sentenza 30 ottobre 1996, n. 363 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45);Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Cons. giust.amm. sic. 16 febbraio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 705/706-711/712Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191825 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
2. - Le due ordinanze di rimessione prospettano, con ampiez za diversa, analoghe questioni. I giudizi, essendo connessi, pos sono essere decisi con unica sentenza.
3. - Dubbi di legittimità costituzionale relativi alla non pro
ponibilità dell'opposizione al pignoramento, nel corso dell'ese
cuzione esattoriale, da parte del coniuge del debitore, in rela
zione ai beni mobili posti nella casa di abitazione del contri
buente, sono stati più volte proposti ed esaminati dalla corte, che ha colto la ragione di questa regola — cui fa eccezione, nella previsione del legislatore, il caso dei beni costituiti in dote
con atto anteriore alla dichiarazione annuale o alla notifica del
l'avviso di accertamento dell'imposta — nell'esigenza di evitare
fraudolente simulazioni per sottrarsi al pagamento delle impo ste (sentenze nn. 42 e 93 del 1964, Foro it., 1964, I, 1534 e
2220; n. 129 del 1968 e n. 107 del 1969, id., 1969, I, 540 e 1629; ordinanze n. 283 del 1984, id., Rep. 1985, voce Riscossio
ne delle imposte, n. 93; nn. 121 e 123 del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 112, 113; n. 374 del 1991, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 103). La preclusione, inquadrata nel sistema delle garan zie patrimoniali dell'obbligazione tributaria, si inserisce nello
speciale procedimento di esecuzione curato dall'ufficiale esatto
riale, nel quale si manifesta il fondamentale interesse di assicu
rare la tempestiva riscossione dei crediti tributari, che concorre
a garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello
Stato (sentenza n. 87 del 1962, id., 1962, I, 1219). Per raggiungere queste finalità, il sistema di riscossione coat
tiva delle imposte prevede l'espropriazione forzata nei confronti
del debitore moroso, curata direttamente dall'esattore con pro cedure semplificate, tali da assicurare speditezza ed incisività
all'esecuzione coattiva, che è assistita da presunzioni in ordine
all'appartenenza dei beni che possono essere sottoposti a pigno ramento e da preclusioni nel sistema delle opposizioni, per pre venire ed escludere fraudolente elusioni.
Riesaminando questa disciplina, la corte, valutandone la ra
gionevolezza anche in relazione al valore costituzionale della fa
miglia, ha di recente precisato, con la sentenza n. 358 del 1994
(id., 1995, I, 2331), che la preminenza dell'esigenza di realizza
re il credito fiscale nella riscossione coattiva delle imposte deve
trovare la sua misura ed un ragionevole limite nella rispondenza alle finalità che la giustificano e che non consentono la soddi
sfazione del credito esattoriale anche mediante l'espropriazione di beni che, con certezza e senza rischio di fraudolente elusioni, non appartengono al contribuente moroso. L'esigenza della tem
pestiva realizzazione dei crediti tributari è soddisfatta dall'espro
priazione dei beni mobili che, per il luogo in cui si trovano, si presume siano del debitore moroso; la stessa esigenza giustifi ca ragionevoli limitazioni sia alla prova contraria a tale presun zione che all'ampiezza dell'opposizione prevista per i terzi i quali affermino di essere proprietari dei beni pignorati. Queste limi
tazioni e preclusioni possono essere, per il coniuge del debitore,
più rigorose rispetto a quelle previste per chi non sia legato al contribuente da alcun vincolo. Ma anche in un quadro nor
mativo che differenzi, con un'ampiezza che il legislatore può discrezionalmente determinare, rispetto a quella degli altri sog
getti la posizione del coniuge, l'improponibilità dell'opposizio ne da parte di quest'ultimo, per i beni pignorati nella casa di
abitazione del debitore, non può essere così assoluta da colloca
re sostanzialmente il coniuge, per tale pignoramento, nella stes
sa posizione del coobbligato. 4. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima (r.o. n. 118 del 1995), coinvolge nella sua interezza l'art. 52, 2° com
ma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973. Non tocca l'ampiezza dei
limiti che la stessa disposizione già pone alla regola della pre clusione dell'opposizione del coniuge, ma tende a travolgere la
regola stessa, equiparando del tutto la condizione del coniuge a quella dei terzi estranei al debitore e finendo così con l'esclu
dere ogni pur ragionevole limitazione alla sua facoltà di oppo sizione.
In tale ampiezza la questione di legittimità costituzionale, pro
spettata con riferimento all'art. 3 Cost., è infondata. Già con
la sentenza n. 358 del 1994 si è affermato che il legislatore può discrezionalmente differenziare la posizione del coniuge rispetto
a quella degli altri terzi, prevedendo cautele per rivendicazione
di beni pignorati nella casa del debitore e ponendo ragionevoli limitazioni all'opposizione.
Anche con riferimento agli altri parametri di giudizio indicati
li Foro Italiano — 1997 — Parte 7-14.
dal Pretore di Grosseto (art. 24 e 113 Cost.), la questione è
infondata. La corte ha ripetutamente affermato sin dalla sen
tenza n. 42 del 1964 che la disciplina sottoposta a verifica di
legittimità costituzionale non tocca la difesa processuale. 5. - A diverso esito porta la questione sollevata dal Pretore
di Cosenza (r.o. n. 287 del 1995), che prospetta una più limitata
illegittimità dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del
1973, nella parte in cui questa disposizione non prevede che
il coniuge del debitore sottoposto ad esecuzione esattoriale pos sa proporre opposizione di terzo per i beni mobili ad esso per venuti per atto pubblico di donazione di data anteriore a quella di consegna del ruolo all'esattore.
L'improponibilità dell'opposizione al pignoramento da parte del coniuge non può ragionevolmente riferirsi a quei beni che, senza il rischio di impedimenti alla soddisfazione del credito
esattoriale attraverso fraudolente elusioni, non appartengono al
contribuente moroso.
A questa condizione rispondono i beni pervenuti al coniuge
per atto pubblico di donazione, quando tale atto sia anteriore
al verificarsi del presupposto dell'imposta. In quest'ambito, più ristretto rispetto a quello prefigurato del giudice rimettente, la
questione sollevata è fondata. Deve quindi essere dichiarata l'il
legittimità costituzionale dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevede che il coniuge del contribuente o dei coobbligati, per quanto riguarda i mobili
pignorati nella casa di abitazione del debitore o del coobbliga
to, non possa proporre opposizione anche quando si tratti di
beni pervenuti per atto pubblico di donazione anteriore al veri
ficarsi del presupposto dell'imposta. La soluzione della questione attinente alla proponibilità del
l'opposizione rende superfluo l'ulteriore aspetto della questio
ne, prospettato dal giudice rimettente, concernente il potere del
pretore di sospendere la procedura esecutiva in seguito ad op
posizione di terzo (art. 54 d.p.r. n. 602 del 1973), che sussiste
una volta riconosciuta la proponibilità di tale opposizione. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 52, 2° comma, lett. b), d.p.r. 29 settembre 1973 (disposizioni sulla riscossione
delle imposte sul reddito), nella parte in cui non prevede che
il coniuge debitore possa proporre opposizione di terzo per i
beni mobili ad esso pervenuti per atto di donazione di data an
teriore al verificarsi del presupposto dell'imposta; b) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
52, 2° comma, lett. b), d.p.r. n. 602 del 1973, sollevata, in
riferimento agli art. 24, 1° comma, 3 e 113, 2° comma, Cost., dal Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 ottobre 1996, n. 363
(Gazzetta ufficiale, 1a serie speciale, 6 novembre 1996, n. 45); Pres. Ferri, Est. Guizzi; Min. difesa c. Mandarà; interv. Pres.
cons, ministri. Orci. Cons, giust. amm. sic. 16 febbraio 1995
(G.U., la s.s., n. 52 del 1995).
Carabinieri — Cessazione dal servizio continuativo per perdita del grado — Automaticità — Incostituzionalità (Cost., art.
3; 1. 18 ottobre 1961 n. 1168, norme sullo stato giuridico dei
vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinie
ri, art. 12, 34). Pena — Pene militari — Pena accessoria della destituzione —
Automaticità — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 27; cod. pen. mil. pace, art. 33).
Sono incostituzionali gli art. 12, lett. f), e 34, n. 7, l. 18 ottobre
1961 n. 1168, nella parte in cui non prevedono, nei confronti dei vice-brigadieri e dei militari di truppa dei carabinieri, l'in staurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dai
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PARTE PRIMA
servizio continuativo per perdita del grado, conseguente alla
pena accessoria della rimozione. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
33 c.p. mil. pace, nella parte in cui dispone la pena accessoria
della destituzione, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost. (2)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 luglio 1996, n. 239
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 luglio 1996, n. 29); Pres. Ferri, Est. Onida; Pilati, Bove (Avv. Di Lorenzo) c.
Banco di Napoli (Avv. Rizzo); interv. Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato G. O. Russo). Ord. Pret. Nola-Ottaviano
30 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 10 del 1996); Trib. Nola
17 gennaio 1996 (G.U., la s.s., n. 14 del 1996).
Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto
re — Esattorie comunali — Ufficiale di riscossione — Proce
dimento penale — Sospensione automatica dell'autorizzazio
ne — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 27; d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43, istituzione del servizio di riscossione dei tributi
e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi
dell'art. 1, 1° comma, 1. 4 ottobre 1986 n. 657, art. 110).
È incostituzionale l'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43 che
prescrive la sospensione automatica dall'impiego e dall'abili
tazione all'esercizio della funzione di ufficiale di riscossione,
per il funzionario dell'istituto bancario concessionario del ser
vizio di esattoria il quale sia sottoposto a procedimento pena le per falsità nelle relazioni di notifica ed in attesa della defi nizione del procedimento stesso. (3)
I
Diritto. — 1. - Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana dubita, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., della legittimità costituzionale degli art. 12, lett. f), e 34, n.
7, 1. 18 ottobre 1961 n. 1168 (norme sullo stato giuridico dei
vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinieri), e dell'art. 33 c.p. mil. pace, approvato con r.d. 20 febbraio
1941 n. 303. Il collegio rimettente osserva, in primo luogo, che
non sarebbe applicabile alla fattispecie l'art. 9 1. 7 febbraio 1990
n. 19, perché non viene in rilievo, a suo avviso, una sanzione
disciplinare, ma una pena militare accessoria; sempre nel senso
(1-3) Nuovo intervento della corte per eliminare altri automatismi in trodotti dal legislatore nel campo delle misure cautelari e disciplinari nei confronti dei pubblici dipendenti. Oggetto del giudizio di cui alla
prima sentenza in epigrafe (la relativa ordinanza di rimessione trovasi
riassunta, con la data di pubblicazione del 30 giugno 1995, Foro it.,
Rep. 1995, voce Carabinieri, n. 2) erano le norme che disponevano l'automatica cessazione dal servizio continuativo del carabiniere in con
seguenza della pena accessoria della rimozione, comminata nel giudizio penale, senza la valutazione autonoma ed in contraddittorio con l'inte
ressato, della gravità dei fatti e della condanna ai fini della permanenza in servizio del militare: l'incostituzionalità è dichiarata dalla corte in relazione alla diversa situazione esistente per gli altri corpi militari dopo le pronunzie di incostituzionalità di similari disposizioni, richiamate in
motivazione; per ogni riferimento sulle garanzie di difesa imposte dalla Corte costituzionale nei procedimenti disciplinari dei militari e dei pub blici impiegati in genere, v. Corte cost. 24 luglio 1995, n. 356 e 14
aprile 1995, n. 126, Foro it., 1996, I, 797; Cons. Stato, sez. VI, 16
maggio 1996, n. 681, ibid., Ili, 371; sullo stato giuridico delle forze di polizia e dei carabinieri, Cons. Stato, ad. plen., 17 settembre 1996, n. 19, e 21 maggio 1996, n. 4, ibid., III, 549.
Oggetto della seconda sentenza in epigrafe era la norma che impone va automaticamente la sospensione «dall'impiego e dall'abilitazione»
dell'impiegato dell'istituto bancario cui erano state affidate le funzioni di ufficiale di riscossione nell'ambito del servizio esattoriale espletato dalla banca, in conseguenza della semplice apertura di procedimento penale per falsità ideologica in atti pubbli i, senza alcuna possibilità di valutazione dei fatti e della loro rilevanza e senza alcun contradditto rio con l'impiegato. La corte ribadisce principi più volte affermati, in riferimento sia al procei imento disciplinare nel pubblico impiego sia alle misure cautelari di sospensione dall'esercizio di attività professiona li, seconco le pronunzie puntualmente citate in motivazione, fra le qua li si segnala Corte cost. 24 ottobre 1995, n. 447, ibid., I, 15, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1997.
della inapplicabilità varrebbe, poi, la peculiarità dello stato giu ridico dei vice-brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei
carbinieri. La normativa denunciata sarebbe in contrasto con
l'art. 27, 1° e 3° comma, Cost.: la concorrente applicazione delle norme del codice penale e della disciplina speciale, oltre
che dell'art. 33 c.p. mil. pace sottrarrebbe infatti la valutazione
sulla pena accessoria al giudice, rimettendola alla pubblica am
ministrazione; sarebbe violato, altresì, l'art. 3 Cost., non essen
do più soggetti gli altri militari — dopo la sentenza n. 104 del
1991 {Foro it., 1993, I, 66) — all'applicazione automatica della
destituzione.
2. - Per impostare correttamente la questione, occorre preci sare l'ambito di operatività della disciplina introdotta, per l'ar
ma dei carabinieri, dalla 1. n. 1168 del 1961, analogamente a
quanto disposto per l'esercito, la marina e l'aeronautica da altri
atti normativi, e segnatamente dall'art. 70 1. 10 aprile 1954 n.
113, norma già sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale
di questa corte, nei termini che fra poco si richiameranno. Dati
che, invero, non risultano adeguatamente ponderati dal collegio
rimettente, e perciò da approfondire. 3. - Il codice penale militare di pace prevede, nell'ambito del
le pene militari accessorie, la degradazione e la rimozione, ri
spettivamente agli art. 28 e 29. Entrambe hanno carattere per
petuo; la degradazione si applica a tutti i militari e priva radi
calmente il condannato della qualità di militare, la rimozione
colpisce quelli rivestiti di un grado, e comunque appartenenti a una classe superiore all'ultima, e fa discendere il militare con
dannato «alla condizione di semplice soldato o di militare di
ultima classe».
È dunque evidente che la pena accessoria della rimozione, di per sé, non comporta la cessione dal servizio. La misura espul siva trova fondamento nell'art. 12, lett. f), e nell'art. 34, n.
7, 1. n. 1168 del 1961, che stabiliscono la cessazione dal servizio
continuativo per la perdita del grado; quest'ultima segue in par ticolare alla condanna, passata in giudicato, nei casi in cui la
legge penale militare preveda la pena accessoria della rimozione
(v. ancora l'art. 34, n. 7, lett. a, 1. n. 1168 del 1961, norma
richiamata nel preambolo del decreto ministeriale, impugnato nel giudizio a quo, che commina la perdita del grado e la conse
guente cessazione dal servizio continuativo). La perdita del gra do e la cessazione dal servizio non sono quindi inflitte dal giu dice penale, pur essendo consequenziali alla rimozione: esse so
no irrogate dall'autorità amministrativa, con un provvedimento amministrativo.
Questa corte, vagliando le censure di legittimità costituziona
le mosse ad analoga disposizione dettata per gli ufficiali dell'e
sercito, della marina e dell'aeronautica (art. 70 1. n. 113 del
1954, già menzionata), ha sottolineato come l'art. 9, 1° com
ma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19, abbia espunto dall'ordinamento
la destituzione di diritto del pubblico dipendente in seguito a
condanna penale, abrogando ogni contraria disposizione di leg
ge; l'art. 70, n. 5, 1. n. 113 del 1954 risulta pertanto abrogato, con conseguente inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 403 del 1992, id., Rep. 1993, voce
Militare, n. 28; e, in precedenza, ordinanze nn. 113 del 1991,
id., Rep. 1991, voce Carabinieri, n. 2, e 130 del 1990, id., Rep. 1990, voce Militare, n. 23). La corte ha dunque fornito un'am
pia interpretazione dell'art. 9, 1° comma, 1. n. 19 del 1990, anche in considerazione del fatto che tale legge risponde ai prin
cipi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di de
stituzione. Ma il collegio rimettente, basandosi su una recente
decisione del Consiglio di Stato, ritiene inapplicabile alla fatti specie detta disposizione e lamenta la disparità di trattamento
che si viene così a determinare a danno degli appartenenti al
l'arma dei carabinieri (in violazione dell'art. 3), eccependo al
tresì la lesione dell'art. 27 Cost.
Quanto si è detto poc'anzi sulla distinzione fra rimozione e
destituzione, nonché sull'autonomo rilievo della cessazione dal
servizio per perdita del grado — misura espulsiva irrogata dal
l'amministrazione militare — consente di impostare correttamente
il dubbio di costituzionalità delle due disposizioni della 1. n.
1168 del 1961.
4. - La questione è fondata, alla luce dell'art. 3 Cost.
Questa norma non può che ribadire l'illegittimità della desti
tuzione di diritto, e la necessità che si svolga il procedimento
disciplinare al fine di assicurare l'indispensabile gradualità san
zionatoria, riconducendo alla loro sede naturale le relative valu
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tazioni. L'automatismo presente nella normativa denunciata è
illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost., con riguardo, innan
zitutto, al canone della razionalità normativa (sentenza n. 971
del 1988, id., 1989, I, 22, e, poi, fra le varie, le sentenze nn.
415 e 104 del 1991, cit.; 134 del 1992, ibid., 65; 126 del 1995, id., 1996, I, 798). D'altra parte, il trattamento deteriore riserva
to agli appartenenti all'arma dei carabinieri non trova valida
ragione giustificatrice nel loro status militare: questa corte ha
rilevato come la mancata previsione del procedimento discipli
nare, nel vulnerare le garanzie procedurali poste a presidio della
difesa, finisca per ledere il buon andamento dell'amministrazio
ne militare sotto il profilo della migliore utilizzazione delle ri
sorse professionali, oltre che l'art. 3 Cost, (sentenza n. 126 del
1995, cit.). È quindi da dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art.
12, lett. f), e dell'art. 34, n. 7, 1. n. 1168 del 1961, nella parte in cui non prevedono, per la cessazione dal servizio continuati
vo per perdita del grado, conseguente alla pena accessoria della
rimozione, l'instaurarsi del procedimento disciplinare, secondo
i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e sanciti
dall'art. 9 1. n. 19 del 1990. Va da sé che spetta all'amministra
zione militare — valutate le risultanze del procedimento disci
plinare — disporre la perdita del grado e la cessazione dal servi
zio continuativo, ove ne sussistano i presupposti. 5. - È invece infondata la censura mossa, in riferimento agli
art. 3 e 27 Cost., all'art. 33 c.p. mil. pace, dal momento che
la nuova disciplina sulla destituzione dei pubblici dipendenti, di cui all'art. 9 1. n. 19 del 1990, è estranea all'applicazione delle pene accessorie, anche di carattere interdittivo (ordinanze nn. 201 del 1994, id., Rep. 1995, voce Pena, n. 55; 137 del
1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 21, e sentenza n. 197 del
1993, id., 1994, I, 385, di cui v., in particolare, il n. 4 del consi
derato in diritto). Per questi motivi, la Corte costituzionale a) dichiara l'illegit
timità costituzionale dell'art. 12, lett. f), e dell'art. 34, n. 7, 1. 18 ottobre 1961 n. 1168 (norme sullo stato giuridico dei vice
brigadieri e dei militari di truppa dell'arma dei carabinieri), nel
la parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento
disciplinare per la cessazione dal servizio continuativo per per dita del grado, conseguente alla pena accessoria della rimozio
ne; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 33 c.p. mil. pace, approvato con r.d. 20 feb
braio 1941 n. 303, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione sicilia
na, con l'ordinanza in epigrafe.
II
Diritto. — 1. - Le due ordinanze sollevano questioni aventi
identico oggetto e parametri parzialmente coincidenti, onde i
giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia. 2. - Deve in primo luogo disattendersi l'eccezione di inam
missibilità per irrilevanza avanzata dal Banco di Napoli. È vero, infatti, che il provvedimento di revoca dell'autorizza
zione adottato dal procuratore della repubblica si è fondato sul
l'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988, che configura un potere discre
zionale da esercitarsi con atto motivato. Ma — a parte il fatto
che lo stesso procuratore ha mostrato, nel respingere l'istanza
di uno dei ricorrenti, di ritenere tale provvedimento vincolato
in forza dell'art. 110 medesimo d.p.r. — ciò che rileva in que sta sede è che i provvedimenti del datore di lavoro impugnati nei giudizi a quibus erano esplicitamente fondati sull'art. 110, sostanziandosi nella comunicazione che i dipendenti erano so
spesi dall'impiego e dall'abilitazione «ai sensi e per gli effetti
dell'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43», oltre che «delle altre
norme legislative vigenti»; e che i giudici rimettenti hanno con
cordemente ritenuto tale norma la base legale vincolante dei
medesimi provvedimenti impugnati. La valutazione della rilevanza della questione di legittimità
costituzionale, secondo la costante giurisprudenza di questa corte,
spetta in via principale al giudice a quo, e può essere disattesa
in questa sede solo se non plausibilmente motivata o evidente
mente contraddetta dagli atti.
Ora, nella specie, viceversa, i giudici rimettenti hanno com
piuto una valutazione positiva della rilevanza non implausibil
Ii Foro Italiano — 1997.
mente motivata, che dunque questa corte non ha ragione di
disattendere.
Resta naturalmente estraneo all'oggetto del presente giudizio il tema degli effetti che, sul rapporto di lavoro e sull'esercizio
delle funzioni degli ufficiali di riscossione, esplicano in quanto tali i provvedimenti del procuratore della repubblica adottati
ai sensi dell'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988, nonché quello delle
conseguenze che dall'esito del giudizio di costituzionalità del
l'art. 110 possano discendere in ordine alla sorte dei medesimi
provvedimenti. 3. - Per converso, non può accogliersi la richiesta, avanzata
in questa sede dagli impiegati ricorrenti, di coinvolgere nello
scrutinio di costituzionalità anche l'art. 99 d.p.r. n. 43 del 1988.
I limiti della questione proposta sono quelli segnati dalle or
dinanze di rimessione, che prospettano dubbi di costituzionalità
esclusivamente in ordine all'art. 110: ad essi la corte deve atte
nersi in forza della regola sancita dall'art. 27 1. 11 marzo 1953
n. 87, ai cui sensi la corte pronuncia «nei limiti dell'impugna
zione», salvo il potere di dichiarare quali sono le altre disposi zioni legislative «la cui legittimità deriva come conseguenza del
la decisione adottata».
Nella specie, peraltro, le disposizioni degli art. 99 e 110 han
no presupposti, attribuiscono poteri diversi e contemplano atti
aventi effetti giuridici diversi: mentre infatti l'art. 99 prevede
(oltre ad un potere di revoca in ogni tempo, da parte del con
cessionario del servizio, della nomina dell'ufficiale di riscossio
ne) un potere discrezionale di revoca dell'autorizzazione all'e
sercizio delle funzioni, da parte della stessa autorità che l'ha
rilasciata, l'art. 110 prevede invece che l'ufficiale di riscossione
sottoposto a procedimento penale per falsità nelle relazioni di
notifica sia «sospeso dall'impiego e dall'abilitazione in attesa
della definizione del procedimento stesso», configurando quin di una autonoma misura di tipo cautelare ad effetto più ampio
(incidente sull'abilitazione e non solo sul concreto esercizio del
le funzioni, oltre che sull'impiego), operante de iure, e collegata al fatto oggettivo della pendenza del procedimento penale.
4. - Quest'ultima è dunque l'unica norma che deve essere in
questa sede sottoposta a scrutinio di costituzionalità sulla base
degli invocati parametri degli art. 3, 24, 27, 36 e 76 Cost.
La questione è fondata sotto il profilo congiunto degli art.
3 e 27, 2° comma, Cost.
Non può adottarsi qui, propriamente, la stessa ratio deciden
di che questa corte ha posto a base della pronuncia, invocata
nell'ordinanza del Tribunale di Nola, con cui venne dichiarata
la illegittimità costituzionale di norme che prevedevano la desti
tuzione di diritto di pubblici impiegati a seguito di condanna
penale per taluni delitti (sentenza n. 971 del 1988, Foro it., 1989,
I, 22; e v., già prima, la sentenza n. 270 del 1986, id., 1987,
I, 1957; nonché sentenza n. 16 del 1991, id., 1991, I, 1035).
Infatti, in quel caso si trattava di misura sanzionatoria definiti
va, conseguente ad una condanna definitiva, e perciò veniva
in considerazione la irragionevolezza di una sanzione automati
ca e non graduata in relazione ad un apprezzamento concreto
del fatto in sede disciplinare. In questa sede, viceversa, si discute di una misura a carattere
cautelare, discendente, in modo ancora una volta automatico, dalla pendenza di un procedimento penale per reati determinati.
Ora, da un lato, non può negarsi la facoltà del legislatore di contemplare misure cautelari che interdicano l'esercizio di
pubblici uffici o servizi o di determinate attività professionali o imprenditoriali da parte di chi sia sottoposto a procedimento
penale per reati connessi a dette funzioni o attività o comunque suscettibili di incidere su di esse o sulla posizione del loro titola
re: e del resto in tal senso provvedono diverse norme sia dell'or
dinamento processuale penale (art. 289 e 290 c.p.p.), sia del
l'ordinamento amministrativo (cfr., ad. es., art. 91, 1° comma,
d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). Dall'altro lato, collegandosi la misura non già ad una con
danna definitiva, ma alla pendenza del procedimento penale, è necessario, per rispettare il principio costituzionale di presun zion : di non colpevolezza, che la misura medesima sia disposta in base ad effettive esigenze cautelari, sia congrua e proporzio nata rispetto a queste ultime, e comunque non abbia presuppo sti di tale indeterminata ampiezza, e caratteristiche di tale auto
matismo, da configurarsi piuttosto come una vera e propria an
ticipata sanzione in assenza di accertamento di colpevolezza. È sulla base di tale ordine di principi che questa corte, in
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PARTE PRIMA
diverse occasioni, ha censurato norme le quali imponevano il
mantenimento di misure cautelari di sospensione dall'esercizio
di funzioni o attività professionali, collegate dall'adozione di
provvedimenti restrittivi della libertà personale, anche dopo che
tali ultimi provvedimenti fossero venuti meno (cfr. sentenze n.
766 del 1988, id., Rep. 1988, voce Professioni intellettuali, n.
113, con riguardo alla sospensione dall'esercizio della professio ne di dottore commercialista; n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355, con riguardo alla «inabilitazione» di diritto all'esercizio delle
funzioni di notaio; n. 595 del 1990, id., 1992, I, 1008, con ri
guardo alla sospensione dello spedizioniere doganale; cfr. an
che, sui principi di proporzionalità e di adeguatezza in materia
di misure cautelari personali adottate dal giudice, sentenza n.
109 del 1994, id., 1994, I, 1654). All'opposto, la corte ha escluso che leda i principi costituzio
nali la statuizione legislativa (art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio
1990 n. 19) che prevede un termine massimo (quinquennale) di durata della sospensione cautelare facoltativa disposta nei con
fronti del pubblico dipendente «a causa del procedimento pena
le», e la revoca di diritto di tale sospensione dopo la scadenza
del termine: riconoscendo che tale statuizione realizza in modo
non irragionevole il «doveroso bilanciamento» fra l'interesse del
dipendente a riprendere il servizio e quello dell'amministrazione
ad escludere temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale
penda l'imputazione per un grave reato (sentenza n. 447 del
1995, id., 1996, I, 15). 5. - Ora, la sospensione prevista dall'art. 110 d.p.r. n. 43
del 1988 è misura che può certo trovare fondamento nell'esi
genza cautelare, valutata dal legislatore, di inibire temporanea mente la permanenza nell'esercizio di delicate funzioni pubbli che di chi sia indagato o processato per reati specificamente connessi a tale esercizio.
Tuttavia, da un lato, tale sospensione estende i suoi effetti
non alla sola autorizzazione all'esercizio in concreto della fun
zione di ufficiale di riscossione, ma anche all'«abilitazione», e
cioè al titolo tecnico-professionale abilitante all'esercizio di tale
attività, nonché allo stesso rapporto di impiego, e dunque ecce
de, per questo aspetto, l'ambito delle esigenze cautelari che po trebbero giustificarla.
Dall'altro lato, e soprattutto, anche in questo caso si riscon
tra quell'assoluto «automatismo della misura cautelare» (sen tenza n. 40 del 1990, cit.) che confligge con i principi di ragio nevolezza e di proporzionalità, in base ai quali dovrebbe in li
nea generale essere invece «consentito di valutare
discrezionalmente, in relazione alla gravità del fatto e delle sue
circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'op
portunità di applicare o meno la misura cautelare» (ibidem). Tanto più che la sospensione in esame opera in base al presup
posto meramente formale della pendenza del procedimento pe
nale, qualunque sia la fase in cui esso si trova, e non ha altro limite di durata se non quello della definizione del procedimen to medesimo, che può ritardare anche per lungo tempo.
Né il tentativo di restringere in via interpretativa, in base al
canone dell'interpretazione conforme a Costituzione — secon
do le tesi in parte avanzate in questa sede dalla difesa del Banco di Napoli, e che trovano riscontro anche in una isolata pronun cia di merito, fra quelle prodotte in questa sede —, potrebbe far superare le censure di incostituzionalità.
Infatti, anche a voler intendere la sospensione come riferita, nel caso di rapporto di lavoro privatistico, al solo esercizio del
la funzione pubblica, e non al rapporto d'impiego, pure men
zionato dalla disposizione in esame, si tratterebbe pur sempre di una misura cautelare automatica ad effetto interdittivo, inci
dente sulla efficacia della stessa abilitazione tecnico-professionale, svincolata da ogni valutazione del caso concreto ed operante sulla base del semplice presupposto formale della pendenza del
procedimento penale. E anche a intendere in senso restrittivo, a questi effetti, la nozione di pendenza del procedimento pena le, limitandola alle sole ipotesi in cui sia intervenuta la contesta zione di un fatto specifico costituente reato, con esclusione del la mera esistenza di indagini preliminari, restano comunque il
carattere automatico e la durata indeterminata della sospensio ne, indipendentemente da ogni accertamento giudiziale del rea
to medesimo.
In definitiva, non può ritenersi che la norma denunciata ri
sponda ai requisiti minimi necessari perché possa aversi una mi
sura cautelare legittimamente disposta, non contrastante con i
Il Foro Italiano — 1997.
principi di ragionevolezza e di proporzionalità e con la presun zione costituzionale di non colpevolezza dell'imputato fino alla
condanna definitiva.
6. - Restano assorbiti gli altri profili di costituzionalità solle
vati dalle ordinanze di rimessione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 110 d.p.r. 28 gen naio 1988 n. 43 (istituzione del servizio di riscossione dei tributi
e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi
dell'art. 1, 1° comma, 1. 4 ottobre 1986 n. 657).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1996, n. 311
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 31 luglio 1996, n. 31); Pres. Ferri, Est. Onida; De Martino c. Min. interno. Ord.
Tar Lombardia 10 maggio 1995 (G.U., la s.s., n. 42 del 1995).
Guardia privata e istituti di vigilanza e di investigazione — Guar
dia privata — Approvazione della nomina — Requisiti — Con
dotta politica e morale ottima — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3, 17, 18, 19, 20, 21, 22; r.d. 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art. 138).
È incostituzionale l'art. 138, 1° comma, n. 5, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devo
no possedere le guardie particolari giurate: a) consente di va
lutare la condotta «politica» dell'aspirante; b) richiede una
condotta morale «ottima» anziché «buona»; c) consente di
valutare la condotta morale per aspetti non incidenti sull'at
tuale attitudine ed affidabilità dell'aspirante ad esercitare le
relative funzioni. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione si può leggere anche in Riv. critica dir. lav., 1995, 934. La sentenza, anche per espressa affermazione contenu ta in motivazione, prosegue un indirizzo della Corte costituzionale, da ultimo rappresentato dalle sentenze (tutte riportate in Foro it., 1996, I, 87) 440/93 (incostituzionalità degli art. 11,2° comma, e 43, 2° com
ma, t.u.l.p.s., nella parte in cui ponevano a carico del soggetto richie dente un'autorizzazione di polizia — in particolare, una licenza di por to d'armi — l'onere di provare la propria buona condotta), 107/94
(incostituzionalità dell'art. 6, 1° comma, lett. a d.p.r. 636/72, nella
parte in cui non prevedeva garanzie di contraddittorio per la dichiara zione di decadenza del componente delle commissioni tributarie a segui to di perdita del requisito della buona condotta) e 108/94 (incostituzio nalità dell'art. 26 1. 53/89 e 124, 3° comma, ord. giud., nella parte in cui prevedevano che non potessero essere ammessi nei ruoli della
polizia di Stato e della magistratura ordinaria coloro che, secondo la valutazione insindacabile del ministro degli interni o del Csm, non ap partenevano a famiglia di estimazione morale indiscussa). Nelle ratio nes decidendi delle tre sentenze citate era comunque, in tutto (sentenze 107/94 e 440/93) o in parte (sentenza 108/94, che ha negato anche la legittimità della previsione dell'automatico trasferimento all'interes sato di valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di apparte nenza o a singoli membri della stessa), decisivo il rilievo di elementi e circostanze particolari (l'onere della prova della buona condotta nella sentenza 440/93, l'insindacabilità della valutazione del ministro o del Csm, nella sentenza 108/94 e il difetto del contraddittorio nella senten za 107/94) mentre con la sentenza che si riporta viene affrontato e ri solto in modo diretto e immediato il problema della conformità a Co stituzione della previsione (di una particolare versione) del requisito della buona condotta. La specificità della questione sottoposta all'esame del la corte ha quindi agevolato la scelta della pronuncia di accoglimento, mentre nella sentenza 440/93 si era ritenuto sufficiente ad evitare la caducazione delle norme impugnate l'orientamento giurisprudenziale che, attraverso una interpretazione particolarmente attenta ai valori costitu zionali, ne aveva sostanzialmente limitato l'applicazione.
Più cauto appare invece un altro orientamento della stessa corte, rap presentato dalla sentenza 326/95, ibid., 440, con nota di Matteini, che ha dichiarato infondata (in quanto la revoca dell'autorizzazione non
implicherebbe necessariamente la perdita del posto di lavoro) la que stione di costituzionalità degli art. 11, 3° comma, e 138, 1° comma,
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