sentenza 7 gennaio 2005; Giud. Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc. Bracco(Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 2251/2252-2255/2256Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202133 .
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PARTE PRIMA 2252
bere, nel più ampio quadro del potenziamento dell'autonomia
societaria.
A tal fine, la legge delega aveva imposto di «individuare le
ipotesi di invalidità», al fine di escludere invalidità atipiche. Il legislatore delegato ha quindi provveduto, tra l'altro, a:
— enumerare tassativamente i casi di nullità delle delibera
zioni (per mancata convocazione dell'assemblea, per mancanza
del verbale, per impossibilità o illiceità dell'oggetto, per modi
fica dell'oggetto sociale con previsione di attività illecite o im
possibili: art. 2379 c.c.), introducendo altresì ipotesi di esclu
sione o di sanatoria della nullità per mancata convocazione del
l'assemblea e per mancanza del verbale al cospetto delle circo
stanze contemplate dagli art. 2379, 3° comma, e 2379 bis c.c.; —
moltiplicare le ipotesi di annullabilità delle delibere, me
diante la conversione delle cause di nullità o d'inefficacia in
cause di annullabilità.
Gli interessi in conflitto sono stati valutati ex ante e le san
zioni sono state dosate in relazione a tali valutazioni; la nullità è
stata calibrata soltanto sulle ipotesi più gravi, in cui particolar mente netta è la preminenza degli interessi generali o della col
lettività dei soci. e. - In particolare, il regime della deliberazione assembleare
adottata con abuso del diritto di voto o in conflitto d'interessi,
e.l. - Nella prospettazione dell'attrice la delibera impugnata estrinseca «... un marchiano abuso e/o eccesso di potere della
maggioranza sulla inerte socia di minoranza» nonché, nella
parte relativa alla determinazione del compenso, evidenzia un
«manifesto conflitto d'interessi». Segnale inequivoco della di
storsione del diritto di voto consisterebbe nella previsione del
sovrapprezzo, in violazione della ratio a tale istituto sottesa.
e.2. - Testuale è la sanzione dell'annullabilità, ex art. 2373
c.c., della delibera viziata da conflitto d'interessi.
Quanto alla deliberazione di aumento del capitale, la giuris
prudenza ne ha in più occasioni, anche in epoche risalenti, af
fermato l'invalidità, nel caso in cui essa sia preordinata all'uni
co scopo di ridurre la quota di partecipazione di un socio di mi
noranza (Cass. 12 maggio 1951, n. 1177, id., 1951, I, 594; 7
febbraio 1963, n. 195, id., 1963,1, 685; App. Milano 21 novem
bre 1961, id., Rep. 1962, voce cit., n. 262); l'abuso di voto è
stato costruito come violazione del principio di esecuzione del
contratto secondo buona fede.
e. 3. - In ogni caso, già nel periodo antecedente alla riforma, la
giurisprudenza ha ritenuto una tale deliberazione annullabile a
norma dell'art. 2377 (Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 559; Trib. Milano 2 giugno 2000, id., 2000,1, 3638; Trib. Piacenza 25 maggio 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 433).
e.4. - Una tale conclusione va ribadita alla luce della riforma
del sistema delle invalidità, non ricorrendo alcuno dei tassativi
casi contemplati dall'art. 2379.
Del resto, mostra di aderire alla qualificazione di annullabilità
la stessa attrice (v. le conclusioni della citazione e la prospetta zione in chiave di nullità soltanto in via subordinata).
e.5. - In sintesi:
1) gli interessi della socia di minoranza astrattamente violati
dalla delibera impugnata non sono preponderanti rispetto al
l'interesse della società ed a quello del mercato;
2) la natura degli interessi astrattamente violati induce a
qualificare i corrispondenti diritti come disponibili; 3) la disponibilità dei diritti li rende transigibili e rende defe
ribile agli arbitri la relativa controversia, a norma dell'art. 34, 1° comma, d.leg. 5/03.
/. - Il potere cautelare dell'arbitro. f.\. - Il 5° comma dell'art.
35 stabilisce che, in caso di controversia avente ad oggetto la
validità di delibere assembleari, «... agli arbitri compete sem
pre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la so
spensione dell'efficacia della delibera».
f. 2. - Sembrerebbe che un tale potere spetti agli arbitri in via
esclusiva.
Depongono in questo senso: — sul piano letterale, l'impiego dell'avverbio «sempre»; — sul piano della ratio, la circostanza che, in tema d'impu
gnazione di delibere assembleari, sovente l'utilità della pronun cia si esaurisce con la fase cautelare; il riconoscimento di un
concorrente potere cautelare del giudice togato comporterebbe un'indebita interferenza di quest'ultimo. Sembra rispondere alla
medesima ratio l'esclusione della possibilità di reclamo, intesa
Il Foro Italiano — 2006.
ad evitare che l'operato dell'arbitro sia sottoposto al vaglio dei
giudici statuali; — sul piano sistematico, il dato che il legislatore identifichi
il giudice della cautela in corso di causa con quello competente
per la causa pendente per il merito (ex art. 669 quater, 1° com
ma, c.p.c.).
fi. -
Rimangono al giudice ordinario soltanto alcuni segmenti d'intervento, con particolare riferimento al periodo che va dalla
proposizione della domanda arbitrale alla formazione del colle
gio giudicante o all'accettazione dell'arbitro.
Nel caso in esame, essendo iniziato il procedimento arbitrale, il potere cautelare di sospendere la delibera impugnata spetta al
l'arbitro designato.
f. 4. - La questione relativa alla sussistenza di un arbitrato è di
merito e non di competenza (v., in termini, Cass. 3 settembre
2003, n. 12855, id., Rep. 2003, voce Competenza civile, n. 174). Ne discende il rigetto della domanda cautelare proposta da
Noemi De Biase.
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 7 gennaio 2005; Giud.
Ianniello; Saroldi (Avv. Scarpelli, Fiore, Angelone) c. Soc.
Bracco (Avv. Giustiniani, Negri, Maniscalco).
TRIBUNALE DI MILANO;
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo — Accor
do aziendale — Criteri di scelta — Prossimità al pensio namento — Nullità (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in ma
teria di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupa zione, attuazione di direttive della Comunità europea, avvia
mento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del
lavoro, art. 1, 4, 5; d.leg. 9 luglio 2003 n. 216, attuazione
della direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in mate
ria di occupazione e di condizioni di lavoro, art. 2, 6).
E nullo, perché indirettamente discriminatorio, l'accordo
aziendale che adotti il criterio di scelta dei lavoratori da li
cenziare ancorato alla prossimità a! pensionamento. ( 1 )
(1) I. - Non constano precedenti in termini. La sentenza in epigrafe (riportata anche in Lavoro giur., 2005, 1166,
con nota di Giansanti) fa leva sul principio di non discriminazione in
ragione dell'età introdotto dal d.leg. n. 216 del 2003, rimarcando che l'adozione come criterio di scelta dei lavoratori da licenziare della loro
prossimità al pensionamento comporta una situazione di svantaggio, indirettamente discriminatoria, per i lavoratori di età più elevata.
Contra, per la legittimità del criterio di scelta della prossimità al pen sionamento, v. Cass. 28 novembre 2005, n. 25087, Foro it.. 2006. I, 733, con nota di richiami, cui adde, per la giurisprudenza di merito, in motivazione, Trib. Milano 22 agosto 2005, Lavoro giur., 2006, 397.
II. - La recente sequela di decreti legislativi di recepimento di diretti ve comunitarie non si limita a rinvigorire la tutela antidiscriminatoria e,
quindi, ad estendere le fattispecie di illiceità negoziale, ma mira ad af fermare l'esistenza del principio di parità di trattamento sui luoghi di lavoro e quindi, sembrerebbe, di una condotta positiva del datore di la voro.
S'inscrivono nel novero dei decreti di attuazione: — i d.leg. 9 luglio 2003 n. 216 e n. 215, recanti rispettivamente «at
tuazione della direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in mate ria di occupazione e di condizioni di lavoro» e «attuazione della diretti va 2000/43/Ce per la parità di trattamento tra le persone indipendente mente dalla razza e dall'origine etnica»;
— il d.leg. 30 maggio 2005 n. 145 (attuazione della direttiva 2002/73/Ce in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le don
ne), che integra le azioni positive contemplate dalla 1. 10 aprile 1991 n. 125 per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.
Significativa è, da ultimo, la 1. 1° marzo 2006 n. 67, che, coniugando affermazioni di principio ed esigenze di effettività, detta «misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazio ni».
In dottrina, sulla nuova normativa antidiscriminatoria, Izzi, Discri
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di
Milano, quale giudice del lavoro, depositato in cancelleria in
data 5 agosto 2004, Aldo Saroldi, dal 3 settembre 1974 dipen dente della s.p.a. Bracco, da ultimo come impiegato con funzio
ni direttive, inquadrato nel livello B1 del c.c.n.l. aziende chimi
co-farmaceutiche, responsabile dal 1989 della funzione relativa
alla gestione e al controllo delle procedure amministrative ine
renti i rapporti coi depositari (vigilanza e controllo, rapportistica e statistica, cura del rispetto della normativa fiscale, tenuta dei
minazione senza comparazione? Appunti sulle direttive comunitarie di «seconda generazione», in Giornale dir. lav. relazioni ind., 2003, 423; Mantelero, Note minime sull'attuazione delle direttive comunitarie 2000/43/Ce e 2000/78/Ce in materia di parità di trattamento, in Con tratto e impr.-Europa, 2003, 709; Amato, Le nuove direttive comunita rie sul divieto di discriminazione. Riflessioni e prospettive per la rea
lizzazione di una società multietnica, in Lavoro e dir., 2003, 127; Bar
bera, Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidi
scriminatorio, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 2003, 399; Fiorita, Le direttive comunitarie in tema di lotta alla discriminazione, la loro
tempestiva attuazione e l'eterogenesi dei fini, in Quaderni dir. e politi ca ecclesiastica, 2004, 361; De Simone, La nozione di discriminazione diretta e indiretta, in Barbera (a cura di), La riforma delle istituzioni e
degli strumenti delle politiche di pari opportunità (d.leg. 23 maggio 2000 n. 196), in Nuove leggi civ., 2004, 221; Rizzo, Il recepimento ita liano delle direttive comunitarie n. 43 deI 29 giugno 2000 e n. 78 del 27 novembre 2000, in Riv. critica dir. lav., 2004, 221; Carinci, Il giu stificato motivo oggettivo nel rapporto di lavoro subordinato, Padova, 2005, passim; Amato, Il divieto di discriminazione per motivi non di
genere in materia di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2005, I, 271. In una prospettiva più generale, v. Romeo, Riflessioni sul confronto
tra diritto civile e diritto del lavoro a proposito delle tutele per i sog getti più deboli, in Lavoro giur., 2005, 205.
III. - In generale, ma con formule generiche, sul rispetto del limite di non discriminazione in tema di licenziamento collettivo, v. Cass. 7 giu gno 2003, n. 9153, Foro it.. Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1799
(e Notiziario giurisprudenza lav., 2004, 80); 6 maggio 2000, n. 5735, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n. 1812 (e Nuovo dir., 2002, 1057, con nota di Mari). In motivazione, v. anche Corte cost. 30 giugno 1994, n.
268, Foro it., 1994,1, 2307. Deve rispettare il divieto di discriminazioni anche la scelta dei lavo
ratori da collocare in cassa integrazione guadagni: Cass. 5 giugno 2003, n. 8998, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1531 (e Riv. it. dir. lav., 2004, II,
104, con nota di Boni). In tema, v. i richiami contenuti nella nota che correda Cass. 5 dicembre 2005, n. 26356, Foro it., 2006,1, 726.
IV. - In materia di somministrazione di lavoro, un'inquietante deroga del principio di parità di trattamento economico e normativo, stabilito dal 1° comma dell'art. 23 d.leg. n. 276 del 2003 per i dipendenti del somministratore rispetto ai dipendenti di pari livello dell'utilizzatore è
contemplata in relazione ai lavoratori svantaggiati (ex art. 13, 1° com
ma, lett. a, e 23, 2° comma). La deroga sembrerebbe in contrasto col
principio di non discriminazione per ragioni di salute. In argomento, Perrino, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova, 2004,
516. Per un'ipotesi di discriminazione per ragioni politiche dell'utilizza
tore del lavoratore somministrato, v. Trib. Potenza, ord. 21 marzo 2005, Lavoro giur., 2005, 871, con nota di Saffioti.
Sulle possibili connessioni ed interferenze tra normativa antidiscri minatoria e tutela avverso il mobbing, v. Perrino, Danno da «mob
bing»: perplessità sulla categoria (nota a Cass. 23 marzo 2005, n.
6326, Trib. Bergamo 20 giugno 2005 e Trib. Marsala 5 novembre
2004), in Foro it., 2005, I, 3356. V. - In base alle categorie tradizionali del diritto dei contratti la giu
risprudenza ha sinora escluso l'operatività del principio di parità di
trattamento al di fuori delle ipotesi legali e tipizzate di discriminazioni vietate: Cass. 18 agosto 2004, n. 16179, id., Rep. 2004, voce cit., n.
1184; 27 maggio 2004, n. 10195, ibid., n. 1185; 26 aprile 2004, n.
7907, ibid., n. 1187; 17 maggio 2003, n. 7752, ibid., n. 1391 (e Riv.
giur. lav., 2004, II, 584, con nota di Vitaletti); 8 gennaio 2002, n. 132.
Foro it., 2002,1, 1033. È affermata l'operatività del principio nelle sole ipotesi in cui il da
tore di lavoro debba procedere ad una scelta in base a meccanismi con
corsuali o selettivi: Cass. 18 agosto 2004, n. 16179, cit.; 21 giugno 2004, n. 11496, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1098.
Nella giurisprudenza comunitaria, sulla parità di trattamento tra uo
mini e donne ai fini dell'accesso al lavoro, v. Corte giust. 18 novembre
2004, causa C-284/02, id., 2005, IV, 466. VI. - Sembrerebbe invece che il principio di parità di trattamento sia
approdato nel lavoro pubblico grazie all'art. 45, 2° comma, d.leg. n.
165 del 2001. Sulla portata espansiva della regola fissata dall'art. 45, v.
Perrino, Mansioni del lavoratore pubblico e poteri della pubblica am
ministrazione (nota a Cass., sez. un., ord. 27 gennaio 2005, n. 1624, 21
maggio 2004, n. 9747, e Trib. Napoli 16 gennaio 2004), ibid., I, 1367.
Il Foro Italiano — 2006.
rapporti esterni all'ufficio, ecc.; compiti che con l'informatizza
zione di molte funzioni amministrative si erano progressiva mente ridotti nel tempo), ha impugnato il licenziamento comu
nicatogli con lettera del 24 febbraio 2004, a seguito di una pro cedura di riduzione del personale ex lege n. 223 del 1991 av
viata il 24 marzo dell'anno precedente, sostenendone l'illegit timità sotto diversi profili e chiedendone l'annullamento con le
conseguenze tutte di cui all'art. 18 dello statuto dei lavoratori, come modificato dall'art. 1 1. n. 108 del 1990.
Con gli accessori di legge e con vittoria di spese. Costituendosi ritualmente in giudizio, la società ha contestato
la fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. All'udienza di discussione, tentata inutilmente la conciliazio
ne, interrogate liberamente le parti e acquisita la documentazio
ne offerta, la causa, precisate le conclusioni, è stata oralmente
discussa e decisa.
Motivi della decisione. — 1. - Nell'ambito della procedura di
mobilità avviata dalla Bracco in data 24 marzo 2003 con la de
nuncia dell'eccedenza di novantasette dipendenti, era stato rag
giunto in data 13 maggio 2003 un accordo tra le organizzazioni sindacali e la società nel senso che questa avrebbe proceduto tra
il 13 giugno 2003 e il 17 febbraio 2004 alla risoluzione del rap
porto di lavoro nei confronti di ottanta dipendenti. Quale crite
rio di scelta per l'individuazione dei lavoratori da collocare in
mobilità, le parti avevano concordato «quello del possesso dei
requisiti pensionistici o del loro raggiungimento nell'arco di
tempo previsto di permanenza in mobilità. Le parti concordano,
a tale proposito, che in presenza di riconosciuta fungibilità pro fessionale o del suo conseguimento attraverso idonei processi formativi, la collocazione in mobilità dei lavoratori in possesso del requisito concordato potrà riguardare anche profili profes sionali non annoverati in fase di avvio della procedura».
Il ricorrente rientra appunto tra coloro che non sono ricondu
cibili ad alcuno dei profili professionali indicati come eccedenti
in sede di avvio della procedura di mobilità, e tuttavia è stato li
cenziato il 24 febbraio 2004 con conseguente collocazione in
mobilità. Egli è nato il 9 luglio 1946 e quindi al momento del licenzia
mento aveva 57 anni di età e 39 anni di anzianità contributiva;
pertanto era unicamente in possesso dei requisiti per il pensio namento di anzianità e non per quello di vecchiaia.
2. - Il ricorrente sostiene in primo luogo la nullità parziale dell'accordo sulla riduzione del personale raggiunto tra organiz zazioni sindacali e la Bracco in data 13 maggio 2003, nella parte in cui prevede la possibilità di licenziamento di personale non
riconducibile ai profili professionali inizialmente indicati come
eccedenti e quindi sostanzialmente individua illegittimamente nella pensionabilità il criterio (soggettivo) di individuazione
delle eccedenze di personale. L'obiezione così come esposta non convince.
Volta che, secondo la giurisprudenza prevalente e anche di
questo giudice, i criteri di scelta del personale da porre in mobi
lità vanno individuati e applicati «in relazione alle esigenze tec
nico-produttive ed organizzative del complesso aziendale» (art.
5, 1° comma, 1. n. 223), l'ambito in cui essi operano si identifica
con l'intero complesso aziendale, indipendentemente dal settore
dichiarato in eccedenza ed eventualmente anche dai profili pro fessionali inizialmente individuati come eccedenti.
Diversamente opinando, dovrebbe ritenersi illegittimo anche
uno dei criteri di scelta più largamente diffuso e di minor im
patto impositivo (e quindi sicuramente favorito dall'ordini
mento in materia), quale quello della volontarietà (a volte anche
assoluta, oltre che per qualifica o per profilo professionale). Nel caso di specie, poi, un collegamento col criterio obiettivo
dell'eccedenza e quindi con le esigenze che hanno condotto alla
riduzione è mantenuto attraverso il riferimento ai profili ecce
denti e a quelli con essi fungibili. Né tale criterio finisce per risolversi in (illegittimo) criterio di
diretta individuazione del personale eccedente, volta che non ri
sulta in alcun modo che il personale pensionabile (tra quello ec
cedentario e quello con esso fungibile) sia in azienda in numero
eguale a quello da licenziare.
Ne consegue che sicuramente esso era superiore a quest'ulti
mo, in quanto diversamente il criterio adottato non sarebbe stato
sufficiente ad individuare tutti i licenziandi.
Il dato così acquisito conduce poi a ritenere (lo si anticipa qui
per connessione, anche se risponde ad una censura dell'attore
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2255 PARTE PRIMA 2256
che verrà esaminata successivamente) che le parti collettive ab
biano con l'accordo in esame derogato solo parzialmente ai cri
teri di scelta «legali» dell'anzianità, dei carichi di famiglia e
delle esigenze aziendali, i quali permanevano a disciplinare l'individuazione del personale da collocare in mobilità all'inter
no dei pensionabili appartenenti sia ai profili professionali ec
cedenti che a quelli che non vi sono riconducibili, ma svolgono mansioni fungibili rispetto a quelli o agevolmente ad essi equi
parabili. A tale interpretazione conduce infatti il principio di conserva
zione dei contratti (art. 1367 c.c.), dovendosi diversamente rite
nere nullo l'accordo in questione in quanto consente la scelta li
bera del datore di lavoro nell'ambito da ultimo indicato.
3. - Sostiene inoltre il ricorrente che l'adozione del criterio
della pensionabilità rimanda ad un dato soggettivo, inerente alla
persona del lavoratore in contrasto con la direttiva comunitaria a
cui la disciplina legale dei licenziamenti collettivi ha inteso dare
attuazione e costituisce altresì atto di discriminazione (quanto meno indiretta) in ragione dell'età vietato dall'art. 2, 1° comma,
lett. b), d.leg. 9 luglio 2003 n. 216 («quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento
apparentemente neutri possono mettere le persone di una parti colare età ... in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone»), che dà attuazione in Italia alla direttiva n.
2000/78/Ce per la parità di trattamento in materia di occupazio ne e di condizioni di lavoro.
Al riguardo si rileva come già l'adozione da parte dei con
traenti collettivi del criterio del possesso dei requisiti di età e di
contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza è stata
considerata con cautela da parte della Corte costituzionale nella
sentenza n. 268 del 30 giugno 1994 (Foro it., 1994, I, 2307),
che, ritenendo tale criterio una deviazione dalla regola, ne ha ri
chiesto una specifica giustificazione, che nel caso di specie è
mancata del tutto sia nel corso della procedura che in giudizio. Ma dopo l'introduzione in Italia del principio di non discri
minazione (diretta e indiretta) in ragione dell'età, valevole an
che in sede di licenziamento, l'adozione del criterio in esame
rappresenta un fatto di discriminazione indiretta in ragione del
l'età, determinando una situazione di svantaggio per i lavoratori
di età più elevata in quanto prossimi alla pensione rispetto ai la
voratori più giovani. Obietta la società convenuta che nel caso di specie la diffe
renza di trattamento eventualmente risultante indirettamente di
scriminatoria, sarebbe oggettivamente giustificata «da finalità
legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari» e
quindi sarebbe esclusa dal novero delle discriminazioni vietate,
ai sensi dell'art. 6, 3° comma, d.leg. 216/03, in quanto si risol
verebbe nella scelta del male minore, favorendo coloro che per effetto del licenziamento si troverebbero senza redditi da lavoro
a scapito di chi ha comunque assicurata un'entrata patrimoniale. L'obiezione non convince: il lavoratore in possesso dei requi
siti per accedere alla pensione di anzianità ha infatti gli stessi
diritti e gode delle stesse tutele legali, anche per ciò che riguar da la stabilità del posto di lavoro, di colui che lavora nella me
desima azienda senza possedere tali requisiti. Né tale posizione di parità può essere alterata in forza della
disciplina della 1. 23 luglio 1991 n. 223, in sede di determina
zione dei criteri di scelta, in applicazione di un preteso principio del male minore, in quanto anche per il personale più giovane
questa stessa legge prevede, attraverso l'erogazione dell'inden
nità di mobilità, una forma di assistenza economica per un pe riodo abbastanza lungo, per consentire al dipendente interessato
la ricerca di un diverso posto di lavoro, la quale poi risulta nor
malmente molto più agevole per il personale più giovane ri
spetto a quello talmente anziano da avere i requisiti per la pen sione (il che poi esclude la natura discriminatoria del criterio di
scelta legale dell'anzianità, inteso come diretto a favorire, entro
certi limiti, l'anzianità di servizio maggiore). Devesi pertanto concludere nel senso che l'adozione del crite
rio in esame da parte dei contraenti dell'accordo 13 maggio 2003 deve ritenersi nulla in ragione del carattere indirettamente
discriminatorio di tale criterio.
Conseguentemente l'applicazione dello stesso nell'individua
zione del ricorrente come destinatario del licenziamento del 24
febbraio 2004 rende invalido quest'ultimo atto.
4. - Ma il licenziamento si rivela illegittimo anche per almeno
un'altra ragione fra quelle prospettate dall'attore.
Il Foro Italiano — 2006.
In via subordinata, infatti, il ricorrente censura i modi con cui
la società ha applicato l'accordo sindacale, con specifico riferi
mento al caso in esame.
Ed invero: mentre l'accordo aveva introdotto il criterio della
riconosciuta fungibilità per estendere la scelta anche al di fuori
dei profili professionali inizialmente indicati, con ciò presuppo nendo che tale riconoscimento dovesse avvenire sulla base di un
procedimento da concordare coi sindacati e sulla base di criteri
oggettivi e oggettivamente verificabili, la società aveva unilate
ralmente proceduto ad individuare lavoratori che, come il ricor
rente, erano ritenuti fungibili ad altri «esuberanti» senza definire
col sindacato o comunque indicare i connotati della ritenuta
fungibilità e il perché, tra vari dipendenti possibilmente fungi
bili, la scelta cadesse su uno piuttosto che su di un altro.
A quest'ultimo riguardo si richiama quanto argomentato in
chiusura del superiore punto 2 sul piano dell'interpretazione dell'accordo in ordine ai criteri di scelta adottati.
Tale accordo indicava infatti un criterio molto ampio per
l'allargamento della platea dei licenziabili col fare generico rife
rimento alla presenza «di riconosciuta fungibilità professionale o del suo conseguimento attraverso idonei processi formativi», con ciò ipotizzando l'individuazione, col criterio della ragione
volezza, di professionalità astrattamente fungibili o in grado di
diventarlo con idonei processi formativi.
Si è detto che per effetto dell'adozione di un tale criterio il
numero dei pensionabili non poteva coincidere con quello dei
licenziandi, in quanto allora il criterio sarebbe illegittimo di
ventando criterio di individuazione delle eccedenze; e che nep
pure poteva essere inferiore, pena l'inutilità del criterio stesso.
Essendo allora superiore e probabilmente di molto, data la
generalità del criterio di estensione e alla luce dei dati relativi al
numero e alla composizione del personale della società, in atti,
nella scelta tra il personale pensionabile eccedente o con esso
fungibile, come anche in quella del profilo interessato dalla fun
gibilità, la società avrebbe dovuto adottare i criteri di legge. Di tutto ciò non esiste alcuna traccia negli atti e nelle difese
di parte convenuta, che si limita a motivare l'esistenza di fungi bilità tra le mansioni di un determinato profilo professionale di
chiarato eccedente (e ricoperto da un dipendente non pensiona
bile) e le mansioni del ricorrente.
Il che si risolve nella violazione dei criteri di scelta contrat
tuali e legali. In ogni caso poi, la mancata esplicitazione dei modi di indivi
duazione del personale fungibile e dei criteri di scelta tra pen sionabili eccedenti e fungibili, anche solo con riferimento alla
posizione del ricorrente, avvenuta in sede di comunicazione alla
commissione regionale per le politiche del lavoro e alle associa
zioni di categoria viola, secondo quanto rappresentato da altra
subordinata censura, la regola di cui all'art. 4, 9° comma, che
impone la «puntuale indicazione delle modalità con le quali so
no stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, 1° comma», violazione cui il successivo 12° comma riconnette l'inefficacia
del licenziamento, con la conseguente applicazione, ai sensi
dell'art. 5, 3° comma, ultima frase, 1. n. 223, dell'art. 18 dello
statuto dei lavoratori, come modificato dalla 1. n. 108 del 1990
(Cass., sez. un.. 11 maggio 2000, n. 302/SU, id., 2000,1, 2156). Alla stregua delle considerazioni esposte, il licenziamento del
ricorrente del 24 febbraio 2004 va dichiarato illegittimo con le
conseguenze tutte di cui al citato art. 18 dello statuto dei lavo
ratori.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità rappre
sentati, comunque per lo più richiedenti un'istruttoria (la dedu
zione di insussistenza in concreto della dedotta fungibilità tra il
ricorrente e altro dipendente il cui profilo era stato indicato co
me eccedente; e quella di superamento del numero dei decessi
concordati), che si è ritenuto di non disporre in ragione della ri
tenuta fondatezza di due delle censure, principale e subordinata, mosse dall'attore.
Le domande vanno pertanto integralmente accolte con ogni
conseguenza di legge, anche in ordine al regolamento delle spe se di giudizio, operato in dispositivo.
La presente sentenza è per legge provvisoriamente esecutiva
tra le parti.
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