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Sezione disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P. M. Cucco; Marrone

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Sezione disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P. M. Cucco; Marrone Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 415/416-423/424 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175478 . Accessed: 25/06/2014 02:41 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 02:41:44 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P. M. Cucco; Marrone

Sezione disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P. M. Cucco; MarroneSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 415/416-423/424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175478 .

Accessed: 25/06/2014 02:41

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PARTE TERZA

ben altro genere e, cioè, del controllo, da parte di un organo della regione, sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali, fra i quali, come meglio si vedrà in seguito, non rientra certamente il Consorzio dell'Adda.

4. - Il ricorrente prospetta quindi l'illegittimità costituzionale del d.p.r. 1° aprile 1978 n. 532 in quanto decreto delegato non deliberato o, comunque, approvato dal governo, ossia dal consi

glio dei ministri, con violazione degli art. 92, 1° comma, e 76

Cost. Ciò in quanto il d.p.r. n. 532 sarebbe stato emanato « sentito

il consiglio dei ministri », ossia non con deliberazione, bensì sol

tanto su parere di tale organo.

Trattasi di censura manifestamente infondata.

Invero, la formula « sentito il consiglio dei ministri », che

spesso appare nei decreti delegati, non significa affatto che il

consiglio si sia limitato ad esprimere un mero parere, peraltro non previsto da alcuna norma. Né il semplice termine « sentito »

(senza l'ulteriore specificazione della sede consultiva) può auto

rizzare a ritenere che sia stata omessa la prescritta deliberazione

da parte del consiglio dei ministri. Del resto, il ricorrente non

fornisce alcuna prova a tal riguardo.

5. - Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale del d.p.r. n. 532 per inosservanza dell'art. 3, terz'ult. comma, 1. n. 70 del

1975, risiederebbe nell'omesso concerto del ministro delle finanze,

pur indubbiamente « interessato » in quanto partecipante all'inge renza e al controllo sull'ente ricorrente, ai sensi dell'art. 7 1.

istitutiva e dell'art. 30 dello statuto dell'ente stesso.

Anche tale censura appare manifestamente infondata.

Invero, le due disposizioni richiamate dal ricorrente riguardano alcuni aspetti che nulla hanno a che fare con il riconoscimento

di ente pubblico necessario ai fini dello sviluppo economico,

civile, culturale e democratico del paese. Per la verità, l'art. 7

r.d.l. 21 novembre 1938 n. 2010 concerne l'eventuale scioglimento dell'amministrazione dell'ente, mentre l'art. 30 dello statuto ri

guardava la vigilanza sull'ente, da attuare mediante eventuali

ispezioni ed acquisizione dei bilanci.

Trattasi, dunque, di interesse che non può condizionare l'ap

prezzamento governativo circa la formazione dell'elenco degli enti

ritenuti necessari ai fini dello sviluppo economico, civile, cultura

le e democratico del paese. 6. - Il decreto delegato n. 532 del 1978 sarebbe, infine,

costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega rispetto alla 1.

n. 70 del 1975 per avere —- in frontale contrasto con l'art. 1, 2°

comma, di quest'ultima, testualmente escludente dal proprio am

bito di applicazione gli enti pubblici economici e gli enti locali — esercitato il potere delegato dall'art. 3 in ordine ad un ente

che, in ragione della sua natura di ente tanto economico quanto locale, esulava dalla previsione della norma delegante, in relazio

ne anche al disposto del precedente art. 1, 2° comma.

Si premette, a tal riguardo, che enti aventi natura e funzioni similari al Consorzio dell'Adda risultano già compresi ab origine nella quarta categoria della tabella allegata alla 1. n. 70 del 1975 (vedasi, ad es., l'Ente autonomo del Flumendosa), per cui è da desumere che lo stesso legislatore abbia voluto attribuire al

concetto di ente locale od economico un valore ed un significato tipico ai fini della particolare disciplina e, comunque, diverso da

quello correntemente assunto in dottrina.

In ogni caso, il Consorzio dell'Adda, la cui attività interessa ben quattro province (Como, Milano, Bergamo e Cremona), dal momento che la vigilanza sull'ente viene svolta, a norma dell'art. 7 1. istitutiva (r.d.l. n. 2010 del 1938) e dell'art. 30 dello statuto, dai ministeri dei lavori pubblici, delle finanze e dell'agricoltura, ai quali devono essere annualmente inviati, per conoscenza, il bilancio preventivo ed il conto consuntivo, con allegata una relazione sulla gestione dell'esercizio trascorso. Essi possono an che disporre ispezioni sull'andamento tecnico, amministrativo e

finanziario dei servizi dell'ente e promuovere, in caso di gravi irregolarità nella gestione, lo scioglimento dell'amministrazione dell'ente stesso.

Il consorzio non può dunque rientrare in alcun modo nella

categoria degli « enti locali », i cui atti, a norma dell'art. 130

Cost., vengono controllati da un « organo della regione ».

Quanto alla asserita natura di « ente economico », non può essere condiviso neppure tale assunto.

Invero, è pacifico che debbano essere qualificati « enti econo mici » soltanto quegli enti che operano nel campo della produ zione, degli scambi e dei servizi, istituzionalmente in vista della remunerazione delle prestazioni rese (e perciò con criteri impren ditoriali).

Il Consorzio dell'Adda provvede alla costruzione, alla manu tenzione e all'esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como,

nonché a coordinare e disciplinare l'esercizio delle utilizzazione

dell'acqua disponibile nell'interesse generale (art. 1 statuto). L'ente deve quindi tutelare preminenti interessi generali, inte

ressi anche fra di loro contrastanti (in caso di piogge persistenti, occorre adottare i dovuti accorgimenti in modo da evitare danni sia alle popolazioni delle zone basse del lago, sia a quelle lungo il corso dell'Adda, cercando anche di non sprecare utilissime risorse idriche), per cui riesce proprio difficile poter qualificare il consorzio ricorrente come ente pubblico economico, cioè preordi nato a ricavare da un'attività svolta con gli strumenti di diritto

privato un utile previsto in funzione remuneratoria del costo di

produzione e dello scambio dei beni o dei servizi cui l'ente è

dedito.

Appare dunque manifestamente infondata anche l'ultima

censura.

Il ricorso va quindi respinto.

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA; Sezione

disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P.

M. Cucco; Marrone.

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA; :

Ordinamento giudiziario — Procedimento disciplinare — Doveri

dei magistrati — Dovere di fedeltà e di lealtà — Violazione —

Configurabilità — Fattispecie (Cost., art. 21, 54, 98, 101, 104; r. d. 1. 31 maggio 1946 n. 511, guarentigie della magistratura, art. 2, 18).

Integra grave illecito disciplinare per violazione del dovere di

jedeltà e di lealtà, quale è da ritenere ricompreso tra i doveri del magistrato ai quali si riferisce in modo generico l'art. 18

r. d. I. 31 maggio 1946 n. 511, il comportamento del magistrato che abbia manifestato idee che implicano accettazione o che

comunque non rivelano presa di distanze dalla valutazione

positiva della violenza come strumento, consentito per l'af fermazione del proprio punto di vista (nella specie, è stata ap plicata la sanzione della perdita di due anni di anzianità e di

sposto il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti dell'autore della introduzione ad un « manuale di

autodifesa del militante», in quanto la finalità meramente di

vulgativa di cognizioni tecnico-giuridiche del libro sarebbe stata inserita in una strategia complessiva consistente nell'acquisizione di conoscenze utili per poter contrastare polizia e magistratura, individuate come « avversari », nelle iniziative di massa quali, ad esempio, nella lotta per la casa, le occupazioni di edifici, le autoriduzioni dei fitti, ecc., considerate, dalla sentenza, espres sioni della «violenza di massa »). (1)

(1) La decisione è commentata da Cerri, Sul principio di fedeltà, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, 751; Pignatelli, Sul dovere di fedeltà, in Questione giustizia, 1983, 909, e da Pivetti, Il C.S.M. sco pre il Berufsverbot, ibid., 889 e Riflessioni in tema di procedimenti disciplinari, in La magistratura, 1983, nn. 1-2, 52; e da Fetta, Una sen tenza poco « fedele » alla Costituzione, in Critica del diritto, 1983, nn. 29-30, 173.

II procedimento disciplinare contro il giudice Marrone per la redazione dell'introduzione al « Manuale » (durante il quale il p. m. aveva chiesto la sanzione della sola censura) era stato sospeso con ord. 21 novembre 1980 della sezione disciplinare del C.S.M. (Giur. costit.., 1981, II, 719), che aveva rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell'art. 18 r. d. 1. 511/46, in riferimento all'art. 21 Cost. La corte ha dichiarato la questione infondata con sent. 8 giugno 1981, n. 100, Foro it., 1981, I, 2360, con nota di richiami e osservazione di Cantisani, commentata da Fici, in Giust. civ.., 1981, I, 2167 e da Grasso, in Giur. costit.., 1981, I, 843 e, con riguardo all'ord. citata della sezione disciplinare, manifestamente infondata con ord. 17 dicembre 1981, n. 200, Foro it., Rep. 1982, voce Ordinamento giudiziario, n. 119.

La sezione disciplinare nella presente sentenza ha ritenuto che nel caso di specie era fuori luogo la problematica del diritto di critica e dei suoi limiti, dovendosi valutare il comportamento del dott. Marro ne alla luce del dovere di fedeltà che incomberebbe in base all'art. 18 cit. sui componenti dell'ordine giudiziario e che quindi essa era chiamata per la prima volta a svolgere, sulla base delle indicazioni contenute in Corte cost. 100/81 cit., un bilanciamento tra libertà di pensiero (art. 21 Cost.) e dovere di fedeltà (art. 54, 2° comma, Cost.). Nei fatti addebitati al dott. Marrone, la sezione disciplinare ha individuato una compromissione del secondo valore tale da non potersi neppure porre il problema di un suo bilanciamento con la libertà di pensiero.

Variamente affrontato dai critici della sentenza in epigrafe, il con cetto di dovere di fedeltà ha prestato ampiamente il fianco ai loro

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Svolgimento del processo. — Con nota n. 677 ris. del 23 marzo

1977 il procuratore generale presso la corte di Roma, premesso che

nell'aprile 1975 era avvenuta la pubblicazione del volume « Manuale

di autodifesa legale del militante », editore Savelli, a cura dell'or

ganizzazione Soccorso rosso, informava il procuratore generale

presso la Corte di cassazione che autore dell'introduzione di detto

volume era il magistrato dott. Franco Marrone, ed esprimeva l'av

viso, motivato con riferimento specifico ad alcuni dei concetti

strali, sotto il profilo, ad esempio, della sua indeterminatezza, che tra

smoda, a dire di Pivetti, Riflessioni in tema di procedimenti di

sciplinari, in La magistratura, 1983, 1-2, 52, in tendenza del giudizio disciplinare a divenire giudizio di foro interno, volgendo a oggetto di censura il pensiero più che la manifestazione di pensiero, sino a per seguire le non espresse adesioni. Dello stesso a. cfr. Il C.S.M., cit., 899, ove, sulla scorta dell'analitico esame della decisione (anche in punto di fatto), giunge a ravvisare stretto parallelismo tra i principi in essa

affermati e quelli che si possono trarre, a proposito del c.d. Berufsver

bot, dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca del 22 maggio 1975, specie per quanto concerne la configurazione di un obbligo di differenziazione del funzionario pubblico, affatto esplicita nella deci sione or detta, e più che presupposta nella sentenza in epigrafe, se è

vero che essa giunge a colpire non tanto e non soltanto i comporta menti omissivi ma, sembrerebbe, persino i non-comportamenti '(le di stanze non prese, ad esempio).

La configurabilità di un autonomo concetto di dovere di fedeltà è cri ticata da Petta, op. cit., 173, in relazione da un lato alle affermazioni della citata Corte cost. n. 100/81 circa la necessità di un bilancia mento tra libertà di espressione e dovere di fedeltà, e dall'altro ai

rapporti tra gli ambiti normativi entro i quali si inscrivono la prima — di rango costituzionale — e il secondo, derivante da norma ordinaria.

Al medesimo ordine di riflessioni attinge causa Pignatelli, op. cit., 912, che giunge ad escludere l'esistenza di uno specifico parametrc oo stituzionale di fedeltà dei pubblici funzionari che non sia quello ge nerale, prescritto dall'art. 54, 1° comma, Cost., per tutti i cittadini; ciò che comporterebbe, alla stregua di ovvi canoni costituzionali, l'impossi bilità di configurare o soltanto accennare un obbligo di conformatio dei pubblici funzionari ai principi ideologico-politici dell'ordinamento

(o di qualsiasi altro referente, che la sezione disciplinare non si è

premurata di indicare: cfr. Pivetti, op. ult. cit., 889 s.). Conclusione,

peraltro, che la più volte citata Corte cost. n. 100/81 si è curata di escludere a priori, sulla base del già rammentato canone del bilancia

mento, che, a giudizio di Petta, op. cit., 170, ha di fatto aperto la strada

all'interpretazione che la sezione disciplinare ha fatto propria nella

vicenda in questione. L'ipotesi che nella decisione la sezione disciplinare abbia inteso il

dovere di fedeltà come obbligo di adesione ai valori fondamentalissimi di un certo ordinamento è avanzata da Cerri, op. cit., il quale censura

una interpretazione siffatta come propria di una « democrazia che si

difende », in contrapposizione alle classiche democrazie « aperte » che

considerano come normale il dissenso ideologico, salvo comunque l'ob

bligo di rispetto delle leggi; ciò che, in definitiva, non consente di in

ferire alcun particolare obbligo di fedeltà per il magistrato, mancan

done, inoltre, l'espressa dizione normativa. Per alcuni riferimenti al dovere di fedeltà per i dipendenti pubblici

v. Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 1977, n. 1141, Foro it., 1979, III, 26, con nota di richiami di P. Carrozza, che ha ritenuto non costituire ipo tesi di denigrazione le accuse di disfunzione, disorganizzazione ed anche di corruzione rivolte all'amministrazione di appartenenza, anche

se a mezzo stampa, qualora tali accuse appaiano inserite in un di

scorso più ampio che nel suo complesso non travalichi i limiti di in

tento critico, di sollecitazione, di impegno civile e riformatore nei confronti dell'amministrazione stessa.

Più in generale, sull'obbligo di fedeltà che grava, ai sensi dell'art. 2105 c.c., sul prestatore di lavoro v., da ultimo, Cass. 1° dicembre

1981, n. 6381, id., 1982, I, 2563, con nota di richiami, secondo cui il

semplice svolgimento di una prestazione di lavoro subordinato, consi stente in un'attività di carattere materiale, alle dipendenze di un'im

presa concorrente con il datore di lavoro, non dà luogo a violazione

dell'obbligo di fedeltà; Cass. 13 agosto 1981, n. 4909 e 14 luglio 1981, n. 4622, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), nn. 1522, 1523, se

condo cui a concretare la violazione di tale obbligo è sufficiente anche la lesività solo potenziale del comportamento, idoneo a scuotere l'indi

spensabile presupposto fiduciario di un'efficiente collaborazione, tenu to dal lavoratore; Cass. 26 gennaio 1981, n. 584, id., 1982, I, 804, con

nota di richiami; Pret. Milano 13 gennaio 1981 e 14 maggio 1980, id.,

Rep. 1981, voce cit., nn. 1575, 1594, circa la violazione del dovere di

fedeltà da parte del lavoratore assente per malattia il quale presti la

propria attività lavorativa per conto di terzi.

Sul dovere di fedeltà cfr. Trioni, Fedeltà, fiducia ed elemento per sonalistico nel rapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1972, 1633 e L'obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro, 1982.

La sezione disciplinare recentemente ha invece ritenuto che costituisce

esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero la

pubblicazione da parte di un magistrato su un quotidiano di un articolo nel quale si svolge una durissima critica alla giurisprudenza ed alla prassi dei processi contro terroristi ed all'uso distorto della carcerazione preventiva, quando l'opinione espressa non travalichi in

espressi nello scritto, che con esso l'autore « .. nell'esprimere la

propria nota ideologia di estremista di sinistra, abbia trasceso al

punto di assumere posizioni del tutto antitetiche a quella di magi

strato, in cui, almeno formalmente, è impegnato, e che egli enuncia

come « avversaria » fornendo contro di essa strumenti di difesa e

di lotta ». Lo stesso procuratore generale esponeva ulteriori fatti dai

quali si sarebbe dovuto desumere lo stretto collegamento esisten

te tra il dott. Marrone e l'organizzazione Soccorso rosso; e

concludeva esprimendo «... un giudizio assolutamente sfavore

vole circa la possibilità di un'ulteriore permanenza del dottor

Marrone nell'ordine giudiziario ».

Di analogo contenuto, rispetto a quello della nota richiamata, si presenta la denuncia inoltrata al procuratore della repubblica di Roma dal magistrato dott. Antonio Alibrandi in data 15

giugno 1977 nei confronti del dott. Marrone; denuncia alla

quale faceva seguito quella reciproca per i delitti di diffamazio ne e calunnia. Delle due denunce veniva investita, ai sensi

dell'art. 60 c. p. p., la procura della repubblica di Firenze che iniziava procedimento penale nei confronti sia del dott. Ali brandi (per i reati di cui agli art. 595 e 368 c.p.); sia del dott. Marrone (per il reato di cui all'art. 326 c.p.). Entrambi i

procedimenti si concludevano con sentenza istruttoria di pro scioglimento.

Nel frattempo, con nota 3597/S/4 del 20 ottobre 1978 il

procuratore generale presso la Corte di cassazione iniziava pro cedimento disciplinare nei confronti del dott. Franco Marrone, incolpato di avere compromesso il prestigio dell'ordine giudizia rio con la redazione della menzionata introduzione al volume « Manuale di autodifesa legale del militante ». Dopo l'interroga torio dell'incolpato, avvenuto il 14 giugno 1979, su richiesta del

procuratore generale presso la Corte di cassazione veniva fissata la discussione orale davanti alla sezione disciplinare nel corso della quale il dott. Marrone ribadiva le precedenti dichiarazioni e ne aggiungeva altre relative alle intenzioni che avevano anima to gli autori dello scritto. La sezione disciplinare, con ordinanza in data 21 novembre 1980, «ritenuto che l'art. 18 r. d. 1. 21

maggio 1946 n. 511, nella parte in cui richiama i doveri del

magistrato, fa riferimento al dovere di fedeltà al proprio uf

ficio; che il predetto dovere di fedeltà, che trova fondamento

negli art. 54, 2° comma, e 98, 1° comma, Cost., può essere in obiettivo contrasto con l'eventuale esercizio del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, a sua volta garantito dal l'art. 21 Cost.... », sospendeva il procedimento sollevando que stione di legittimità costituzionale del menzionato art. 18 in relazione agli art. 21, 1° comma, 54, 2° comma, 98, 1° comma, Cost. A seguito della pronuncia n. 100 del 1981 (Foro it., 1981, I, 2360) con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato infon data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, solleva ta in altri giudizi, la stessa corte con la ordinanza n. 200 del 17 dicembre 1981 (id., Rep. 1982, voce Ordinamento giudiziario, n. 119) esprimeva identica conclusione in relazione alla que stione sollevata nel corso di questo procedimento. Veniva conse

guentemente fissata dal presidente della sezione la data per la rinnovazione della discussione orale, nel corso della quale l'in

colpato ha confermato tutte le difese già svolte. Motivi della decisione. — 1. - Il difensore dell'incolpato, nel

corso della discussione, ha svolto una serie di argomentazioni volte a dimostrare che i giudizi formulati dal dott. Marrone nell'introduzione al volumetto « Manuale di autodifesa di un militante » (in prosieguo indicato con il riferimento al solo « Manuale ») non avrebbero superato i limiti entro cui è ammes sa la critica a provvedimenti o comportamenti di magistrati. Senonché la sezione deve in limine chiarire che nella specie la problematica del diritto di critica e dei suoi limiti, come già

falsità evidente o in ingiuria gratuita, ma si inserisca in un filone di pensiero, storicamente ben individuato ed influente, che ha trovato nuova tensione proprio in relazione alla legislazione ed alla giuri sprudenza relativa al terrorismo (v. sent. 29 gennaio 1982, Foro it., 1982, III, 513, con nota di richiami e, sul punto, pure Assise La Spezia 13 dicembre 1976, id., 1978, II, 214, con nota di richiami, commentata da Verrina, in Giur. merito, 1978, 647, resa nei confron ti dello stesso dott. Marrone).

In ordine alla sanzione del trasferimento d'ufficio per incompatibili tà ambientale v., da ultimo, T.A.R. Lombardia 16 aprile 1983, n. 386, Foro it., 1983, III, 355, con nota di richiami.

In dottrina v., da ultimo, Galasso, La responsabilità dei giudici nel contesto politico-istituzionale, in Questione giustizia, 1982, fase. 3; N. Trocker, La responsabilità del giudice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 1283; Pignatelli, Il problema della responsabilità discipli nare, in Questione giustizia, 1982, 715, e la nota di richiami di A. Pizzorusso a Cass. 6377/83, in questo fascicolo, I, 2681.

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PARTE TERZA

in parte esplorata in alcune sentenze emesse dalla sezione suc cessivamente alla pronuncia n. 100/81 della Corte costituzionale, non appare affatto pertinente e ciò dal momento che il contenu

to dello scritto del dott. Marrone va valutato alla stregua di

altro parametro, quello del dovere di fedeltà e lealtà, pure esso

sicuramente insito nell'enunciazione dell'art. 18 r. d.l. 31 maggio 1946 n. 511 e, conseguentemente, nella formulazione del capo di

incolpazione per cui si procede. Non v'è dubbio che un diverso modo di articolazione del capo di incolpazione avrebbe consenti

to di fare emergere in modo più immediato e trasparente tutte

le possibili implicazioni dell'addebito mosso al dott. Marrone

(implicazioni del resto già insite nella nota n. 6/77 del procura tore generale presso la corte di Roma). Ma non si può dubitare, con altrettanta certezza, che dal solo angolo visuale da cui la

sezione è chiamata ad esprimere una valutazione sulla tecnica di

redazione dell'incolpazione e cioè dall'angolo volto a verificare la

specificità di fatti contestati, il capo che ha originato il pre

sente procedimento appare idoneo ad assolvere tutta la propria funzione di strumento di contestazione.

Al dott. Man-one si imputa, invero, di avere, in violazione del

menzionato art. 18, tenuto una condotta non consona alla quali

tà di magistrato, redigendo lo scritto introduttivo del « Manua

le ». Il rapporto di antitesi tra i dovari del magistrato ed il

contenuto dello scritto è segnato quindi in tutta la sua estensio

ne dalla individuazione del fatto (che si identifica nell'introdu

zione globalmente considerata) e della norma (che è appunto

l'art. 18 r. d. 1. n. 511/46). È ben vero che l'inciso finale dell'in

colpazione fa riferimento alla formulazione di giudizi offensivi

sull'operato della magistratura; ma questo riferimento non può

avere, né ha avuto, il significato della delimitazione della conte

stazione ad alcune proposizioni e non a tutte quelle che com

paiono nell'introduzione (e cioè il significato di una « amputa

zione » del fatto); cosi come non può avere, e non ha avuto, il

significato di una « amputazione » dell'art. 18 da ogni contenuto

diverso da quello del superamento dei limiti entro cui è consen

tita la critica a provvedimenti giurisdizionali. Di fronte all'ine

quivoco riferimento a tutto lo scritto introduttivo del « Manua

le », l'inciso finale del capo d'incolpazione va inteso quale ri

chiamo, del tutto pleonastico, ad ogni possibile offesa dell'opera to della magistratura che lo scritto stesso possa realizzare alla

stregua dei parametri di valutazione enucleati dall'art. 18. Norma

che la Corte costituzionale ha ritenuto del tutto conforme alla

Costituzione anche, ed in primo luogo, in rapporto con l'art. 25:

sicché la lamentata genericità del capo di incolpazione va nella

specie contestata con le medesime argomentazioni che la corte

ha posto a fondamento della pronuncia di manifesta infondatez

za della questione di costituzionalità della norma. In definitiva,

il capo di incolpazione in questione, formulato come appare con

riferimento a tutto il testo dell'introduzione, impone alla sezione

di procedere al raffronto del rapporto di compatibilità esistente

tra il fatto contestato e tutti i valori che la norma richiamata

intende tutelare. Non appare privo di significato che la difesa

dell'incolpato si sia soffermata prevalentemente a sottolineare

l'assenza, nei giudizi critici espressi dal dott. Marrone, dei carat

teri di offensività, gratuità e falsità che, secondo l'orientamento

della sezione, integrerebbero i limiti oltre i quali la critica

sarebbe lesiva dell'art. 18. In effetti, nella specie, il problema del

superamento di detti limiti non è stato neppure preso in esame,

e la circostanza non può essere certo sfuggita all'attenzione

dell'incolpato e del suo difensore, nell'ordinanza 21 novembre

1980 con cui la sezione ha sollevato la questione di legittimità

costituzionale dell'art. 18. Come sottolineato in narrativa, l'ordi

nanza in questione isola da tutti i doveri enucleati dall'art. 18, il

dovere di fedeltà che lega il magistrato al proprio ufficio; e,

dopo avere sottolineato il fondamento anche costituzionale di

detto dovere, ipotizza il possibile contrasto tra la norma ordina

ria e l'art. 21 Cost. Di fronte alla questione, cosi sollevata, l'ordinanza n. 200 del 17 dicembre 1981 della Corte costituziona

le assume un duplice significato; anzitutto quello implicito di un

giudizio positivo di rilevanza della questione ai fini della solu

zione del procedimento in corso; in secondo luogo, con riferi

mento al problema della compatibilità dell'art. 18, nella parte contenente il menzionato dovere di fedeltà, con l'art. 21 Cost., il

significato di richiamo delle argomentazioni già svolte al capo 7

della sentenza n. 100/81 al fine di dimostrare l'infondatezza

della questione.

Il dott. Marrone, sin dal primo interrogatorio reso al sostituto

procuratore generale presso la Corte di cassazione, ha svolto una

serie di affermazioni dirette ad « isolare » l'introduzione dal

testo del manuale: è chiaro che, a prescindere dalla rispondenza a verità di dette asserzioni, essi si collocano nella prospettiva della difesa nei confronti di un capo di incolpazione percepito

dall'incolpato con riferimento non ai soli profili di critica a

provvedimenti giudiziari ma altresì in relazione alla possibile compromissione degli altri valori espressi dall'art. 18 (ed in

specie al valore ricollegantesi agli art. 54, 2° comma, 101, 2°

comma, e 104, 1° comma, Cost.).

2. - Scendendo al merito dell'addebito, la sezione ritiene che

l'incolpato con la redazione dell'introduzione del « Manuale »

abbia commesso un grave illecito disciplinare. Il dott. Marrone

ha reiteratamente invocato, nel corso delle sue difese, il diritto

di libertà di manifestazione del pensiero sancito dall'art. 21

Cost.: diritto che la Corte costituzionale, nella più volte citata

sentenza n. 100/81, ha riconosciuto di piena spettanza dei ma

gistrati come degli altri cittadini « .. pur se l'esercizio di essa

va contemperato con le disposizioni degli art. 54, 2° comma,

101, 2° comma, e 104, 1° comma, Cost.». Alla sezione spetta il

delicato compito di operare, nell'applicazione concreta dell'art.

18, il bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente rile

vanti. «... L'equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati

non comprime il diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cioè l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati... ».

La sezione, mentre si è già pronunciata in reiterate occasioni

con riferimento ad incolpazioni relative a manifestazioni del

pensiero contenenti critiche a provvedimenti o comportamenti di

magistrato (ed ha evidenziato i già ricordati limiti di ammissibi lità del diritto di critica insiti nel carattere offensivo, gratuito o

falso delle dichiarazioni), è investita per la prima volta (quanto meno a far tempo dalla pronuncia della Corte costituzionale) del

problema del bilanciamento tra la libertà di pensiero di cui

all'art. 21 Cost, ed il dovere di fedeltà che a norma dell'art. 54, 2° comma, Cost, incombe sui magistrati come su ogni altro

cittadino cui sono affidate pubbliche funzioni. Dovere che per il

magistrato trova più compiuta specificazione negli altri precetti costituzionali (101, 2° comma, e 104, 1° comma) che individua

no nella soggezione esclusiva alla legge e negli attributi di

imparzialità e di indipendenza, valori che «... vanno tutelati

non solo con specifico riferimento al completo esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche

' come regola deontologica da

osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della (loro) indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito (Corte cost. cit.).

Il dott. Marrone nel corso dell'interrogatorio del 14 giugno 1979 ha testualmente sostenuto che « la prefazione la redassi uno o due anni prima della data in cui fu pubblicata nel volume che intravedo negli atti del procedimento e che risulta edito a cura del « Soccorso Rosso »... preciso che, a mia insa

puta, gli autori o l'editore del volume del 1975 prelevarono la

prefazione dal volume pubblicato non ricordo bene se nel 1973 o nel 1974 e la apposero sul volume pubblicato nel 1975 ».

Queste affermazioni non sono credibili né per la parte relativa

all'epoca in cui fu redatta materialmente l'introduzione (epoca che, interessa sottolineare, è quanto itieno successiva all'ordinan

za, richiamata nello scritto, con cui la Corte di cassazione

sospese il provvedimento di concessione della libertà provvisoria a Mario Rossi); né soprattutto, e per quanto maggiormente interessa, per la parte in cui tendono a rompere il collegamento esistente tra l'introduzione ed il contenuto del manuale. Può

anche darsi che di questo volumetto sia stata fatta una prima edizione della quale peraltro non è stata trovata traccia; ma

quello che non si può mettere in discussione, alla luce delle

argomentazioni che seguiranno, è che il dott. Marrone ha scritto

l'introduzione destinata ad illustrare un'opera il cui contenuto si

identifica in tutto e per tutto con il contenuto del manuale. Già

dalle prime parole dello scritto traspare in modo chiarissimo

questo collegamento, nella enunciata finalità di presentazione di

« un libro che vuole essere di aiuto ai militanti che vogliano

districarsi, senza o prima che intervenga la mediazione tecnica

dei compagni avvocati, nella matassa delle norme repressive penali, borghesi e fasciste». Ma, soprattutto, la seconda parte

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421 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 422

dell'introduzione (quella cioè che inizia a pag. 9, dopo lo spazio libero contrassegnato dai tre punti) non è altro se non una

sintetica illustrazione del contenuto di tutti i capitoli del « Ma

nuale», dei quali sono quanto meno enunciati gli argomenti. Il

che implica con tutta evidenza che l'introduzione è stata scritta

dopo e non prima rispetto al volumetto e comunque è stata

scritta proprio al fine di « presentare », cosi come enuncia nel

primo periodo, l'opuscolo in questione. Il dott. Marrone, nel

successivo interrogatorio del 21 novembre 1980, pur confermando

formalmente quanto già dichiarato, è però entrato nel merito

della finalità del « Manuale » «... redatto con le migliori in

tenzioni per evitare che giovani che si avvicinavano alla politica violassero le leggi non conoscendo con certezza le norme che

regolano il comportamento dei cittadini ». A prescindere dal sotto

lineare la non irrilevante contraddizione tra le due serie di

affermazioni (evidentemente l'avvenuta pubblicazione dell'intro

duzione all'insaputa dell'autore presupporrebbe l'ignoranza, da

parte dello stesso, delle finalità di coloro che provvidero alla

pubblicazione dell'intero volume), sta di fatto che né l'intenzione

dei redattori dell'opera, né, tanto meno, quella del dott. Marro

ne fu nel senso indicato nell'interrogatorio del 21 novembre

1980: le argomentazioni che seguiranno hanno proprio la finalità

di evidenziare l'esistenza di una inequivoca intenzione di segno contrario a quello dell'incitamento al rispetto delle leggi. Il

difensore dell'incolpato ha mostrato di condividere, nel corso

della discussione, il punto di vista del suo difeso allorché ha

paragonato il « Manuale » a quelli che normalmente usati nelle

udienze, con finalità meramente divulgative di testi normativi.

Senonché, anche ad una lettura del tutto superficiale, purché condotta senza preconcetti di sorta, il « Manuale » evidenzia

finalità ben diversa rispetto a quella meramente divulgativa di

cognizioni tecnico-giuridiche. È ben vero che nel volume sono

riprodotte le principali norme disciplinanti gli argomenti di volta

in volta trattati nonché alcuni orientamenti giurisprudenziali ed

alcune linee di comportamento delle forze dell'ordine. Ma le

norme, gli orientamenti e le linee di comportamento si inserisco

no in una strategia complessiva, che è quella dell'acquisizione di

conoscenze utili per poter contrastare gli « avversari ». Questa conclusione non costituisce oggetto di una opinabile ricostruzione

di recondite intenzioni, condotta dalla sezione disciplinare a

seguito di sforzi esegetici di cucitura di appigli letterali sparsi nel «Manuale»; nessuno sforzo di cucitura occorre per chiarire

il pensiero, espresso a chiare lettere in varie parti del volume; e

ribadito, alla pag. 77, a conclusione dell'ultimo capitolo intitolato « Lotta per la casa: sfratti ».

«... Lo scopo del presente opuscolo non solo è quello di

fornire al proletario inquilino una sommaria spiegazione dei

« pezzi di carta » e delle tecniche giudiziarie che lo Stato borghe se ha organizzato per consentire ai padroni la salvaguardia dei

profitti; e non è nemmeno quello di indicare e suggerire i mezzi

con i quali è possibile portare alle lunghe, approfittando della

disfunzione della giustizia, il momento dello sfratto vero e pro

prio. Vogliamo sottolineare ancora una volta che i più importan ti risultati pratici (e politici) si ottengono solo con iniziative di

massa organizzate nei minimi dettagli ».

E perché non vi siano equivoci sul significato delle « iniziati ve di massa », nei periodi successivi a quello ora riprodotto si

aggiunge testualmente che « le organizzazioni dovranno valutare

e spiegare ai proletari fin dall'inizio i vantaggi e i rischi cui

potranno andare incontro decidendo le varie forme di lotta

(occupazione, autoriduzione dei fitti, ecc.) in modo da eliminare o ridurre al minimo i cedimenti, le diserzioni e i tentativi di

soluzione individuali. Le esperienze di lotta per la casa portate avanti da altri proletari a Roma e in altre città ci forniscono il

migliore esempio di quello che deve essere fatto e degli errori

che bisogna evitare (segue la descrizione della "

esperienza della

Magliana a Roma ") ». Se questa è la finalità del « Manuale » è

chiaro che ogni riferimento normativo, giurisprudenziale, a com

portamenti delle forze dell'ordine, va inserito nel contesto di

questa finalità: come un riferimento che il militante deve cioè

utilizzare al fine di attuare la strategia complessiva che il volu me affida alle « manifestazioni di massa ». Altro esempio, di

pari capacità chiarificatrice, è quello relativo al capitolo delle

armi: nel quale, accanto all'ordinata esposizione delle norme, v'è

un titolo che illumina in modo impressionante sulle ragioni

dell'esposizione normativa: il titolo « Come portare armi fuori

dall'abitazione ».

Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-30.

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma quelli che precedono sono già sufficienti per affermare che il militante cui è destinato

il volume non è affatto il cittadino dissenziente, come vorrebbe

la difesa dell'incolpato. Ogni tentativo di interpretazione illettera

le perde consistenza alla luce della indiscutibile conferma della

piena corrispondenza tra la lettera e lo spirito dell'opera: e si

rivela quale puro espediente difensivo che, con la propria incon

sistenza, evidenzia l'estrema difficoltà della difesa stessa. Il vo

lume presentato dal dott. Marrone era destinato ai militanti

impegnati sul piano delle lotte di massa: quelle stesse lotte

invocate a pag. 81, allorché si paventa la restrizione degli spazi

di agibilità democratica «... faticosamente conquistati attraverso

le lotte operaie e studentesche degli ultimi anni »; e a pag. 77,

nel già menzionato brano relativo alle esperienze di lotta per la

casa. Il « Manuale », nella finalità dichiarata come in quella

effettiva, intendeva essere uno strumento per il destinatario mili

tante che nel corso delle lotte di massa potesse incappare in

provvedimenti restrittivi della libertà personale: uno strumento

di autodifesa che, inserendosi quale momento di una ben più

complessa strategia, voleva fornire suggerimenti utilizzabili nella

fase precedente l'intervento della « mediazione tecnica dei com

pagni avvocati ».

Di fronte alla accertata finalità complessiva dell'opera la pre sentazione del dott. Marrone appare in tutto e per tutto con

sonante con le idee ispiratrici: l'introduzione appare cioè nul

l'altro se non un commento di sintesi operato da un presentato re che mostra una piena identità di intenti con l'opera presenta ta; che visita gli argomenti condividendoli in tutto; che nel

conflitto tra i militanti da un lato e la polizia e la magistratura

(indicati... come avversari) dall'altro mostra chiaramente di

schierarsi dalla parte dei militanti. Nella redazione di uno scritto

siffatto, nella presentazione, da parte dell'autore di esso, di un

volume quale il « Manuale », la sezione non ha esitazione ad

affermare gli estremi dell'illecito disciplinare. Nel caso di specie non si pone alcun problema di bilanciamento tra la libertà di

manifestazione del pensiero ed il dovere di fedeltà, tanto appare

compromesso quest'ultimo valore dalle dichiarazioni scritte del

dott. Marrone e dalla sede in cui sono state pubblicate. Questa

conclusione va riferita allo scritto considerato nella sua globalità dal momento che unitario è il significato cosi come unitario è

il fine perseguito dall'autore. I passi più salienti, che saranno

riprodotti in prosieguo, servono solo ad illustrare la piena cor

rispondenza tra contenuto dell'introduzione e quello dell'opera nonché ad evidenziare i brani più significativi ed illuminanti.

Sotto il primo profilo, la stretta connessione anche letterale tra

introduzione e volume, emerge con tutta evidenza, ad esempio, nel brano illustrativo del capitolo relativo alla lotta per la casa,

laddove si legge che « il capitolo finale, quello riguardante gli sfratti, è forse quello più importante per gli scopi pratici di

tutta la .raccolta (e cioè per l'attuazione delle lotte di massa cui

si fa riferimento nella pag. 77). Sfrattare anche un solo

lavoratore è diffìcile quando molti suoi compagni sono consape

voli della ingiustizia dello sfratto. Nel settore della giustizia come in qualsiasi altro l'unità delle masse lavoratrici è più forte

di qualsiasi padrone. « Sicché » gli spazi utili anche ai lavorato

ri quando non si lascino intimidire dalle possibilità economiche

dei loro avversari e facciano ricorso alla grande forza rappresen tata dalla loro massa ...» non hanno bisogno di alcun commen

to per essere intesi come gli spazi che i lavoratori sapranno

procurarsi attraverso l'uso della «violenza di massa». Tutta la

prima parte dell'introduzione è inoltre un incitamento alla violazio

ne delle leggi (« sapere di subire un atto anche formalmente ingiu sto aiuta a reagire, non solo, ma fornisce gli strumenti di

propaganda per coinvolgere gruppi sempre più vasti...»); è

una illustrazione della finalità complessiva dell'opera nel senso di

uno strumento di conoscenza delle « regole dell'avversario per

non fornirgli appigli formali che rendano legittima la repressio ne ». Il dott. Marrone mostra di essersi immedesimato a tal

punto nella posizione del militante da non aver avvertito neppu

re l'esigenza di prendere le distanze da esso nel momento in cui

ha individuato, come suoi specifici avversari, i giudici ed i

poliziotti. Sicché l'eventuale affermazione della liceità di questa manifestazione del pensiero equivarrebbe a significare che appar

tenenti all'ordine giudiziario possono impunemente schierarsi, in

nome della libertà di manifestazione di pensiero, dalla parte di

coloro che nella magistratura vedono « l'avversario ». Una con

clusione questa che, per riprendere l'appellativo che si ritrova

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Page 6: Sezione disciplinare; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Galasso, P. M. Cucco; Marrone

PARTE TERZA

nella introduzione, non può non apparire « aberrante » alla luce della valutazione coordinata dei valori di pari dignità che la Costituzione ha inteso tutelare. Non è agevole tradurre in posi tivo i singoli contenuti del dovere di fedeltà cui il magistrato è

tenuto. È peraltro certo che egli è più di ogni altro soggetto obbligato a difendere (non la singola norma che è anzi tenuto a criticare costantemente per verificare la conformità alla Costi

tuzione, ma) il sistema democratico e quindi il metodo, sul

quale questo sistema si fonda, dell'affermazione non violenta delle istanze rappresentate. Non essendo lecito, in definitiva ad un magistrato manifestare idee che implicano accettazione o

comunque non rivelano presa di distanze dalla valutazione posi tiva dell'uso della violenza come strumento consentito per l'affermazione del proprio punto di vista, il dott. Marrone va ritenuto responsabile dell'illecito disciplinare di cui all'atto di

incolpazione.

3. - Più complesso si presenta il problema della determinazio ne della sanzione: che, se dovesse essere irrogata con riferimen to a comportamenti omogenei con quello tenuto dall'incolpato ma successivi nel tempo di qualche anno, imporrebbe l'afferma zione dell'assoluta incompatibilità dell'autore dello scritto con l'ordine giudiziario. La sezione ha peraltro chiara la necessità di

non operare una sovrapposizione storica tra l'epoca dello scritto del dott. Marrone e il momento attuale: sicché all'incolpato non

possono farsi carico, in relazione all'avvenuta pubblicazione del

l'introduzione del « Manuale », avvenimenti verificatisi dopo il

1974, e in particolare lo sviluppo ancora attuale del terrorismo

nel paese. Se di quanto avvenuto non può tenersi conto, ciò non di meno si presenta in modo estremamente problematico la

permanenza all'interno della magistratura di un appartenente al l'ordine giudiziario che nel 1974, nel fare riferimento allo scon

volgente e lacerante episodio di Genova, non ha sentito il

bisogno di spendere neppure una delle innumerevoli parole che

compaiono nell'introduzione per chiarire che al di là di qualun

que giudizio tecnico sulla pronuncia di sospensione emessa dalla Corte di cassazione in relazione al provvedimento di libertà

provvisoria concesso a Mario Rossi e suoi compagni egli si

schierava a favore del sistema democratico e contro le Brigate rosse. È sintomatico che sull'episodio la difesa abbia preferito sorvolare soffermandosi sul riferimento alle pronunce della Cas sazione in ordine al conflitto di competenza per la celebrazione del processo di piazza Fontana. Il fatto è che la sezione non ha tenuto alcun conto del riferimento alle pronunce relative al

processo di piazza Fontana nel determinare la entità dell'infra zione disciplinare commessa dal dott. Marrone. Non v'è dubbio che l'accostamento di queste due pagine della storia giudiziaria dell'ultimo decennio è completamente arbitario. Il riferimento al

processo di piazza Fontana è stato utilizzato dal difensore per sostenere che il dott. Marrone non ha fatto altro se non mani festare un'opinione dissenziente; analoga conclusione il difensore non ha però esteso anche alle vicende di Genova. Ciò perché, mentre il processo di piazza Fontana è suscettibile di una va lutazione in chiave tecnica di contenuto fortemente critico, la vicenda di Genova non appare legata tanto ad una pronuncia giurisprudenziale quanto alla tragica insorgenza di uno dei primi (ma non dei meno gravi) episodi di terrorismo compiuti dalle

Brigate rosse. Di tutta sanguinosa pagina della storia della

repubblica che fu vissuta dal paese nel 1974 (sanguinosa già al momento della redazione dell'introduzione, se non altro per il

sangue versato dal fattorino Floris barbaramente trucidato dal Rossi), il dott. Marrone isola la decisione della Cassazione per evidenziarne il contenuto « aberrante » ed il carattere inedito nei confronti delle norme del codice di procedura penale. E ciò senza che egli abbia neppure minimamente mostrato di avvertire tutto il carattere « inedito » del ricatto posto dai terroristi alle istituzioni: ricatto che, nella penna per altri versi tanto vee mente e plastica del dott. Marrone, diventa, con formula a dir

poco eufemistica, « richiesta di scambio delle Brigate rosse ». Lo stato d'animo che emerge dal brano con cui si evoca questo gravissimo episodio di terrorismo è quello di chi nel conflitto tra i brigatisti estorsori e lo Stato democratico ricattato attraverso il

sequestro del giudice Sossi, mostra di non prendere posizione: nessun turbamento appare con riferimento al turpe ricatto mosso dai terroristi allo Stato democratico ma il solo turbamento,

rappresentato ai militanti quale sintomo della difficoltà in cui si sarebbero potuti venire a trovare, del carattere inedito di un

provvedimento giudiziario (quello di sospensione della libertà

provvisoria) che non poteva essere oggetto di valutazione di ordine tecnico. Può a questo punto comprendersi tutta la gravità del « tradimento » (inteso nel senso della già chiarita violazione

del dovere di fedeltà) consumato dal dott. Marrone: il quale, quanto meno per l'immagine emergente dallo scritto di cui al

l'incolpazione, non appare, cosi come ha preteso di apparire nel

corso delle proprie difese, il magistrato che manifesta opinioni

dissenzienti da quelle della maggioranza; ma si presenta al

contrario come un componente dell'ordine giudiziario che, in un

momento storico già contrassegnato dal carattere della ecceziona

lità conseguente all'attentato terroristico, ha alimentato l'equivoco della compatibilità tra il sistema democratico e l'uso della vio

lenza, individuale o collettiva, quale strumento consentito per il

superamento delle storture del sistema medesimo. Se di fronte

ad una tanto grave infrazione la sezione non irroga la massima

delle sanzioni contemplate dall'art. 19 r.d.l. n. 511/1946, ciò è

dovuto esclusivamente al dubbio sul carattere meramente episo

dico della trasgressione accertata. Dubbio che il lungo lasso di

tempo decorso dal fatto senza la reiterazione di comportamenti con esso omogenei, consente di sciogliere in senso favorevole al

l'incolpato. La sezione ritiene pertanto di irrogare al dott. Mar

rone la sanzione della perdita dell'anzianità nella misura massima

di anni due.

4. - Si ritiene inoltre di dover disporre, ai sensi dell'art. 21, 6°

comma, r.d.l. n. 511/46, il trasferimento di ufficio del dott.

Marrone. Va premesso in proposito che questa sanzione, consen

tita per le ipotesi di accertamento di una infrazione disciplinare

punita con sanzione più grave dell'ammonimento, non costituisce

un ulteriore strumento di adeguamento tra la gravità della viola

zione e l'entità della conseguenza sul piano disciplinare. Le

sanzioni disciplinari sono, in efletti, elencate dall'art. 19 r.d.l. 31

maggio 1946 n. 511 e tra esse non compare il trasferimento di

ufficio: sicché la previsione di cui all'art. 21, 6° comma, va

intesa come riferentesi ad una sanzione accessoria che la legge consente sia applicata in tutti i casi in cui c'è ragione di

ritenere che l'infrazione commessa abbia fatto venir meno il

prestigio del magistrato nella sede in cui opera. Proiettandosi

verso il futuro, il trasferimento di ufficio in tanto si impone in

quanto si ritenga perdurante al momento della pronuncia la

incompatibilità ambientale o di ufficio eventualmente originata dall'illecito. Nella specie l'attualità della lesione del prestigio del

dott. Marrone .nella sede giudiziaria in cui opera, si coglie in

rapporto con la persistenza dell'allarme conseguente alla esplo sione del terrorismo: di terrorismo e violenza politica che, come

ormai chiarito nel corso di innumerevoli procedimenti giudiziari sono stati alimentati da una riserva di .reclutamento costituita

dalle masse di militanti cui venne destinato il « Manuale ».

Sicché non pare che un magistrato che ha incitato il militante a

reagire di fronte ad un atto formalmente ingiusto (pag. 8 del

volumetto); che ha usato espressioni che parrebbero approvare l'uso della violenza di massa quale strumento idoneo a contra

stare gli avversari (pag. 11); non pare alla sezione che questo

magistrato possa esercitare con il necessario prestigio, la funzio

ne giudiziaria in una delle città pili esposte al terrorismo né

tanto meno quale componente di un ufficio quale la procura

generale.

Rivista di giurisprudenza amministrativa

Trentino-Alto Adige — Provincia di Trento — Edifici scolastici —

Concessione temporanea a terzi — Parere e non necessario as senso dei consigli di circolo o di istituto — Questione non ma nifestamente infondata di costituzionalità (Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige, art. 5, 9; 1. 4 agosto 1977 n. 517, norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esa mi di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordina mento scolastico, art. 12; 1. prov. Trento 7 agosto 1978 n. 27, utilizzazione degli edifici scolastici, delle loro attrezzature e spa zi verdi, da parte della comunità, per le loro attività culturali, sociali, civili e di tempo libero, art. 2).

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