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sentenza 7 gennaio 2005; Giud. Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc. Bracco...

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sentenza 7 gennaio 2005; Giud. Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc. Bracco (Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco) Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 2251/2252-2255/2256 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23202133 . Accessed: 25/06/2014 01:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 01:36:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 7 gennaio 2005; Giud. Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc. Bracco (Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco)

sentenza 7 gennaio 2005; Giud. Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc. Bracco(Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 2251/2252-2255/2256Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202133 .

Accessed: 25/06/2014 01:36

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PARTE PRIMA 2252

bere, nel più ampio quadro del potenziamento dell'autonomia

societaria.

A tal fine, la legge delega aveva imposto di «individuare le

ipotesi di invalidità», al fine di escludere invalidità atipiche. Il legislatore delegato ha quindi provveduto, tra l'altro, a:

— enumerare tassativamente i casi di nullità delle delibera

zioni (per mancata convocazione dell'assemblea, per mancanza

del verbale, per impossibilità o illiceità dell'oggetto, per modi

fica dell'oggetto sociale con previsione di attività illecite o im

possibili: art. 2379 c.c.), introducendo altresì ipotesi di esclu

sione o di sanatoria della nullità per mancata convocazione del

l'assemblea e per mancanza del verbale al cospetto delle circo

stanze contemplate dagli art. 2379, 3° comma, e 2379 bis c.c.; —

moltiplicare le ipotesi di annullabilità delle delibere, me

diante la conversione delle cause di nullità o d'inefficacia in

cause di annullabilità.

Gli interessi in conflitto sono stati valutati ex ante e le san

zioni sono state dosate in relazione a tali valutazioni; la nullità è

stata calibrata soltanto sulle ipotesi più gravi, in cui particolar mente netta è la preminenza degli interessi generali o della col

lettività dei soci. e. - In particolare, il regime della deliberazione assembleare

adottata con abuso del diritto di voto o in conflitto d'interessi,

e.l. - Nella prospettazione dell'attrice la delibera impugnata estrinseca «... un marchiano abuso e/o eccesso di potere della

maggioranza sulla inerte socia di minoranza» nonché, nella

parte relativa alla determinazione del compenso, evidenzia un

«manifesto conflitto d'interessi». Segnale inequivoco della di

storsione del diritto di voto consisterebbe nella previsione del

sovrapprezzo, in violazione della ratio a tale istituto sottesa.

e.2. - Testuale è la sanzione dell'annullabilità, ex art. 2373

c.c., della delibera viziata da conflitto d'interessi.

Quanto alla deliberazione di aumento del capitale, la giuris

prudenza ne ha in più occasioni, anche in epoche risalenti, af

fermato l'invalidità, nel caso in cui essa sia preordinata all'uni

co scopo di ridurre la quota di partecipazione di un socio di mi

noranza (Cass. 12 maggio 1951, n. 1177, id., 1951, I, 594; 7

febbraio 1963, n. 195, id., 1963,1, 685; App. Milano 21 novem

bre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., n. 262); l'abuso di voto è

stato costruito come violazione del principio di esecuzione del

contratto secondo buona fede.

e. 3. - In ogni caso, già nel periodo antecedente alla riforma, la

giurisprudenza ha ritenuto una tale deliberazione annullabile a

norma dell'art. 2377 (Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 559; Trib. Milano 2 giugno 2000, id., 2000,1, 3638; Trib. Piacenza 25 maggio 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 433).

e.4. - Una tale conclusione va ribadita alla luce della riforma

del sistema delle invalidità, non ricorrendo alcuno dei tassativi

casi contemplati dall'art. 2379.

Del resto, mostra di aderire alla qualificazione di annullabilità

la stessa attrice (v. le conclusioni della citazione e la prospetta zione in chiave di nullità soltanto in via subordinata).

e.5. - In sintesi:

1) gli interessi della socia di minoranza astrattamente violati

dalla delibera impugnata non sono preponderanti rispetto al

l'interesse della società ed a quello del mercato;

2) la natura degli interessi astrattamente violati induce a

qualificare i corrispondenti diritti come disponibili; 3) la disponibilità dei diritti li rende transigibili e rende defe

ribile agli arbitri la relativa controversia, a norma dell'art. 34, 1° comma, d.leg. 5/03.

/. - Il potere cautelare dell'arbitro. f.\. - Il 5° comma dell'art.

35 stabilisce che, in caso di controversia avente ad oggetto la

validità di delibere assembleari, «... agli arbitri compete sem

pre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la so

spensione dell'efficacia della delibera».

f. 2. - Sembrerebbe che un tale potere spetti agli arbitri in via

esclusiva.

Depongono in questo senso: — sul piano letterale, l'impiego dell'avverbio «sempre»; — sul piano della ratio, la circostanza che, in tema d'impu

gnazione di delibere assembleari, sovente l'utilità della pronun cia si esaurisce con la fase cautelare; il riconoscimento di un

concorrente potere cautelare del giudice togato comporterebbe un'indebita interferenza di quest'ultimo. Sembra rispondere alla

medesima ratio l'esclusione della possibilità di reclamo, intesa

Il Foro Italiano — 2006.

ad evitare che l'operato dell'arbitro sia sottoposto al vaglio dei

giudici statuali; — sul piano sistematico, il dato che il legislatore identifichi

il giudice della cautela in corso di causa con quello competente

per la causa pendente per il merito (ex art. 669 quater, 1° com

ma, c.p.c.).

fi. -

Rimangono al giudice ordinario soltanto alcuni segmenti d'intervento, con particolare riferimento al periodo che va dalla

proposizione della domanda arbitrale alla formazione del colle

gio giudicante o all'accettazione dell'arbitro.

Nel caso in esame, essendo iniziato il procedimento arbitrale, il potere cautelare di sospendere la delibera impugnata spetta al

l'arbitro designato.

f. 4. - La questione relativa alla sussistenza di un arbitrato è di

merito e non di competenza (v., in termini, Cass. 3 settembre

2003, n. 12855, id., Rep. 2003, voce Competenza civile, n. 174). Ne discende il rigetto della domanda cautelare proposta da

Noemi De Biase.

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 7 gennaio 2005; Giud.

Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc.

Bracco (Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco).

TRIBUNALE DI MILANO;

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo — Accor

do aziendale — Criteri di scelta — Prossimità al pensio namento — Nullità (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in ma

teria di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupa zione, attuazione di direttive della Comunità europea, avvia

mento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del

lavoro, art. 1, 4, 5; d.leg. 9 luglio 2003 n. 216, attuazione

della direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in mate

ria di occupazione e di condizioni di lavoro, art. 2, 6).

E nullo, perché indirettamente discriminatorio, l'accordo

aziendale che adotti il criterio di scelta dei lavoratori da li

cenziare ancorato alla prossimità a! pensionamento. ( 1 )

(1) I. - Non constano precedenti in termini. La sentenza in epigrafe (riportata anche in Lavoro giur., 2005, 1166,

con nota di Giansanti) fa leva sul principio di non discriminazione in

ragione dell'età introdotto dal d.leg. n. 216 del 2003, rimarcando che l'adozione come criterio di scelta dei lavoratori da licenziare della loro

prossimità al pensionamento comporta una situazione di svantaggio, indirettamente discriminatoria, per i lavoratori di età più elevata.

Contra, per la legittimità del criterio di scelta della prossimità al pen sionamento, v. Cass. 28 novembre 2005, n. 25087, Foro it.. 2006. I, 733, con nota di richiami, cui adde, per la giurisprudenza di merito, in motivazione, Trib. Milano 22 agosto 2005, Lavoro giur., 2006, 397.

II. - La recente sequela di decreti legislativi di recepimento di diretti ve comunitarie non si limita a rinvigorire la tutela antidiscriminatoria e,

quindi, ad estendere le fattispecie di illiceità negoziale, ma mira ad af fermare l'esistenza del principio di parità di trattamento sui luoghi di lavoro e quindi, sembrerebbe, di una condotta positiva del datore di la voro.

S'inscrivono nel novero dei decreti di attuazione: — i d.leg. 9 luglio 2003 n. 216 e n. 215, recanti rispettivamente «at

tuazione della direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in mate ria di occupazione e di condizioni di lavoro» e «attuazione della diretti va 2000/43/Ce per la parità di trattamento tra le persone indipendente mente dalla razza e dall'origine etnica»;

— il d.leg. 30 maggio 2005 n. 145 (attuazione della direttiva 2002/73/Ce in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le don

ne), che integra le azioni positive contemplate dalla 1. 10 aprile 1991 n. 125 per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.

Significativa è, da ultimo, la 1. 1° marzo 2006 n. 67, che, coniugando affermazioni di principio ed esigenze di effettività, detta «misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazio ni».

In dottrina, sulla nuova normativa antidiscriminatoria, Izzi, Discri

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di

Milano, quale giudice del lavoro, depositato in cancelleria in

data 5 agosto 2004, Aldo Saroldi, dal 3 settembre 1974 dipen dente della s.p.a. Bracco, da ultimo come impiegato con funzio

ni direttive, inquadrato nel livello B1 del c.c.n.l. aziende chimi

co-farmaceutiche, responsabile dal 1989 della funzione relativa

alla gestione e al controllo delle procedure amministrative ine

renti i rapporti coi depositari (vigilanza e controllo, rapportistica e statistica, cura del rispetto della normativa fiscale, tenuta dei

minazione senza comparazione? Appunti sulle direttive comunitarie di «seconda generazione», in Giornale dir. lav. relazioni ind., 2003, 423; Mantelero, Note minime sull'attuazione delle direttive comunitarie 2000/43/Ce e 2000/78/Ce in materia di parità di trattamento, in Con tratto e impr.-Europa, 2003, 709; Amato, Le nuove direttive comunita rie sul divieto di discriminazione. Riflessioni e prospettive per la rea

lizzazione di una società multietnica, in Lavoro e dir., 2003, 127; Bar

bera, Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidi

scriminatorio, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 2003, 399; Fiorita, Le direttive comunitarie in tema di lotta alla discriminazione, la loro

tempestiva attuazione e l'eterogenesi dei fini, in Quaderni dir. e politi ca ecclesiastica, 2004, 361; De Simone, La nozione di discriminazione diretta e indiretta, in Barbera (a cura di), La riforma delle istituzioni e

degli strumenti delle politiche di pari opportunità (d.leg. 23 maggio 2000 n. 196), in Nuove leggi civ., 2004, 221; Rizzo, Il recepimento ita liano delle direttive comunitarie n. 43 deI 29 giugno 2000 e n. 78 del 27 novembre 2000, in Riv. critica dir. lav., 2004, 221; Carinci, Il giu stificato motivo oggettivo nel rapporto di lavoro subordinato, Padova, 2005, passim; Amato, Il divieto di discriminazione per motivi non di

genere in materia di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2005, I, 271. In una prospettiva più generale, v. Romeo, Riflessioni sul confronto

tra diritto civile e diritto del lavoro a proposito delle tutele per i sog getti più deboli, in Lavoro giur., 2005, 205.

III. - In generale, ma con formule generiche, sul rispetto del limite di non discriminazione in tema di licenziamento collettivo, v. Cass. 7 giu gno 2003, n. 9153, Foro it.. Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1799

(e Notiziario giurisprudenza lav., 2004, 80); 6 maggio 2000, n. 5735, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n. 1812 (e Nuovo dir., 2002, 1057, con nota di Mari). In motivazione, v. anche Corte cost. 30 giugno 1994, n.

268, Foro it., 1994,1, 2307. Deve rispettare il divieto di discriminazioni anche la scelta dei lavo

ratori da collocare in cassa integrazione guadagni: Cass. 5 giugno 2003, n. 8998, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1531 (e Riv. it. dir. lav., 2004, II,

104, con nota di Boni). In tema, v. i richiami contenuti nella nota che correda Cass. 5 dicembre 2005, n. 26356, Foro it., 2006,1, 726.

IV. - In materia di somministrazione di lavoro, un'inquietante deroga del principio di parità di trattamento economico e normativo, stabilito dal 1° comma dell'art. 23 d.leg. n. 276 del 2003 per i dipendenti del somministratore rispetto ai dipendenti di pari livello dell'utilizzatore è

contemplata in relazione ai lavoratori svantaggiati (ex art. 13, 1° com

ma, lett. a, e 23, 2° comma). La deroga sembrerebbe in contrasto col

principio di non discriminazione per ragioni di salute. In argomento, Perrino, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova, 2004,

516. Per un'ipotesi di discriminazione per ragioni politiche dell'utilizza

tore del lavoratore somministrato, v. Trib. Potenza, ord. 21 marzo 2005, Lavoro giur., 2005, 871, con nota di Saffioti.

Sulle possibili connessioni ed interferenze tra normativa antidiscri minatoria e tutela avverso il mobbing, v. Perrino, Danno da «mob

bing»: perplessità sulla categoria (nota a Cass. 23 marzo 2005, n.

6326, Trib. Bergamo 20 giugno 2005 e Trib. Marsala 5 novembre

2004), in Foro it., 2005, I, 3356. V. - In base alle categorie tradizionali del diritto dei contratti la giu

risprudenza ha sinora escluso l'operatività del principio di parità di

trattamento al di fuori delle ipotesi legali e tipizzate di discriminazioni vietate: Cass. 18 agosto 2004, n. 16179, id., Rep. 2004, voce cit., n.

1184; 27 maggio 2004, n. 10195, ibid., n. 1185; 26 aprile 2004, n.

7907, ibid., n. 1187; 17 maggio 2003, n. 7752, ibid., n. 1391 (e Riv.

giur. lav., 2004, II, 584, con nota di Vitaletti); 8 gennaio 2002, n. 132.

Foro it., 2002,1, 1033. È affermata l'operatività del principio nelle sole ipotesi in cui il da

tore di lavoro debba procedere ad una scelta in base a meccanismi con

corsuali o selettivi: Cass. 18 agosto 2004, n. 16179, cit.; 21 giugno 2004, n. 11496, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1098.

Nella giurisprudenza comunitaria, sulla parità di trattamento tra uo

mini e donne ai fini dell'accesso al lavoro, v. Corte giust. 18 novembre

2004, causa C-284/02, id., 2005, IV, 466. VI. - Sembrerebbe invece che il principio di parità di trattamento sia

approdato nel lavoro pubblico grazie all'art. 45, 2° comma, d.leg. n.

165 del 2001. Sulla portata espansiva della regola fissata dall'art. 45, v.

Perrino, Mansioni del lavoratore pubblico e poteri della pubblica am

ministrazione (nota a Cass., sez. un., ord. 27 gennaio 2005, n. 1624, 21

maggio 2004, n. 9747, e Trib. Napoli 16 gennaio 2004), ibid., I, 1367.

Il Foro Italiano — 2006.

rapporti esterni all'ufficio, ecc.; compiti che con l'informatizza

zione di molte funzioni amministrative si erano progressiva mente ridotti nel tempo), ha impugnato il licenziamento comu

nicatogli con lettera del 24 febbraio 2004, a seguito di una pro cedura di riduzione del personale ex lege n. 223 del 1991 av

viata il 24 marzo dell'anno precedente, sostenendone l'illegit timità sotto diversi profili e chiedendone l'annullamento con le

conseguenze tutte di cui all'art. 18 dello statuto dei lavoratori, come modificato dall'art. 1 1. n. 108 del 1990.

Con gli accessori di legge e con vittoria di spese. Costituendosi ritualmente in giudizio, la società ha contestato

la fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. All'udienza di discussione, tentata inutilmente la conciliazio

ne, interrogate liberamente le parti e acquisita la documentazio

ne offerta, la causa, precisate le conclusioni, è stata oralmente

discussa e decisa.

Motivi della decisione. — 1. - Nell'ambito della procedura di

mobilità avviata dalla Bracco in data 24 marzo 2003 con la de

nuncia dell'eccedenza di novantasette dipendenti, era stato rag

giunto in data 13 maggio 2003 un accordo tra le organizzazioni sindacali e la società nel senso che questa avrebbe proceduto tra

il 13 giugno 2003 e il 17 febbraio 2004 alla risoluzione del rap

porto di lavoro nei confronti di ottanta dipendenti. Quale crite

rio di scelta per l'individuazione dei lavoratori da collocare in

mobilità, le parti avevano concordato «quello del possesso dei

requisiti pensionistici o del loro raggiungimento nell'arco di

tempo previsto di permanenza in mobilità. Le parti concordano,

a tale proposito, che in presenza di riconosciuta fungibilità pro fessionale o del suo conseguimento attraverso idonei processi formativi, la collocazione in mobilità dei lavoratori in possesso del requisito concordato potrà riguardare anche profili profes sionali non annoverati in fase di avvio della procedura».

Il ricorrente rientra appunto tra coloro che non sono ricondu

cibili ad alcuno dei profili professionali indicati come eccedenti

in sede di avvio della procedura di mobilità, e tuttavia è stato li

cenziato il 24 febbraio 2004 con conseguente collocazione in

mobilità. Egli è nato il 9 luglio 1946 e quindi al momento del licenzia

mento aveva 57 anni di età e 39 anni di anzianità contributiva;

pertanto era unicamente in possesso dei requisiti per il pensio namento di anzianità e non per quello di vecchiaia.

2. - Il ricorrente sostiene in primo luogo la nullità parziale dell'accordo sulla riduzione del personale raggiunto tra organiz zazioni sindacali e la Bracco in data 13 maggio 2003, nella parte in cui prevede la possibilità di licenziamento di personale non

riconducibile ai profili professionali inizialmente indicati come

eccedenti e quindi sostanzialmente individua illegittimamente nella pensionabilità il criterio (soggettivo) di individuazione

delle eccedenze di personale. L'obiezione così come esposta non convince.

Volta che, secondo la giurisprudenza prevalente e anche di

questo giudice, i criteri di scelta del personale da porre in mobi

lità vanno individuati e applicati «in relazione alle esigenze tec

nico-produttive ed organizzative del complesso aziendale» (art.

5, 1° comma, 1. n. 223), l'ambito in cui essi operano si identifica

con l'intero complesso aziendale, indipendentemente dal settore

dichiarato in eccedenza ed eventualmente anche dai profili pro fessionali inizialmente individuati come eccedenti.

Diversamente opinando, dovrebbe ritenersi illegittimo anche

uno dei criteri di scelta più largamente diffuso e di minor im

patto impositivo (e quindi sicuramente favorito dall'ordini

mento in materia), quale quello della volontarietà (a volte anche

assoluta, oltre che per qualifica o per profilo professionale). Nel caso di specie, poi, un collegamento col criterio obiettivo

dell'eccedenza e quindi con le esigenze che hanno condotto alla

riduzione è mantenuto attraverso il riferimento ai profili ecce

denti e a quelli con essi fungibili. Né tale criterio finisce per risolversi in (illegittimo) criterio di

diretta individuazione del personale eccedente, volta che non ri

sulta in alcun modo che il personale pensionabile (tra quello ec

cedentario e quello con esso fungibile) sia in azienda in numero

eguale a quello da licenziare.

Ne consegue che sicuramente esso era superiore a quest'ulti

mo, in quanto diversamente il criterio adottato non sarebbe stato

sufficiente ad individuare tutti i licenziandi.

Il dato così acquisito conduce poi a ritenere (lo si anticipa qui

per connessione, anche se risponde ad una censura dell'attore

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2255 PARTE PRIMA 2256

che verrà esaminata successivamente) che le parti collettive ab

biano con l'accordo in esame derogato solo parzialmente ai cri

teri di scelta «legali» dell'anzianità, dei carichi di famiglia e

delle esigenze aziendali, i quali permanevano a disciplinare l'individuazione del personale da collocare in mobilità all'inter

no dei pensionabili appartenenti sia ai profili professionali ec

cedenti che a quelli che non vi sono riconducibili, ma svolgono mansioni fungibili rispetto a quelli o agevolmente ad essi equi

parabili. A tale interpretazione conduce infatti il principio di conserva

zione dei contratti (art. 1367 c.c.), dovendosi diversamente rite

nere nullo l'accordo in questione in quanto consente la scelta li

bera del datore di lavoro nell'ambito da ultimo indicato.

3. - Sostiene inoltre il ricorrente che l'adozione del criterio

della pensionabilità rimanda ad un dato soggettivo, inerente alla

persona del lavoratore in contrasto con la direttiva comunitaria a

cui la disciplina legale dei licenziamenti collettivi ha inteso dare

attuazione e costituisce altresì atto di discriminazione (quanto meno indiretta) in ragione dell'età vietato dall'art. 2, 1° comma,

lett. b), d.leg. 9 luglio 2003 n. 216 («quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento

apparentemente neutri possono mettere le persone di una parti colare età ... in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone»), che dà attuazione in Italia alla direttiva n.

2000/78/Ce per la parità di trattamento in materia di occupazio ne e di condizioni di lavoro.

Al riguardo si rileva come già l'adozione da parte dei con

traenti collettivi del criterio del possesso dei requisiti di età e di

contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza è stata

considerata con cautela da parte della Corte costituzionale nella

sentenza n. 268 del 30 giugno 1994 (Foro it., 1994, I, 2307),

che, ritenendo tale criterio una deviazione dalla regola, ne ha ri

chiesto una specifica giustificazione, che nel caso di specie è

mancata del tutto sia nel corso della procedura che in giudizio. Ma dopo l'introduzione in Italia del principio di non discri

minazione (diretta e indiretta) in ragione dell'età, valevole an

che in sede di licenziamento, l'adozione del criterio in esame

rappresenta un fatto di discriminazione indiretta in ragione del

l'età, determinando una situazione di svantaggio per i lavoratori

di età più elevata in quanto prossimi alla pensione rispetto ai la

voratori più giovani. Obietta la società convenuta che nel caso di specie la diffe

renza di trattamento eventualmente risultante indirettamente di

scriminatoria, sarebbe oggettivamente giustificata «da finalità

legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari» e

quindi sarebbe esclusa dal novero delle discriminazioni vietate,

ai sensi dell'art. 6, 3° comma, d.leg. 216/03, in quanto si risol

verebbe nella scelta del male minore, favorendo coloro che per effetto del licenziamento si troverebbero senza redditi da lavoro

a scapito di chi ha comunque assicurata un'entrata patrimoniale. L'obiezione non convince: il lavoratore in possesso dei requi

siti per accedere alla pensione di anzianità ha infatti gli stessi

diritti e gode delle stesse tutele legali, anche per ciò che riguar da la stabilità del posto di lavoro, di colui che lavora nella me

desima azienda senza possedere tali requisiti. Né tale posizione di parità può essere alterata in forza della

disciplina della 1. 23 luglio 1991 n. 223, in sede di determina

zione dei criteri di scelta, in applicazione di un preteso principio del male minore, in quanto anche per il personale più giovane

questa stessa legge prevede, attraverso l'erogazione dell'inden

nità di mobilità, una forma di assistenza economica per un pe riodo abbastanza lungo, per consentire al dipendente interessato

la ricerca di un diverso posto di lavoro, la quale poi risulta nor

malmente molto più agevole per il personale più giovane ri

spetto a quello talmente anziano da avere i requisiti per la pen sione (il che poi esclude la natura discriminatoria del criterio di

scelta legale dell'anzianità, inteso come diretto a favorire, entro

certi limiti, l'anzianità di servizio maggiore). Devesi pertanto concludere nel senso che l'adozione del crite

rio in esame da parte dei contraenti dell'accordo 13 maggio 2003 deve ritenersi nulla in ragione del carattere indirettamente

discriminatorio di tale criterio.

Conseguentemente l'applicazione dello stesso nell'individua

zione del ricorrente come destinatario del licenziamento del 24

febbraio 2004 rende invalido quest'ultimo atto.

4. - Ma il licenziamento si rivela illegittimo anche per almeno

un'altra ragione fra quelle prospettate dall'attore.

Il Foro Italiano — 2006.

In via subordinata, infatti, il ricorrente censura i modi con cui

la società ha applicato l'accordo sindacale, con specifico riferi

mento al caso in esame.

Ed invero: mentre l'accordo aveva introdotto il criterio della

riconosciuta fungibilità per estendere la scelta anche al di fuori

dei profili professionali inizialmente indicati, con ciò presuppo nendo che tale riconoscimento dovesse avvenire sulla base di un

procedimento da concordare coi sindacati e sulla base di criteri

oggettivi e oggettivamente verificabili, la società aveva unilate

ralmente proceduto ad individuare lavoratori che, come il ricor

rente, erano ritenuti fungibili ad altri «esuberanti» senza definire

col sindacato o comunque indicare i connotati della ritenuta

fungibilità e il perché, tra vari dipendenti possibilmente fungi

bili, la scelta cadesse su uno piuttosto che su di un altro.

A quest'ultimo riguardo si richiama quanto argomentato in

chiusura del superiore punto 2 sul piano dell'interpretazione dell'accordo in ordine ai criteri di scelta adottati.

Tale accordo indicava infatti un criterio molto ampio per

l'allargamento della platea dei licenziabili col fare generico rife

rimento alla presenza «di riconosciuta fungibilità professionale o del suo conseguimento attraverso idonei processi formativi», con ciò ipotizzando l'individuazione, col criterio della ragione

volezza, di professionalità astrattamente fungibili o in grado di

diventarlo con idonei processi formativi.

Si è detto che per effetto dell'adozione di un tale criterio il

numero dei pensionabili non poteva coincidere con quello dei

licenziandi, in quanto allora il criterio sarebbe illegittimo di

ventando criterio di individuazione delle eccedenze; e che nep

pure poteva essere inferiore, pena l'inutilità del criterio stesso.

Essendo allora superiore e probabilmente di molto, data la

generalità del criterio di estensione e alla luce dei dati relativi al

numero e alla composizione del personale della società, in atti,

nella scelta tra il personale pensionabile eccedente o con esso

fungibile, come anche in quella del profilo interessato dalla fun

gibilità, la società avrebbe dovuto adottare i criteri di legge. Di tutto ciò non esiste alcuna traccia negli atti e nelle difese

di parte convenuta, che si limita a motivare l'esistenza di fungi bilità tra le mansioni di un determinato profilo professionale di

chiarato eccedente (e ricoperto da un dipendente non pensiona

bile) e le mansioni del ricorrente.

Il che si risolve nella violazione dei criteri di scelta contrat

tuali e legali. In ogni caso poi, la mancata esplicitazione dei modi di indivi

duazione del personale fungibile e dei criteri di scelta tra pen sionabili eccedenti e fungibili, anche solo con riferimento alla

posizione del ricorrente, avvenuta in sede di comunicazione alla

commissione regionale per le politiche del lavoro e alle associa

zioni di categoria viola, secondo quanto rappresentato da altra

subordinata censura, la regola di cui all'art. 4, 9° comma, che

impone la «puntuale indicazione delle modalità con le quali so

no stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, 1° comma», violazione cui il successivo 12° comma riconnette l'inefficacia

del licenziamento, con la conseguente applicazione, ai sensi

dell'art. 5, 3° comma, ultima frase, 1. n. 223, dell'art. 18 dello

statuto dei lavoratori, come modificato dalla 1. n. 108 del 1990

(Cass., sez. un.. 11 maggio 2000, n. 302/SU, id., 2000,1, 2156). Alla stregua delle considerazioni esposte, il licenziamento del

ricorrente del 24 febbraio 2004 va dichiarato illegittimo con le

conseguenze tutte di cui al citato art. 18 dello statuto dei lavo

ratori.

Restano assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità rappre

sentati, comunque per lo più richiedenti un'istruttoria (la dedu

zione di insussistenza in concreto della dedotta fungibilità tra il

ricorrente e altro dipendente il cui profilo era stato indicato co

me eccedente; e quella di superamento del numero dei decessi

concordati), che si è ritenuto di non disporre in ragione della ri

tenuta fondatezza di due delle censure, principale e subordinata, mosse dall'attore.

Le domande vanno pertanto integralmente accolte con ogni

conseguenza di legge, anche in ordine al regolamento delle spe se di giudizio, operato in dispositivo.

La presente sentenza è per legge provvisoriamente esecutiva

tra le parti.

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