sentenza 30 ottobre 2003, n. 326 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 5 novembre 2003, n. 44);Pres. Chieppa, Est. Contri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Lista Bin) c. Pres. cons. ministri(Avv. dello Stato Fiorilli). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 1 (GENNAIO 2004), pp. 9/10-11/12Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199613 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sendo confortata dal dispositivo dell'ordinanza, in cui il rimet
tente enuncia conclusivamente i termini della proposta questio ne riferendosi alle cause civili conseguenti a «procedimenti in
cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad in
dagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal
reato».
3. - La questione così individuata è inammissibile.
4. - L'art. 11 c.p.p., nel testo originario, prevedeva al 1°
comma che «i procedimenti in cui un magistrato assume la qua lità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal rea
to», che secondo le regole ordinarie «sarebbero attribuiti alla
competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in
cui il magistrato esercita le sue funzioni ovvero le esercitava al
momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente
competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto
di corte di appello più vicino». Mancando per il processo civile una regola di competenza
analoga, vennero proposte questioni di legittimità costituzionale
per ottenere — in via principale — l'estensione del criterio di
competenza territoriale previsto dall'art. 11 c.p.p. a tutte le
controversie civili promosse da o contro magistrati in servizio
nel distretto del giudice adito, e — in via gradatamente subordi
nata — la sua estensione ai giudizi civili relativi a danni derivati
da fatti di rilevanza penale, per i quali magistrati in quella situa
zione fossero indicati come autori, persone offese o danneggiate
(in ogni caso o almeno per la diffamazione a mezzo della stam
pa). Le questioni sono state tutte dichiarate inammissibili dalla
sentenza n. 51 del 1998 (Foro it., 1999, I, 2806), secondo la
quale — attesa la netta distinzione fra processo civile e processo
penale, specie per la disomogeneità degli interessi coinvolti nel
primo in relazione alla varietà delle situazioni giuridiche che di
volta in volta ne sono oggetto —
spetta al legislatore stabilire, nell'esercizio della sua discrezionalità, quando in relazione al
processo civile ricorra un'identità di ratio giustificativa dell'e
stensione della regola dell'art. 11 c.p.p. e quando invece tale
esigenza ricorra in modo diverso o non ricorra affatto, «così da
evitare che vengano sacrificati altri interessi e valori costituzio
nalmente rilevanti», come il diritto di agire e di difendersi in
giudizio; ed a tal fine il medesimo legislatore deve procedere
(secondo ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituziona
li) ad una valutazione di bilanciamento fra l'interesse all'impar zialità-terzietà del giudice civile e quello alla pienezza ed effet
tività della tutela giurisdizionale, con riguardo non al processo civile in genere ma alle sue singole tipologie.
In seguito è intervenuta la 1. n. 420 del 1998, che ha discipli nato la competenza territoriale per i procedimenti riguardanti i
magistrati sia in materia penale (tra l'altro modificando nell'art.
11 c.p.p. i criteri di individuazione della già prevista competen za derogatoria), sia in materia civile (introducendo — con l'art.
9 — nel codice di procedura civile l'art. 30 bis). Di tale nuova disciplina è stata posta in dubbio la conformità
alla Costituzione, ed in particolare è stata proposta questione di
legittimità costituzionale del citato art. 30 bis, in quanto norma
regolatrice della competenza territoriale nei procedimenti ese
cutivi promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto
del giudice competente secondo le regole ordinarie.
Sul punto questa corte — preso atto che con l'art. 30 bis
c.p.c. il legislatore aveva esercitato la propria discrezionalità
estendendo la regola dell'art. 11 c.p.p. a tutte le controversie ci
vili riguardanti magistrati di quel distretto — ha ritenuto che la
norma, nella parte in cui comporta l'applicazione di tale regola al foro dell'esecuzione forzata, ha leso gli art. 3 e 24 Cost., non
avendo proceduto al necessario bilanciamento tra i due interessi
prima ricordati, in relazione alle specifiche particolarità del pro cedimento esecutivo (sentenza n. 444 del 2002, id., 2002, I,
3261). 5. - Il giudice rimettente si sofferma ad illustrare analitica
mente molteplici profili di incostituzionalità della norma impu
gnata che — irragionevolmente assoggettando ad una medesima
regola di competenza tutte, indistintamente, le cause civili in cui
sia parte un magistrato in servizio nel distretto del giudice com
petente secondo i criteri ordinari — comporterebbe a suo avviso
rilevanti limitazioni al diritto di difesa, con ripercussioni anche sulla ragionevole durata del processo, tanto se la qualifica di
magistrato sia rivestita dalla parte attrice, quanto se essa riguar di invece la parte convenuta.
Il Foro Italiano — 2004.
In realtà che l'indiscriminata estensione a tutte le cause civili
del criterio di competenza introdotto dall'art. 11 c.p.p. sia su
scettibile di risolversi — con riferimento a singole tipologie di
controversie — nel «sacrificio» di «interessi e valori costituzio
nalmente rilevanti» è stato puntualmente avvertito da questa corte, sia prima dell'introduzione dell'art. 30 bis c.p.c., sia dopo di essa (rispettivamente, sentenze n. 51 del 1998 e n. 444 del
2002, prima citate). 6. - Peraltro il giudice rimettente — chiamato a decidere una
controversia promossa da un magistrato in servizio nel distretto
per ottenere da un suo conduttore il pagamento di canoni di lo
cazione e il rimborso di spese condominiali — chiede a questa corte non una sentenza dichiarativa dell'illegittimità costituzio
nale della norma impugnata nella parte in cui pone una partico lare regola di competenza per le controversie in materia locati
zia, bensì una pronuncia additiva che restringa radicalmente
l'ambito di applicabilità della regola in esame, limitandola alle
sole cause civili conseguenti a procedimenti in cui un magi
strato, in servizio nel distretto, abbia assunto effettivamente la
qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di
persona offesa o danneggiata da un reato.
I termini della questione risultano quindi parzialmente coin
cidenti con quelli prospettati in via subordinata nel caso deciso
dalla ricordata sentenza n. 51 del 1998.
E perciò la questione — al di là dell'inconferenza del riferi
mento all'art. 25 Cost. — presenta un profilo d'inammissibilità
non dissimile da quello da tale sentenza ravvisato.
7. - Infatti — pur in presenza di una norma con gli indicati
caratteri — non è compito di questa corte decidere che la ratio
di cui all'art. 11 c.p.p. ricorre unicamente per le cause civili
conseguenti a procedimenti penali in cui un magistrato (in ser
vizio nel distretto del giudice competente secondo le regole or
dinarie) abbia assunto una delle qualità prima indicate.
Potrebbero esistere altri casi in cui quella ratio ricorra
ugualmente: ma la loro identificazione resta riservata al legis latore, nel rispetto della ragionevolezza e degli altri principi co
stituzionali.
Conseguentemente la questione di legittimità costituzionale — così come è posta
— è inammissibile.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 bis
c.p.c., sollevata dal Tribunale di Torino, in riferimento agli art.
3, 24 e 25 Cost., con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 ottobre 2003, n.
326 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 novembre 2003, n.
44); Pres. Chieppa, Est. Contri; Regione Emilia-Romagna
(Avv. Lista Bin) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fio
rilli). Conflitto di attribuzione.
Corte costituzionale — Conflitto tra enti — Giudice ammi
nistrativo — Atti amministrativi ripetitivi di leggi regio nali —
Sospensione — Inammissibilità —
Fattispecie
(Cost., art. 24, 117, 127, 134; 1. reg. Emilia-Romagna 12 lu
glio 2002 n. 14, norme per la definizione del calendario ve
natorie regionale; 1. reg. Emilia-Romagna 12 luglio 2002 n.
15, disciplina dell'esercizio delle deroghe previste dalla di
rettiva 79/409/Cee. Modifiche alla 1. reg. 15 febbraio 1994 n. 8, disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio dell'attività venatoria; 1. reg. Emilia-Romagna 20
settembre 2002 n. 22, integrazione alla 1. reg. 12 luglio 2002
n. 15).
È inammissibile, in quanto tendente a realizzare un atipico strumento di impugnazione di una pronuncia giurisdizionale, il conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Emilia
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PARTE PRIMA
Romagna nei confronti dello Stato, in relazione ali 'ordinanza
15 gennaio 2003, n. 90 con cui il Consiglio di Stato, sezione
VI, ha respinto l'appello della regione avverso la decisione
del Tar Emilia-Romagna di sospensione delle delibere regio nali di approvazione del calendario venatorio. (1)
Diritto. — 1. - La regione Emilia-Romagna propone conflitto
di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all'ordi
nanza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 90 del 15 gennaio 2003, con la quale, «tenuto conto dei principi espressi dalla Corte co
stituzionale con la sentenza n. 536 del 2002 (Foro it., 2003, I,
688)», è stato respinto l'appello avverso l'ordinanza di sospen sione delle delibere di approvazione del calendario venatorio
emessa dal Tar Emilia-Romagna, costituenti, secondo la ricor
rente, mera esecuzione e riproduzione dei contenuti delle 1. reg. n. 14 del 12 luglio 2002 (norme per la definizione del calendario
venatorio regionale), n. 15 del 12 luglio 2002 (disciplina del
l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/Cee.
Modifiche alla 1. reg. 15 febbraio 1994 n. 8, disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio dell'attività
venatoria) e n. 22 del 20 settembre 2002 (integrazione della 1.
reg. 12 luglio 2002 n. 15), relativi, in particolare, alla caccia in
deroga e alla caccia di selezione agli ungulati. Secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato, con la su menzio
nata decisione, sia pure assunta in sede cautelare, avrebbe esteso
la dichiarazione d'incostituzionalità di una legge regionale ad
una legge di un'altra regione ed avrebbe ritenuto illegittima la
legge regionale in assenza di una pronuncia della Corte costitu
zionale, violando in tal modo lo status riconosciuto alla regione e il diritto di questa di difendere le proprie leggi dinanzi alla Corte costituzionale. La richiamata ordinanza del Consiglio di
Stato avrebbe altresì sospeso provvedimenti amministrativi co
ti) La regione ricorrente lamentava in particolare che, attraverso la formale sospensione della delibera di approvazione del calendario ve
natorio, il giudice amministrativo veniva in sostanza a sospendere l'ef ficacia di leggi regionali, di cui la suddetta delibera era mera ripetizio ne, dal momento che i vizi fatti valere erano direttamente imputabili alle leggi. La regione notava inoltre come la decisione del Consiglio di Stato impugnata faceva applicazione dei principi fissati dalla Corte co stituzionale nella sent. 536/02 (di cui infra) con riferimento alla regione Sardegna, rilevando come così facendo si veniva illegittimamente ad estendere anche alle leggi della regione Emilia-Romagna la dichiara zione di incostituzionalità pronunciata nei confronti di altra regione e senza che la ricorrente avesse potuto partecipare al giudizio costituzio nale.
La Corte costituzionale, richiamandosi alla propria consolidata giuris prudenza, dichiara inammissibile il conflitto, osservando che diversa mente il giudizio costituzionale verrebbe a trasformarsi in un nuovo
grado di giurisdizione che si andrebbe ad aggiungere ai rimedi per far valere eventuali vizi o errori di giudizio già previsti dall'ordinamento
processuale nel quale l'atto di giurisdizione concretamente si iscrive. Corte cost. 20 dicembre 2002, n. 536 (Foro it., 2003,1, 688, con nota
di richiami e osservazioni di Lombardi, Ferrara e Olivetti Rason) ha dichiarato l'incostituzionalità della 1. reg. Sardegna 7 febbraio 2002 n.
5, che consentiva l'attività venatoria dalla terza domenica di settembre fino al 28 febbraio dell'anno successivo. Rifacendosi ai principi espres si in tale pronuncia la Corte costituzionale ha successivamente dichia rato incostituzionali l'art. 29, 2°, 4°, 7° e 9° comma, 1. prov. Trento 9 dicembre 1991 n. 24, come sostituito dall'art. 32 1. prov. Trento 23 feb braio 1998 n. 3, nella parte in cui prevedeva specie cacciabili diverse e
periodi venatori più ampi rispetto a quelli stabiliti dall'art. 18 1. 157/92, nonché l'art. 38. 2° comma, I. reg. Puglia 21 maggio 2002 n. 7, nella
parte in cui indicava le specie di uccelli cacciabili dalla terza domenica di settembre all'ultimo giorno di febbraio (sent. 4 luglio 2003, nn. 227 e 226, ibid., 2882, con nota di richiami).
Per la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui atti giuris dizionali possono formare oggetto di conflitto tra enti, purché la regio ne denunci l'assoluta carenza di giurisdizione e non un mero errore in
iudicando, in quanto diversamente il ricorso si risolverebbe in un ulte riore grado di giudizio ed in un mezzo improprio di censura circa l'esercizio della funzione giurisdizionale, v. Corte cost. 24 luglio 2003, n. 276, G.U., la s.s., n. 30 del 2003; 4 febbraio 2003, n. 29, Foro it., 2003,1, 1323, con nota di richiami e osservazioni di Romboli.
In ordine a conflitti tra lo Stato e la regione aventi ad oggetto atti
giurisdizionali, v. pure Corte cost. 25 luglio 2001, n. 292, id., 2002, I, 328, con nota di richiami e osservazioni di D'Auria; 23 luglio 2001, n. 276, id., 2001, I, 3027, con nota di richiami; 20 novembre 2000, n. 511, ibid., 17, con nota di richiami ed osservazioni di Romboli e di L. Azze NA.
Il Foro Italiano — 2004.
stituenti mera ripetizione di disposizioni legislative, per vizi di
illegittimità attribuiti alle leggi regionali, pur in assenza del
l'impugnazione di queste dinanzi alla Corte costituzionale, pro ducendo in sostanza l'effetto della sospensione delle leggi re
gionali. La regione lamenta pertanto la violazione degli art. 24, 117,
127, 1° comma, e 134 Cost., chiedendo che sia dichiarato «che
non spetta alla competenza del giudice amministrativo il potere di sospendere atti amministrativi meramente ripetitivi di dispo sizioni di leggi regionali per vizi di illegittimità imputabili a queste ultime».
2. - Il conflitto non è ammissibile.
Come costantemente affermato da questa corte, gli atti giuris dizionali sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto
di attribuzione tra regione e Stato, oltre che tra poteri dello Sta
to, quando sia contestata radicalmente la riconducibilità del
l'atto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale ovvero sia messa in questione l'esistenza stessa del potere giuris dizionale nei confronti del soggetto ricorrente. Il conflitto è in
vece inammissibile qualora si risolva in strumento improprio di
censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo contro gli errori in indicando di diritto sostanziale o
processuale i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti
processuali delle diverse giurisdizioni (da ultimo, sentenze n.
276 del 2003 e n. 27 del 1999, id., 1999,1, 1116). Nel caso ora all'esame di questa corte va anzitutto precisato
che, sotto il profilo formale, non v'è stata espressa disapplica zione di leggi regionali ma sospensione delle delibere provin ciali del calendario venatorio assunte in base ad esse. Non ricor
rono pertanto le condizioni che hanno condotto questa corte, nella sentenza n. 285 del 1990 (id., 1991,1, 2346), ad annullare
una sentenza della Cassazione con la quale erano state espres samente disapplicate leggi regionali.
Sotto il profilo sostanziale occorre sottolineare che il ricorso
esperito davanti al Tar comprende una pluralità di censure, an
che riguardanti la violazione di legge regionale e che la decisio
ne del Consiglio di Stato, emessa in appello promosso contro
l'ordinanza di sospensione del Tar, non è motivata esclusiva
mente con riferimento ai principi espressi nella sentenza n. 536
del 2002 di questa corte, ma anche in relazione all'esistenza del
pregiudizio irreparabile, avendo condiviso quel giudice le con
siderazioni espresse sul punto in primo grado dal Tar.
D'altra parte, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorren
te, la formula utilizzata nell'atto all'origine del conflitto — «te
nuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 536 del 2002» — non può essere di per sé intesa
come implicante un'estensione, di per sé inammissibile, della
dichiarazione d'incostituzionalità di una legge regionale ad una
legge di un'altra regione. Quest'ultima ipotesi si sarebbe verifi
cata qualora il Consiglio di Stato avesse espressamente ritenuto
costituzionalmente illegittime le leggi regionali in base alle
quali sono state adottate le delibere provinciali, sostituendosi in tal modo al giudizio di questa corte in violazione dell'art. 134
Cost.
In base alle considerazioni che precedono il ricorso proposto dalla regione Emilia-Romagna si traduce in strumento atipico
d'impugnazione dell'ordinanza del Consiglio di Stato, con la
conseguenza che il relativo conflitto va dichiarato inammissibi
le, trasformandosi, altrimenti, il giudizio costituzionale in un
nuovo grado di giurisdizione avente portata generale che si an
drebbe ad aggiungere ai rimedi per far valere eventuali vizi o er
rori di giudizio già previsti dall'ordinamento processuale nel
quale l'atto di giurisdizione concretamente si iscrive (sentenze n. 276 del 2003 e n. 27 del 1999).
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile il conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Emilia
Romagna nei confronti dello Stato, in relazione all'ordinanza
del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 90 del 15 gennaio 2003, con il ricorso indicato in epigrafe.
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