendere e di fisio

logica equipollenza dei possibili esiti processuali (sta fuori del ragiona

mento, ovviamente, l'ipotesi del dolo, che di tale ambivalenza della logica del processo costituisce un approfittamento), non può oggettivamente,

prima che soggettivamente, realizzare, una situazione rilevante ai fini del

la responsabilità civile (o di qualsivoglia altra responsabilità). A tale conclusione si può giungere anche per altra via. Se la responsa

bilità civile in esame non si collegasse ad un ristretto terreno di ipotesi limite e potesse riguardare anche l'area che si è definita di potenziale

uguale dignità degli opposti provvedimenti, il giudice della responsabilità civile sovrapporrebbe la propria «opinione» a quella del magistrato che

ha emesso il provvedimento, il che è inammissibile al di fuori del sistema

delle impugnazioni (oggi, peraltro, sempre più universalizzato, vuoi per

l'amplissima applicazione dell'art. Ili, 2° comma, Cost., vuoi per la in

troduzione, di cui va merito anche al presente disegno, di strumenti di

controllo nel campo cautelare). In realtà il giudice della responsabilità civile potrebbe operare — senza

infrangere insopportabilmente i principi del processo — solo quando egli

dovesse non già giudicare della bontà dell'interpretazione della legge o

della accettabilità della ricostruzione del fatto compiuto nel provvedimen to in questione, ma semplicemente prendere atto, ictu oculi, che tale in

terpretazione e/o ricostruzione sta fuori dell'area delle legittimamente

diverse interpretazioni e/o ricostruzioni possibili.

4. - Tale verità non è disconosciuta dal disegno di legge quando nel

l'art. 2 afferma che «non può dar luogo a responsabilità per danno l'atti

vità di interpretazione del diritto e di ricostruzione o valutazione del fatto».

Al di là di tale clausola generale negativa il disegno si sforza peraltro

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PARTE PRIMA

n. 195 ( «norme sul funzionamento del Consiglio superiore della

magistratura»), iscritta al n. 36 del registro referendum, nei ter

mini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del

13 dicembre 1986 dall'ufficio centrale per il referendum costitui

to presso la Corte di cassazione.

II

Diritto. — 1. - A distanza di sei anni dalla sentenza (n. 27

del 1981, Foro it., 1981, I, 918) con la quale venne dichiarata

di introdurre elementi di tipizzazione in positivo delle ipotesi che fuorie scono dalla clausola stessa, il che è tentativo di per se stesso pregevole, anche se, cosi come realizzato (v. art. 3, 3° comma), esso è apparso, alla maggioranza dei componenti del consiglio, segnato da insufficienze e ambiguità.

A parte il fatto che la tipizzazione è compiuta con riferimento all'ele mento soggettivo (gravità della colpa), mentre si tratta in realtà di identi ficare (salvo poi a verificare se siano gravemente colpevoli) oggettive situazioni di straripamento rispetto alla «fisiologica discutibilità» dell'og getto del processo e dei suoi esiti, vanno comunque rilevate, nelle ipotesi di cui alle lett. b e c, alcune insufficienze. Tali previsioni, concernenti i casi in cui il giudice afferma un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento o, viceversa, nega un fatto incontrastabilmente ri sultante dagli atti medesimi, dovrebbero espressamente porre l'ulteriore

requisito (presente nella norma da cui le predette formule sembrano mu tuate: art. 395, n. 4, c.p.c.) della causalità dell'errore rispetto al contenu to del provvedimento. È stata poi sottolineata la necessità di una

precisazione nel senso che la pretermissione del fatto (pur risultante dagli atti, oggi non raramente costituiti da decine di migliaia di pagine) debba essere stata preceduta, per poter dar luogo a responsabilità, da una speci fica evidenziazione del fatto medesimo a cura di parte (si intende quando il contraddittorio sia stato costituito e sempreché gli atti siano conoscibili dalla parte interessata all'evidenziazione).

Contrarietà sono state invece espresse, da molti e sotto più profili, relativamente alla lett. a, la quale fa riferimento alla «violazione di legge determinata da negligenza inescusabile».

In verità, se si volesse realizzare un parallelismo fra il versante del «fatto» (lett. b e c) e quello del «diritto» (lett. a), dovrebbe dirsi che si ha violazione di legge, causativa di responsabilità civile, quando è data

per esistente una norma che non esiste o per inesistente una norma che esiste. Classiche ipotesi potrebbero essere quelle dell'applicazione di una norma abrogata per emettere, ad esempio, un provvedimento restrittivo della libertà personale, o della pretermissione, sempre nell'adozione di un tale provvedimento, di una norma che ha dichiarato estinto il reato. Onestà vuole, tuttavia, che ci si domandi se nella previsione non debba rientrare anche il caso in cui la norma, pur sotto l'apparenza di interpre tazione, è in realtà «creata» dal giudice. In ogni caso, è stata rilevata la improprietà della formula adottata dal disegno di legge, perché essa, parlando di «negligenza inescusabile», fornisce in sostanza un sinonimo del concetto di «colpa grave», mentre dovrebbe piuttosto far leva su pa rametri oggettivi, come quelli della evidenza e della indiscutibilità dell'errore.

Più in generale, da altri, è stata sottolineata la pericolosità della clau sola generale di cui alla lett. a, troppo indefinita ed elastica per poter fornire adeguate garanzie e propiziare applicazioni giurisprudenziali suf ficientemente univoche.

Da altri ancora, e questa volta in chiave totalmente alternativa alla formulazione dell'intero 3° comma, si è proposta una tipizzazione per valori (provvedimenti giurisdizionali lesivi di diritti costituzionalmente ga rantiti), oppure si è sostenuto che la via per individuare le ipotesi di ille

gittimità extra ordinem, su cui fondare la responsabilità civile, dovrebbe essere cercata nel senso degli straripamenti di potere del magistrato (inva sione di sfere di potere altrui, assunzione di forme di tutela estranee alla

giurisdizione, ecc.) ovvero della violazione, causalmente incidente sul prov vedimento, di fondamentali ed impreteribili connotati del «giusto proces so» (principio del contraddittorio, diritto di difesa, ecc.).

5. - Ammessa — entro limiti più o meno felicemente costruibili, ma

comunque indispensabili secondo lo stesso disegno di legge — la possibi lità di ipotizzare un margine di rilevanza della responsabilità civile da

processo, resta tuttavia da vedere come sia correttamente realizzabile, in considerazione dei valori in gioco, il relativo sistema sanzionatorio.

Il disegno di legge, nella parte in cui dispone che l'azione è proponibile dal danneggiato esclusivamente nei confronti dello Stato (art. 4) e ricon duce la responsabilità del magistrato sul terreno disciplinare (art. 8), of fre una soluzione rispondente alla necessità di armonizzare l'esigenza di ristoro del cittadino con quella della salvaguardia dell'indipendenza della

giurisdizione. A ben vedere, però, si colgono nel disegno i sintomi di una non piena

coerenza della scelta, come se questa fosse imposta da ragioni di oppor tunità più che da ragioni di principio.

Ed invero, mentre i primi tre articoli del disegno di legge ed il suo stesso titolo gravitano sulla figura e sull'errore del magistrato, facendone il baricentro della costruzione normativa, solo l'art. 4 viene poi

inammissibile la richiesta di referendum per l'abrogazione parzia le della 1. 27 dicembre 1977 n. 968 («principi generali e disposi zioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della

caccia»), questa corte è chiamata a pronunciarsi sull'ammissibili

tà di analoga richiesta, avente per oggetto la medesima legge, ed altresì' ad esprimere lo stesso giudizio sul referendum contem

poraneamente proposto per l'abrogazione dell'art. 842 c.c., che

prevede l'esercizio della caccia (1° e 2° comma) e della pesca

(3° comma) nei fondi di proprietà privata. Le due richieste, di

chiarate entrambe legittime dall'ufficio centrale per il referendum

(quasi inaspettatamente) a stabilire che «l'azione è proposta nei confronti dello Stato», come se quest'ultimo fosse una specie di «sostituto» o di

«controfigura» nella responsabilità (o nella soggettività passiva della rela tiva azione).

L'opinione che alcuni componenti del consiglio hanno manifestato al

riguardo nel corso del dibattito è che — con il «personalizzare» l'azione di danno del cittadino verso lo Stato, fondandola sulla colpa grave del

magistrato, e non oggettivandola (come nell'ordinamento francese) sul «difettoso funzionamento del sistema di giustizia», cioè sulla complessa gamma di carenze e disorganizzazioni di carattere strutturale e funzionale e sul possibile concorso, con l'eventuale colpa grave del magistrato, di

comportamenti illeciti di altri soggetti cooperanti nell'attività giurisdizio nale (rispetto ai quali la condotta gravemente colposa del magistrato è non solo episodica ma soggettivamente contenuta) — il disegno costruisce un sistema che, per un periodo verosimilmente lungo (commisurabile alla

prevedibile lunga durata del giudizio civile) ed in essenza di ogni preventi va delibazione della fondatezza della domanda, determina inevitabilmen te un discredito generalizzato del magistrato esposto al giudizio stesso, con conseguente limitazione o condizionamento della sua indipendenza.

La costruzione normativa sarebbe più corretta e rispettosa di tale indi

pendenza se, evitando ogni suggestione di sostitutività, affermasse esplici tamente e in primo piano, fin dall'esordio dell'articolato, la autonoma

responsabilità, originariamente propria dello Stato, per l'attività di giusti zia, ponendo in evidenza che questa non si esaurisce nell'attività giudi cante o requirente dei magistrati ma involge anche altri funzionari pubblici e comunque implica, «a monte», una strumentale attività organizzatoria delle cui carenze e conseguenti danni non sono certo responsabili i singoli magistrati. Un tale mutamento dell'ottica del disegno sarebbe auspicabile perché dalle considerazioni sopra esposte deriva che la responsabilità del lo Stato non è una «copertura», ma la naturale esplicazione del principio della responsabilità della p.a. per l'operato dei suoi organi e per le sue stesse carenze organizzative; e, inoltre, perché la scelta del giudizio disci

plinare come sede della ricognizione della colpa professionale dei magi strati non costituisce un surrettizio «depistamento», ma la naturale

espressione di un fondamentale principio, come risulta dalle considera zioni che seguono.

È comune affermazione, pienamente condivisa da questo consiglio, che

l'indipendenza non è un privilegio per il magistrato, ma una garanzia per i cittadini, e che perciò l'indipendenza trova il suo naturale correlato nella responsabilità, come se si trattasse delle due facce della stessa meda

glia. Tuttavia, proprio perché tali elementi sono cosi strettamente collega ti e l'uno in funzione dell'altro, sembra coerente ritenere che la sede della

ricognizione della responsabilità del magistrato per l'attività di giustizia non possa non identificarsi con la sede della tutela dell'indipendenza nel l'attività di giustizia. Un vincolo costituzionale in tal senso sembra atte stato dal fatto che al Consiglio superiore appartengono, certo non

casualmente, sia i poteri di salvaguardia dell'indipendenza che quelli di verifica della responsabilità.

6. - La prospettazione fin qui enunciata (largamente sostenuta nel di battito consiliare) è apparsa ai più non in contrasto con il principio di cui all'art. 28 Cost., sia per quanto attiene alla costruzione della respon sabilità dello Stato come originaria e non sussidiaria, sia per quanto con cerne l'assunzione della responsabilità del magistrato entro la sfera

disciplinare. Sotto il primo aspetto si è rilevato che la norma costituzionale non

è stata ritenuta, almeno dalla unanime giurisprudenza, interpretabile nel senso della esclusione della responsabilità propria della p.a. per l'operato dei suoi organi, né in quello della riduzione di tale responsabilità ad un livello sussidiario, cioè di subordinazione e di mera derivazione meccani cistica rispetto alla responsabilità del funzionario.

Se cosi non fosse, del resto, resterebbe totalmente lettera morta, nel

disegno di legge in esame, la previsione della responsabilità civile per l'operato di organi giurisdizionali collegiali. In realtà la responsabilità è sicuramente inoperante (sia pure nella forma, voluta dal disegno, di

responsabilità disciplinare) nei confronti dei singoli componenti del colle

gio, non essendo identificabili le singole posizioni ed opinioni. Ma essa non potrebbe funzionare neppure nei confronti dello Stato (e qui sotto il profilo di vera e propria responsabilità civile), se la responsabilità di

questo, anziché discendere dal rapporto organico nella sua oggettività, dovesse intendersi come meramente derivata dalla responsabilità del sin

golo funzionario e costruita «a stampo» su questa.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

con distinte ordinanze in data 13 dicembre 1986 sono fra loro

tematicamente legate — tanto che inizialmente il predetto ufficio

centrale aveva proposto la concentrazione dei due quesiti — , e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - A scioglimento della riserva espressamente manifestata al

l'inizio della camera di consiglio, deve dichiararsi inammissibile l'intervento delle associazioni venatorie di cui in narrativa. Ciò, in base alle previsioni dell'art. 33 1. 25 maggio 1970 n. 352, che

Quando poi alla riconduzione della colpa professionale del magistrato entro la sfera disciplinare (peraltro rafforzata, come si vedrà fra poco, dall'introduzione di una sanzione pecuniaria), si è osservato che si tratta

comunque di un quid pluris rispetto alla disciplina vigente che ignora del tutto la responsabilità per colpa del magistrato, per cui non dovrebbe ro sussistere pericoli di illegittimità alla luce del «collaudo» già intervenu to con la sentenza n. 2/68 (Foro it., 1968, I, 585) della Corte costituzionale. Ciò a prescindere dal rilievo che l'istanza di responsabilizzazione, espres sa dall'art. 28 Cost., si proietta verso un triplice ordine di sanzioni, che

comprende anche quella amministrativa.

Perplessità potrebbero se mai affacciarsi — proprio alla luce della sen tenza appena ricordata, che esige almeno un minimo di applicabilità del

regime ordinario — non per la disciplina in se stessa della responsabilità per colpa del magistrato, ma per il fatto che il sistema proposto dal dise

gno abbraccia anche la responsabilità per dolo e quella per comporta menti omissivi, che oggi invece danno luogo a vere e proprie azioni di

responsabilità civile nei confronti del magistrato, ancorché soggette ad autorizzazione.

7. - Ammesse dunque le due diverse vie (dell'azione di danno contro 10 Stato e del giudizio disciplinare a carico del magistrato), è peraltro necessario che ciascuna di esse sia una via «forte», non condizionata da remore o contraddizioni.

È questa — per quanto riguarda l'azione contro lo Stato — la ragione per cui, nel dibattito consiliare, è stata disattesa l'ipotesi della necessità del previo esperimento del giudizio disciplinare ed è rimasta nettamente minoritaria la proposta di un meccanismo autorizzatorio rimesso al giudi ce competente per l'azione di danno e costruito sulla falsariga dell'art. 274 c.c.

Tali indicazioni esprimono una preoccupazione innegabilmente seria, sia perché il giudizio, pur proposto nei confronti dello Stato, non è privo di pesanti riflessi (in senso ampio) nei riguardi del magistrato (come è confermato dalla facoltà di intervento a lui riconosciuta), sia perché non

possono escludersi ipotesi di utilizzazione strumentale del giudizio mede simo. Le accennate costruzioni porterebbero tuttavia sul terreno della c.d.

«giurisdizione condizionata» (in più casi censurata dalla Corte costituzio

nale) e comunque implicherebbero un sacrificio, difficilmente proponibile dal punto di vista politico, dell'aspettativa del danneggiato.

Pienamente fondata è invece la necessità che il giudizio di danno non

possa avere inizio finché il magistrato, del cui provvedimento si tratta, opera ancora nel processo. A tale necessità, le cui ragioni sono intuitive, si ispira, ma dà risposta assolutamente inadeguata, la previsione del dise

gno di legge secondo cui «l'azione civile è proponibile soltanto quando si è esaurita la fase o il grado del giudizio nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno» (art. 3, 3° comma).

Astraendo da precisazioni che andrebbero formulate anche relativamente al concetto di grado, è certo che il riferimento alla conclusione della fase è del tutto inidoneo a garantire l'uscita del magistrato, come persona fisica, dal processo: basti pensare al pubblico ministero che, chiusa la fase di istruzione sommaria, è tuttavia presente nell'istruttoria formaliz

zata; e gli esempi potrebbero moltiplicarsi anche per il processo civile. Occorre dunque fare riferimento, in modo esplicito, al fatto che il magi strato sia ormai divenuto definitivamente estraneo al processo, prescin dendo da formule che tradiscono lo scopo della norma.

Infine, quanto al rapporto fra proponibilità del giudizio di danno ed

esperimento delle impugnazioni nel giudizio «principale», il disegno di

legge offre una doppia soluzione, in via di massima esigendo l'esperimen to delle impugnazioni in quanto abbiano attitudine a riparare il danno, ma facendo salva l'immediata proponibilità dell'azione di danno ove que sto non sia comunque riparabile (art. 3, 1° comma). In realtà quest'ulti ma ipotesi, che sembra riferirsi alla irreparabilità materiale, non dovrebbe

avere cittadinanza logica, perché solo attraverso il giudicato (e quindi attraverso le impugnazioni che in questo senso hanno sempre una capaci tà di riparazione giuridica) può aversi la definitiva sconfessione del prov vedimento e quindi la possibilità di qulificare in termini di «ingiustizia» 11 danno che esso produce. Detto ciò sul piano logico, il consiglio tuttavia

si dà carico dell'esigenza che sta a base della scelta del disegno, non po tendo negarsi che la necessità di attendere comunque il giudicato frustre

rebbe profondamente il senso dell'intervento normativo in esame

specialmente con riguardo a situazioni di irreparabilità materiale. Nel con

tempo, però, va rilevato che tale scelta tanto più impone una visione

oggettivamente restrittiva delle ipotesi di responsabilità, sostanzialmente

identificandole con quelle in cui l'errore, per la sua straordinaria eviden

za e per la sua assoluta abnormità, non solo rende altamente improbabili

elenca gli organi ed i soggetti che possono intervenire nel procedi mento dinanzi alla Corte costituzionale in materia referendaria.

Né può d'altra parte trovare applicazione l'art. 32, che prevede l'intervento di gruppi politici nel procedimento davanti all'ufficio

centrale per il referendum per la diversa finalità del procedimen to di ammissibilità davanti a questa corte.

3. - Per quanto riguarda il merito e con riferimento in primo

luogo alla richiesta di referendum per l'abrogazione parziale del

successivi provvedimenti confermativi, ma degrada, in certo senso, il prov vedimento al livello del comportamento facendone, più che un atto del

processo come tale confermabile, una anomalia, di per se stessa rilevante, della condotta del magistrato.

8. - Se va attribuita forza al giudizio di danno (a presidio della giusta aspettativa del cittadino), forte deve essere anche l'altra articolazione del

binomio, cioè il giudizio disciplinare. Ma proprio su questo punto le pre visioni del disegno sono apparse, alla larga maggioranza del consiglio, insoddisfacenti.

Un primo elemento di debolezza/subalternità del momento disciplinare è stato rilevato nel fatto che l'art. 9 costruisce la relativa azione come

obbligatoria con riguardo ai comportamenti contemplati dal disegno, ma subordinatamente alla circostanza che il danneggiato abbia chiesto il ri sarcimento e lo Stato lo abbia (a seguito di giudizio o non) effettuato. Ciò significa che dall'iniziativa del danneggiato è fatta dipendere la pecu liarità del regime dell'azione disciplinare.

In questa stessa logica è stato criticato il fatto che la proposizione del l'azione disciplinare, e la sua stessa obbligatorietà, possano collegarsi an che al pagamento volontario da parte dello Stato, senza che il fondamento di tale «non resistenza», che pure fa scattare il giudizio disciplinare a carico del magistrato, sia in alcun modo controllabile.

Ma soprattutto si è indicato, come segno dell'accennata subalternità, il fatto che, nel sistema costruito dal disegno di legge, l'azione disciplina re è pensata come successiva al pagamento dello Stato in favore del dan

neggiato, il che vai quanto dire come successiva, il più delle volte, all'esaurimento del giudizio di danno. Tale posposizione, che può signifi care parecchi anni di paralisi, contrasta con l'assenza stessa della repres sione disciplinare, che, in quanto posta a salvaguardia della giurisdizione e dei suoi valori, implica la necessità di una pronta attuazione, non ritar dabile o condizionabile da una vicenda patrimoniale.

Tutto ciò svela una logica di «privatizzazione» che non può essere ac

cettata, specie ove si consideri che essa non rappresenta neppure una con

seguenza necessaria delle scelte tecniche in definitiva operate dal disegno. Se è vero, infatti, che la decisione pronunciata nel giudizio di danno non fa stato nel procedimento disciplinare (art. 5, 5° comma), non v'è alcuna

ragione di subordinare quest'ultimo a tale decisione o comunque all'avve nuto risarcimento.

In realtà il vero punto di forza dei due momenti sanzionatori (azione civile contro lo Stato e procedimento disciplinare a carico del magistrato) dovrebbe consistere proprio nella loro separazione, nel loro poter proce dere distintamente a tutela dei diversi valori (ristoro del cittadino ed inte

grità della giurisdizione) cui rispettivamente si collegano: come il

procedimento disciplinare non può condizionare l'azione di danno (e in fatti è rimasta soccombente, nel dibattito consiliare, una prospettazione in tal senso), cosi all'azione risarcitoria non dovrebbe esser subordinata

(neppure solo temporalmente) l'iniziativa disciplinare. Facendo riferimento al processo disciplinare il consiglio richiama, co

me implicito presupposto del discorso, l'ampio dibattito svoltosi sul tema e sfociato nel parere del 19 settembre 1984, in cui si tracciano le linee di un rafforzamento della giustizia disciplinare attraverso strumenti che la rendono sempre più garantita ma anche sempre più efficace.

9. - Alla suddetta logica di «privatizzazione» è stata dalla maggior par te dei consiglieri ricondotta anche la sanzione pecuniaria di cui all'art.

9, 3° comma, del disegno, non per se stessa, ma per la sua prevista pro porzionalità all'ammontare del risarcimento. Tale stretta correlazione al l'entità del risarcimento (che poi potrebbe per varie ragioni non

corrispondere all'entità del danno, per esempio se lo Stato avesse saputo difendersi con particolare abilità nel giudizio proposto dal danneggiato o fosse riuscito a conseguire una transazione vantaggiosa, eventualità tut te che non dovrebbero avere alcun peso nella logica ed ai fini del giudizio disciplinare) è indice, ancora una volta, di una contaminazione fra mo mento patrimoniale e momento disciplinare, con inevitabile effetto di in debolimento del significato e delle potenzialità di quest'ultimo.

Nel dibattito consiliare non è stata disconosciuta la possibilità di intro

durre, accanto alle attuali, una sanzione disciplinare di contenuto pecu niario, peraltro già esistente, sotto forma di riduzione dello stipendio, nella disciplina generale dell'impiego pubblico. Tale forma di sanzione, verosimilmente dotata di non trascurabile efficacia afflittiva e di conse

guente capacità di prevenzione generale, dovrebbe peraltro non essere ne cessariamente collegata all'ipotesi di danno a terzi e, in ogni caso, non

configurarsi come necessariamente proporzionale al danno (o, peggio, al

risarcimento), ma assumere il danno, ove sussista, come uno dei possibili parametri su cui commisurarsi, fermo restando il primato — fra i vari

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PARTE PRIMA

la 1. n. 968 del 1977, è opinione della corte che tale richiesta

debba essere dichiarata inammissibile. Ritiene la corte che non

deve essere sottoposto a consultazione popolare un quesito di dub

bio significato. L'art. 1 della legge de qua, non coinvolto nella

richiesta referendaria, proclama che «la fauna selvatica italiana

costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelato nel

l'interesse della comunità nazionale». Questo è il principio ispira tore della legge, che del resto si ravvisa già nel titolo («principi

Come è stato rilevato nel corso della discussione, una volta presa (co me ha pur fatto il disegno di legge in esame) la via del giudizio disciplina re, è ai valori e alle logiche di questo che occorre fare riferimento, senza rievocare o reintrodurre profili che attengano ad una tecnica sanzionato ria a favore della quale non è andata, per quanto concerne il magistrato, l'opzione legislativa. Si aggiunga che, se il danno patrimoniale costituisse soltanto uno dei parametri (e neppure il più importante) di una sanzione

pecuniaria costruita come genuinamente disciplinare, il riferimento ad es so potrebbe essere operato in termini di relativa approssimazione e som

marietà, sulla base di una valutazione allo stato degli atti, come del resto accade nell'irrogazione della sanzione penale, ove il parametro della gra vità del danno può venire in rilievo senza esigere un accertamento quanti tativo di tipo civilistico.

A conferma della natura propriamente disciplinare di tale sanzione è stato formulato il suggerimento che ne venga prevista la destinazione ad un fondo per la riparazione degli errori giudiziari.

10. - Decisa contrarietà, da parte della maggioranza del consiglio, è emersa relativamente alla previsione dell'art. 10 del disegno di legge, se condo cui il ministro, dopo l'esaurimento del giudizio disciplinare, ha facoltà di esercitare l'azione civile di rivalsa (in relazione al risarcimento

effettuato) nei limiti del predetto terzo dello stipendio annuale del magi strato, dedotto quanto già liquidato in sede disciplinare a titolo di sanzio ne pecuniaria.

Le ragioni di dissenso da tale ipotesi normativa sono state molteplici. Intanto è stato rilevato che la facoltatività dell'azione del ministro co

stituisce un oggettivo pericolo per l'indipendenza, la quale, oltre che dal timore di sanzioni, può essere incrinata dalla speranza di perdoni.

Si è poi notato che, se è vero che il cosiddetto «diritto di rivalsa» esiste nei limiti in cui la sanzione pecuniaria irrogata in sede disciplinare non raggiunge il terzo dello stipendio annuo, fino al punto di essere azze rato nel caso in cui tale «tetto» sia stato raggiunto, non può non argo mentarsi, da tale possibilità di incidenza di una sanzione sull'altra, la sostanziale omogeneità delle stesse, donde la scarsa plausibilità della di versificazione delle sedi in cui esse dovrebbero essere azionate (procedi mento disciplinare e giudizio civile ordinario).

Infine — e soprattutto — è stato evidenziato un profilo di inaccettabi lità di tale soluzione dal punto di vista istituzionale. Pur conferendosi, infatti, un potere al Consiglio superiore (quello di giudicare disciplinar mente il comportamento produttivo di danno a terzi e di irrogare la san zione pecuniaria prevista dall'art. 9 del disegno), si riconosce poi alla

p.a. la facoltà di contestare il risultato dell'esercizio di tale potere, non secondo la logica dell'impugnazione, ma riponendo in discussione quel risultato dall'esterno, attraverso un nuovo e diverso processo, in buona sostanza cercando altrove una giustizia che si assume non essere stata data interamente dal consiglio, la cui posizione istituzionale viene cosi ad essere sensibilmente incrinata.

In conclusione, il giudizio disciplinare, quale risulta dalle previsioni del disegno di legge, finisce per essere un procedimento condizionato sia nel suo sorgere che nei suoi esiti, il che è l'esatto contrario della ripetuta esigenza che, una volta scelta tale via, essa abbia la maggior forza e la

maggior autorevolezza possibili. A confronto delle riflessioni fin qui svolte, sia consentito, da ultimo,

richiamare una risoluzione approvata nell'autunno 1985 dall'assemblea

generale della Nazioni Unite, la quale ha stabilito che, senza pregiudizio dell'azione disciplinare e del diritto ad un risarcimento da parte dello Stato: Les juges ne peuvent faire personnellement /'object d'une action civile en raison d'abus ou d'omissions dans l'exercice de leurs fonctions judiciaires (punto 16). Tale risoluzione prospetta cioè il sistema del «dop pio binario» (azione del danneggiato contro lo Stato e procedimento di

sciplinare contro il magistrato) che anche il disegno di legge in esame

accoglie. Il documento internazionale tuttavia ulteriormente precisa (al punto 17 sotto la rubrica delle misure disciplinari) che l'incolpazione a carico del magistrato doit ètre étendue rapidement. Ciò conferma l'assun to sopra sostenuto secondo cui i due «binari» devono essere entrambi

forti, e in particolare deve essere forte la via disciplinare. Condizione, quest'ultima, che non può dirsi realizzata nel disegno di legge, avuti pre senti i numerosi rilievi sopra riferiti.

11. - Alcune rapide considerazioni vanno infine formulate sulla «re

sponsabilità per diniego di giustizia» (art. 8 del disegno di legge), sulla

disciplina della reclamabilità dei provvedimenti cautelari (art. 7) e sul pro blema della responsabilità nel caso di organi collegiali.

generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e

la disciplina della caccia»), ove appunto questa disciplina appare enunciata in funzione della protezione e della tutela della fauna.

Ma la richiesta referendaria, nel momento stesso in cui mette al

riparo il trascritto principio, propone all'elettorato l'abrogazione: dell'art. 3, che vieta «in tutto il territorio nazionale, ogni forma

di uccellagione»; dell'art. 10, secondo cui il «territorio nazionale

è sottoposto al regime gratuito di caccia controllata»; dell'art.

Sul primo punto — e con particolare riferimento all'ipotesi di cui alla lett. b — il consiglio si limita a mutare l'osservazione, già da altri formulata, se condo cui «è a chiedersi se l'applicazione di tale norma non porti a trasferire alle istanze di parte l'ordine di svolgimento dell'attività giudiziaria e se essa sia di possibile applicazione in situazioni di rilevante arretrato». Si aggiun gono soltanto due considerazioni. La prima è che si tratta, anche qui, di un'ot tica di eccessiva «privatizzazione», della quale, sotto altri aspetti, il presente parere ha già sottolineato l'esistenza nel disegno di legge. La seconda è che il rilievo sopra riferito, proveniente dalla magistratura contabile, vale a mag gior ragione per la giustizia ordinaria, il cui carattere diffuso ed il cui diffe renziato carico dei singoli uffici (si pensi a quelli gravati da pesanti processi di criminalità organizzata) rendono ancor più preoccupante l'accennato mec canismo di dipendenza dalle istanze private.

Relativamente, poi, alla introdotta reclamabilità-revocabilità dei provve dimenti cautelari, va detto che essa, pur sacrificando in parte talune poten zialità positive della tutela di urgenza, realizza un equilibrato bilanciamento di valori da tempo auspicato da buona parte della cultura giuridica e non

privo di significative indicazioni nella giurisprudenza costituzionale. Infine va considerato che il disegno di legge introduce una inaccettabile

disparità di trattamento tra i magistrati che esercitano funzioni monocra tiche e quelli che esercitano funzioni collegiali. Soltanto i primi, infatti, possono essere chiamati a rispondere personalmente (sia pure nelle forme in precedenza indicate), non essendo offerto strumento alcuno per la in dividuazione delle opinioni espresse all'interno dei collegi giudicanti.

Considerazioni conclusive. — L'indipendenza dei giudici rappresenta un valore essenziale, elevato al rango di principio costituzionale, posto a tutela dei cittadini in una visione della funzione giurisdizionale come servizio per tutta la collettività.

Tale indipendenza è infatti presupposto perché la funzione di controllo di legalità possa svolgersi — senza interferenze e condizionamenti — in modo da garantire pienamente le libertà individuali e collettive nel qua dro dei valori e delle regole sancite dalla Costituzione.

Risponde peraltro a principio di giustizia che il cittadino che subisce danni ingiusti a seguito dell'esercizio delle attività giurisdizionali abbia un risarcimento del danno subito.

La soluzione più corretta per contemperare questa esigenza con quella dell'indipendenza dei giudici — senza esporla a rischi — consiste nel pre vedere la possibilità per il cittadino di ottenere dallo Stato il risarcimento del danno subito, in relazione ad ipotesi oggettivamente tipizzate di di sfunzione dell'apparato giudiziario comprese quelle riferibili a colpa gra ve del magistrato e nel prevedere che il comportamento del magistrato, che a tali situazioni abbia dato causa, trovi la sua sanzione in sede disci

plinare. Il processo disciplinare — che deve essere del tutto autonomo rispetto al

giudizio di danno — va tuttavia reso più incisivo ed efficace, secondo logi che attente agli interessi della collettività alla stregua delle linee di riforma sulle quali il consiglio ha già espresso un ampio parere nel 1984 e della ulte riore elaborazione. Non contrasta con tale linea l'ipotesi dell'introduzione, tra le sanzioni disciplinari, di una sanzione a carattere pecuniario.

Tali prospettive non sono adeguatamente soddisfatte e per taluni punti sono contraddette dal disegno di legge in esame che, pur prevedendo l'azione di

responsabilità nei confronti dello Stato e la responsabilità disciplinare del

magistrato, propone una tipizzazione non sufficiente ed appropriata dei com

portamenti rilevanti ai fini della responsabilità e soprattutto contiene dispo sizioni che determinano indebolimento e subordinazione del momento

disciplinare, sia perché lo legano in termini di stretta dipendenza all'iniziati va del danneggiato sia perché ne condizionano il sorgere all'esaurimento della lite sul danno, sia infine perché alla sanzione pecuniaria è attribuita una pro porzionalità al danno che introduce elementi spuri nella natura di essa.

In questo quadro si colloca anche la previsione dell'azione di rivalsa che, essendo rimessa alla discrezionalità del ministro e risolvendosi nella possibi lità di porre in discussione in altra sede l'esito del giudizio disciplinare, costi tuisce una ulteriore ragione di indebolimento di questo ed è potenzialmente idonea ad incidere sui valori dell'autogoverno e dell'indipendenza.

C

Corte dei conti a sezioni riunite

Parere 12 gennaio 1987 sul disegno di legge n. 2138/S/IX del 10 gennaio 1987: Nuove norme sulla responsabilità civile del magistrato.

Vista la nota 5 gennaio 1987 con la quale il presidente del consiglio dei ministri ha richiesto il parere della Corte dei conti sul disegno di

Il Foro Italiano — 1987.

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Page 10: sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

11, 1° comma, che pone il divieto di «abbattere, catturare, dete

nere o commerciare esemplari di qualsiasi specie di mammiferi

e uccelli appartenenti alla fauna selvatica italiana»; dell'art. 20, che contiene un elenco di specifici divieti; dell'art. 31, che preve de le sanzioni amministrative. La richiesta di abrogazione degli indicati articoli sembra volta a limitare, non già l'attività venato

ria, ma la protezione e la tutela della fauna. Vero è che, chieden

dosi anche l'abrogazione dell'art. 8, ai sensi del quale «l'esercizio

legge concernente «Nuove norme sulla responsabilità civile dei magistrati»; Udito nell'adunanza del 12 gennaio 1987 il relatore consigliere prof,

dott. Francesco Garri; considerato: 1. Il disegno di legge concernente «Nuove norme sulla responsabilità

civile dei magistrati» è inteso a delineare la disciplina sostanziale e pro cessuale per i casi di danno ingiusto causati nell'esercizio di funzioni giu risdizionali dai magistrati ordinari, compresi i magistrati del pubblico ministero, dai magistrati della giustizia amministrativa e contabile, delle

giurisdizioni speciali e dagli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Il parere della Corte dei conti, ai sensi dell'art. 1 r.d.l. 9 febbraio 1939 n. 273, concerne l'intera disciplina proposta al parlamento della repubbli ca, in quanto questa si applica anche ai magistrati appartenenti all'istitu to ed attiene ed incide sulla competenza giurisdizionale che le norme vigenti attribuiscono al giudice contabile.

Le norme predisposte, ancorché intitolate alla «responsabilità civile dei

magistrati», contengono regole intese a consentire, nel caso di violazione di diritti soggettivi dei cittadini, cioè dei danni cagionati dal magistrato

per dolo o colpa grave ed in altre specifiche ipotesi, che il diritto al risar

cimento sia fatto valere nei riguardi dello Stato. Non prevedono, salvo

che per i fatti costituenti reato, la responsabilità diretta dell'autore dell'il

lecito, solidalmente estesa allo Stato, giusta il precetto costituzionale (art.

28). Si tratta, cioè, di una normativa concernente il diritto al risarcimento

nei riguardi dello Stato per violazione di diritti soggettivi che non trova

garanzia nella Costituzione, ma che può essere prevista da legge ordinaria

e può avere un maggior ambito nella anzidetta responsabilità diretta del

pubblico dipendente.

2. La responsabilità civile personale dei magistrati era già stabilita pri ma della Costituzione repubblicana delle norme del codice di rito (art. 55 e 74 — insieme a quella dei cancellieri e dei conservatori dei registri

immobiliari). Oggi essa è estesa a tutti i dipendenti pubblici (si vegga, tra gli altri, il d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). Non è quindi, in specie in

questa sede, a porsi questioni di ammissibilità di una nuova normativa

perché giusta la precisazione della Corte costutuzionale (sent. n. 2 del

1968, Foro it., 1968, I, 585) una negazione totale della responsabilità violerebbe il principio posto dall'art. 28, bensì di condizioni e limiti che

la «singolarità della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti

giudiziali e la stessa posizione super partes del magistrato» devono suggerire. È, pertanto, su queste condizioni e limiti quali fissati nella proposta

governativa che si formulano le seguenti osservazioni.

3. Come accennato, la responsabilità civile diretta dei magistrati resta

limitata ai fatti costituenti reato (art. 6.2), l'azione civile nelle altre ipote si di responsabilità (art. 3, 7 e 8) è proponibile soltanto nei confronti

dello Stato (art. 4.1). La nuova disciplina ha, quindi, una duplice valenza: una prima diretta

perché amplia gli ambiti in cui è possibile al cittadino ottenere risarci mento del danno ingiusto sofferto per illecito del magistrato non riparato e non riparabile con i mezzi di impugnazione; una seconda indiretta per ché con lo stabilire, ai fini della tutela dei diritti del cittadino, una disci

plina sostanziale della responsabilità del magistrato ne fa, poi, valere gli

effetti, anziché sul piano processuale, su quello disciplinare e su quello di un'azione cosiddetta di rivalsa.

4. Quale normativa sostanziale sulla responsabilità, essa dà luogo ad

una prima osservazione. I precetti che la compongono sono formulati — forse per l'influenza dei dati della realtà che hanno determinato l'esi

genza di un intervento legislativo — con riferimento, almeno prevalente, ad attività giudiziali di magistrati singoli.

Quanto detta attività sia, invece, posta in essere da un collegio — come

avviene di norma nei giudizi innanzi alla Corte dei conti — dolo e colpa

grave o vanno imputati oggettivamente a tutti i componenti il collegio o sono difficilmente accertabili, salvo che non si voglia consentire sia

esternata l'opinione del giudice dissenziente.

Appare poi evidente, per i casi di colpa grave, la difficoltà di contesta

re a tutti i componenti il collegio che vi sia stata la negligenza inescusabi

le con conseguente violazione di legge ovvero la conoscenza del fatto

affermato o negato in contrasto con gli atti del procedimento: almeno

ferme restando l'attuale struttura e organizzazione del giudizio.

5. Ed è con riferimento a questi tipizzati casi di colpa grave che vanno

formulate altre osservazioni. Si rappresenta, anzitutto, come la negligenza inescusabile che porta ad

Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-43.

della caccia è consentito», sembrerebbe mirarsi al divieto di cac

cia, ma la constatazione che dalla richiesta referendaria sono esclusi

gli art. 21 e 22, i quali lasciano sopravvivere «là licenza di porto d'armi per uso di caccia» e l'«abilitazione all'esercizio venato

rio», rende ambiguo anche questo punto. E poiché il quesito, creando disorientamento, risulta privo di quella chiarezza, che

assicura l'espressione di un voto consapevole, a giudizio della corte

il referendum non deve essere ammesso. Senza dire che in tal

una violazione di legge (art. 3.3, a), salvo che non si concreti nella dimo strata ignoranza della legge, comporti accertamenti in sede di responsabi lità che si avvicinino al riesame, attraverso la valutazione della scusabilità o meno, dell'interpretazione del diritto operata dal magistrato, attività di interpretazione che si vuole invece non possa comportare responsabili tà (art. 2).

La complessità degli atti che nei processi introducono fatti rende, poi, di controversa interpretazione la formula di cui alle Iett. b) e c) dell'art. 3.3.

Varie le questioni che sorgono: se l'«affermazione» o la «negazione» del fatto debbano essere espresse ovvero valere anche in forma implicita; se debba trattarsi di fatto rilevante ai fini del provvedimento giudiziale; se rispetto alle omologhe ipotesi di revocazione (art. 395 c.p.c.) non si debba dare rilievo alla circostanza che il fatto abbia costituito un «punto controverso».

Pur se si è consapevoli della difficoltà di riassumere in formula norma

tiva quelle che la relazione chiama fattispecie materiali causative di dan

no, va osservato, infine, che la dizione (art. 3.1) «comportamento posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio di funzioni

giurisdizionali», oltre ad aprire spazio ad una casistica non determinabi

le, mal si presta ad indicare l'attività che porta al compimento di atti

giudiziali: è sovrabbondante se vuole solo indicare che il dolo o la colpa

quali elementi soggettivi dell'illecito vanno accertati in base non agli atti

giudiziali, ma all'attività che vi è sottesa; è criptica se vuole soltanto con sentire una sanzione di attività prevaricatorie.

Quest'ultima ipotesi, d'altra parte, o concreta reato o — se si vuol

prevedere — va disciplinata espressamente.

6. La nuova disciplina sulla responsabilità per diniego di giustizia costi

tuisce innovazione, rispetto all'art. 55 c.p.c., nella parte in cui introduce

un termine a provvedere ove istanza di provvedimento sia presentata, e determina l'insorgere di varie questioni.

È a chiedersi, infatti, se un'applicazione di tale norma non porti a

trasferire alle istanze di parte l'ordine di svolgimento dell'attività giudi ziaria e se essa sia di possibile applicazione in situazioni di rilevante ar

retrato. Si pensi alle decine di migliaia di istanze che potrebbero pervenire alla

corte perché sia disposto l'inizio dell'istruttoria dei ricorsi in materia di

pensioni; si pensi a successive istanze che chiedano l'adozione degli atti

istruttori, e cosi di seguito. La disposizione fa insorgere, poi, il dubbio di non conformità al prin

cipio costituzionale dell'indipendenza della magistratura ove la prefissio ne di termine dovesse intendersi riferita anche alla decisione della causa, cioè prima della sua scadenza il giudice debba comunque deciderla.

È vero al contrario che il giudice ha il potere ed il dovere di compiere tutte le indagini che sono necessarie per la decisione (Corte cost. n. 172

del 1972, id., 1972, I, 337).

7. Le norme proposte e sin qui esaminate, pertanto, appaiono bisogne voli di integrazioni.

Il nodo costituito dall'attività collegiale e prima esposto richiede una

espressa soluzione (si pensi che, infatti, per i collegi amministrativi esiste

in ordine alla responsabilità apposita disciplina). Si ritiene, inoltre, più puntuale una disciplina che ricolleghi la possibili

tà del cittadino di agire per ottenere il risarcimento del danno al compi mento ovvero all'omissione o al ritardo nel compimento di atti di

competenza del giudice o del pubblico ministero. A ciò risulterebbe con

grua una modifica, da un lato, dell'art. 3.1 con la sostituzione del termi

ne «comportamento» con quella di «atto» e, dall'altro, dell'art. 8, lett.

à) e £>), con la eliminazione del riferimento al «giudice» sicché la respon sabilità per diniego di giustizia riguardi l'omissione o il ritardo nel compi mento di atti da parte dei magistrati con il significato che a questo termine

è dato dall'art. 1.

Anche per quanto concerne la previsione di responsabilità in relazione

ai fatti negati o affermati dal giudice, il semplice riferimento alla esisten

za o inesistenza agli atti del processo non appare — come innanzi osser

vato — previsione compiuta. Al contrario, va valutato se fatti negati o affermati debbano essere

stati oggetto di specifica evidenziazione a cura delle parti. Si tratta di

precisazioni normative che sembrano peraltro necessarie al fine di evitare

che l'azione di responsabilità possa sostanziare un riesame della «rico

struzione o valutazione del fatto» che, invece, si esclude possa darvi luo

go (art. 2). La previsione di termini a provvedere su istanza, ancor più se ipotizza

ta con connesse responsabilità, è dubbio costituisca rimedio sostitutivo, ammissibile ed efficiente rispetto a soluzioni organizzative e ad una nuo

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PARTE PRIMA

modo si verrebbero a produrre nell'ordinamento, in caso di ap

provazione, innovazioni non consentite al referendum abrogativo. 4. - Ad analoga conclusione si deve pervenire nei confronti

della richiesta di referendum per l'abrogazione dell'art. 842 c.c.

Comprendendo tale articolo due materie distinte (caccia e pesca), la richiesta preclude all'elettore che sia favorevole all'abrogazio ne di una sola fra le due ipotesi normative di operare una scelta

va disciplina dei processi, che costituiscono strumenti propri per evitare che si abbia diniego di giustizia. In base a questa nuova disciplina potran no essere stabilite responsabilità che, seppure si vogliano sin d'ora preve dere, non si ritiene possano essere ipotizzate se non con riferimento ai casi in cui le norme processuali (in atto esistenti o da emanare) consenta no che un termine sia fissato per l'attività del magistrato ovvero riferite a quei casi abnormi che la realtà giudiziaria possa avere evidenziato come di negligente o voluto diniego di giustizia.

Le osservazioni formulate sulla disciplina sostanziale di una responsa bilità civile che non è da far valere nei confronti degli autori dell'illecito, sono state dettate anche dalla considerazione che norme sul diritto a ri sarcimento nei riguardi dello Stato, soltanto se fondate su ben individua te violazioni di diritti soggettivi, possono costituire tutela effettiva del cittadino ed escludere un mero effetto di incremento di litigiosità.

8. L'illecito civile, disciplinato al fine di consentire il risarcimento da parte dello Stato dei danneggiati, trova nella previsione di un'azione di

sciplinare e di un'azione di rivalsa le sanzioni per la responsabilità perso nale dei magistrati.

Dati caratterizzanti l'azione disciplinare sono la sua obbligatorietà, la sua autonomia, la previsione di una sanzione pecuniaria accessoria.

Come costruita, l'azione disciplinare per i casi di illeciti civili, riqualifi cati quali illeciti disciplinari, mal si inquadra nel concetto e nella funzio ne della disciplina. E ciò, principalmente, perché l'inizio dell'azione

disciplinare è subordinato all'effettivo risarcimento del cittadino e la san zione per cosi dire principale è integrata da una accessoria, a contenuto

percuniario, proporzionata al risarcimento.

Se, come è esatto, la sentenza che condanna lo Stato al risarcimento non fa stato nel giudizio disciplinare e si riconosce che questo è esercizio di un potere proprio di un ordinamento, perde ragione la disposta subor dinazione dell'azione disciplinare all'avvenuto risarcimento. E detta su bordinazione appare anche priva di fondamento appena si consideri che il comportamento del magistrato — (qui il termine comportamento trova

appropriato uso) — viene in rilievo in sede disciplinare in quanto manife sta la trasgressione di doveri propri di ogni appartenente all'istituzione

giustizia e non già per i suoi effetti lesivi per i terzi.

Inoltre, dover attendere che sia effettuato il risarcimento può costituire impedimento nell'attuare quei provvedimenti disciplinari che siano, inve ce, consigliati per l'emergere di fatti che ne rendono, nell'interesse del l'ordine giudiziario o delle altre magistrature, non differibile l'adozione.

E ciò a parte il problema, che è proprio della corte di impossibile ap plicazione di questa normativa.

Mancano infatti per la corte norme istitutive per i suoi magistrati di un organo e di un procedimento disciplinare, per essi solo vigendo la

ipotesi estrema contemplata dall'art. 8 t.u. approvato con r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 che a garanzia della loro indipendenza ed autonomia rimette alla valutazione del parlamento la sola ipotesi di revocazione o destituzio ne o comunque allontanamento dall'ufficio.

Anche la previsione di una sanzione pecuniaria accesoria, in misura

proporzionale all'ammontare del risarcimento, costituisce anomalia nel sistema vigente della disciplina. In questa sono previste sanzioni discipli nari a contenuto pecuniario, ma anche quando hanno tale contenuto non consistono e non sono proporzionali ad un risarcimento, né si fondano su di una sorta di rapporto tra dovere trasgredito e pena inflitta in termi ni economici.

In verità la sanzione pecuniaria accessoria, ancorché inserita nella nor ma sull'azione disciplinare, è prodromica e può dirsi il presupposto del l'azione di rivalsa.

9. L'azione denominata di rivalsa (art. 10) porta ad un processo inteso ad ottenere una condanna che consenta allo Stato non di rivalersi nei confronti del magistrato del danno subito per il risarcimento corrisposto a terzi, bensì di ottenere l'irrogazione del massimo della sanzione pecu niaria accessoria. Ciò risulta con evidenza dal confronto delle disposizio ni contenute nell'art. 9.4 e nell'art. 10.5.

Ma non conta indugiare sul punto e sulla utilità di simili complesse procedure rispetto al risultato, perché le innovazioni più rilevanti sono quelle che concernono i titolari dell'azione ed il giudice competente: au torità amministrative i primi, il tribunale civile il secondo.

Sono questi precetti che incidono sulla giurisdizione della Corte dei conti, come confermato da apposita norma che attesta si abbia deroga alle norme contenute nel r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, limitatamente alla

responsabilità dei magistrati a titolo di rivalsa. Il contrasto con i precetti costituzionali relativi al giudice naturale (art.

25) e all'attribuzione di competenze giurisdizionali (art. 103) emerge alla luce di precise affermazioni della Corte costituzionale.

Il Foro Italiano — 1987.

fra esse, confondendolo, e di conseguenza incidendo sulla libertà del diritto di voto.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibi le: a) la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del

l'art. 842 c.c. (iscritta al n. 29 reg. ref.); b) la richiesta di

referendum popolare per l'abrogazione degli art. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 1. 27 dicembre 1977 n. 968 (iscritta al n. 30 reg. ref.)

Pur nella fase di elaborazione della giurisprudenza del giudice delle

leggi che ha preceduto la oggi ben delimitata individuazione della «mate ria di contabilità pubblica», mai si è dubitato (Corte cost. n. 17 del 1965, id., 1965, I, 593) che la Costituzione volle «conservare» alla corte i giudi zi in materia di responsabilità civile verso lo Stato dei funzionari, impie gati ed operai (art. 52 r.d. 1934 n. 1214, cit.) e quindi a questa competenza accede una garanzia costituzionale. Né mai si è dubitato — e vi è espressa indicazione normativa — che i magistrati siano «dipendenti» dello Stato

(Corte cost. n. 2 del 1968). Ma ciò è tanto più vero oggi che la riserva di giurisdizione della corte

nelle materie di contabilità pubblica ha l'ambito fissato dalle pronunce della stessa Corte costituzionale (n. 110 del 1970, n. 68 del 1971, n. 63 del 1973, n. 114 del 1975, id., 1970, I, 2064; 1971, I, 2711; 1973, I, 2380; 1975, I, 1913), coincidente in sostanza con una compiuta individua zione della materia e che attende solo interventi correttivi ultimi del legi slatore (Corte cost. n. 241 del 1984, id., 1985, I, 38) per la sua piena rispondenza a criteri di razionale riparto delle giurisdizioni.

Riserva di giurisdizione che trova fondamento anche nella caratteristi ca, riconosciuta fondamentale (Corte cost. n. 201 del 1976, id., 1977, I, 299), di essere l'azione innanzi alla Corte dei conti promossa da organo indipendente e imparziale quale è il procuratore generale della Corte dei conti. Indipendenza e imparzialità del titolare dell'azione (si vegga Corte cost. n. 68 del 1971 cit.), tanto più necessarie quando si tratti di iniziative che incidono su titolari di funzione, quale quella giurisdizionale, con si specifici contenuto e caratteri.

Né va trascurato di sottolineare come il riparto di giurisdizione che è delineato nella Carta costituzionale si collega, dà attuazione e va letto alla luce del principio di eguaglianza sancito dalla disposizione fonda mentale di cui all'art. 3.

E questo principio, quando informa la lettura di norme relative ai di pendenti pubblici, fa subito emergere — ove venga vulnerato — il contra sto con altre finalità stabilite dalla Costituzione quale quella relativa al «buon andamento». Questo è turbato da scelte normative di deroga al sistema, non lo è da una disciplina differenziata con appropriate scelte normative, ma che concernono aspetti per i quali la differenza risulti coerente con la diversità delle situazioni da disciplinare.

10. Le osservazioni che si sono venute formulando in ordine alle singo le norme consentono di trarre alcune considerazioni conclusive.

a) La scelta normativa proposta di limitare la responsabilità diretta del magistrato verso i cittadini ai casi di reato e di estendere la responsa bilità diretta soltanto dello Stato ad altre ipotesi di violazione di diritti soggettivi richiede, nei suoi contenuti, integrazioni e specificazioni che consentano di costruire ben individuate fattispecie. Ciò per consentire tutela effettiva del cittadino e senza introdurre, attraverso l'azione di re sponsabilità nei confronti della funzione dello Stato, sedi di riesame dei modi di esercizio della funzione giurisdizionale che sono propri del regi me delle impugnazioni. Infatti altra cosa è la persecuzione di un illecito, altra è la pur necessaria predisposizione di strutture e procedure per una effettiva e tempestiva giustizia.

b) Il giudizio disciplinare, perché possa svolgere la sua funzione, richie de immediatezza e piena autonomia. È cosi che possono essere sanzionati comportamenti in quanto tali — non per gli effetti di danno a terzi ovve ro in base alle iniziative di terzi — qualora risultino inosservanti dei do veri propri degli appartenenti alle magistrature. E questo giudizio va restituito alla sua «purezza», senza inquinamenti da sanzioni pecuniarie accessorie, anticipatrici o sostitutive di rivalsa.

c) L'azione di rivalsa, nei limiti in cui una scelta normativa ne renda ammissibile l'esercizio — tenuto conto, si ripete, della singolarità della funzione giurisdizionale e della natura dei provvedimenti giurisdizionali — e che risulti, quindi, ingiustificata nella coscienza sociale e degli stessi appartenenti alle magistrature, non può essere affidata che ad un organo pubblico indipendente ed imparziale e non può essere conosciuta che dal giudice naturale designato dalla Costituzione.

Per questi motivi; nelle suesposte considerazioni è il parere delle sezio ni riunite.

D

Consiglio di Stato in adunanza generale

Parere 5 febbraio 1987 sul disegno di legge n. 2138/S/IX del 10 gen naio 1987: Nuove norme sulla responsabilità civile del magistrato.

1. - La presidenza del consiglio dei ministri ha chiesto al Consiglio di Stato di esprimere il parere sul disegno di legge avente ad oggetto: «Nuove norme sulla responsabilità civile dei magistrati»

La detta richiesta è stata avanzata ai sensi dell'art, unico d.l. 9 feb

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nei termini indicati in epigrafe; entrambe dichiarate legittime con

ordinanze in data 13 dicembre 1986 dall'ufficio centrale per il

referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Ili

Diritto. — 1. - Come si è ricordato nella parte narrativa, i

promotori insistono nell'affermare che le disposizioni della legge

vigente, investite dall'iniziativa referendaria, sono sostanzialmen

braio 1939 n. 273, il quale prevede l'acquisizione del preventivo parere del Consiglio di Stato in ordine ai provvedimenti legislativi che importino l'attribuzione, la soppressione o la modificazione di compiti del detto

consesso, o, comunque, concernano l'ordinamento e le funzioni dell'istituto.

La richiesta di parere risulta pervenuta al consiglio dopo la presenta zione del disegno di legge al parlamento.

Il Consiglio di Stato prende atto delle particolari ragioni d'urgenza che

hanno costretto il governo — modificando le sequenze procedurali —

ad acquisire il parere dopo l'avvio dell 'iter legis. Il parere di questa adunanza generale potrà valere, comunque, ad of

frire al governo elementi di valutazione in occasione della discussione, in sede parlamentare, del disegno di legge.

2. - Com'è noto la disciplina attualmente in vigore, in tema di respon sabilità del giudice, ha origine dall'istituto della prise à partie dell'espe rienza francese, accolto nella disciplina del processo civile di alcuni

odinamenti preunitari (codice di procedura civile del regno delle due Sici

lie del 1819, codice procedura civile del regno sardo - piemontese del 1859). Il detto istituto, nel superare la storica contrapposizione (con ovvi ri

flessi sulla responsabilità del giudice), tra il modello del giudice professio

nista, proprio del Medioevo, e quello del giudice soggetto al sovrano

(chiamato a pronunciare in nome e per conto di quest'ultimo), tipico dell 'ancien régime, ammette la responsabilità personale del magistrato, ma con speciali garanzie (sostanziali e procedurali) a salvaguardia della

sua indipendenza.

3. - L'indipendenza del giudice, garantita costituzionalmente (art. 101, 2° comma, 104, 1° comma, 108 Cost.), implica tra l'altro, la possibilità

per il magistrato di esprimere con serenità il suo giudizio (serenità che

resterebbe esposta a inevitabili compromissioni ove il giudice dovesse an

che solo ipotizzare di diventare parte di un successivo giudizio che tragga

origine da quello nel quale egli ha svolto le sue funzioni). Nel rispetto di questa esigenza l'art. 55 c.p.c. sancisce la responsabilità

civile nelle sole ipotesi di dolo, frode e concussione (n. 1) del giudice e di omissione e ritardo di atti di ufficio (n. 2); nella stessa logica il

successivo art. 56 subordina l'esperimento dell'azione civile alla preventi va autorizzazione del ministro (con l'eccezione di cui all'ultimo comma).

L'interpretazione della normativa ora riferita (quella, appunto, espres sa dal codice di rito), fu, dapprima, nel senso di negare ogni concorrente

responsabilità dello Stato per l'illecito del giudice, chiamato, perciò, a

rispondere da solo — ricorrendo le condizioni di legge — dell'illecito.

Successivamente — dopo una nota sentenza della Corte costituzionale:

la n. 2 del 1968 (Foro it., 1968, I, 585) — si è riconosciuta, invece, la

estensibilità allo Stato della responsabilità del magistrato (ipotizzandosi,

cosi, la responsabilità patrimoniale dell'uno e dell'altro nei confronti del

terzo danneggiato). Infine si è pervenuti ad ammettere la esclusiva responsabilità dello Sta

to quando i danni traggano origine da comportamenti «colposi» del giu dice (ipotesi, quest'ultima, nella quale il giudice va esente da ogni personale

responsabilità: Cass. 24 marzo 1982, n. 1879, id., Rep. 1982, voce Re

sponsabilità civile, n. 91; contra, in passato, Cass. 3 aprile 1979, n. 1916,

id., 1979, I, 1133, e 6 novembre 1975, n. 3719, id., 1976, I, 2867).

4. - Il disegno di legge in esame è rivolto ad offrire — sostituendo

il precedente assetto — una nuova disciplina della intera materia della

responsabilità civile dello Stato e del giudice. Al riguardo, va, anzitutto, precisato che il disegno si riferisce alle sole

ipotesi di responsabilità per l'esplicazione di funzioni giurisdizionali in

senso proprio. La nuova disciplina non concerne, perciò, i magistrati che non esplichi

no funzioni giurisdizionali (ad es. i magistrati delle sezioni consultive del

Consiglio di Stato).

Spetterà, naturalmente, alla giurisprudenza verificare — in relazione

a fattispecie di incerta collocazione (ad es. il processo di ottemperenza

con riguardo agli interventi di carattere sostitutivo, ecc.) — se debba rite

nersi prevalente l'aspetto giurisdizionale o quello amministrativo e, con

seguentemente, se possa parlarsi, ai fini del disegno di legge in esame,

di esercizio della funzione giurisdizionale (in senso oggettivo).

5. - Lo schema — pur concernendo l'illecito consumato da qualunque

giudice nell'esplicazione di funzioni giudiziarie (ad eccezione dei giudici

della Corte costituzionale) — risulta, però, caratterizzato dalla presenza di precetti formulati con riguardo, soprattutto, agli illeciti consumati da

giudici singoli e nel settore penale.

li Foro Italiano — 1987.

te ripetitive di quelle abrogate, contenute nella 1. n. 20/62. Nono

stante sul punto questa corte sia già intervenuta con la sentenza

n. 31/80 (Foro it., Rep. 1980, voce Corte costituzionale, n. 41) non può essere sottaciuto che una sommaria comparazione delle

due normative mette facilmente in luce le notevoli differenze, non

certo formali.

Già i poteri, attribuiti alla commissione dall'art. 3 della legge

precedente, sono notevolmente più ampi di quanto non lo siano

quelli che l'art. 4, 4° comma, della legge attuale conferisce ri

Tale prospettiva è, però, causa di talune omissioni ed ambiguità alle

quali converrebbe porre riparo in occasione dell'approvazione della legge.

A) Cosi, in primo luogo, il riferimento al giudice singolo e non a quel lo collegiale ha condotto a tralasciare la formulazione di specifiche nor

me concernenti la responsabilità dei magistrati chiamati a pronunciare nell'ambito di collegi.

E ciò sebbene non sia ipotizzabile un qualsivoglia perseguimento di

giudici facenti parte di organismi collegiali senza intaccare il principio della «segretezza» della camera di consiglio, posta a tutela dell'imparziale esercizio della giurisdizione.

B) Sembra trovare, invece, spiegazione nella considerazione della giu risdizione penale la regola che contempla la rivalsa verso i giudici non

togati solo quando l'illecito sia stato consumato da questi ultimi con dolo.

Questa regola concerne, infatti, chiaramente, i giudici popolari della

corte di assise, chiamati a svolgere — spesso senza preparazione profes sionale ed episodicamente — i loro compiti giurisdizionali.

Una situazione — come è chiaro — ben diversa da quella concernente

i giudici laici facenti parte degli organismi della giustizia amministrativa

(si pensi al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana,

ecc.) dati i requisiti di preparazione ed esperienza richiesti per la nomina

ai detti uffici (sempre di durata pluriennale).

6. - I tratti fondamentali della nuova disciplina (sui quali sarà richia

mata via via l'attenzione) possono essere cosi sintetizzati: à) Nuova mo

dellazione dell'illecito del giudice. — b) Responsabilità dello Stato verso

il terzo danneggiato dall'illecito del giudice. — c) Riconoscimento allo

Stato della possibilità di conseguire il ristoro — da parte del giudice col

pevole — entro circostritti limiti e con modalità particolari.

7. - Conviene, peraltro, subito sottolineare che non trova applicazione il regime ora riferito (§ 6) nelle ipotesi in cui l'illecito del giudice integri un reato.

Come si rileva, infatti, senza incertezze, dall'art. 6, 2° comma, dello

schema è prevista l'operatività, in questo caso, di una speciale, diversa

disciplina che consente al danneggiato di agire recta via e per intero nei

riguardi del giudice autore dell'illecito (e, a quanto pare, nei confronti

della p.a. obbligata, solidalmente, per i danni insieme al giudice colpevole).

Occorrerebbe, però, sul piano formale, rendere più espliciti gli anzidet

ti precetti precisandosi, testualmente, che alla responsabilità del giudice, autore del danno, si affianca, in questo caso, anche la pariordinata re

sponsabilità dello Stato.

8. - L'illecito del giudice (non costituente reato: § 7) è modellato dalla

legge raccogliendo le relative fattispecie in due gruppi fondamentali: a)

ipotesi in cui il danno va ricondotto all'adozione di provvedimenti (giudi

ziari) del giudice; b) ipotesi in cui il danno deriva da omissioni o ritardi

del giudice nell'esercizio dei suoi compiti.

9. - Una coordinata lettura degli art. 2 e 3 (due disposizioni che potreb be essere utile, forse, unificare) conduce a ritenere che — tranne l'ipotesi di condotta dolosa (non costituente reato: § 7) — non è ipotizzabile illeci

to civile del giudice nell'esplicazione della «attività di interpretazione del

diritto e di ricostruzione e valutazione del fatto».

Ciò significa che ogni errore del giudice in questa area — quale che

sia il grado di colpa del giudice stesso — consente reazioni solo attraverso

l'impiego dei congegni di impugnazione e non di azioni risarcitone sia

pure proposte nei riguardi dello Stato.

10. - Lo schema ipotizza, invece, l'illecito del giudice quando, nella

interpretazione del diritto o nella valutazione e ricostruzione dei fatti,

si sia operato dolosamente (un'ipotesi nella quale sarà, però, di regola sussistente il reato: § 7), e in quella in cui si sia proceduto con (dolo

o) colpa grave ad accertamenti (non ad interpretazioni, valutazioni o ri

costruzioni) della realtà esterna di fatto e di diritto.

Se questa è la interpretazione che va assegnata alla norma, dovrebbe

essere assicurata però, una più precisa redazione della stessa meglio evi

denziandosi (v. art. 3) che mentre il dolo può insinuarsi nell'attività di

interpretazione del diritto e nella ricostruzione e valutazione del fatto,

la colpa (grave) assume rilevanza solo quando l'errore investe l'attività

di accertamento (meno «nobile» e complessa di quella di interpretazione del diritto e della ricostruzione e valutazione del fatto).

11. - Passando ora allo specifico esame dell'illecito del giudice per col

pa grave nell'attività di accertamento va, anzitutto, rilevato che la pre

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Page 13: sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).

PARTE PRIMA

chiamando l'art. 82 Cost.: e ciò non foss'altro che per il potere di disporre direttamente, non solo della polizia giudiziaria, ma

di tutta la forza pubblica, e di richiedere direttamente l'interven

to delle forze armate.

Ma, anche da ciò prescindendo, è certo, comunque, che nella

nuova legge sono scomparsi aspetti sostanziali e processuali di

non poco rilievo. Non c'è più, infatti, la fattispecie penale di

cui all'art. 8 (rifiuto di obbedienza alla commissione); non esisto

senza del detto elemento soggettivo si lascia ravvisare, anche nel nostro

caso, quando sussista una grossolana, inescusabile negligenza, imperizia, ecc. del giudice.

Sul piano oggettivo occorre, poi, che la condotta (viziata da colpa gra ve e produttiva di danno) abbia condotto ad errori di accertamento (id est: di percezione) di dati oggettivi della realtà esterna (di fatto e di diritto)

Un punto (quello ora ricordato) che viene sottolineato con chiarezza

per quanto si riferisce alle erronee percezioni del fatto (art. 3, 3° comma, lett. b e c).

Si parla nella citata disposizione — con linguaggio mutuato dalla disci

plina della revocazione nel processo civile — di erronea affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa o di negazione di un fatto la cui esistenza risulta, invece, incontestabile.

Più ambiguo, invece, il linguaggio dell'articolato nel punto concernen te gli errori (sempre di percezione) del dato normativo: violazione di leg ge determinata da negligenza inescusabile. Si pensi alla pronuncia del giudice che applica una norma la cui inesistenza è assolutamente fuori discussione.

L'espressione violazione di legge sembra, invero, troppo generica in considerazione della specificità della illegittimità presa in considerazione dalla norma.

Anche la formula «negligenza inescusabile» non va esente da critiche. La detta espressione si identifica, infatti, senza residui, con la colpa grave di cui si parla in altro punto dello stesso articolo (con riferimento alle erronee «percezioni» della realtà di fatto).

Con riguardo all'ipotesi di erronea percezione del fatto, sarebbe, poi, opportuno che il legislatore valutasse se non sia il caso di subordinare la configurabilità della fattispecie alla condizione che il «fatto» — ritenu to erroneamente sussistente o insussistente — abbia formato oggetto di contestazione nel corso del processo.

12. - Quando l'illecito tragga — come nei casi fin qui considerati —

origine da attività giudiziaria si pone per il legislatore il delicato proble ma di decidere se, per l'esperimento dell'azione di danno, debba, o me

no, essere preventivamente rimossa, in via d'impugnazione, la sentenza con la quale è stato consumato l'illecito e, nell'affermativa, se tale azione debba venir differita fino al momento in cui la pronuncia caducatoria della sentenza produttiva di danno sia passata in giudicato.

Il disegno di legge in esame — pur se nel quadro di una disciplina non sempre univoca — sembrerebbe propendere per la proponibilità del l'azione di danno pur in presenza della sentenza che ha dato causa dal danno stesso (senza richiedersi, perciò, la caducazione della sentenza che è stata fonte del danno e l'intangibilità della pronuncia che ha rimosso l'anzidetta sentenza). E ciò almeno nelle ipotesi nelle quali l'impugnazio ne, anche se suscettibile di favorevole definizione, non varrebbe ad elide re il danno che si è, ormai, irrimediabilmente prodotto.

Se questa è la interpretazione da assegnare allo schema, l'adunanza deve manifestare — almeno per quanto concerne il processo amministra tivo — il suo dissenso.

Sembra, invero, — anche in vista di una doverosa salvaguardia della sfera propria di ogni giurisdizione — che possa parlarsi di illecito (civile) del giudice, ed agirsi per il risarcimento dei danni, solo dopo che si sia conseguita, nella competente sede (interna alla giurisdizione), la rimozio ne — con l'autorità di giudicato — della sentenza con la quale sarebbe stato consumato l'illecito (la predetta rimozione vale, infatti, come accer tamento, da parte del giudice naturale, quanto meno della non conformi tà a legge della sentenza stessa).

Dovrebbe, perciò, escludersi l'operatività, nell'ordinamento (diversa mente da come pare disporre il disegno di legge), di pronunce che si manifestino, ad un tempo, come statuizioni giudiziali (valide ed operanti) e quali fatti illeciti che obbligano al risarcimento.

Si auspicherebbe, perciò, una diversa disciplina, che consenta al dan

neggiato (salva l'ipotesi di fatto costituente reato) di domandare (allo Stato) il risarcimento solo dopo la caducazione non più contestabile della

pronuncia giudiziale causativa del danno (si sia dedotto nella impugnati va il dolo o la colpa del giudice o altre circostanze invalidanti la sentenza).

È evidente che una soluzione, quale quella ora ricordata, imporrà al

legislatore di considerare — a parte il resto — con quali impugnazioni (straordinarie) e in quali termini potrà essere denunciato l'illecito del giu dice in vista di conseguire la caducazione della statuizione giudiziale quando l'illecito stesso venga scoperto decorsi i termini per la proposizione delle impugnazioni ordinarie (o si tratti di decisione di giudici di vertice: Corte di cassazione; Consiglio di Stato, ecc.).

Analoghe considerazioni vanno svolte anche con riferimento all'ipotesi in cui si assume che l'illecito del giudice, produttivo di danno, sia da ricondurre all'adozione di provvedimenti cautelari.

Il Foro Italiano — 1987.

no più le prerogative processuali dei funzionari, degli ufficiali

ed agenti di polizia giudiziaria, della forza pubblica e delle forze

armate, addetti o richiesti dalla commissione, per fatti compiuti in esecuzione di ordini della commissione stessa (art. 9); facoltà

di riunione dei procedimenti di cui all'art. 16 della vecchia legge, è stata nell'attuale limitata alle ipotesi di cui ai nn. 1 e 2 dell'art.

45 c.p.p.; è scomparsa l'efficacia preclusiva della definizione del

procedimento d'accusa per causa diversa da quella di cui agli art.

Sembra, infatti, opportuno, in questo caso, dar vita ad una disciplina nella quale l'esperibilità dell'azione di danno resti, in ogni caso, subordi nata (a parte la proposizione del gravame avverso la misura cautelativa

quando possibile: art. 7, 3° comma) alla definizione, con sentenza passa ta in giudicato, del giudizio di merito nel quale la misura cautelare si inserisce: solo in tale momento, infatti, il danno sarà configurabile come danno illecito.

13. - La fattispecie (v. § 8) dell'illecito consumato dal giudice non con atti giudiziari (§ 9 ss.), ma con «ritardi ed omissioni» (la c.d. responsabi lità per «diniego di giustizia») trova la sua disciplina nell'art. 8 dello schema.

La detta disposizione richiede (al pari della precedente norma della quale prende il posto: l'art. 55 c.p.c., che non ha mai dato luogo a seri proble mi) che ritardi ed omissioni del giudice si siano verificati «senza giustifi cato motivo».

L'adunanza generale ritiene di non dover avanzare rilievi in ordine al mantenimento della detta formulazione anche perché la stessa sembra del tutto idonea ad escludere l'illecito quando ritardi ed omissioni siano da ricondurre — come non è raro — alle difficoltà nelle quali spesso si di batte l'organizzazione giudiziaria e alla mole di lavoro gravante sul giudice.

Solo si rileva che sarebbe opportuna una modifica della norma che

prevedesse l'inadempimento solo dopo essersi notificata al giudice appo sita diffida. Si nutrono, infatti, preoccupazioni per un regime (quale quello dell'art. 8, lett. a, dello schema) che prevede ritardi e inadempienze anche

per effetto del mero decorso del termine (i c.d. termini perentori). Anche se va ricordato che detta disciplina non interessa, in alcun mo

do, i giudici amministrativi la cui attività non risulta mai sottoposta a termini «perentori» di adempimento.

14. - A) Dell'illecito del giudice (sia consumato con atto giudiziario che con ritardi ed omissioni) è chiamato a rispondere, nei riguardi del terzo danneggiato, lo Stato (§ 6, lett. b).

La ratio di questa disposizione è quella di porre al riparo i magistrati da indiscriminati attacchi di soggetti che si assumono lesi dagli atti e

comportamenti del giudice. Sembra, peraltro, a questa adunanza che la detta regola non valga,

da sola, ad assicurare al magistrato una salvaguardia sufficiente. E invero, l'azione di responsabilità per l'esercizio delle funzioni giu

risdizionali, seppur rivolta contro lo Stato, riguarda in realtà il magistra to e il suo comportamento nello svolgimento delle sue delicate attribuzio ni. Sicché, attraverso questo mezzo, è dato eventualmente a qualunque interessato (e, per suo tramite, a chi persegue interessi contrari all'assetto derivante dal caso deciso, all'organo decidente o all'intero ordine costi tuito), di sollevare clamori, insinuazioni e dubbi che, ampliati o distorti per mezzo dei «mass media», possono turbare, in profondo, la fiducia dei cittadini nel singolo magistrato e nella giustizia. Solo questa eventua lità, a prescindere dal definitivo e lontano esito del giudizio di responsa bilità, può costituire, quindi, serio ostacolo alla serena e indipendente decisione del giudice, soprattutto quando egli sia chiamato ad occuparsi di vicende di grande rilievo sotto il profilo finanziario, politico o che

coinvolgono gruppi economici, etnici o sociali. A tutela di una più completa indipendenza del magistrato, il legislatore

dovrebbe, perciò, introdurre — a integrazione dell'attuale assetto — pre scrizioni che valgano a prevenire liti temerarie o controversie che, comun que, si dimostrino prive di un serio e obiettivo fondamento.

Potrebbe, a tali effetti, risultare utile una disciplina che assuma a mo dello l'art. 786 c.p.c. del 1865.

B) L'esigenza di assicurare una adeguata tutela al giudice si rende, a questo riguardo, tanto più necessaria in quanto l'attuale disciplina (che esclude l'estensione al magistrato degli effetti della sentenza resa nei con fronti dello Stato) riconosce al giudice interessato la sola possibilità di

partecipare al processo come interventore adesivo dipendente. Con preclusione, perciò, per quest'ultimo, di esplicare, nel processo,

un ruolo diverso da quello di mero fiancheggiamento dell'amministrazio ne (resta impedita al giudice, tra l'altro, la impugnativa della sentenza di condanna dello Stato, che pur costituisce uno dei presupposti della futura c.d. rivalsa da proporre nei suoi riguardi).

15. - Una disciplina caratterizzata — come si vedrà — da non poche ambiguità e contraddizioni è quella che concerne il recupero, da parte dello Stato, di quanto corrisposto al terzo per i danni prodotti dal magi strato autore dell'illecito (§ 6, lett. c).

Sembra che lo schema di legge faccia assegnamento, per il consegui mento di tale risultato, sulla sanzione disciplinare.

Si prevede, infatti, che l'autorità disciplinare, dopo la corresponsione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

90 e 96 Cost. (art. 15); è caduta l'inopponibilità del segreto d'uf

ficio o di Stato per l'esibizione di cui all'art. 342 c.p.p. da parte di pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico servizio.

È stato, invece, introdotto ex novo nella legge attualmente in

vigore l'istituto della convalida dell'arresto disposto dalla com

missione, ad opera della camera di appartenenza, per le persone indicate negli art. 90 e 96 Cost., o della camera dei deputati per i non parlamentari (art. 2). È stato altresì' fissato un termine pe

dei danni al terzo in esecuzione della sentenza di condanna (ma anche sulla base di altro titolo: ad es. transazione) possa irrogare — nell'espli cazione di poteri discrezionali anche nell'an — in aggiunta alle consuete

sanzioni, una ulteriore misura sanzionatoria (denominata «sanzione pecu niaria accessoria») con finalità essenzialmente riparatone.

La detta sanzione — insuscettibile, in ogni caso, di superare, nel suo

importo, l'ammontare di un terzo dello stipendio annuale del giudice, al netto delle trattenute fiscali — va determinata (sempre secondo lo schema) tenendo conto dell'«ammontare del risarcimento» (e, perciò, della gravità del danno cagionato) e del «tipo di sanzione principale inflitta» (e, quin di, della gravità — anche sotto il profilo comportamentale — dell'illecito di cui il giudice viene riconosciuto responsabile).

L'avvio della procedura disciplinare (e non soltanto, perciò, della pro cedura per l'irrogazione della sanzione pecuniaria accessoria) resta poi — art. 9, 2° comma — condizionato, sempre secondo lo schema del dise

gno di legge, alla esecuzione, da parte dello Stato, della sentenza di con danna o, comunque, alla corresponsione del risarcimento al terzo.

Nell'ipotesi, infine, in cui la responsabilità del giudice sia stata affer mata in sede disciplinare ma si sia proceduto ad applicare una sanzione

pecuniaria ritenuta incongrua dall'amministrazione o, al limite, non si sia irrogata alcuna sanzione di questa natura si riconosce all'amministra zione la facoltà di far valere, ulteriormente, le proprie ragioni innanzi al giudice ordinario (in un processo che lo schema chiama di rivalsa).

16. - Pur dovendosi avanzare riserve sulla soluzione del conferimento all'autorità disciplinare (istituzionalmente investita, nell'ordinamento, di tutt'altre attribuzioni) del compito di perseguire in qualche modo, me diante sanzioni pecuniarie, la riparazione del danno sopportato dall'am ministrazione statale, deve darsi atto, tuttavia, allo schema di aver introdotto un assetto, per quanto possibile, rispettoso delle esigenze di tutela dell'indipendenza del giudice (quando quest'ultimo, almeno, faccia

parte di istituzioni giudiziarie nelle quali, la potestà disciplinare è riserva ta ad organi di autogoverno).

La disciplina, offerta dallo schema, vale, infatti, a conferire agli stessi

organi disciplinari (quando siano di autogoverno: consiglio superiore del la magistratura; consiglio di presidenza della giustizia amministrativa) il

compito di accertare se il giudice sia responsabile dell'illecito e di proce dere alla liquidazione del danno.

17. - Perplessità solleva la radicale preclusione posta all'autorità disci

plinare (art. 9, 2° comma) di iniziare la procedura disciplinare prima dell'esecuzione della sentenza di condanna dello Stato ai danni (o, co

munque, del risarcimento da parte dello Stato del danno al terzo). Per evitare un troppo lungo differimento della procedura disciplinare

(l'inevitabile effetto al quale condurrebbe la disciplina indicata dallo schema) potrebbe pensarsi ad un regime che configuri, come separati e distinti tra di loro, il normale procedimento disciplinare e il processo innanzi al giudice civile promosso dal terzo per il risarcimento del danno.

La sanzione patrimoniale accessoria potrebbe, invero, trovare applica zione — sempre innanzi all'autorità disciplinare — a conclusione di una ulteriore ed autonoma fase destinata a svolgersi dopo la emanzione della sentenza di condanna dello Stato e la definizione della procedura discipli nare principale con l'affermazione della responsabilità del magistrato.

18. - Gravi certezze si pongono, poi, per quanto si riferisce alla c.d. azione di rivalsa di cui all'art. 10.

Sembra che lo schema riconosca all'amministrazione — qualora que st'ultima ritenga di non condividere le determinazioni assunte dall'autori tà disciplinare per quanto attiene alla sanzione pecuniaria (mancata irrogazione della detta sanzione; irrogazione della stessa per un importo inferiore) — la facoltà di adire il giudice ordinario per conseguire, dal

magistrato colpevole, in luogo della sanzione pecuniaria, quanto corri

sposto a titolo risarcitorio al terzo danneggiato (sempreché la somma pre stata dall'amministrazione non ecceda l'importo di un terzo dello stipendio per un anno).

Difficile, invero, comprendere come la soluzione normativa del ristoro, offerto, in via, autoritativa, all'amministrazione attraverso la sanzione

pecuniaria (sanzione alla quale — stante la discrezionalità nell'o/i e nel

quid del provvedimento — l'amministrazione vanta solo un interesse le

gittimo pretensivo), possa conciliarsi con la successiva azione di rivalsa

mirante, invece, a far conseguire, innanzi al giudice, ordinario, la realiz zazione del diritto soggettivo al risarcimento dei danni.

E ciò tanto più che il giudice ordinario non provvede alla caducazione o disapplicazione della precedente sanzione pecuniaria contestata, espres sa per giunta — quando assunta dal Consiglio superiore della magistratu ra — da un organo di giurisdizione speciale.

Il Foro Italiano — 1987.

rentorio entro cui — salvo una breve proroga — le indagini della

commissione debbono essere concluse (art. 4, 2° comma). Non ci si può, dunque, semplicemente riferire al precedente

giudizio di questa corte (sent. n. 16 del 1978, id., 1978, I, 265), ma è necessario prendere in esame la legge investita dall'attuale

iniziativa referendaria, che è legge sostanzialmente diversa da quella su cui il referendum era stato dichiarato ammissibile. Ciò non

significa ovviamente che i principi giurisprudenziali affermati nella

citata sentenza non debbano, tuttavia, essere tenuti presenti, ed

adeguatamente riconsiderati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale successiva e del dibattito della dottrina.

Senza tener conto, poi, del fatto che — nel quadro della disciplina ora in esame — il passaggio al regime della rivalsa (e perciò al risarci mento dei danni) risulta consentito (art. 10, 1° e 5° comma) quando l'amministrazione ritenga di dover contestare la soluzione raggiunta in sede disciplinare non sul piano risarcitorio, ma su quello punitivo.

La proposizione dell'azione di rivalsa presuppone infatti — secondo 10 schema (art. 10, 1° comma) — non già che l'amministrazione si consi deri insoddisfatta del ristoro, che si è ad essa assicurato con la sanzione

disciplinare patrimoniale, ma della inadeguatezza, per difetto, della rea zione disciplinare (sul piano punitivo) in considerazione della gravità del

comportamento del magistrato riconosciuto colpevole. Facendosi valere, cosi, dall'amministrazione — in una sede impropria

(il giudice ordinario) e in violazione, per giunta, per i magistrati ordinari, di attribuzioni costituzionalmente garantite (Consiglio superiore della ma

gistratura) — pretese sostanzialmente anche di natura disciplinare.

19. - Alla stregua delle precedenti considerazioni è da suggerire — nel

l'ipotesi intendesse conservarsi la disciplina fondata sulla sanzione disci

plinare pecuniaria (per assicurare allo Stato il ristoro del danno patito) — la soppressione dell'attuale azione di rivalsa.

Sarebbe, inoltre, opportuno — in considerazione del fatto che la misu ra disciplinare è rivolta a realizzare anche interessi patrimoniali dell'am ministrazione — riconoscere l'obbligatorietà della detta sanzione

conferendosi, inoltre, all'amministrazione la facoltà di intervenire nel re lativo procedimento.

20. - Un regime alternativo a quello in precedenza descritto potrebbe essere conseguito con l'introduzione di una vera e propria azione di rival sa rivolta a consentire all'amministrazione la realizzazione del suo credi

to, verso il giudice colpevole, nel rispetto, di principi analoghi a quelli ai quali si ispira — salvaguardia dell'indipendenza del giudice — la disci

plina della sanzione disciplinare riparatoria (accertamento della responsa bilità del giudice da parte degli organi di autogoverno; responsabilità limitata del magistrato, ecc.).

Condizione imprescindibile per un tale regime è, però, che — a modifi ca della disciplina di cui allo schema di legge — si contempli la soppres sione della sanzione disciplinare pecuniaria con finalità riparatorie.

La rivalsa non è, infatti, conciliabile — come si è tentato di chiarire — con l'adozione di sanzioni disciplinari rivolte ad assicurare riparazione alle pretese dell'amministrazione.

Il passaggio ad una disciplina caratterizzata dalla rivalsa dovrebbe, na

turalmente, comportare la riduzione di un assetto nel quale (a garanzia proprio di quei principi di indipendenza dei quali si è fatto ripetutamente cenno) l'azione di rivalsa resti subordinata (oltreché al risarcimento al

terzo, da parte dell'amministrazione), anche al riconoscimento della re

sponsabilità del magistrato da parte degli organi disciplinari. Dovrebbe, naturalmente, anche nel nuovo regime, tenersi ferma la re

gola della limitazione della responsabilità patrimoniale del magistrato, anch'essa ispirata, chiaramente alla tutela dell'indipendenza del giudice (responsabilità per una somma non superiore al terzo dello stipendio annuo).

Se si vuole, poi, consentire — al pari che nel regime «sanzionatorio» — una riparazione in qualche misura «discrezionale» del danno di cui l'amministrazione chiede il ristoro, potrebbe prevedersi (in analogia di

quanto avviene nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti) 11 potere del giudice della rivalsa di procedere alla riduzione equitativa del credito.

Naturalmente — a modifica dell'attuale disciplina — occorrerebbe con

figurare come obbligatorio l'esperimento della rivalsa da parte dell'am

ministrazione competente non essendo consentito a pubbliche istituzioni di rinunciare alle proprie pretese creditorie.

E ciò a prescindere dall'ovvio rilievo che la discrezionalità dell'ammini

strazione di agire, o non agire, in rivalsa potrebbe, pur essa, minacciare

l'indipendenza giudiziaria (si pensi a non disinteressate rinunzie dell'am

ministrazione a far valere le proprie pretese creditorie nei riguardi del

giudice). Nel nuovo regime (nel quale la rivalsa resta, ancora, subordinata al

l'accertamento della responsabilità del magistrato in sede disciplinare) do vrebbe essere, espressamente, riconosciuta all'amministrazione la facoltà

di impugnare le pronunce disciplinari assolutorie (preclusive dell'azione di rivalsa).

Per questi motivi, nelle suesposte considerazioni è il parere dell'adunanza.

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PARTE PRIMA

2. - Nella sentenza n. 16 del 1978 questa corte ha affermato

che non sono sottoponibili a referendum abrogativo le disposi zioni di legge ordinaria «a contenuto costituzionalmente vincola

to», precisando che tali devono, intendersi quelle disposizioni «il

cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di effi

cacia senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)». Come

appare chiaro da questa definizione e come questa corte ha avuto

modo di dire anche in sentenze successive, a questa categoria di

leggi possono essere ricondotte due distinte ipotesi: innanzitutto,

le leggi ordinarie che contengono l'unica necessaria disciplina at

tuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro

abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest'ultima (cfr. senten

ze n. 26/81, id., 1981, I, 918 e 16/78); in secondo luogo, le leggi

ordinarie, la cui eliminazione ad opera del referendum priverebbe

totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale

«la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione»

(cfr. sentenza n. 25/81, id., 1981, I, 919).

Orbene, è pacifico che anche la legge ordinaria attuale (10 mag

gio 1978 n. 170), disciplinando i poteri e i modi di funzionamen

to di quella commissione che la legge cost. 11 marzo 1953 n.

I prevede all'art. 12, rappresenta una fra le tante soluzioni astrat

tamente possibili per attuare il disposto di rango costituzionale:

cosi come la legge abrogata ne rappresentava altra. In altri termi

ni, la disciplina che il legislatore ordinario detta per dare attua

zione al disposto costituzionale, rappresenta «una scelta politica del parlamento che poteva anche essere diversa» senza che ne

resti elusa o violata la volontà della norma costituzionale e in

ordine alla quale non può, pertanto, negarsi al popolo di espri

mere il suo voto.

Deve, inoltre, escludersi che la legge oggetto della presente ri

chiesta referendaria rientri anche nella seconda delle ipotesi di

«leggi a contenuto costituzionalmente vincolato» formulate da que

sta corte. Secondo tale ipotesi deve ritenersi inammissibile una

valutazione referendaria che, abrogando determinate disposizioni

di legge ordinaria, minacci l'esistenza stessa di un principio, di

un organo o di un istituto previsto dalla Costituzione o da una

legge costituzionale. Si tratta, più precisamente, di un'ipotesi che

va distinta logicamente da quella in cui il referendum possa, in

caso di approvazione, semplicemente intaccare il funzionamento

di un organo costituzionale, o l'applicazione di un principio, nel

lo specifico modo previsto dalla legge di cui si chiede l'abrogazio

ne, senza tuttavia vanificarne totalmente gli effetti o l'operatività.

Orbene, se non vi è dubbio che, ove fosse accolta dal voto

popolare, la richiesta referendaria in esame renderebbe più diffi

coltoso il funzionamento della commissione prevista dalla 1. cost,

n. 1 del 1953, dev'essere tuttavia escluso che, per quanto si riferi

sce alla proposta di referendum in esame, l'eventuale abrogazio ne degli articoli della 1. 10 maggio 1978 n. 170, sottoposti ad

iniziativa referendaria, comporti la vanificazione della commis

sione medesima. Tanto meno, poi, risulterebbero eliminate la par ticolare procedura prevista dagli art. 90, 2° comma, e 96 Cost.,

nonché la speciale giurisdizione contemplata nell'ultimo inciso dal

l'art. 134 Cost, per le persone ivi elencate. Del resto, né l'esisten

za della «commissione» ex art. 12 cit., né le procedure e la

giurisdizione particolari previste dalla Costituzione sono investite

(né potrebbero esserlo) dall'iniziativa referendaria.

3. - Deve dirsi, anzi, che l'art. 12 della legge costituzionale

citata si limita a disporre che la messa in istato d'accusa delle

dette personalità è deliberata dal parlamento in seduta comune

«su relazione di una commissione», formata ed eletta nei modi

ivi previsti. Al limite, pertanto, specie nei casi di tutta evidenza,

la commissione ben potrebbe limitare il suo compito a redigere la relazione per il parlamento sulla base delle risultanze docu

mentali acquisite: in tal modo, quindi, rendendo operativo il det

tato di rango costituzionale senza ricorrere a particolari discipline.

Senonché, intendere in tal senso la funzione di una commissione

bicamerale a carattere permanente di ben venti membri, espressa mente contemplata da una legge costituzionale per mettere il par lamento in condizione di decidere sulla messa in stato d'accusa

di personalità investite delle più alte funzioni dello Stato, sarebbe

estremamente riduttivo. Quanto meno, si deve ammettere che la

commissione bicamerale permanente in parola, per adempiere se

riamente alla funzione imposta dalla legge costituzionale, dovreb

be avere almeno i poteri che la Costituzione assegna alle

commissioni unicamerali temporanee previste dall'art. 82 Cost.

E, infatti, il parlamento se n'era dato carico, già prima della leg

II Foro Italiano — 1987.

ge precedente, intervenendo frattanto a disegnare una disciplina interna che regolasse sul piano formale un procedimento istrutto

rio fondato su esperimento di indagini; come dimostra l'art. 17

del regolamento, approvato dalla camera dei deputati e dal sena

to rispettivamente il 14 e 20 luglio 1961, successivamente modifi

cato dai due rami nel 1979. Tutto ciò significa che l'eventuale

abrogazione degli articoli della 1. n. 170/78, a seguito di esito

affermativo del referendum, non potrebbe in alcun modo para lizzare il funzionamento della commissione durante il tempo in

cui il legislatore elaborasse altra più completa disciplina, perché il regolamento parlamentare sarebbe di per sé sufficiente a con

sentire la funzionalità dell'organo.

Questo non vuol dire, però, che il referendum richiesto risulti

inutile. Una volta che il legislatore ha rinnovato, fra le tante pos

sibili, un'altra scelta di più completa disciplina per il funziona

mento della commissione, non può essere impedito ai promotori di sottoporre anche questa al giudizio del popolo.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara ammissibile

la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dei primi otto articoli della 1. 10 maggio 1978 n. 170 (nuove norme sui

procedimenti d'accusa di cui alla 1. 25 gennaio 1962 n. 20), nei

termini di cui in epigrafe.

IV

Diritto. — 1. - La richiesta di referendum abrogativo, dichia

rata legittima con ordinanza del 15 dicembre 1986 dall'ufficio

centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazio

ne, ha per oggetto gli art. 55, 56 e 74 c.p.c., approvato con r.d.

28 ottobre 1940 n. 1443. Fra essi, l'art. 55 delimita i casi nei

quali il giudice è civilmente responsabile; l'art. 56 condiziona in

vario modo l'esercizio della relativa azione; l'art. 74 estende tali

norme anche ai magistrati del pubblico ministero che intervengo

no nel processo civile.

2. - La richiesta referendaria deve essere ammessa.

Non è dato, infatti, di ravvisare né alcuna delle cause ostative

espressamente indicate nell'art. 75, 2° comma, Cost., né alcuna

delle ragioni di inammissibilità desumibili dall'ordinamento costi

tuzionale (v. sent. n. 16 del 1978, Foro it., 1978, I, 265). 3. - Più in particolare, non appare seriamente contestabile l'o

mogeneità ed univocità di un quesito con cui si viene a coinvolge re nella sua interezza lo specifico regime che, allo stato attuale

della legislazione, contraddistingue la responsabilità civile dei ma

gistrati. Del pari, non sembra sostenibile che si sia in presenza di dispo

sizioni legislative assimilabili alle norme costituzionali sotto il pro filo della resistenza all'abrogazione e, quindi, tali da fruire di

una precisa «copertura costituzionale»: gli articoli del codice di

procedura civile oggetto del quesito referendario non sono certo

dotati di una forza passiva che li rende insuscettibili di essere

validamente abrogati da una legge ordinaria successiva.

Né può dirsi, infine, che si tratti di disposizioni legislative «a contenuto costituzionalmente vincolato», nel senso che esse, con

siderate nel loro nucleo normativo, darebbero vita all'unica disci

plina della materia consentita dalla Costituzione.

4. - Che qui vi sia posto per scelte legislative discende proprio dall'art. 28 Cost., dove — come questa corte ha già avuto modo

di precisare (v. sent. n. 2 del 1968, id., 1968, I, 585) — trova

affermazione «un principio valevole per tutti coloro che, sia pure

magistrati, svolgono attività statale: un principio generale che da

una parte li rende personalmente responsabili, ma dall'altra non

esclude, poiché la norma rinvia alle leggi ordinarie, che codesta

responsabilità sia disciplinata variamente per categorie o per si

tuazioni». Scelte plurime, anche se non illimitate, in quanto la

peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi prov vedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilità dei

magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali ap

positamente dettati per la magistratura (art. 101-113), a tutela

della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni.

5. - Quanto all'eventualità che un favorevole risultato del refe

rendum non accompagnato da un immediato intervento del legis latore dia luogo a situazioni normative non conformi alla Costi

tuzione, va ancora una volta ribadito (v. già sentenze n. 251 del

1975 id., 1976, I, 908; n. 16 del 1978, cit. nn. 24 e 26 del 1981,

id., 1981, I, 918) che in questa sede «non viene di per sé in rilievo

l'eventuale effetto abrogativo del referendum». La prospettata

illegittimità costituzionale di una sua possibile conseguenza «non

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Page 16: sentenza 3 febbraio 1987, n. 29 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 11 febbraio 1987, n. 7); Pres. La Pergola, Rel. Casavola; Comitato promotore, Biondi ed altri (Avv. Mellini).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

può esser presa in considerazione e vagliata al fine di pervenire ad una pronuncia inammissibile del quesito referendario», «tanto

più che la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimità costituziona

le, nelle forme, alle condizioni e nei limiti prescritti» (sentenza n. 24 del 1981).

Per questi motivi, la Corte costituzionale ammette la richiesta

di referendum popolare per l'abrogazione degli art. 55, 56 e 74

c.p.c., approvato con r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443, dichiarata

legittima, con ordinanza del 15 dicembre 1986, dall'ufficio cen

trale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

V

Diritto. — 1. - Le tre richieste referendarie in epigrafe, pur concernendo distinte disposizioni di legge, mirano a realizzare —

sul comune tema delle centrali elettronucleari — effetti abrogati vi interferenti. Pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e decisi

con unica sentenza.

2. - Le richieste suddette — delle quali l'ufficio centrale costi

tuito presso la Corte di cassazione ha dichiarato la legittimità con ordinanze del 15 dicembre 1986 e sulla cui ammissibilità la

corte è ora chiamata a pronunciarsi — investono, rispettivamen

te, come si rileva dai proposti quesiti, le norme seguenti: 1) i

commi da 1 a 12 dell'art, unico 1. 10 gennaio 1983 n. 8, conte

nente norme per l'erogazione di contributi a favore dei comuni

e delle regioni che siano sedi di centrali elettriche alimentate con

combustibili diversi dagli idrocarburi; 2) il terz'ultimo (rectius pe

nultimo, ossia tredicesimo) comma dello stesso art. unico cit. 1.

8 del 1983, il quale stabilisce che, se non sia tempestivamente

perfezionata la procedura per la localizzazione delle centrali elet

tronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insedia

mento è effettuata dal C.i.p.e.; 3) l'art, unico, 1° comma, lett.

b, 1. 18 dicembre 1973 n. 856, recante modifica all'art. 1, 7°

comma, 1. 6 dicembre 1962 n. 1643, limitatamente all'attribuzio

ne all'È.n.el. della facoltà di promuovere la costituzione di socie

tà con società o enti stranieri o di assumervi partecipazioni, al

fine di realizzare o gestire impianti elettronucleari.

3. - Le richieste referendarie vanno ammesse.

Non sussiste infatti alcuna delle cause ostative previste espres samente dall'art. 75, 2° comma, Cost, o desumibili dall'ordina

mento costituzionale del referendum abrogativo (cfr. in proposito la sent. n. 16 del 1978, Foro it., 1978, I, 265); né alcuna eccezio

ne ha sollevato il governo, il quale non si è avvalso della facoltà

di presentare memorie.

In particolare, rilevato che le attuali richieste hanno un oggetto diverso da quello che ha dato luogo alla sent. n. 31 del 1981

(id., 1981, I, 916), osserva la corte che nella fattispecie non può

operare il limite delle convenzioni internazionali, previsto dal ri

cordato precetto costituzionale, in relazione al trattato istitutivo

della Comunità europea dell'energia atomica, ratificato con 1. 14

ottobre 1957 n. 1203. I quesiti relativi alle due prime richieste

di referendum sono invero del tutto estranei alle disposizioni di

detto trattato, concernendo l'uno un problema di politica interna

relativo ai rapporti economici tra enti che operano nell'ordina

mento nazionale (E.n.el., E.n.e.a., regioni e comuni) e riguar dando l'altro la distribuzione della competenza tra i vari organi ed enti nazionali al fine di determinare la localizzazione delle cen

trali elettronucleari: competenza che peraltro espressamente la ri

soluzione del consiglio della Comunità in data 20 novembre 1978

riconosce spettare agli Stati membri.

4. - Del pari palese è l'estraneità al trattato del terzo quesito

referendario, il quale è diretto a ripristinare la posizione origina

ria dell'E.n.el., abolendo l'innovazione apportata con la 1. 18 di

cembre 1973 n. 856, che permette al medesimo di promuovere la costituzione di società con società o enti stranieri ovvero di

assumervi partecipazioni, se abbiano per scopo la realizzazione

o l'esercizio di impianti elettronucleari. Né in contrario possono richiamarsi le norme degli art. 45 ss. del ricordato trattato, le

quali prevedono e disciplinano le «imprese comuni». Invero, a

parte qualsiasi rilievo circa l'oggetto, tali imprese sono enti della

Comunità, vengono costituiti dal consiglio (della Comunità stes

sa) su parere della commissione, ed operano con tutte le garanzie del relativo ordinamento, garanzie che si riflettono necessaria

mente nel sistema normativo interno degli Stati membri; per con

tro la facoltà, che forma oggetto della richiesta referendaria,

Il Foro Italiano — 1987.

costituisce espressione dell'autonomia nagoziale dell'ente, senza

alcun collegamento con la disciplina comunitaria.

Risulta evidente quindi come la norma per cui è richiesto il

referendum non ha attinenza con il contenuto del trattato, sicché

anche per essa non può ritenersi operante il limite anzidetto.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, am

mette le richieste di referendum: per l'abrogazione dell'art, uni

co, commi dal 1° al 12°, 1. 10 gennaio 1983 n. 8 (norme per

l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi

di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idro

carburi); per l'abrogazione del cit. art. unico, 13° comma, 1. n.

8 del 1983; per l'abrogazione dell'art. 1, 7° comma, 1. 18 dicem

bre 1973 n. 856 (modifica all'art. 1, 7° comma, 1. 6 dicembre

1962 n. 1643, sulla istituzione dell'Ente nazionale per l'energia

elettrica); richieste dichiarate legittime, con ordinanza del 15 di

cembre 1986, dall'ufficio centrale per il referendum costituito pres so la Corte di cassazione.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 22 gennaio 1987, n. 16

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 4 febbraio 1987, n. 6); Pres. La Pergola, Rei. Greco; Scala ed altri c. Soc. Strade

ferrate sarde; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Co

sentino). Orci. Pret. Sassari 30 novembre 1978 (G. U. n. 80

del 1979).

Lavoro (rapporto) — Lavoratori addetti a pubblici servizi di

trasporto — Maggiorazione retributiva per lavoro domenicale — Spettanza — Normativa sulle ricorrenze festive — Questio ne infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 29, 30, 35,

36; 1. 27 maggio 1949 n. 260, disposizioni in materia di ricor

renze festive, art. 2, 5; 1. 31 marzo 1954 n. 90, modificazioni

alla 1. 27 maggio 1949 n. 260, art. 1, 3).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5

l. 27 maggio 1949 n. 260, modificato dall'art. 1 l. 31 marzo

1954 n. 90, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto ai lavora

tori addetti a pubblici servizi di trasporto, che prestano la pro

pria attività lavorativa nella domenica compresa nel turno

lavorativo, spetta la maggiorazione per il lavoro domenicale, in relazione alla maggiore penosità del lavoro prestato nella

domenica. (1)

Diritto. — 1. - Il Pretore di Sassari dubita della legittimità costituzionale dell'art. 5 1. 27 maggio 1949 n. 260 nel testo modi

ficato dall'art. 1 1. 31 marzo 1954 n. 90, nella parte in cui non

prevede maggiorazioni retributive per il lavoro prestato dai turni

sti durante le domeniche comprese nel turno di sei giorni lavora

tivi, seguiti dal settimo giorno di riposo, in quanto violerebbe

(1) Con la decisione in epigrafe la Corte costituzionale (in margine alla quale cfr. G. Del Mese, in Dir. e pratica lavoro, 1987, 447) ricono sce il diritto degli addetti a pubblici servizi di trasporto che prestano, per ragioni inerenti al servizio, attività lavorativa nel giorno domenicale e usufruiscono del riposo settimanale in altro giorno, alla maggiorazione per il lavoro svolto di domenica, in quanto la prestazione lavorativa ef fettuata di domenica è contrassegnata da una maggiore «penosità» rispet to a quella effettuata negli altri giorni della settimana, in considerazione dell'esclusione del lavoratore dalle normali iniziative familiari e sociali di utilizzazione della giornata domenicale, per cui il lavoro svolto di do menica viene ad essere caratterizzato da una diversa «qualità» (art. 36, 1° comma, Cost.) rispetto a quello svolto nei giorni feriali; in tal modo

la corte si uniforma ali 'iter argomentativo seguito dalla Corte di cassazio

ne (da ultimo sent. 9 novembre 1984, n. 5667, Foro it., 1985, I, 1389; 30 gennaio 1985, n. 625, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1408, e in Mass. giur. lav., 1985, 163, con nota di Fabbri e anche Pret. Pisa 21 maggio 1986, Giust. civ., 1986, 3238). Contra, nella giurisprudenza di merito Pret. Viareggio 18 febbraio 1984, Foro it., 1985, I, 308 (in una fattispecie riguardante gli esattori autostradali); Pret. Genova 27 feb

braio 1984, id.. Rep. 1984, voce cit., n. 1451, e in Giust. civ., 1984,

I, 2294, con nota di G. Guarnieri, Ancora contrasti sulla maggiorazione

per lavoro domenicale-, Trib. Reggio Emilia 24 maggio 1985, Foro it.,

Rep. 1985, voce cit., n. 1412, I, 2610. In dottrina cfr. per tutti P. Ichino, Il tempo della prestazione del rap

porto di lavoro, Milano, 1984, 206 ss. e L'orario di lavoro e i riposi, in Commentario, a cura di P. Schlesinger, Milano, 1987, 170 ss.

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