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sentenza 30 ottobre 1996, n. 363 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 6 novembre 1996, n. 45);...

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sentenza 30 ottobre 1996, n. 363 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45); Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Cons. giust. amm. sic. 16 febbraio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1995) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 705/706-711/712 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191825 . Accessed: 24/06/2014 23:48 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.115 on Tue, 24 Jun 2014 23:48:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 30 ottobre 1996, n. 363 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45);Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Cons. giust.amm. sic. 16 febbraio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 705/706-711/712Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191825 .

Accessed: 24/06/2014 23:48

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

2. - Le due ordinanze di rimessione prospettano, con ampiez za diversa, analoghe questioni. I giudizi, essendo connessi, pos sono essere decisi con unica sentenza.

3. - Dubbi di legittimità costituzionale relativi alla non pro

ponibilità dell'opposizione al pignoramento, nel corso dell'ese

cuzione esattoriale, da parte del coniuge del debitore, in rela

zione ai beni mobili posti nella casa di abitazione del contri

buente, sono stati più volte proposti ed esaminati dalla corte, che ha colto la ragione di questa regola — cui fa eccezione, nella previsione del legislatore, il caso dei beni costituiti in dote

con atto anteriore alla dichiarazione annuale o alla notifica del

l'avviso di accertamento dell'imposta — nell'esigenza di evitare

fraudolente simulazioni per sottrarsi al pagamento delle impo ste (sentenze nn. 42 e 93 del 1964, Foro it., 1964, I, 1534 e

2220; n. 129 del 1968 e n. 107 del 1969, id., 1969, I, 540 e 1629; ordinanze n. 283 del 1984, id., Rep. 1985, voce Riscossio

ne delle imposte, n. 93; nn. 121 e 123 del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 112, 113; n. 374 del 1991, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 103). La preclusione, inquadrata nel sistema delle garan zie patrimoniali dell'obbligazione tributaria, si inserisce nello

speciale procedimento di esecuzione curato dall'ufficiale esatto

riale, nel quale si manifesta il fondamentale interesse di assicu

rare la tempestiva riscossione dei crediti tributari, che concorre

a garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello

Stato (sentenza n. 87 del 1962, id., 1962, I, 1219). Per raggiungere queste finalità, il sistema di riscossione coat

tiva delle imposte prevede l'espropriazione forzata nei confronti

del debitore moroso, curata direttamente dall'esattore con pro cedure semplificate, tali da assicurare speditezza ed incisività

all'esecuzione coattiva, che è assistita da presunzioni in ordine

all'appartenenza dei beni che possono essere sottoposti a pigno ramento e da preclusioni nel sistema delle opposizioni, per pre venire ed escludere fraudolente elusioni.

Riesaminando questa disciplina, la corte, valutandone la ra

gionevolezza anche in relazione al valore costituzionale della fa

miglia, ha di recente precisato, con la sentenza n. 358 del 1994

(id., 1995, I, 2331), che la preminenza dell'esigenza di realizza

re il credito fiscale nella riscossione coattiva delle imposte deve

trovare la sua misura ed un ragionevole limite nella rispondenza alle finalità che la giustificano e che non consentono la soddi

sfazione del credito esattoriale anche mediante l'espropriazione di beni che, con certezza e senza rischio di fraudolente elusioni, non appartengono al contribuente moroso. L'esigenza della tem

pestiva realizzazione dei crediti tributari è soddisfatta dall'espro

priazione dei beni mobili che, per il luogo in cui si trovano, si presume siano del debitore moroso; la stessa esigenza giustifi ca ragionevoli limitazioni sia alla prova contraria a tale presun zione che all'ampiezza dell'opposizione prevista per i terzi i quali affermino di essere proprietari dei beni pignorati. Queste limi

tazioni e preclusioni possono essere, per il coniuge del debitore,

più rigorose rispetto a quelle previste per chi non sia legato al contribuente da alcun vincolo. Ma anche in un quadro nor

mativo che differenzi, con un'ampiezza che il legislatore può discrezionalmente determinare, rispetto a quella degli altri sog

getti la posizione del coniuge, l'improponibilità dell'opposizio ne da parte di quest'ultimo, per i beni pignorati nella casa di

abitazione del debitore, non può essere così assoluta da colloca

re sostanzialmente il coniuge, per tale pignoramento, nella stes

sa posizione del coobbligato. 4. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal

Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima (r.o. n. 118 del 1995), coinvolge nella sua interezza l'art. 52, 2° com

ma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973. Non tocca l'ampiezza dei

limiti che la stessa disposizione già pone alla regola della pre clusione dell'opposizione del coniuge, ma tende a travolgere la

regola stessa, equiparando del tutto la condizione del coniuge a quella dei terzi estranei al debitore e finendo così con l'esclu

dere ogni pur ragionevole limitazione alla sua facoltà di oppo sizione.

In tale ampiezza la questione di legittimità costituzionale, pro

spettata con riferimento all'art. 3 Cost., è infondata. Già con

la sentenza n. 358 del 1994 si è affermato che il legislatore può discrezionalmente differenziare la posizione del coniuge rispetto

a quella degli altri terzi, prevedendo cautele per rivendicazione

di beni pignorati nella casa del debitore e ponendo ragionevoli limitazioni all'opposizione.

Anche con riferimento agli altri parametri di giudizio indicati

li Foro Italiano — 1997 — Parte 7-14.

dal Pretore di Grosseto (art. 24 e 113 Cost.), la questione è

infondata. La corte ha ripetutamente affermato sin dalla sen

tenza n. 42 del 1964 che la disciplina sottoposta a verifica di

legittimità costituzionale non tocca la difesa processuale. 5. - A diverso esito porta la questione sollevata dal Pretore

di Cosenza (r.o. n. 287 del 1995), che prospetta una più limitata

illegittimità dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del

1973, nella parte in cui questa disposizione non prevede che

il coniuge del debitore sottoposto ad esecuzione esattoriale pos sa proporre opposizione di terzo per i beni mobili ad esso per venuti per atto pubblico di donazione di data anteriore a quella di consegna del ruolo all'esattore.

L'improponibilità dell'opposizione al pignoramento da parte del coniuge non può ragionevolmente riferirsi a quei beni che, senza il rischio di impedimenti alla soddisfazione del credito

esattoriale attraverso fraudolente elusioni, non appartengono al

contribuente moroso.

A questa condizione rispondono i beni pervenuti al coniuge

per atto pubblico di donazione, quando tale atto sia anteriore

al verificarsi del presupposto dell'imposta. In quest'ambito, più ristretto rispetto a quello prefigurato del giudice rimettente, la

questione sollevata è fondata. Deve quindi essere dichiarata l'il

legittimità costituzionale dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevede che il coniuge del contribuente o dei coobbligati, per quanto riguarda i mobili

pignorati nella casa di abitazione del debitore o del coobbliga

to, non possa proporre opposizione anche quando si tratti di

beni pervenuti per atto pubblico di donazione anteriore al veri

ficarsi del presupposto dell'imposta. La soluzione della questione attinente alla proponibilità del

l'opposizione rende superfluo l'ulteriore aspetto della questio

ne, prospettato dal giudice rimettente, concernente il potere del

pretore di sospendere la procedura esecutiva in seguito ad op

posizione di terzo (art. 54 d.p.r. n. 602 del 1973), che sussiste

una volta riconosciuta la proponibilità di tale opposizione. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. 29 settembre 1973 (disposizioni sulla riscossione

delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevede che

il coniuge debitore possa proporre opposizione di terzo per i

beni mobili ad esso pervenuti per atto di donazione di data an

teriore al verificarsi del presupposto dell'imposta; b) dichiara

non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973, sollevata, in

riferimento agli art. 24, 1° comma, 3 e 113, 2° comma, Cost., dal Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 ottobre 1996, n. 363

(Gazzetta ufficiale, 1a serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45); Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres.

cons, ministri. Orci. Cons, giust. amm. sic. 16 febbraio 1995

(G.U., la s.s., n. 52 del 1995).

Carabinieri — Cessazione dal servizio continuativo per perdita del grado — Automaticità — Incostituzionalità (Cost., art.

3; 1. 18 ottobre 1961 n. 1168, norme sullo stato giuridico dei

vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinie

ri, art. 12, 34). Pena — Pene militari — Pena accessoria della destituzione —

Automaticità — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 27; cod. pen. mil. pace, art. 33).

Sono incostituzionali gli art. 12, lett. f), e 34, n. 7, l. 18 ottobre

1961 n. 1168, nella parte in cui non prevedono, nei confronti dei vice-brigadieri e dei militari di truppa dei carabinieri, l'in staurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dai

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PARTE PRIMA

servizio continuativo per perdita del grado, conseguente alla

pena accessoria della rimozione. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

33 c.p. mil. pace, nella parte in cui dispone la pena accessoria

della destituzione, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost. (2)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 luglio 1996, n. 239

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 luglio 1996, n. 29); Pres. Ferri, Est. Onida; Pilati, Bove (Avv. Di Lorenzo) c.

Banco di Napoli (Avv. Rizzo); interv. Pres. cons, ministri

(Avv. dello Stato G. O. Russo). Ord. Pret. Nola-Ottaviano

30 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 10 del 1996); Trib. Nola

17 gennaio 1996 (G.U., la s.s., n. 14 del 1996).

Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto

re — Esattorie comunali — Ufficiale di riscossione — Proce

dimento penale — Sospensione automatica dell'autorizzazio

ne — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 27; d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43, istituzione del servizio di riscossione dei tributi

e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi

dell'art. 1, 1° comma, 1. 4 ottobre 1986 n. 657, art. 110).

È incostituzionale l'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43 che

prescrive la sospensione automatica dall'impiego e dall'abili

tazione all'esercizio della funzione di ufficiale di riscossione,

per il funzionario dell'istituto bancario concessionario del ser

vizio di esattoria il quale sia sottoposto a procedimento pena le per falsità nelle relazioni di notifica ed in attesa della defi nizione del procedimento stesso. (3)

I

Diritto. — 1. - Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana dubita, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., della legittimità costituzionale degli art. 12, lett. f), e 34, n.

7, 1. 18 ottobre 1961 n. 1168 (norme sullo stato giuridico dei

vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinieri), e dell'art. 33 c.p. mil. pace, approvato con r.d. 20 febbraio

1941 n. 303. Il collegio rimettente osserva, in primo luogo, che

non sarebbe applicabile alla fattispecie l'art. 9 1. 7 febbraio 1990

n. 19, perché non viene in rilievo, a suo avviso, una sanzione

disciplinare, ma una pena militare accessoria; sempre nel senso

(1-3) Nuovo intervento della corte per eliminare altri automatismi in trodotti dal legislatore nel campo delle misure cautelari e disciplinari nei confronti dei pubblici dipendenti. Oggetto del giudizio di cui alla

prima sentenza in epigrafe (la relativa ordinanza di rimessione trovasi

riassunta, con la data di pubblicazione del 30 giugno 1995, Foro it.,

Rep. 1995, voce Carabinieri, n. 2) erano le norme che disponevano l'automatica cessazione dal servizio continuativo del carabiniere in con

seguenza della pena accessoria della rimozione, comminata nel giudizio penale, senza la valutazione autonoma ed in contraddittorio con l'inte

ressato, della gravità dei fatti e della condanna ai fini della permanenza in servizio del militare: l'incostituzionalità è dichiarata dalla corte in relazione alla diversa situazione esistente per gli altri corpi militari dopo le pronunzie di incostituzionalità di similari disposizioni, richiamate in

motivazione; per ogni riferimento sulle garanzie di difesa imposte dalla Corte costituzionale nei procedimenti disciplinari dei militari e dei pub blici impiegati in genere, v. Corte cost. 24 luglio 1995, n. 356 e 14

aprile 1995, n. 126, Foro it., 1996, I, 797; Cons. Stato, sez. VI, 16

maggio 1996, n. 681, ibid., Ili, 371; sullo stato giuridico delle forze di polizia e dei carabinieri, Cons. Stato, ad. plen., 17 settembre 1996, n. 19, e 21 maggio 1996, n. 4, ibid., III, 549.

Oggetto della seconda sentenza in epigrafe era la norma che impone va automaticamente la sospensione «dall'impiego e dall'abilitazione»

dell'impiegato dell'istituto bancario cui erano state affidate le funzioni di ufficiale di riscossione nell'ambito del servizio esattoriale espletato dalla banca, in conseguenza della semplice apertura di procedimento penale per falsità ideologica in atti pubbli i, senza alcuna possibilità di valutazione dei fatti e della loro rilevanza e senza alcun contradditto rio con l'impiegato. La corte ribadisce principi più volte affermati, in riferimento sia al procei imento disciplinare nel pubblico impiego sia alle misure cautelari di sospensione dall'esercizio di attività professiona li, seconco le pronunzie puntualmente citate in motivazione, fra le qua li si segnala Corte cost. 24 ottobre 1995, n. 447, ibid., I, 15, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1997.

della inapplicabilità varrebbe, poi, la peculiarità dello stato giu ridico dei vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei

carbinieri. La normativa denunciata sarebbe in contrasto con

l'art. 27, 1° e 3° comma, Cost.: la concorrente applicazione delle norme del codice penale e della disciplina speciale, oltre

che dell'art. 33 c.p. mil. pace sottrarrebbe infatti la valutazione

sulla pena accessoria al giudice, rimettendola alla pubblica am

ministrazione; sarebbe violato, altresì, l'art. 3 Cost., non essen

do più soggetti gli altri militari — dopo la sentenza n. 104 del

1991 {Foro it., 1993, I, 66) — all'applicazione automatica della

destituzione.

2. - Per impostare correttamente la questione, occorre preci sare l'ambito di operatività della disciplina introdotta, per l'ar

ma dei carabinieri, dalla 1. n. 1168 del 1961, analogamente a

quanto disposto per l'esercito, la marina e l'aeronautica da altri

atti normativi, e segnatamente dall'art. 70 1. 10 aprile 1954 n.

113, norma già sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale

di questa corte, nei termini che fra poco si richiameranno. Dati

che, invero, non risultano adeguatamente ponderati dal collegio

rimettente, e perciò da approfondire. 3. - Il codice penale militare di pace prevede, nell'ambito del

le pene militari accessorie, la degradazione e la rimozione, ri

spettivamente agli art. 28 e 29. Entrambe hanno carattere per

petuo; la degradazione si applica a tutti i militari e priva radi

calmente il condannato della qualità di militare, la rimozione

colpisce quelli rivestiti di un grado, e comunque appartenenti a una classe superiore all'ultima, e fa discendere il militare con

dannato «alla condizione di semplice soldato o di militare di

ultima classe».

È dunque evidente che la pena accessoria della rimozione, di per sé, non comporta la cessione dal servizio. La misura espul siva trova fondamento nell'art. 12, lett. f), e nell'art. 34, n.

7, 1. n. 1168 del 1961, che stabiliscono la cessazione dal servizio

continuativo per la perdita del grado; quest'ultima segue in par ticolare alla condanna, passata in giudicato, nei casi in cui la

legge penale militare preveda la pena accessoria della rimozione

(v. ancora l'art. 34, n. 7, lett. a, 1. n. 1168 del 1961, norma

richiamata nel preambolo del decreto ministeriale, impugnato nel giudizio a quo, che commina la perdita del grado e la conse

guente cessazione dal servizio continuativo). La perdita del gra do e la cessazione dal servizio non sono quindi inflitte dal giu dice penale, pur essendo consequenziali alla rimozione: esse so

no irrogate dall'autorità amministrativa, con un provvedimento amministrativo.

Questa corte, vagliando le censure di legittimità costituziona

le mosse ad analoga disposizione dettata per gli ufficiali dell'e

sercito, della marina e dell'aeronautica (art. 70 1. n. 113 del

1954, già menzionata), ha sottolineato come l'art. 9, 1° com

ma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19, abbia espunto dall'ordinamento

la destituzione di diritto del pubblico dipendente in seguito a

condanna penale, abrogando ogni contraria disposizione di leg

ge; l'art. 70, n. 5, 1. n. 113 del 1954 risulta pertanto abrogato, con conseguente inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 403 del 1992, id., Rep. 1993, voce

Militare, n. 28; e, in precedenza, ordinanze nn. 113 del 1991,

id., Rep. 1991, voce Carabinieri, n. 2, e 130 del 1990, id., Rep. 1990, voce Militare, n. 23). La corte ha dunque fornito un'am

pia interpretazione dell'art. 9, 1° comma, 1. n. 19 del 1990, anche in considerazione del fatto che tale legge risponde ai prin

cipi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di de

stituzione. Ma il collegio rimettente, basandosi su una recente

decisione del Consiglio di Stato, ritiene inapplicabile alla fatti specie detta disposizione e lamenta la disparità di trattamento

che si viene così a determinare a danno degli appartenenti al

l'arma dei carabinieri (in violazione dell'art. 3), eccependo al

tresì la lesione dell'art. 27 Cost.

Quanto si è detto poc'anzi sulla distinzione fra rimozione e

destituzione, nonché sull'autonomo rilievo della cessazione dal

servizio per perdita del grado — misura espulsiva irrogata dal

l'amministrazione militare — consente di impostare correttamente

il dubbio di costituzionalità delle due disposizioni della 1. n.

1168 del 1961.

4. - La questione è fondata, alla luce dell'art. 3 Cost.

Questa norma non può che ribadire l'illegittimità della desti

tuzione di diritto, e la necessità che si svolga il procedimento

disciplinare al fine di assicurare l'indispensabile gradualità san

zionatoria, riconducendo alla loro sede naturale le relative valu

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tazioni. L'automatismo presente nella normativa denunciata è

illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost., con riguardo, innan

zitutto, al canone della razionalità normativa (sentenza n. 971

del 1988, id., 1989, I, 22, e, poi, fra le varie, le sentenze nn.

415 e 104 del 1991, cit.; 134 del 1992, ibid., 65; 126 del 1995, id., 1996, I, 798). D'altra parte, il trattamento deteriore riserva

to agli appartenenti all'arma dei carabinieri non trova valida

ragione giustificatrice nel loro status militare: questa corte ha

rilevato come la mancata previsione del procedimento discipli

nare, nel vulnerare le garanzie procedurali poste a presidio della

difesa, finisca per ledere il buon andamento dell'amministrazio

ne militare sotto il profilo della migliore utilizzazione delle ri

sorse professionali, oltre che l'art. 3 Cost, (sentenza n. 126 del

1995, cit.). È quindi da dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art.

12, lett. f), e dell'art. 34, n. 7, 1. n. 1168 del 1961, nella parte in cui non prevedono, per la cessazione dal servizio continuati

vo per perdita del grado, conseguente alla pena accessoria della

rimozione, l'instaurarsi del procedimento disciplinare, secondo

i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e sanciti

dall'art. 9 1. n. 19 del 1990. Va da sé che spetta all'amministra

zione militare — valutate le risultanze del procedimento disci

plinare — disporre la perdita del grado e la cessazione dal servi

zio continuativo, ove ne sussistano i presupposti. 5. - È invece infondata la censura mossa, in riferimento agli

art. 3 e 27 Cost., all'art. 33 c.p. mil. pace, dal momento che

la nuova disciplina sulla destituzione dei pubblici dipendenti, di cui all'art. 9 1. n. 19 del 1990, è estranea all'applicazione delle pene accessorie, anche di carattere interdittivo (ordinanze nn. 201 del 1994, id., Rep. 1995, voce Pena, n. 55; 137 del

1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 21, e sentenza n. 197 del

1993, id., 1994, I, 385, di cui v., in particolare, il n. 4 del consi

derato in diritto). Per questi motivi, la Corte costituzionale a) dichiara l'illegit

timità costituzionale dell'art. 12, lett. f), e dell'art. 34, n. 7, 1. 18 ottobre 1961 n. 1168 (norme sullo stato giuridico dei vice

brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinieri), nel

la parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento

disciplinare per la cessazione dal servizio continuativo per per dita del grado, conseguente alla pena accessoria della rimozio

ne; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 33 c.p. mil. pace, approvato con r.d. 20 feb

braio 1941 n. 303, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione sicilia

na, con l'ordinanza in epigrafe.

II

Diritto. — 1. - Le due ordinanze sollevano questioni aventi

identico oggetto e parametri parzialmente coincidenti, onde i

giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia. 2. - Deve in primo luogo disattendersi l'eccezione di inam

missibilità per irrilevanza avanzata dal Banco di Napoli. È vero, infatti, che il provvedimento di revoca dell'autorizza

zione adottato dal procuratore della repubblica si è fondato sul

l'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988, che configura un potere discre

zionale da esercitarsi con atto motivato. Ma — a parte il fatto

che lo stesso procuratore ha mostrato, nel respingere l'istanza

di uno dei ricorrenti, di ritenere tale provvedimento vincolato

in forza dell'art. 110 medesimo d.p.r. — ciò che rileva in que sta sede è che i provvedimenti del datore di lavoro impugnati nei giudizi a quibus erano esplicitamente fondati sull'art. 110, sostanziandosi nella comunicazione che i dipendenti erano so

spesi dall'impiego e dall'abilitazione «ai sensi e per gli effetti

dell'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43», oltre che «delle altre

norme legislative vigenti»; e che i giudici rimettenti hanno con

cordemente ritenuto tale norma la base legale vincolante dei

medesimi provvedimenti impugnati. La valutazione della rilevanza della questione di legittimità

costituzionale, secondo la costante giurisprudenza di questa corte,

spetta in via principale al giudice a quo, e può essere disattesa

in questa sede solo se non plausibilmente motivata o evidente

mente contraddetta dagli atti.

Ora, nella specie, viceversa, i giudici rimettenti hanno com

piuto una valutazione positiva della rilevanza non implausibil

Ii Foro Italiano — 1997.

mente motivata, che dunque questa corte non ha ragione di

disattendere.

Resta naturalmente estraneo all'oggetto del presente giudizio il tema degli effetti che, sul rapporto di lavoro e sull'esercizio

delle funzioni degli ufficiali di riscossione, esplicano in quanto tali i provvedimenti del procuratore della repubblica adottati

ai sensi dell'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988, nonché quello delle

conseguenze che dall'esito del giudizio di costituzionalità del

l'art. 110 possano discendere in ordine alla sorte dei medesimi

provvedimenti. 3. - Per converso, non può accogliersi la richiesta, avanzata

in questa sede dagli impiegati ricorrenti, di coinvolgere nello

scrutinio di costituzionalità anche l'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988.

I limiti della questione proposta sono quelli segnati dalle or

dinanze di rimessione, che prospettano dubbi di costituzionalità

esclusivamente in ordine all'art. 110: ad essi la corte deve atte

nersi in forza della regola sancita dall'art. 27 1. 11 marzo 1953

n. 87, ai cui sensi la corte pronuncia «nei limiti dell'impugna

zione», salvo il potere di dichiarare quali sono le altre disposi zioni legislative «la cui legittimità deriva come conseguenza del

la decisione adottata».

Nella specie, peraltro, le disposizioni degli art. 99 e 110 han

no presupposti, attribuiscono poteri diversi e contemplano atti

aventi effetti giuridici diversi: mentre infatti l'art. 99 prevede

(oltre ad un potere di revoca in ogni tempo, da parte del con

cessionario del servizio, della nomina dell'ufficiale di riscossio

ne) un potere discrezionale di revoca dell'autorizzazione all'e

sercizio delle funzioni, da parte della stessa autorità che l'ha

rilasciata, l'art. 110 prevede invece che l'ufficiale di riscossione

sottoposto a procedimento penale per falsità nelle relazioni di

notifica sia «sospeso dall'impiego e dall'abilitazione in attesa

della definizione del procedimento stesso», configurando quin di una autonoma misura di tipo cautelare ad effetto più ampio

(incidente sull'abilitazione e non solo sul concreto esercizio del

le funzioni, oltre che sull'impiego), operante de iure, e collegata al fatto oggettivo della pendenza del procedimento penale.

4. - Quest'ultima è dunque l'unica norma che deve essere in

questa sede sottoposta a scrutinio di costituzionalità sulla base

degli invocati parametri degli art. 3, 24, 27, 36 e 76 Cost.

La questione è fondata sotto il profilo congiunto degli art.

3 e 27, 2° comma, Cost.

Non può adottarsi qui, propriamente, la stessa ratio deciden

di che questa corte ha posto a base della pronuncia, invocata

nell'ordinanza del Tribunale di Nola, con cui venne dichiarata

la illegittimità costituzionale di norme che prevedevano la desti

tuzione di diritto di pubblici impiegati a seguito di condanna

penale per taluni delitti (sentenza n. 971 del 1988, Foro it., 1989,

I, 22; e v., già prima, la sentenza n. 270 del 1986, id., 1987,

I, 1957; nonché sentenza n. 16 del 1991, id., 1991, I, 1035).

Infatti, in quel caso si trattava di misura sanzionatoria definiti

va, conseguente ad una condanna definitiva, e perciò veniva

in considerazione la irragionevolezza di una sanzione automati

ca e non graduata in relazione ad un apprezzamento concreto

del fatto in sede disciplinare. In questa sede, viceversa, si discute di una misura a carattere

cautelare, discendente, in modo ancora una volta automatico, dalla pendenza di un procedimento penale per reati determinati.

Ora, da un lato, non può negarsi la facoltà del legislatore di contemplare misure cautelari che interdicano l'esercizio di

pubblici uffici o servizi o di determinate attività professionali o imprenditoriali da parte di chi sia sottoposto a procedimento

penale per reati connessi a dette funzioni o attività o comunque suscettibili di incidere su di esse o sulla posizione del loro titola

re: e del resto in tal senso provvedono diverse norme sia dell'or

dinamento processuale penale (art. 289 e 290 c.p.p.), sia del

l'ordinamento amministrativo (cfr., ad. es., art. 91, 1° comma,

d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). Dall'altro lato, collegandosi la misura non già ad una con

danna definitiva, ma alla pendenza del procedimento penale, è necessario, per rispettare il principio costituzionale di presun zion : di non colpevolezza, che la misura medesima sia disposta in base ad effettive esigenze cautelari, sia congrua e proporzio nata rispetto a queste ultime, e comunque non abbia presuppo sti di tale indeterminata ampiezza, e caratteristiche di tale auto

matismo, da configurarsi piuttosto come una vera e propria an

ticipata sanzione in assenza di accertamento di colpevolezza. È sulla base di tale ordine di principi che questa corte, in

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Page 5: sentenza 30 ottobre 1996, n. 363 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 6 novembre 1996, n. 45); Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres. cons. ministri. Ord.

PARTE PRIMA

diverse occasioni, ha censurato norme le quali imponevano il

mantenimento di misure cautelari di sospensione dall'esercizio

di funzioni o attività professionali, collegate dall'adozione di

provvedimenti restrittivi della libertà personale, anche dopo che

tali ultimi provvedimenti fossero venuti meno (cfr. sentenze n.

766 del 1988, id., Rep. 1988, voce Professioni intellettuali, n.

113, con riguardo alla sospensione dall'esercizio della professio ne di dottore commercialista; n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355, con riguardo alla «inabilitazione» di diritto all'esercizio delle

funzioni di notaio; n. 595 del 1990, id., 1992, I, 1008, con ri

guardo alla sospensione dello spedizioniere doganale; cfr. an

che, sui principi di proporzionalità e di adeguatezza in materia

di misure cautelari personali adottate dal giudice, sentenza n.

109 del 1994, id., 1994, I, 1654). All'opposto, la corte ha escluso che leda i principi costituzio

nali la statuizione legislativa (art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio

1990 n. 19) che prevede un termine massimo (quinquennale) di durata della sospensione cautelare facoltativa disposta nei con

fronti del pubblico dipendente «a causa del procedimento pena

le», e la revoca di diritto di tale sospensione dopo la scadenza

del termine: riconoscendo che tale statuizione realizza in modo

non irragionevole il «doveroso bilanciamento» fra l'interesse del

dipendente a riprendere il servizio e quello dell'amministrazione

ad escludere temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale

penda l'imputazione per un grave reato (sentenza n. 447 del

1995, id., 1996, I, 15). 5. - Ora, la sospensione prevista dall'art. 110 d.p.r. n. 43

del 1988 è misura che può certo trovare fondamento nell'esi

genza cautelare, valutata dal legislatore, di inibire temporanea mente la permanenza nell'esercizio di delicate funzioni pubbli che di chi sia indagato o processato per reati specificamente connessi a tale esercizio.

Tuttavia, da un lato, tale sospensione estende i suoi effetti

non alla sola autorizzazione all'esercizio in concreto della fun

zione di ufficiale di riscossione, ma anche all'«abilitazione», e

cioè al titolo tecnico-professionale abilitante all'esercizio di tale

attività, nonché allo stesso rapporto di impiego, e dunque ecce

de, per questo aspetto, l'ambito delle esigenze cautelari che po trebbero giustificarla.

Dall'altro lato, e soprattutto, anche in questo caso si riscon

tra quell'assoluto «automatismo della misura cautelare» (sen tenza n. 40 del 1990, cit.) che confligge con i principi di ragio nevolezza e di proporzionalità, in base ai quali dovrebbe in li

nea generale essere invece «consentito di valutare

discrezionalmente, in relazione alla gravità del fatto e delle sue

circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'op

portunità di applicare o meno la misura cautelare» (ibidem). Tanto più che la sospensione in esame opera in base al presup

posto meramente formale della pendenza del procedimento pe

nale, qualunque sia la fase in cui esso si trova, e non ha altro limite di durata se non quello della definizione del procedimen to medesimo, che può ritardare anche per lungo tempo.

Né il tentativo di restringere in via interpretativa, in base al

canone dell'interpretazione conforme a Costituzione — secon

do le tesi in parte avanzate in questa sede dalla difesa del Banco di Napoli, e che trovano riscontro anche in una isolata pronun cia di merito, fra quelle prodotte in questa sede —, potrebbe far superare le censure di incostituzionalità.

Infatti, anche a voler intendere la sospensione come riferita, nel caso di rapporto di lavoro privatistico, al solo esercizio del

la funzione pubblica, e non al rapporto d'impiego, pure men

zionato dalla disposizione in esame, si tratterebbe pur sempre di una misura cautelare automatica ad effetto interdittivo, inci

dente sulla efficacia della stessa abilitazione tecnico-professionale, svincolata da ogni valutazione del caso concreto ed operante sulla base del semplice presupposto formale della pendenza del

procedimento penale. E anche a intendere in senso restrittivo, a questi effetti, la nozione di pendenza del procedimento pena le, limitandola alle sole ipotesi in cui sia intervenuta la contesta zione di un fatto specifico costituente reato, con esclusione del la mera esistenza di indagini preliminari, restano comunque il

carattere automatico e la durata indeterminata della sospensio ne, indipendentemente da ogni accertamento giudiziale del rea

to medesimo.

In definitiva, non può ritenersi che la norma denunciata ri

sponda ai requisiti minimi necessari perché possa aversi una mi

sura cautelare legittimamente disposta, non contrastante con i

Il Foro Italiano — 1997.

principi di ragionevolezza e di proporzionalità e con la presun zione costituzionale di non colpevolezza dell'imputato fino alla

condanna definitiva.

6. - Restano assorbiti gli altri profili di costituzionalità solle

vati dalle ordinanze di rimessione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 110 d.p.r. 28 gen naio 1988 n. 43 (istituzione del servizio di riscossione dei tributi

e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi

dell'art. 1, 1° comma, 1. 4 ottobre 1986 n. 657).

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1996, n. 311

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Onida; De Martino c. Min. interno. Ord.

Tar Lombardia 10 maggio 1995 (G.U., la s.s., n. 42 del 1995).

Guardia privata e istituti di vigilanza e di investigazione — Guar

dia privata — Approvazione della nomina — Requisiti — Con

dotta politica e morale ottima — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3, 17, 18, 19, 20, 21, 22; r.d. 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art. 138).

È incostituzionale l'art. 138, 1° comma, n. 5, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devo

no possedere le guardie particolari giurate: a) consente di va

lutare la condotta «politica» dell'aspirante; b) richiede una

condotta morale «ottima» anziché «buona»; c) consente di

valutare la condotta morale per aspetti non incidenti sull'at

tuale attitudine ed affidabilità dell'aspirante ad esercitare le

relative funzioni. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione si può leggere anche in Riv. critica dir. lav., 1995, 934. La sentenza, anche per espressa affermazione contenu ta in motivazione, prosegue un indirizzo della Corte costituzionale, da ultimo rappresentato dalle sentenze (tutte riportate in Foro it., 1996, I, 87) 440/93 (incostituzionalità degli art. 11,2° comma, e 43, 2° com

ma, t.u.l.p.s., nella parte in cui ponevano a carico del soggetto richie dente un'autorizzazione di polizia — in particolare, una licenza di por to d'armi — l'onere di provare la propria buona condotta), 107/94

(incostituzionalità dell'art. 6, 1° comma, lett. a d.p.r. 636/72, nella

parte in cui non prevedeva garanzie di contraddittorio per la dichiara zione di decadenza del componente delle commissioni tributarie a segui to di perdita del requisito della buona condotta) e 108/94 (incostituzio nalità dell'art. 26 1. 53/89 e 124, 3° comma, ord. giud., nella parte in cui prevedevano che non potessero essere ammessi nei ruoli della

polizia di Stato e della magistratura ordinaria coloro che, secondo la valutazione insindacabile del ministro degli interni o del Csm, non ap partenevano a famiglia di estimazione morale indiscussa). Nelle ratio nes decidendi delle tre sentenze citate era comunque, in tutto (sentenze 107/94 e 440/93) o in parte (sentenza 108/94, che ha negato anche la legittimità della previsione dell'automatico trasferimento all'interes sato di valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di apparte nenza o a singoli membri della stessa), decisivo il rilievo di elementi e circostanze particolari (l'onere della prova della buona condotta nella sentenza 440/93, l'insindacabilità della valutazione del ministro o del Csm, nella sentenza 108/94 e il difetto del contraddittorio nella senten za 107/94) mentre con la sentenza che si riporta viene affrontato e ri solto in modo diretto e immediato il problema della conformità a Co stituzione della previsione (di una particolare versione) del requisito della buona condotta. La specificità della questione sottoposta all'esame del la corte ha quindi agevolato la scelta della pronuncia di accoglimento, mentre nella sentenza 440/93 si era ritenuto sufficiente ad evitare la caducazione delle norme impugnate l'orientamento giurisprudenziale che, attraverso una interpretazione particolarmente attenta ai valori costitu zionali, ne aveva sostanzialmente limitato l'applicazione.

Più cauto appare invece un altro orientamento della stessa corte, rap presentato dalla sentenza 326/95, ibid., 440, con nota di Matteini, che ha dichiarato infondata (in quanto la revoca dell'autorizzazione non

implicherebbe necessariamente la perdita del posto di lavoro) la que stione di costituzionalità degli art. 11, 3° comma, e 138, 1° comma,

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