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sentenza 30 dicembre 1997, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 7 gennaio 1998, n. 1);...

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sentenza 30 dicembre 1997, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 gennaio 1998, n. 1); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Ditta Laboratorio chimico siciliano c. Comune di Maniace; interv. Regione siciliana. Ord. Tar Sicilia, sez. Catania, 7 dicembre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 44 del 1996) Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 693/694-697/698 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192290 . Accessed: 25/06/2014 04:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.141 on Wed, 25 Jun 2014 04:43:03 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 30 dicembre 1997, n. 447 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 gennaio 1998, n. 1);Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Ditta Laboratorio chimico siciliano c. Comune di Maniace;interv. Regione siciliana. Ord. Tar Sicilia, sez. Catania, 7 dicembre 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 44 del1996)Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 693/694-697/698Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192290 .

Accessed: 25/06/2014 04:43

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 dicembre 1997, n.

447 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 gennaio 1998, n.

1); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; Ditta Laboratorio chi

mico siciliano c. Comune di Maniace; interv. Regione sicilia

na. Ord. Tar Sicilia, sez. Catania, 7 dicembre 1995 (G.U., la s.s., n. 44 del 1996).

Sicilia — Opere pubbliche — Appalto concorso — Bando di

gara — Clausole comportanti il riconoscimento dei parteci

panti — Divieto — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 3, 97; 1. reg. sic. 29 aprile 1985 n. 21, norme

per l'esecuzione dei lavori pubblici in Sicilia, art. 34 bis; 1. reg. sic. 12 gennaio 1993 n. 10, nuove norme in materia di

lavori pubblici e di forniture di beni e servizi, nonché modifi

che ed integrazioni della legislazione del settore, art. 48).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 34 bis /. reg. sic. 29 aprile 1985 n. 21, nel testo introdotto dall'art. 48 l. reg. sic. 12

gennaio 1993 n. 10, nella parte in cui dispone il divieto di

inserimento nei bandi di gara di appalto di qualsiasi clausola

che preveda modalità che possano comportare il riconosci

mento preventivo dei partecipanti, anche nella fase di presen

tazione delle offerte, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (1)

(1) La corte, occupandosi del delicato problema dei limiti di applica zione del principio di segretezza delle offerte nell'ambito delle procedu re di gara di asta pubblica, afferma in motivazione che la legislazione siciliana (leggi reg. sic. n. 21 del 1985 e n. 10 del 1993) non impone che per i funzionari dell'amministrazione incaricati della ricezione della

domanda di partecipazione debba restare segreta la persona dell'offerente.

Il segreto pone in relazione un oggetto e uno o più soggetti: l'ordina

mento vieta infatti a taluno — in particolare alle amministrazioni —

di fornire dati conosciuti per ragioni di ufficio e, di conseguenza, limita

la possibilità che ad altri vengano rivelati i medesimi dati. La decisione

si occupa di un aspetto in parte diverso: trattasi della relazione di segre tezza che corre tra un dato (identità degli offerenti) ed il soggetto pub blico, non già in quanto vi sia un obbligo in capo a quest'ultimo di

non divulgare le notizie, bensì sotto il profilo della sottrazione di quel dato alla conoscibilità della stessa amministrazione che pure è destina

taria dell'atto che lo può rivelare (domanda di partecipazione ad una

gara di appalto). Proprio in ciò risiede uno dei motivi di interesse della

decisione, atteso che normalmente il segreto è percepito come limitazio

ne della conoscibilità di alcuni dati, posseduti da un certo soggetto, nei confronti di terzi.

Nel caso di specie la domanda di partecipazione ad una gara di ap

palto era stata inoltrata da un candidato con un plico al quale risultava

allegata la ricevuta di posta celere indicante il mittente, sicché si è posto il problema se in tal modo — potendo l'amministrazione acquisire con

tezza circa la persona dell'offerente — risultasse violata la disciplina che vieta l'inserimento nei bandi di clausole che comportino il ricono

scimento preventivo dei partecipanti alle gare di appalto. Al fine di risolvere il problema della fondatezza della questione di

legittimità prospettata, la corte non fa riferimento all'istituto — stretta

mente correlato al segreto perchè ad esso contrapposto — del diritto

di accesso ai documenti amministrativi, dalla cui disciplina è possibile ricavare sia i limiti del segreto (la norma che definisce in generale il

segreto di ufficio — art. 15 t.u. imp. civ. dello Stato, come modificato dall'art. 28 1. n. 241 del 1990 — afferma infatti il dovere di mantenere

il segreto d'ufficio «al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto d'accesso»), sia lo spettro dei soggetti legittimati ad acquisire i dati (e cioè le informazioni non coperte da segreto perché non sottratte all'accesso; la disciplina del diritto di accesso riconosce

tale diritto in capo a chi «vi abbia interesse per la tutela di situazioni

giuridicamente rilevanti»: cosi Anzon, Segreto - Segreto d'ufficio (dir.

amm.), voce deli'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1992, XXVIII,

5). L'individuazione dei limiti del segreto muovendo dall'esame dei confini

del diritto di accesso è operazione che postula l'omogeneità dei destina

tari delle discipline relative ai due istituti: il percorso argomentativo è in altri termini ammissibile solo in quanto si discuta in ordine alla

sottraibilità di dati alla conoscibilità di soggetti che siano al contempo destinatari della disciplina sul diritto di accesso. Nel caso di specie,

invece, si trattava di sindacare la legittimità della disciplina che confi

gura un dato come segreto nei confronti non già dei terzi (in ipotesi titolari del diritto di accesso), bensì dell'amministrazione, sicché non

è dato riscontrare una diretta interferenza tra i due istituti.

Il ragionamento si svolge di conseguenza tutto all'interno dell'istituto

del segreto, i cui confini sono tratteggiati in modo autonomo sulla base

dell'individuazione delle finalità della legge. Secondo la corte, la disci

plina che vieta l'inserimento di clausole che prevedano modalità tali

da comportare il riconoscimento preventivo dei partecipanti alle gare di appalto mira ad «assicurare la massima segretezza circa i soggetti

Il Foro Italiano — 1998.

Diritto. — 1. - Il Tar per la Sicilia, sezione distaccata di Ca

tania, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 34 bis, 5°

comma, 1. reg. sic. 29 aprile 1985 n. 21, nel testo introdotto

dall'art. 48 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 10, nella parte in cui

dispone il divieto di inserimento nei bandi di gara di qualsiasi clausola che preveda modalità che possano comportare il ricon

scimento preventivo dei partecipanti alle gare di appalto, anche

nella fase di presentazione delle offerte.

A giudizio del tribunale rimettente, la disposizione impugna ta contrasterebbe con il principio di ragionevolezza e con quello di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli art. 3, 1° comma, e 97, 1° comma, Cost., in quanto prescrive rebbe regole che finirebbero col complicare, senza alcuna obiet

tiva utilità, la partecipazione alle gare finalizzate all'assegnazio ne di appalti. Dall'applicazione della norma, infatti, discende

rebbe l'impossibilità di presentare le offerte a mezzo del servizio

postale con avviso di ricevimento, ovvero a mezzo di persone

espressamente incaricate, dal momento che l'indicazione del mit

tente ovvero la identificazione dei latori del plico potrebbe con

sentire l'individuazione dell'impresa partecipante. Tenuto conto

della possibilità, prevista dall'art. 40, 2° comma, della legge

regionale, che le domande di partecipazione siano presentate fino ad un'ora prima, la contiguità temporale tra la presenta zione delle offerte e lo svolgimento della gara farebbe invece

intenzionati a partecipare a gare di asta pubblica, in un contesto, quale quello siciliano, caratterizzato dalla diffusa presenza di criminalità or

ganizzata» [finalità questa che abilita il legislatore a porre restrizioni in materia di appalti della pubblica amministrazione (v. Corte cost. 23

luglio 1987, n. 281, Foro it., 1988, I, 2165, con nota di richiami) ed a introdurre controlli volti a prevenire l'infiltrazione della criminalità

organizzata nello svolgimento dell'attività amministrativa (v. Corte cost. 19 maggio 1994, n. 191, id., 1995, I, 1132, con nota di richiami); per quanto attiene al segreto nei confronti dei soggetti diversi dall'ammini

strazione, si noti che l'art. 24 1. n. 241 del 1990 prevede che con regola mento possano essere stabiliti, tra i casi di esclusione del diritto di ac

cesso, anche quelli in relazione all'esigenza di salvaguardare l'ordine

pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità]. L'interesse avuto di mira dal legislatore non osta a che l'amministrazione conosca l'identità dei partecipanti. La conclusione trova supporto nel fatto che

la legge vieta all'ente appaltante di comunicare a terzi, o rendere in

qualche modo noto i partecipanti alla gara: ciò presuppone infatti che

l'amministrazione conosca l'offerta. In tal modo è fatto altresì salvo

«l'interesse pubblico a che alla gara partecipi il maggior numero di con

correnti»: aderendo alla soluzione secondo cui l'offerta deve risultare

segreta anche nei confronti dell'amministrazione, a tacere delle difficol tà ad «individuare modalità di partecipazione alla gara che assicurino in modo assoluto l'anonimato», i partecipanti vedrebbero invece com

promesso il diritto di poter dimostrare l'avvenuta presentazione del

l'offerta. La decisione, in definitiva, ritiene il segreto e la sua estensione stret

tamente connessi non solo alla qualità dell'informazione (secondo G.

Arena, La trasparenza ed it diritto di accesso ai documenti ammini

strativi, in L'accesso ai documenti amministrativi, Bologna, 1991, 731, si sarebbe passati ad un tipo di segreto in cui rileva il rapporto delle

informazioni con determinati interessi, «piuttosto che la "qualità" del

soggetto che le detiene»), ma anche e soprattutto alla finalità avuta

di mira dal legislatore ed al tipo di soggetti che detengono l'informazio ne stessa (il dato, non segreto per l'amministrazione, risulta infatti non

conoscibile per i terzi prima della scadenza del termine per la presenta zione delle offerte; un principio simile si ricava dalla disciplina del dirit

to di accesso: l'art. 24, 6° comma, 1. n. 241 del 1990 consente all'ammi

nistrazione di differire l'accesso sino a quando la conoscenza possa im

pedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa). La giurisprudenza amministrativa si è occupata del principio di segre

tezza delle offerte, affermato in connessione con la tutela del principio della par condicio, in relazione soprattutto ai casi in cui più ditte colle

gate, tenendo conto ciascuna del contenuto dell'offerta dell'altra, aves

sero presentato domande in grado di alterare la media delle offerte.

Le offerte dei diversi concorrenti non debbono essere riconducibili al

medesimo centro decisionale: in caso contrario la situazione è sufficien

te a compromettere la garanzia di segretezza delle offerte (Tar Toscana, sez. II, 25 gennaio 1996, n. 20, Foro it., Rep. 1996, voce Opere pubbli

che, n. 293); v., altresì, Tar Abruzzo 22 luglio 1993, n. 292, id., Rep.

1994, voce cit., n. 198 (secondo cui la partecipazione di due o più ditte

tra loro strettamente collegate può consentire di condizionare la media

delle offerte da utilizzare per l'individuazione dell'aggiudicatario); Cons.

Stato, sez. VI, 12 maggio 1994, n. 759, ibid., voce Contratti dellap.a., n. 119; Corte conti, sez. contr., 15 luglio 1991, n. 78, id., Rep. 1992, voce Opere pubbliche, n. 270; Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 1986, n. 664, id., Rep. 1986, voce cit., n. 98 (secondo tale decisione nelle

gare per l'appalto di opere pubbliche l'offerta che un concorrente abbia

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PARTE PRIMA

perdere, ad avviso del giudice a quo, qualsiasi rilievo, ai fini

del corretto svolgimento della procedura di scelta del privato

contraente, all'eventuale riconoscibilità dei partecipanti; e ciò

tanto più in quanto, secondo l'art. 40, 3° comma, della stessa

1. reg. n. 21 del 1985, nel testo introdotto dall'art. 36 1. reg. n. 10 del 1993, eventuali dichiarazioni di ritiro delle offerte già

presentate vanno considerate inefficaci.

Il giudice a quo precisa poi che la disposizione impugnata è stata modificata, quando la redazione dell'ordinanza di rimes

sione era già in corso, dall'art. 8 1. reg. 8 gennaio 1996 n. 4, il quale ha sostituito le parole «che possano comportare» con

le parole «che comportino necessariamente» e, sottolineata la

permanenza della rilevanza della questione, sollecita una pro nuncia di illegittimità costituzionale anche di tale ultima dispo sizione, ai sensi dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87.

2. - Secondo l'avvocatura, la questione avrebbe ad oggetto una disposizione non applicabile nel giudizio a quo, nel quale si controverte della legittimità del provvedimento di esclusione

di un concorrente da un appalto per la fornitura di servizi, mentre

la disposizione censurata riguarderebbe solo gli appalti di lavori

pubblici. Conseguentemente, ad avviso dell'avvocatura, posto che la 1. reg. n. 10 del 1993, all'art. 65, stabilisce che per gli

appalti di fornitura di beni e servizi il cui valore sia inferiore

a 130 mila Ecu, restano immutati i procedimenti, le modalità

e le competenze previsti dalle norme concernenti i contratti dei

singoli enti, l'ente locale che ha bandito la gara, avendo l'ap

palto un valore di circa 18 milioni di lire, avrebbe dovuto appli care le norme che disciplinano la propria attività contrattuale

e non quelle che regolano gli appalti di lavori pubblici. L'eccezione non è fondata. Nell'indire la gara, l'ente appal

tante ha espressamente previsto che essa sarebbe stata esperita con il sistema di cui all'art. 73, lett. e), r.d. 2 maggio 1924

n. 827, e ha comunque disciplinato la procedura facendo appli cazione dello schema di bando-tipo predisposto dall'assessore

ai lavori pubblici della regione siciliana, ai sensi dell'art. 34 bis 1. reg. n. 21 del 1985, introdotto dall'art. 48 1. reg. n. 10 del

1993, nell'interpretazione resa dal comitato regionale di con

trollo, sezione centrale, con decisione n. 12549 del 28 settembre

1995. In altri termini, poiché l'amministrazione appaltante ha

regolato la gara sulla base della normativa procedimentale con

potuto formulare dopo la pubblicazione dell'offerta avversaria è sem

pre inammissibile, a nulla rilevando che l'interessato si sia in concreto avvalso o meno dell'indebito vantaggio; tale decisione afferma altresì che il principio della segretezza attiene solo alla fase della presentazione delle offerte e non a quella della loro valutazione, sicché è legittimo l'atto di riammissione in gara di una ditta quando sia già nota l'entità delle singole offerte e l'identità dei rispettivi offerenti); Tar Friuli-Venezia Giulia 5 giugno 1980, n. 162, id., Rep. 1982, voce Contratti della p.a., n. 27 (ad avviso di tale sentenza le norme stabilite per assicurare la

segretezza delle offerte hanno natura cogente e pertanto la relativa vio lazione costituisce un vizio di legittimità del procedimento d'asta).

Più in generale, in tema di segretezza, v. Tar Lazio, sez. II, 19 luglio 1995, n. 1197, id., Rep. 1995, voce cit., n. 225, secondo cui è illegitti mo l'operato dell'amministrazione che, nell'attribuire punteggi per la valutazione della capacità tecnica dei concorrenti, abbia preso in consi derazione non già la struttura dagli stessi indicata, bensì la loro intera

organizzazione aziendale, atteso che la consistenza di questa era ele mento noto all'amministrazione e non poteva costituire una componen te della segretezza dell'offerta.

Per l'affermazione secondo cui in sede di appalto-concorso l'esigenza di valutare comparativamente le offerte, tenendo anche conto delle ca

pacità delle imprese, prevale sul principio di segretezza delle offerte, v. Tar Lombardia, sez. II, 23 luglio 1993, n. 477, id., Rep. 1994, voce

cit., n. 186; Tar Toscana 14 giugno 1988, n. 920, id., Rep. 1989, voce

Opere pubbliche, n. 144. V., altresì, Tar Lazio, sez. II, 1° marzo 1990, n. 522, id., Rep. 1990, voce cit., n. 179; Tar Emilia-Romagna, sez.

I, 13 settembre 1989, n. 333, id., Rep. 1991, voce Contratti della p.a., n. 121; Tar Puglia, sez. Lecce, 21 febbraio 1989, n. 99, ibid., n. 107; Cons. Stato, sez. VI, 10 novembre 1981, n. 666, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 37.

Infine, quanto alle modalità che assicurano la segretezza delle offerte e garantiscono nei confronti del pericolo di manomissioni del piego che le contiene, si è deciso che unica formalità essenziale è costituita dal

rispetto della discplina di cui all'art. 75, 4° comma, r.d. 23 maggio 1924 n. 827, secondo cui le offerte, per essere valide, devono pervenire in piego sigillato, anche se nella prassi è invalso l'uso di siglare le buste contenenti gli atti di gara: Tar Sicilia, sez. I, 22 agosto 1994, n. 526, id., Rep. 1994, voce Opere pubbliche, n. 276.

Il Foro Italiano — 1998.

tenuta, tra l'altro, nella disposizione censurata, la questione è

senz'altro rilevante nel giudizio a quo; in questo si deve infatti

valutare la conformità al bando di un provvedimento di esclu

sione dalla gara; in via mediata, si deve accertare la legittimità del bando e, quindi, della disposizione sulla quale esso, per l'a

spetto specificamente dedotto nel giudizio principale, si fonda.

3. - Nel merito, la questione non è fondata, nei sensi di segui to indicati.

La disposizione censurata stabilisce che «è vietato l'inserimento

nei bandi di gara di qualsiasi clausola che richieda certificazioni

di presa visione del progetto da parte dei partecipanti o comun

que preveda modalità che possano comportare il riconoscimen

to preventivo dei partecipanti alla gara». Dai lavori preparatori emerge con chiarezza che la 1. reg. n.

10 del 1993 è finalizzata ad assicurare la massima segretezza circa i soggetti intenzionati a partecipare a gare di asta pubblica in un contesto, quale quello siciliano, caratterizzato dalla diffu

sa presenza della criminalità organizzata anche nel settore dei

lavori pubblici (v., in particolare, le sedute dell'assemblea re

gionale siciliana del 25 novembre e del 16 dicembre 1992); tale

finalità, come questa corte ha riconosciuto, abilita il legislatore a porre particolari restrizioni proprio in materia di appalti della

pubblica amministrazione (sentenza n. 281 del 1987, Foro it.,

1988, I, 2165), ovvero a stabilire controlli intesi a prevenire l'in

filtrazione e l'influenza della criminalità organizzata nello svol

gimento delle attività dell'amministrazione pubblica (sentenza n. 191 del 1994, id., 1995, I, 1132).

Ma, diversamente da quanto ritiene il giudice a quo, la legge

regionale non impone che per i funzionari dell'amministrazione

che ha indetto la gara, incaricati della ricezione delle domande,

debba rimanere segreta la persona dell'offerente. Se così fosse

11 dubbio di legittimità costituzionale avanzato dal giudice ri

mettente apparrebbe fondato: il principio di buon andamento

della pubblica amministrazione sarebbe violato; ne risulterebbe

infatti pregiudicato l'interesse pubblico a che alla gara partecipi il maggior numero possibile di concorrenti, posti, da un lato, l'estrema difficoltà di individuare modalità di partecipazione al

la gara che assicurino in modo assoluto l'anonimato, e, dall'al

tro, il diritto di ciascun concorrente di poter dimostrare l'avve

nuta presentazione dell'offerta.

4. - L'interpretazione della disposizione impugnata proposta dal giudice a quo non è, però, l'unica possibile: alla stessa, sul

la base del sistema normativo vigente, può e deve essere attri

buito un significato diverso, tale comunque da assicurare ade

guata tutela all'interesse pubblico perseguito. Va rilevato che nella stessa 1. reg. n. 10 del 1993 è contenuta

anche una disciplina dell'accesso alle informazioni in materia

di pubblici appalti: l'art. 43 bis 1. reg. 29 aprile 1985 n. 21, introdotto appunto dall'art. 16 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 10,

dispone, al 2° comma, che «qualunque sia il procedimento adot

tato per l'affidamento dei lavori, è fatto tassativo divieto al

l'ente appaltante [. . .] di comunicare a terzi o di rendere in

qualsiasi altro modo noto, prima dell'apertura delle operazioni di gara, quali siano le imprese che vi partecipano o che hanno

fatto richiesta di invito o di informazione sui da i [. . .] o che

in altro modo hanno segnalato il proprio interesse a prendere

parte alla gara», stabilendo altresì che «la violazione del divie

to, impregiudicate le eventuali sanzioni penali, comporta l'an

nullamento della gara di appalto, l'apertura di un procedimento

disciplinare a carico del pubblico dipendente e la decadenza dalla

carica per il componente dell'ufficio regionale per i pubblici

appalti». Dalla disposizione ora ricordata — la quale trova riscontro

nell'art. 22 della legge quadro in materia di lavori pubblici 11

febbraio 1994 n. 109, che prevede espressamente la punibilità, ai sensi dell'art. 326 c.p., dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio che violino l'obbligo di segretezza, tra l'al

tro, circa i soggetti che hanno presentato offerte nel caso di

pubblici incanti, prima della scadenza del termine per la presen tazione delle medesime — emerge in modo evidente come l'inte

resse pubblico alla segretezza del procedimento inerisca, oltre

che al contenuto delle offerte, ad un ambito diverso dal rappor to tra i partecipanti alla gara e l'amministrazione che quella

gara ha indetto. L'obbligo della segretezza e il conseguente di

vieto di fornire notizie che consentano l'individuazione dei sog

getti che partecipano ad una gara, invero, grava su quanti, per

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ragioni del loro ufficio, abbiano conoscenza dell'identità delle

imprese offerenti; tale obbligo non può spingersi, poiché altri

menti ne resterebbe pregiudicato l'interesse pubblico all'effetti

vità del concorso, all'estremo limite di postulare l'assoluto ano

nimato della presentazione delle offerte. Una volta che il sog

getto interessato abbia presentato, secondo le regole previste, la propria domanda di partecipazione alla gara, eventualmente

acquisendo la prova del ricevimento di essa da parte dell'ammi

nistrazione il diritto di comunicazione o di divulgazione dell'av

venuta presentazione dell'offerta fa capo ai soggetti dell'ammi

nistrazione che ne siano a conoscenza.

La disposizione censurata, impedendo l'inserimento nei ban

di di gara di clausole che comportino il riconoscimento dei par

tecipanti alle gare stesse, tende a rafforzare, per le finalità di

prevenzione di cui si è detto, il divieto che incombe sull'ente

appaltante e sui suoi impiegati di rivelare l'identità dei parteci

panti alle gare, ma non a precludere all'amministrazione, come

ritenuto dal giudice a quo, la conoscenza di tale identità.

Nei sensi ora indicati, la questione di legittimità costituziona

le dell'art. 34 bis, 5° comma, 1. reg. sic. 29 aprile 1985 n. 21,

introdotto dall'art. 48 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 10 (e successi

vamente modificato dall'art. 8 1. reg. 8 gennaio 1996 n. 4), è

infondata.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità

costituzionale dell'art. 34 bis, 5° comma, 1. reg. sic. 29 aprile

1985 n. 21 (norme per l'esecuzione di lavori pubblici in Sicilia), introdotto dall'art. 48 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 10 (nuove nor

me in materia di lavori pubblici e di forniture di beni e servizi,

nonché modifiche ed integrazioni della legislazione del settore),

sollevata, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 97, 1° comma,

Cost., dal Tar per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con

l'ordinanza indicata in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 dicembre 1997, n.

443 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 gennaio 1998, n.

1); Pres. Granata, Est. Mezzanotte; interv. Pres. cons, mi

nistri. Ord. Pret. Pordenone 15 giugno 1996 (tre) (G.U., la

s.s., n. 40 e n. 43 del 1996).

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Paste alimentari — Utilizzazione di ingredienti diversi da quelli indicati o au

torizzati — Divieto — Questioni fondata, infondata e inam

missibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 41; 1. 4 luglio 1967 n. 580, disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali,

degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari, art. 28, 30,

31, 36).

È incostituzionale l'art. 30 l. 4 luglio 1967 n. 580 nella parte in cui non prevede che alle imprese aventi stabilimento in Ita

lia è consentita, nella produzione e nella commercializzazione

di paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente

impiegati in base al diritto comunitario, nel territorio della

Comunità europea. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

36 l. 4 luglio 1967 n. 580, in riferimento agli art. 3 e 41, 1° comma, Cost. (2)

È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legitti mità costituzionale degli art. 28 e 31 l. 4 luglio 1967 n. 580, in riferimento agli art. 3 e 41, 1° comma, Cost. (3)

(1-3) In argomento, v. Corte cost. 10 febbraio 1994, n. 27, Foro

it., 1995, I, 1713, con richiami dei precedenti in materia, tra cui giova ricordare Corte cost. 18 aprile 1991, n. 170, id., Rep. 1991, voce Ali

menti e bevande, n. 47, che aveva dichiarato manifestamente inammis

sibile la questione di legittimità costituzionale, prospettata in riferimen

II Foro Italiano — 1998.

Diritto. — 1. - La questione di legittimità costituzionale, sol

levata con diverse ordinanze dal Pretore di Pordenone, ha ad

oggetto gli art. 28, 30 e 36 1. 4 luglio 1967 n. 580, nella parte in cui prescrivono che per la produzione industriale di paste alimentari secche non possono essere utilizzati ingredienti diver

si da quelli da essi stessi indicati o autorizzati con il decreto

del ministro della sanità previsto dall'art. 30.

Ad avviso del giudice a quo, tali disposizioni contrasterebbe

ro con gli art. 3 e 41, 1° comma, Cost. Quanto all'art. 3, il

rimettente denuncia la disparità di trattamento tra i produttori

nazionali, ai quali viene imposto di produrre e vendere in Italia

pasta confezionata unicamente con gli ingredienti autorizzati,

to all'art. 10 Cost., degli art. 12, 28, 29, 30, 34, 36, 44 e 50 1. n.

580 del 1967 nella parte in cui consentono alle imprese che esportano

prodotti italiani nei paesi della Comunità europea di derogare alle pre scrizioni limitative degli ingredienti consentiti per la produzione degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari e viceversa prevedono un

divieto (non derogabile) di importazione degli stessi prodotti dai paesi della Comunità europea.

La citata decisione del 1994 è riportata anche in Dir. comunitario

scambi internai-, 1994, 421, con nota di Capelli, È legittima la «discri

minazione alla rovescia» imposta per tutelare la qualità della pasta ali mentare italiana, nonché in Dir. agr., 1995, 85, con nota di Paoloni, Produzione e vendita di pasta alimentare: quale disciplina normativa?

In tema, v. Cass. 25 maggio 1995, n. 5734, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 43 (la disciplina di cui agli art. 28 e 29 1. 4 luglio 1967

n. 580, relativa alla pasta alimentare destinata al commercio denomina

ta «pasta di semola di grano duro», ha lo scopo di garantire la qualità tradizionale della pasta prodotta in Italia e di incoraggiare la coltura del grano duro, indispensabile per la produzione della pasta avente i

requisiti qualitativi tradizionali; ne consegue che il regolamento Cee 13

giugno 1967 n. 120 ed i successivi regolamenti n. 1492 del 1971, n.

2134 del 1986 e n. 2936 del 1987, avendo il diverso fine di intervenire sul mercato dei cereali per regolarlo e stabilizzarlo, assicurando tra l'al

tro un equo tenore di vita alla popolazione agricola interessata, non

interferiscono, modificandola, sulla disciplina predetta, dovendo le per centuali di tolleranza di grano tenero da essi fissate intendersi riferite unicamente agli interventi sul mercato da essi previsti e non anche alla

disciplina della pasta; nella specie, la Suprema corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza del giudice del merito, il quale aveva ritenuto che il riferimento al grano duro espresso dalla

1. n. 580 del 1967 dovesse intendersi fatto al grano duro contenente una percentuale di grano tenero non superiore al sette per cento, secon

do il limite di tolleranza determinato dal regolamento Cee); Pret. Or

vieto 15 febbraio 1994, ibid., n. 44: al fine di tutelare la produzione italiana, la pasta alimentare può essere prodotta esclusivamente con se

mola di grano duro (o semolato di grano duro) ed acqua, per cui a

tale regola non deve essere assoggettato un prodotto che non riporti la denominazione di pasta, ma un nome di fantasia che faccia riferi

mento alla farina integrale usata per la sua confezione. Sul tema delle c.d. «discriminazioni a rovescio», oggetto della pre

sente sentenza, v. Cannizzaro, Esercizio di competenze comunitarie

e discriminazioni «a rovescio», in Dir. Unione europea, 1996, 351.

Sulle misure di effetto equivalente, v., da ultimo, Corte giust. 5 giu

gno 1997, causa 105/94, Foro it., 1997, IV, 265, con nota di richiami.

[V. Paone]

♦ ♦ *

In un triplice giudizio di legittimità costituzionale, provocato dal Pre

tore di Pordenone, la corte interviene per una nuova configurazione del regime di produzione nazionale di paste alimentari secche, in rela zione ai diversi parametri di riferimento offerti dal diritto comunitario

europeo. Secondo l'avvocatura dello Stato, la disciplina sulla produzione della

pasta mirerebbe a favorire la qualità del prodotto, e quindi la sua affer

mazione sui mercati con beneficio dell'economia nazionale. Tale inter

pretazione — di antico stampo paternalista — va inesorabilmente in

corto, non appena si consideri il quadro comune europeo in cui il no

stro Stato nazionale è inserito, e in particolare il consolidato orienta

mento della Corte di giustizia della Comunità, sull'illegittimità dei limi

ti all'importazione di merci prodotte e messe in commercio secondo

le leggi dello Stato europeo di provenienza (su cui v. Corte giust. 14

luglio 1988, causa 90/86, Foro it., 1989, IV, 233). I produttori nazionali — colpiti da quella che la corte chiama 'discri

minazione a rovescio' — anziché protetti, vengono danneggiati dalla

disciplina italiana, che gli impedisce di adeguarsi agli standards produt tivi della concorrenza europea, attraverso l'introduzione di nuovi ingre dienti nella preparazione delle paste alimentari. In altri termini — la

questione è tutta qui —, se a livello comunitario manca una disciplina

uniforme, e quindi anche se nulla impedisce ai singoli Stati di introdur

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