sezione giurisdizionale per la regione Lazio; sentenza 25 settembre 2000, n. 1544; Pres. Bisogno,Est. Di Fortunato, P.M. Nottola; Proc. reg. Corte conti c. Rutelli e altri (Avv. Guarino,Correale, Ristuccia, Medugno, Carnovale)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 2 (FEBBRAIO 2001), pp. 91/92-103/104Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197587 .
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PARTE TERZA
CORTE DEI CONTI; sezione giurisdizionale per la regione Lazio; sentenza 25 settembre 2000, n. 1544; Pres. Bisogno, Est. Di Fortunato, P.M. Nottola; Proc. reg. Corte conti c.
Rutelli e altri (Avv. Guarino, Correale, Ristuccia, Medu
gno, Carnovale).
CORTE DEI CONTI;
Responsabilità contabile e amministrativa — Comune — Nomina di consulenti ed esperti esterni — Sindacato del giudice contabile — Limiti (R.d. 12 luglio 1934 n. 1214, ap provazione del t.u. delle leggi sulla Corte dei conti; 1. 8 giu
gno 1990 n. 142, ordinamento delle autonomie locali, art. 51;
d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, razionalizzazione dell'organiz zazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della di
sciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 1.
23 ottobre 1992 n. 421, art. 19; d.leg. 23 dicembre 1993 n.
546, ulteriori modifiche al d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, sul pubblico impiego, art. 11; 1. 15 maggio 1997 n. 127, misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo, art. 6; d.leg. 31 mar
zo 1998 n. 80, nuove disposizioni in materia di organizzazio ne e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di
giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, 4° comma, 1. 15 marzo 1997 n. 59, art. 13; 1. 16 giugno 1998 n. 191, mo
difiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997 n. 59, e 15 maggio 1997 n. 127, nonché norme in materia di formazione
del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbli che amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scola stica, art. 2; d.leg. 29 ottobre 1998 n. 387, ulteriori disposi zioni integrative e correttive del d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni, e del d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, art. 5; d.l. 26 gennaio 1999 n. 8, disposizioni transitorie ur genti per la funzionalità di enti pubblici, art. 2; 1. 3 agosto 1999 n. 265, disposizioni in materia di autonomia e di ordi namento degli enti locali, nonché modifiche alla 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 13).
Responsabilità contabile e amministrativa — Comune —
Nomina di consulenti ed esperti esterni — Illegittimità —
Presupposti (R.d. 12 luglio 1934 n. 1214; 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 51; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 19; d.leg. 23 di cembre 1993 n. 546, art. 11; 1. 15 maggio 1997 n. 127, art. 6;
d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, art. 13; 1. 16 giugno 1998 n. 191, art. 2; d.leg. 29 ottobre 1998 n. 387, art. 5; d.l. 26 gennaio 1999 n. 8, art. 2; 1. 3 agosto 1999 n. 265, art. 13).
Il ricorso di un comune a consulenti ed esperti esterni all'am
ministrazione è sindacabile dal giudice contabile, al fine di
valutare la sussistenza o meno delle condizioni cui è subordi
nato l'esercizio legittimo del potere di scelta dei consulen
. ti- (1) E illegittimo e produttivo di danno erariale il conferimento, da
parte di un comune, di incarichi a consulenti ed esperti ester
ni, in assenza di tassativi presupposti legati a situazioni di
carattere straordinario e all'impossibilità per l'ente di svol
gere con personale e strutture propri le attività affidate ai
consulenti ed esperti esterni. (2)
(1-2) I. - La pronuncia della Corte dei conti (sostanzialmente con forme ad altra emessa dalla stessa sezione in pari data, n. 1545, est. Li
brandi, al momento inedita) ripropone la questione della sindacabilità delle scelte discrezionali compiute dall'amministrazione nella scelta di consulenti ed esperti esterni e nella formazione degli uffici che, posti alle dirette dipendenze del vertice politico (c.d. uffici di staff), sono in caricati di cooperare alla formazione dell'indirizzo politico-ammini strativo.
Tale problematica, da tempo nota alla giurisprudenza, è divenuta
particolarmente acuta nell'ultimo decennio, con riferimento, prima, ai comuni ed alle province, per effetto delle norme contenute nella 1. 142/90 (art. 51, più volte modificato) e, successivamente, alle ammini strazioni statali, per effetto del d.leg. 29/93 (art. 14, nel testo che oggi risulta dal d.leg. 80/98).
Queste disposizioni hanno consentito ai vertici politici delle diverse amministrazioni di organizzare propri uffici, con compiti (non gestio nali, ma) di collaborazione all'elaborazione dell'indirizzo politico amministrativo, composti da personale esterno all'organico dell'ente e nominato sulla base di un rapporto fiduciario: donde la necessità di sta bilire se e quali limiti sussistano alla scelta, da parte dei vertici politici, dei soggetti chiamati a comporre i loro staff.
Il Foro Italiano — 2001.
Diritto. — Il collegio deve, pregiudizialmente, esaminare le
eccezioni sollevate sotto vari profili dai convenuti.
L'eccezione di prescrizione, nei termini in cui è stata solle
vata, è manifestamente infondata.
Infatti, sostengono al riguardo i convenuti che la giunta co
munale «ha adottato una delibera di carattere generale, la n. 1
del 4 gennaio 1994, che ribadisce la necessità di predisporre uf
fici di staff alle dirette dipendenze del sindaco e dei singoli as sessori e che tale delibera richiama l'art. 51, 7° comma, 1. n. 142
del 1990».
Nella fattispecie, la giunta del comune di Roma, sulla scorta di una
propria originaria deliberazione concernente l'istituzione dell'ufficio di staff del sindaco, aveva affidato — in base all'art. 51, 7° comma, 1. 142/90 — numerosi incarichi a soggetti estranei all'amministrazione, senza che sussistessero, a dire del procuratore regionale della Corte dei
conti, apprezzabili ragioni di pubblico interesse e pur in presenza di
adeguate professionalità interne all'ente. La sentenza in epigrafe afferma, anzitutto, la competenza della Corte
dei conti a sindacare l'esistenza delle condizioni cui è subordinato l'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione di nominare consulenti ed esperti esterni. La sezione ha ritenuto, infatti, che tali nomine debbano comunque rispettare alcune condizioni imprescindibi li, che discendono non solo dalla legge, ma anche dal generale principio di ragionevolezza e dal principio di economicità dell'azione ammini
strativa; né — precisa la sentenza — la necessità di rispettare tali con dizioni è venuta meno dopo che la 1. 142/90 ed altre norme hanno ulte riormente rafforzato la distinzione tra poteri di indirizzo e controllo,
spettanti agli organi politici, e poteri di gestione amministrativa, attri buiti in via esclusiva ai dirigenti. Per altro verso, la sezione precisa che, anche dopo la 1. 20/94 (come modificata dalla 1. 639/96), per la quale il
merito delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione è sot tratto al vaglio della corte, questa conserva comunque il potere di giu dicare in ordine al corretto esercizio della facoltà concessa agli enti lo cali di utilizzare soggetti estranei all'amministrazione al fine di perse guire finalità istituzionali in relazione alle quali operino già strutture interne agli enti (la sentenza riprende, in tal senso, l'orientamento della
corte, per cui l'insindacabilità nel merito delle opzioni degli ammini stratori esclude che il giudice contabile possa sindacare l'opportunità e la convenienza amministrativa delle scelte effettuate, ma non che gli sia
impedita la valutazione dell'operato dell'amministrazione in termini di
congruità, logicità, ragionevolezza e obiettività dell'azione ammini strativa: Corte conti, sez. II app., 28 aprile 1998, n. 126, Foro it., Rep. 1998, voce Responsabilità contabile, n. 60; né sembra configgere, con tale orientamento, l'affermazione per cui, nell'ipotesi di attribuzione di incarichi a professionisti esterni, il giudice contabile rimane soggetto al divieto di interferire nelle scelte discrezionali di merito, atteso che tale divieto «attiene non solo ai fini assegnati all'azione amministrativa, ma anche ai mezzi, alternativi o combinati, idonei a perseguirli», sicché il sindacato della corte deve arrestarsi all'esterno della vicenda ammini
strativa, «come ideale linea di confine tra un adeguato controllo giuris dizionale e un adeguato funzionamento dell'amministrazione»: Corte
conti, sez. I, 24 aprile 1998, n. 121/A, ibid., n. 57). La sentenza in epigrafe individua cinque condizioni, sussistendo le
quali il conferimento di incarichi deve ritenersi pienamente legittimo (salvo precisare che, in difetto anche di una soltanto di tali condizioni, il conferimento dell'incarico non solo è illegittimo, ma il compenso erogato all'esperto esterno costituisce un vero e proprio «depaupera mento delle pubbliche finanze»). Queste condizioni sono: 1 ) la rispon denza degli incarichi conferiti agli obiettivi dell'amministrazione con
ferente; 2) la specificità e temporaneità dell'incarico; 3) l'impossibilità di procurarsi le utilità, oggetto dell'incarico, con personale interno al
l'ente; 4) l'esistenza di una adeguata motivazione del provvedimento amministrativo con il quale l'incarico viene conferito; 5) la proporzione tra compenso erogato ed utilità conseguite dall'ente conferente l'inca rico (analoghi criteri erano già stati identificati da Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 4 giugno 1997, n. 50, ibid., n. 528, secondo cui proprio la fissazione di criteri non generici, ma predefiniti e specifici consente al sindacato del giudice di concentrare il suo giudizio sull'applicazione fedele e corretta dei criteri di scelta).
La Corte dei conti ha, comunque, altrove precisato che occorre di
stinguere le fattispecie attratte al suo giudizio a seconda dell'ammini strazione pubblica considerata, atteso che, pur se sussiste la necessità di
applicare comunque il principio generale secondo cui il ricorso alle consulenze esterne è soggetto a limiti rigorosi, tale principio assume rebbe comunque un «diverso valore e cogenza secondo che si tratti di amministrazioni statali, di enti locali o di enti pubblici»: Corte conti, sez. II, 28 giugno 1996, n. 35, id., Rep. 1997, voce cit., n. 539.
Per parte sua, il giudice amministrativo ha chiarito che il consulente rimane legato all'amministrazione che conferisce l'incarico non da un
rapporto di natura pubblicistica, bensì da uno di natura privatistica, esclusa, comunque, l'instaurazione di un rapporto di pubblico impiego:
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Per la scelta dei collaboratori esterni i criteri di riferimento
non sono stati, però, quelli indicati in quest'ultima legge ma è
prevalso il c.d. «rapporto fiduciario».
«Ora siccome la delibera n. 1 del 1994 non ha formato og
getto di contestazione da parte della procura regionale, nessuna
responsabilità può essere elevata nei confronti dei componenti della giunta per la sua adozione, né potrebbe più essere solle
vato alcunché, essendo scaduto il termine di cinque anni fissato
inderogabilmente dall'art. 1, 2° comma, 1. 14 gennaio 1994 n.
20».
Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 1995, n. 920, id., Rep. 1995, voce Im
piegato dello Stato, n. 178. Sulla legittimità del ricorso a professionalità esterne in ipotesi di as
senza o insufficienza di professionalità interne, v., ex multis, Corte
conti, sez. Ili app., 22 marzo 1999, n. 55/A, id., Rep. 1999, voce Re
sponsabilità contabile, n. 325, e Riv. Corte conti, 1999, fase. 2, 60; sez.
I app. 13 luglio 1998, n. 223/A, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 630; sez. giur. reg. Sicilia 16 febbraio 1998, n. 56, id., Rep. 1998, voce cit., n. 499; sez. contr. reg. Sardegna 31 dicembre 1994, n. 140, id., Rep. 1995, voce Regione, n. 331.
Nel senso, poi, che a tale assenza o insufficienza debbono accompa
gnarsi situazioni di eccezionalità, urgenza, necessità, straordinarietà del
conferimento, v. Corte conti, sez. III app., 22 marzo 1999, n. 55/A, cit., e 25 ottobre 1999, n. 255/A, Riv. Corte conti, 1999, fase. 5, 68; sez. II
app. 28 aprile 1998, n. 126, cit.; sez. giur. reg. Molise 26 marzo 1998, n. 80, id., Rep. 1999, voce Responsabilità contabile, n. 743; sez. giur.
reg. Lazio 9 gennaio 1998, n. 4, id., Rep. 1998, voce cit., n. 534; sez.
giur. reg. Emilia-Romagna 24 aprile 1997, n. 258, ibid., n. 583; sez.
giur. reg. Calabria 20 maggio 1997, n. 25, ibid., n. 788; sez. giur. reg. Sicilia 9 aprile 1996, n. 78, id., Rep. 1997, voce cit., n. 746.
Nel senso, peraltro, che costituisce presupposto sufficiente al confe
rimento di incarichi a professionisti esterni, «la cui attività sia ritenuta
essenziale per i compiti assegnati alla regione in specifiche materie», l'accertata e documentata carenza di organico dell'ente, v. Tar Tosca
na, sez. III, 28 giugno 1994, n. 225, id., Rep. 1995, voce Regione, n.
329. Ma la corte ha censurato pure il mancato conseguimento, da parte
dell'ente, delle utilità che avrebbero dovuto giustificare il ricorso a pro fessionalità esterne, ritenendo, ad esempio, che sussiste danno erariale
«nel caso di spese per incarichi a consulenti esterni per l'espletamento di attività esclusivamente istituzionali, senza il conseguimento di quelle utilità che al ricorso a consulenti esterni sono normalmente collegate» (Corte conti, sez. giur. reg. Veneto, 4 dicembre 1996, n. 471, id., Rep. 1997, voce Responsabilità contabile, n. 491, nonché sez. giur. reg. Abruzzo 20 novembre 1996, n. 262, ibid., n. 445), seppure il conferi
mento, «in presenza di eccezionalità dell'incarico e di una situazione
d'insufficienza della forza lavoro presente, può ritenersi dannoso non
per il solo fatto del conferimento ma solo all'esito di un raffronto ne
gativo tra la spesa sostenuta e l'utilità conseguita dall'ente» (Corte conti, sez. I app., 15 gennaio 1999, n. 9, id., Rep. 1999, voce cit., n.
485; 9 novembre 1998, n. 313/A, ibid., n. 484). D'altro canto, la previsione delle tabelle organiche costituisce la pre
determinazione in sede legislativa delle esigenze organizzative e fun
zionali dell'ente, cosicché è inutiliter data, ai fini di quelle esigenze, la
prestazione effettuata da personale (interno o esterno) assunto o incari
cato tramite rapporto convenzionale, in eccedenza alle piante organi che: Corte conti, sez. I app., 28 aprile 1999, n. 110/A, Riv. Corte conti,
1999, fase. 5, 54, e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione.
Quanto ai requisiti professionali dei nominati consulenti ed esperti, la sentenza in rassegna rileva che gli incarichi sarebbero stati conferiti a
soggetti privi di specifiche professionalità (in argomento, v., di recente, Corte conti, sez. giur. reg. Sardegna, 16 ottobre 1999, n. 813, ibid., fase. 6, 176 [m]) e che i compiti ad essi affidati avrebbero avuto carat
tere generico, sicché il loro espletamento si sarebbe sovrapposto alle
normali attività degli uffici comunali, al cui interno prestavano servizio
dipendenti e funzionari in possesso, oltre tutto, delle capacità necessa
rie ad espletare i compiti affidati all'esterno. In ultima analisi, il confe
rimento degli incarichi esterni sarebbe avvenuto col fine prevalente, se
non esclusivo, «di favorire persone di fiducia, portavoce, segretari, ecc.», senza che l'ente abbia ricevuto vantaggi di tale attività e, perciò,
esponendo le finanze pubbliche ad un esborso ingiustificato, giacché tutte le attività oggetto delle consulenze potevano essere svolte da per sonale in servizio. In passato, tuttavia, la giurisprudenza si era espressa in maniera meno restrittiva, avendo ritenuto che non è connotato di
colpa grave il comportamento di amministratori, funzionari e revisori
responsabili dell'affidamento di numerosi incarichi esterni nel mancato
rispetto di circolari disciplinatrici della materia, allorché gli incarichi
stessi siano risultati utili e vantaggiosi e, comunque, in linea con i fini
istituzionali dell'ente, o, quantomeno, non estranei ad essi, pur nel pre
supposto della carenza di personale qualificato in grado di svolgerli: v., ex plurimis, Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 30 ottobre 1997, n. 216,
Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 188.
II Foro Italiano — 2001.
A ciò hanno aggiunto che «i provvedimenti adottati dal sin
daco e dagli assessori entro il 30 giugno 1994, costituendo ap
plicazione della predetta delibera, non potrebbero, dunque, in
alcun caso dar luogo a responsabilità, poiché la stessa delibera
non può essere disapplicata e copre tutti gli atti emessi in sua
esecuzione».
«Per il periodo successivo al 30 giugno 1994, sindaco ed as
sessori, pur non essendovi obbligati, non si sono discostati dalle
regole che si erano già date con la citata delibera n. 1 del 1994».
Il numero degli addetti agli staff, i compensi, la durata dei
II. - La pronuncia in epigrafe sembra accomunare fattispecie diffe
renti di ricorso a professionalità esterne, laddove, invece, la legge di
stingue fra diverse ipotesi e finalità, anche quanto alla sfera dì discre
zionalità relativa all'attribuzione degli incarichi di collaborazione e di
consulenza. Infatti, già la 1. 142/90 — modificata prima dalla 1. 127/97,
poi dalla 1. 191/98 e, infine, dalla 1. 265/99 — ed oggi il testo unico su
gli enti locali (d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, art. 107 ss.), individuano
tre diverse fattispecie di incarichi esterni: la «chiamata» di soggetti esterni all'amministrazione negli uffici di staff degli organi politici; il
conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali; le convenzioni pro fessionali per alte specializzazioni.
In effetti, i componenti degli uffici di staff svolgono compiti che
nettamente li distinguono sia dagli incaricati (interni o esterni) di fun
zioni dirigenziali, sia dagli esperti e consulenti esterni reclutati per il
conseguimento di specifici obiettivi che implicano il possesso di pro fessionalità particolarmente elevate. Ciò, in quanto diversa è la natura
degli incarichi, sicché il componente dell'ufficio di staff deve ritenersi
non legato al perseguimento di obiettivi burocratico-amministrativi, bensì di obiettivi politici, che vengono posti dal sindaco.
D'altra parte, la ratio dell'istituzione degli uffici di staff risiede nella
ricerca di sistemi flessibili per la formazione degli indirizzi generali
degli organi politici di vertice, esclusa ogni possibilità di svolgere fun
zioni proprie degli apparati amministrativi. Con la conseguenza che i
componenti di tali uffici potrebbero anche non possedere specifiche
professionalità e che non dovrebbe sussistere alcun onere di motivazio
ne in ordine alle loro nomine: il tutto, in perfetta aderenza con l'art. 51, 7° comma, 1. 142/90, secondo cui «il regolamento sull'ordinamento de
gli uffici e dei servizi può inoltre prevedere la costituzione di uffici po sti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo
e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti del
l'ente, ovvero, purché l'ente non abbia dichiarato il dissesto e non versi
nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all'art. 45 d.leg. 30 di
cembre 1992 n. 504, e successive modificazioni, da collaboratori as
sunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una
pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni». Al contrario, tutti gli altri soggetti esterni all'amministrazione, an
corché incaricati di funzioni dirigenziali o legati da rapporti libero
professionali, sono strutturalmente inseriti negli apparati burocratici.
Ne segue che solo con riguardo agli incarichi di funzioni dirigenziali ed
alle alte specializzazioni potrebbe porsi un problema di duplicazione di
funzioni rispetto a professionalità interne all'ente locale (e, quindi, di
necessità di motivare circa l'inesistenza di professionalità interne al
l'ente), mentre la questione non potrebbe prospettarsi — come detto —
con riguardo agli uffici di staff.
In dottrina, sulle nomine politiche a cariche amministrative, v., in
generale, Endrici, Il potere di scelta. Le nomine tra politica e ammini
strazione,, Bologna, 2000. III. - I principi affermati dalla sentenza in epigrafe sostanzialmente
coincidono con quelli che, nella materia degli incarichi ad esperti, co
stituiscono giurisprudenza costante in sede di controllo.
Così, ad esempio, la corte ha sottolineato la necessità che le consu
lenze esterne rispondano a criteri di sana e corretta gestione e, per con
tro, che tali criteri difettano laddove il ricorso alle consulenze ed agli incarichi esterni assuma carattere di ordinarietà anziché di eccezionalità
(Corte conti, sez. contr. enti, 4 dicembre 1998, n. 95/Rel., Foro it., Rep. 1999, voce Amministrazione dello Stato, n. 341; 31 luglio 1998, n.
62/Rel., ibid., n. 292; 16 luglio 1998, n. 58/Rel., ibid., n. 279; 21 luglio
1997, n. 31/Rel., id.. Rep. 1998, voce cit., n. 288; 8 luglio 1997, n.
28/Rel., ibid., n. 349; 5 maggio 1997, n. 14/Rel., ibid., n. 456; sez.
contr. 5 dicembre 1996, n. 170, id., Rep. 1997, voce cit., n. 200; sez.
contr. enti 22 novembre 1996, n. 46, ibid., n. 254; 7 novembre 1996, n.
51, ibid., n. 263; 28 maggio 1996, n. 26, ibid., n. 297; 8 maggio 1996,
n. 22, ibid., n. 306; 12 gennaio 1996, n. 72/Rel., id., Rep. 1996, voce
cit., n. 333; 2 giugno 1994, n. 22/Rel., id., Rep. 1995, voce cit., n. 337;
12 luglio 1994, n. 35, id., Rep. 1994, voce cit., n. 240; 21 giugno 1994,
n. 29, ibid., n. 243; 14 giugno 1994, n. 27, ibid., n. 246; 29 aprile 1980, n. 1538, id., Rep. 1981, voce cit., n. 73).
Anzi, la corte ha affermato l'esistenza di un vero e proprio onere per le amministrazioni di «ridimensionare drasticamente allo stretto indi
spensabile» il numero degli incarichi e delle consulenze esterne, sia
utilizzando le professionalità dei dipendenti in servizio sia «eliminando
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PARTE TERZA
rapporti sono stati sempre — a loro dire —
quelli prestabiliti con la ripetuta deliberazione n. 1 del 1994.
Ritiene il collegio che le argomentazioni svolte al riguardo non possono essere condivise dal momento che, con riferimento
alla delibera n. 1 del 1994 ed alla delibera n. 73 del 1995, l'ec cezione di prescrizione così come sollevata è semplicemente
improponibile. Infatti, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali — art.
58 1. 8 giugno 1990 n. 142 — è previsto che l'azione di respon sabilità si prescrive con il decorso del quinquennio dalla «com
missione del fatto».
Detta espressione non può essere intesa nel senso che è suffi
ciente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice com
pimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio
dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento patrimo niale all'ente pubblico, considerato che l'elemento «fatto» com
prende non solo la condotta del soggetto, ma anche l'evento an
tigiuridico che ad essa consegue. Da ciò discende che, ove il pubblico nocumento insorga a di
stanza di tempo dal comportamento colpevole dell'amministra
zione o del dipendente di cui al citato art. 58 1. n. 142 del 1990, è da quel momento che comincia a decorrere il termine prescri zionale quinquennale previsto dalla norma in questione.
procedure funzionalmente non indispensabili al procedimento delibera tivo» (Corte conti, sez. contr. enti, 12 gennaio 1996, n. 72/Rel., cit.; 1°
luglio 1994, n. 28/Rel., id., Rep. 1995, voce cit., n. 315; 13 novembre
1990, n. 63, id., Rep. 1991, voce cit., n. 225). Inoltre, è stato ritenuto illegittimo e sintomo di un'inefficiente ge
stione l'affidamento a consulenti esterni, estranei all'amministrazione, della soluzione di problemi inerenti alle funzioni ed all'organizzazione della pubblica amministrazione, che debbono invece essere oggetto dell'attività delle strutture amministrative interne (Corte conti, sez. contr. enti, 12 giugno 1996, n. 29, id., Rep. 1997, voce cit., n. 296; sez. contr. 8 febbraio 1995, n. 16, id., Rep. 1995, voce cit., n. 105; 2 no vembre 1994, n. 120, ibid., n. 106; sez. contr. enti 9 marzo 1993, n.
9/Rel., id., Rep. 1994, voce cit., n. 315; 2 marzo 1993, n. 9, id., Rep. 1993, voce cit., n. 189; sez. contr. 11 settembre 1992, n. 51, ibid., n.
225; sez. contr. enti 22 maggio 1992, n. 19/Rel., ibid., n. 240; 3 luglio 1990, n. 43, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 232).
Parimenti, è stata censurata in sede di controllo la duplicazione delle funzioni e dei compiti istituzionali dell'ente da parte dei consulenti
esterni, rispetto all'operato del personale di ruolo (Corte conti, sez. contr. enti, 26 febbraio 1997, n. 4, id., Rep. 1997, voce cit., n. 235), causa anche di «frustrazioni del personale dipendente» (Corte conti, sez. contr. enti, 7 maggio 1991, n. 26, id., Rep. 1992, voce cit., n. 295), ovvero il ricorso a consulenti esterni pur vigente il divieto di assunzioni di personale mirante al miglior impiego delle esistenti risorse umane ed all'eliminazione di notevoli eccedenze organiche (Corte conti, sez. contr. enti, 11 novembre 1996, n. 48, id., Rep. 1997, voce cit., n. 256; 16 febbraio 1995, n. 4/Rel., id., Rep. 1995, voce cit., n. 234; 24 gennaio 1995, n. 4, ibid., n. 268; 10 marzo 1992, n. 12, id., Rep. 1992, voce cit., n. 287; 24 settembre 1991, n. 48, ibid., n. 290).
Sempre in sede di controllo, la corte ha poi ricordato che, al fine di escludere l'insorgenza di conflitti di interesse e confusione di ruoli, oc corre che, in materia di conferimento di incarichi professionali ad
esperti, le scelte siano neutrali e le procedure di conferimento siano
sempre improntate a principi di correttezza e di buona amministrazione
specificando oggetto, durata e criteri di valutazione dei risultati (Corte conti, sez. contr. enti, 6 aprile 1998, n. 23/Rel., id., Rep. 1998, voce
cit., n. 357; 29 luglio 1996, n. 40, id., Rep. 1997, voce cit., n. 273). In ogni caso, è sintomo di inefficiente gestione amministrativa l'aver
sostenuto, per consulenze esterne, costi spropositati, eccessivi e co
munque non economici (Corte conti, sez. contr. enti, 16 marzo 1998, n.
11/Rel., id., Rep. 1998, voce cit., n. 361; 17 ottobre 1997, n. 40/Rel., ibid., n. 412; 23 gennaio 1997, n. 66, id., Rep. 1997, voce cit., n. 240; 26 aprile 1995, n. 28/Rel., id., Rep. 1996, voce cit., n. 289; 20 febbraio 1995, n. 13/Rel., id., Rep. 1995, voce Professioni intellettuali, n. 218; sez. contr. reg. Sardegna 31 dicembre 1994, n. 140, cit., secondo cui
l'apporto di consulenze specialistiche sarebbe ammissibile solo quando fosse comprovata — in relazione all'oggetto ed al contenuto dell'inca rico — la carenza di specifiche professionalità nell'ambito sia del com
petente ufficio, sia «dell'intero apparato burocratico-amministrativo re
gionale»). Sempre in sede di controllo, la corte ha ritenuto che «un ente pubbli
co avente compiti eminentemente tecnici deve condurre la politica di reclutamento del personale verso categorie altamente qualificate, al fine di non creare i presupposti per il ricorso a professionisti esterni cui con ferire incarichi anche dirigenziali» (Corte conti, sez. contr. enti, 16 giu gno 1987, n. 1923, id., Rep. 1988, voce Amministrazione dello Stato, n.
159). [Q. Lorelli]
Il Foro Italiano — 2001.
In altri termini, l'inizio della prescrizione per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui divie
ne perfetta la fattispecie dannosa (il fatto dannoso), nei suoi due
elementi costitutivi dell'azione-omissione e dell'effetto lesivo
di questa.
Quando le due componenti risultano distanziate nel tempo, ossia quando l'effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifica in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell'azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia
a decorrere la prescrizione. Prima del verificarsi dell'effetto lesivo, dunque, non vi è
«interesse» ed in ogni caso mancano i requisiti della certezza e
dell'attualità che legittimi ad agire, non essendosi ancora verifi
cato il nocumento patrimoniale di cui si intende chiedere il ri sarcimento.
Il che postula non soltanto il compimento della condotta ille
cita, ma anche la realizzazione concreta del danno.
Ciò trova puntuale conferma normativa oltre che nell'art.
2935 c.c., in base al quale la «prescrizione comincia a decorrere
dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere» (cfr., per tut
te, sez. riun. 25 ottobre 1996, n. 62/A, Foro it., Rep. 1997, voce
Responsabilità contabile, n. 83), anche nell'art. 2934 c.c., atteso
che esso è fondato sull'inerzia del soggetto attivo del rapporto e
sull'adeguamento di una situazione di diritto ad una composi zione di interessi realizzatasi in atto per una volontà del titolare
stesso, che appunto attraverso l'inerzia mostra di non avervi in
teresse.
Inerzia ex art. 2934 c.c., che come manifestazione di volontà
del soggetto attivo del rapporto di disposizione del diritto in
termini di estinzione dello stesso, non è ravvisabile nelle ipotesi, come quella in esame, il cui soggetto non sia titolare del diritto
al risarcimento, o, ancorché titolare, non possa esercitarlo.
Quindi non può ritenersi inerte la parte danneggiata in un re
gime di responsabilità secondo cui valgono i principi posti dal
citato art. 2934 c.c., in base al quale il termine iniziale di pre scrizione decorre non già dall'illecito (commissione del fatto
illecito), bensì dalla definitività e conoscibilità obiettiva del danno (fatto dannoso).
In tal senso è anche la giurisprudenza della Suprema corte di
cassazione, secondo cui, in mancanza della percezione del dan
no, non è possibile giuridicamente, e non soltanto in via di mero
fatto, esercitare l'azione risarcitoria (Cass., sez. I, 4 aprile 1996, n. 3160).
Risulta, quindi, chiaro che il compimento del fatto dannoso,
per rendere possibile l'esercizio dell'azione pubblica risarcito
ria, deve essere indissolubilmente legato al verificarsi del danno
erariale, cioè al depauperamento dell'ente.
Solo a questo punto insorgerebbe l'ulteriore problema, per il
caso di specie, dell'individuazione del momento iniziale del pe riodo prescrizionale dell'azione pubblica, la quale andrebbe in
dividuata dall'insorgenza certa e definitiva dell'obbligazione di
pagamento o dal pagamento effettivo del corrispettivo per l'in
carico conferito.
Orbene, nella fattispecie all'esame, in qualsiasi maniera si
intenda collocare il dies a quo, nessuno dei termini è maturato
per cui l'eccezione di prescrizione va respinta perché giuridi camente infondata.
D'altra parte il collegio reputa, per i motivi esposti, non per tinenti le argomentazioni svolte al riguardo dai convenuti.
Anche l'eccezione concernente l'invocata declaratoria di
estinzione del giudizio per cessata materia del contendere è in
fondata e va, pertanto, respinta. Infatti, il collegio reputa di non poter condividere le argo
mentazioni svolte al riguardo che, sinteticamente, possono così
riassumersi: «l'amministrazione, per regolamentare la propria attività, in materia di consulenze esterne, ha adottato una delibe
ra di carattere generale, la n. 1 del 4 gennaio 1994, che richiama
l'art. 51, 7° comma, 1. 142/90.
Per la scelta dei collaboratori esterni il criterio di riferimento
è stato individuato nel c.d. 'rapporto fiduciario' anziché nei
principi stabiliti dalla predetta normativa.
I provvedimenti adottati dal sindaco e dagli assessori costitui
scono applicazione della predetta delibera per cui non potrebbe ro in alcun caso dar luogo a responsabilità.
Gli 'staff' sono stati costituiti in base a regole che sono diver se da quelle che valgono per i collaboratori di alta professiona
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
lità perché nella fattispecie la professionalità occorrente non
può essere quella più elevata rispetto alla professionalità rinve
nibile nella burocrazia, ma deve essere quella 'adeguata' al
compito di collaborazione con i responsabili politici dell'ammi nistrazione ed al rapporto di fiducia che deve essere istituito».
A sostegno delle argomentazioni svolte è stato richiamato
l'art. 61. 15 maggio 1997 n. 127.
Con tale norma — secondo quanto prospettato — è caduto
ogni riferimento «all'alto contenuto di professionalità» e «l'uni
co elemento qualificante viene individuato nella costituzione
dell'ufficio». Il rapporto istituendo non è di tipo «professionale», secondo
quanto di norma avviene per le collaborazioni di alta professio
nalità, ma è di lavoro subordinato, regolato dal contratto collet
tivo.
Dopo la 1. 15 maggio 1997 n. 127 è intervenuta la disposizio ne della 1. 25 marzo 1999 n. 75, che ha determinato la cessazio
ne della materia del contendere, considerando che la 1. 75/99 ha
un indiscutibile carattere retroattivo ed i suoi effetti, secondo
quanto espressamente recita detta norma, si dispiegano «a de
correre dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della 1.
25 marzo 1993 n. 81». L'assunto dei convenuti non può essere condiviso dal colle
gio. Infatti, come già ampiamente evidenziato, la chiamata in giu
dizio dei convenuti riguarda le consulenze esterne conferite nel
triennio 1994-1996; l'atto di citazione è stato depositato il 12
marzo 1999, mentre l'emendamento all'art. 2 d.l. 29 gennaio 1999 è stato presentato per la prima volta al senato della repub blica il 23 marzo 1999, approvato il 23 marzo 1999 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 27 marzo 1999.
Ora, indipendentemente dalla qualificazione che si voglia da re alla 1. 25 marzo 1999 n. 75, l'indagine della procura regiona
le, effettuata sulle consulenze dei soli anni 1994-1995 e 1996,
rendono ininfluenti ed ultronee le argomentazioni svolte al ri
guardo dalla difesa dei convenuti.
Infatti, ci troviamo, comunque, in presenza di rapporti giuri dici già conclusi, ossia esauriti e definiti.
In questo contesto, irretroattività significa che la nuova legge non può modificare, ora per allora, i termini di tali rapporti: non
escludere tutto questo significherebbe che, su questioni già con
cluse, l'ordinamento giuridico può essere modificato unilate
ralmente a cose fatte e ciò in violazione di un principio di civiltà
giuridica essenziale. Reputa il collegio che nel caso in esame non è applicabile la
legge sopravvenuta n. 75 del 1999 perché incontra il limite del
c.d. facta praeterita o «del fatto compiuto», per cui le nuove
norme non possono essere applicate a rapporti precedentemente
sorti, i cui effetti sono già esauriti.
Da ciò discende che non risulta venuto meno l'interesse alla
prosecuzione dell'attività processuale in questione. Infondata è anche l'eccezione sollevata secondo cui la valuta
zione delle esigenze del ricorso alle consulenze esterne appar tiene alla discrezionalità della pubblica amministrazione e come
tale insindacabile da parte del giudice della responsabilità, giu sto anche il disposto dell'art. 1, 1° comma, 1. n. 20 del 1994, nel
testo coordinato con il d.l. n. 543 del 1996, convertito in 1. n.
639 del 1996. Ritiene il collegio che, nella fattispecie, non si tratta di sinda
care il merito di una scelta della pubblica amministrazione, ben
sì di fare chiarezza sulla sussistenza o meno delle condizioni cui
è subordinato l'esercizio legittimo del potere di scelta.
Vale a dire che occorre accertare per ogni incarico se si sia
tenuto conto delle predette condizioni e se sia stato rispettato il
principio di ragionevolezza, cui deve costantemente improntarsi
l'operato degli amministratori; principio che riassume in sé
quelli dell'economicità e del buon andamento dell'azione am
ministrativa costituzionalmente garantiti.
Infatti, va rilevato che il collegio è chiamato a pronunciarsi in ordine ai limiti del potere della pubblica amministrazione di av valersi dell'opera di soggetti estranei alla propria organizzazio ne nel perseguire le finalità istituzionali a cui, in via di princi pio, per la natura di queste e secondo l'apparato di cui dispone,
dovrebbe provvedere direttamente con le sue strutture — organi
ed uffici — per espletare l'attività istituzionale, il cui esercizio è demandato secondo la legge al proprio apparato e che ricom
prende sia l'attività decisionale, identificabile con la funzione o
Il Foro Italiano — 2001 — Parte III-3.
con la potestà pubblica, sia quella tecnica o comunque operati va.
La vicenda in questione concerne, quindi, i limiti entro i quali
può riconoscersi alla pubblica amministrazione la potestà di af
fidare a terzi lo svolgimento di attività connesso alla realizza
zione delle proprie finalità, tenendo presente che la 1. 8 giugno 1990 n. 142, ha effettivamente assunto portata innovativa, chia
ramente puntualizzata nei principi fissati nell'art. 51, per i quali, tra l'altro «i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli orga ni elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai diri
genti».
Seguendo il tracciato già segnato in sede di diversificazione
tra attribuzioni degli organi politici e competenze della dirigen za statale di cui al d.p.r. 30 giugno 1972 n. 748, successiva
mente rimodellato dal d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29 a norma del
l'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421, il legislatore si è ispirato ad un
rigido criterio di ripartizione di competenze, riconoscendo agli
organi politici poteri di formulazione delle linee guida (indiriz zo) e di verifica (controllo) dell'attuazione delle stesse ed asse
gnando agli organi amministrativi, c.d. burocratici, la concreta
gestione degli affari.
Tutto ciò coinvolge inevitabilmente anche la problematica della liceità del ricorso alla prestazione di terzi da parte di un
ente pubblico in presenza di uffici con competenze specifiche
nell'organizzazione dell'ente medesimo, tenendo presente che,
per ciò che concerne le pubbliche amministrazioni, è principio
generale, unitariamente e pacificamente riconosciuto dalla giu
risprudenza, che l'attività delle amministrazioni stesse deve es
sere svolta dai propri organi o uffici consentendosi il ricorso a
soggetti esterni soltanto nei casi previsti dalla legge o in rela
zione a eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le
disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.
Correlata ai principi suddetti è la previsione dell'art. 58 1. n.
142 del 1990, la quale, in materia di responsabilità, ha unificato
la posizione degli amministratori e del personale degli enti lo
cali sottoponendoli alla giurisdizione di questo unico giudice, innanzi al quale ciascuno di essi è tenuto a rispondere per la
violazione delle attribuzioni rientranti nella rispettiva sfera di
competenza.
Quindi, in presenza di apparati istituzionalmente preordinati al soddisfacimento di determinate esigenze, deve ritenersi che
l'amministrazione possa affidare la realizzazione di queste solo
in circostanze particolari, la cui sussistenza deve essere com
provata con elementi certi e puntuali, tali da giustificare, nel ca
so concreto, la deroga alla regola generale prima indicata.
Si tratta di principi e criteri enunciati in una serie ripetuta di
disposizioni normative e, in particolare, nell'art. 1, 1° comma,
nell'art. 6, 1° comma, e nell'art. 31 d.leg. n. 29 del 1993, peral tro in coerenza con i principi costituzionali di cui agli art. 97 e
81 Cost.
Di qui la conseguenza che ogni amministrazione pubblica de
ve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi anzitutto
le risorse umane già esistenti all'interno dell'apparato e che,
solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far
ricorso a professionalità esterne, peraltro da individuare in base
a criteri predeterminati, certi e trasparenti. Anzi, a tal riguardo, la giurisprudenza ha sempre precisato
che tali criteri non debbano essere generici, anche perché la ge nericità non consente un controllo della legittimità sull'esercizio
dell'attività amministrativa di attribuzione degli incarichi.
Applicando i principi evidenziati emerge chiaramente che
l'eccezione così come prospettata deve essere rigettata dal mo
mento che, nella fattispecie, viene valutato il comportamento
degli amministratori in relazione all'esercizio del potere di
scelta che è regolato da precise norme, nonché tenendo conto
dei caratteri e dei compiti che deve svolgere l'amministrazione
comunale di Roma.
Non si tratta, quindi, di valutare l'eventuale cattivo uso della
discrezionalità, ma l'illiceità della condotta dei responsabili ed il loro comportamento contrario alla normativa vigente.
Il collegio ritiene infondata, anche, l'eccezione di indetermi
natezza della domanda, in quanto la prospettazione di parte at
trice in ordine sia al petitum sia alla causa petendi, appare suffi
cientemente definita, in considerazione dei richiami effettuati nell'atto di citazione, della minuziosa esposizione dei fatti, sulla
base della consistente documentazione reperita, delle indagini
svolte dalla guardia di finanza e delle circostanze tutte rilevanti
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PARTE TERZA 100
per la ricostruzione dei fatti stessi riferibili agli attuali convenu
ti.
In particolare, per quanto attiene alla sussistenza del danno, tali fatti risultano o emergono in maniera sufficiente dagli atti
depositati dalla procura regionale con l'atto di citazione, atti a
cui si ritiene di far riferimento e che si devono intendere inte
gralmente riportati. Alla luce di quanto prospettato non vi è dubbio, quindi, sulla
sussistenza anche del dolo oltre che della colpa grave e del dan
no nella specie all'esame.
Infatti, dagli atti risulta inequivocabilmente che è stato vio
lato il fondamentale dovere di fedeltà; le regole per il corretto
conferimento di incarichi di consulenze a persone estranee al
l'amministrazione comunale da parte dei convenuti, i quali per
ragioni di ufficio erano sicuramente a conoscenza dei fatti dan
nosi che davano luogo a responsabilità: in altri termini vi è il
c.d. dolo contrattuale.
A conforto di quanto sostenuto si evidenzia anche che i con
venuti hanno giustificato il conferimento delle consulenze so
stenendo che sul piano concreto hanno anticipato ciò che, poi, avrebbe previsto una legge futura.
In tal modo hanno teorizzato un complesso di poteri e facoltà
in capo agli organi elettivi che, invece, non ha mai avuto ri
scontro nella realtà giuridica. In proposito va affermata la diversità tra dolo penale (al quale
è assimilabile il dolo c.d. extra-contrattuale, produttivo di re
sponsabilità aquiliana) ed il dolo c.d. contrattuale o in adim
plendo, che attiene all'inadempimento di uno specifico obbligo
preesistente quale ne sia la sua fonte.
Il primo viene in rilievo come diretta e cosciente intenzione
di nuocere, ossia di agire ingiustamente a danno di altri da parte di persona imputabile; il secondo consiste nel proposito sciente
di non adempiere all'obbligo stesso.
È evidente che nel giudizio di responsabilità amministrativo
contabile, il quale si caratterizza per l'inadempimento di preesi stenti doveri di comportamento nascenti dal rapporto di servi
zio, viene in rilievo il secondo tipo di dolo e nella specie la pro va è data dalla circostanza che scientemente sono stati violati
doveri di ufficio. Il collegio, in tale situazione, ritiene che in ogni caso la situa
zione prospettata deve essere sanzionata perché configura l'ina
dempimento da parte degli amministratori e dei funzionari del
comune di Roma di precostituiti obblighi di servizio e perciò i
doveri di «comportamento» nascenti dal rapporto che lega tali
soggetti alla pubblica amministrazione.
Per quanto attiene al merito, occorre precisare che la richiesta
del procuratore regionale si fonda, essenzialmente, sul principio in base al quale non è consentito alle pubbliche amministrazioni
ricorrere all'opera di soggetti esterni per lo svolgimento di atti
vità rientranti nelle normali attribuzioni dei propri apparati or
ganizzativi. Al riguardo, ritiene il collegio di fare, preliminarmente, le se
guenti considerazioni.
Gli incarichi esterni possono essere conferiti ove i problemi di pertinenza dell'amministrazione richiedano conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze del personale di
pendente. Sotto un primo profilo, dunque, l'incarico stesso non deve
implicare uno svolgimento di attività continuativa, ma la solu zione di specifiche problematiche e, cioè, di determinate e deli
mitate questioni, per altro aspetto, presupposto della consulenza è che detta soluzione implichi conoscenze specifiche.
Il ricorso, anche frequente (come nella specie), a professio nalità esterne non può
— ove non concorrano le condizioni di
cui si è detto — considerarsi di per sé uno strumento per allar
gare (o ampliare) compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente, al di fuori di quanto consentito dalla legge.
La possibilità di tale ricorso assume, invero, valore diverso a seconda della tipologia di ente pubblico (aziende pubbliche, amministrazioni statali, enti locali, ecc.).
Al riguardo, affermano i difensori dei convenuti che, attesa la liceità del ricorso agli incarichi esterni quando ciò sia giustifi cato da oggettive esigenze funzionali, la valutazione di tali esi
genze appartiene alla discrezionalità degli amministratori, come tale insindacabile da parte del giudice della responsabilità, giu sto anche il disposto dell'art. 1, 1° comma, 1. n. 20 del 1994, nel
Il Foro Italiano — 2001.
testo coordinato con il d.l. n. 543 del 1996, convertito dalla 1. n.
639 del 1996. L'osservazione, per quanto acuta, non si appalesa risolutiva
della vicenda de qua. Unanimamente e costantemente la giurisprudenza ha ricono
sciuto che l'attività dell'amministrazione deve essere svolta dai
propri organi o uffici, consentendosi il ricorso a soggetti esterni
solo nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi o situa
zioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecni co-burocratiche esistenti (cfr. sez. riun. 792/92; sez. I 56/94, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 899; sez. II 30/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 645).
In particolare, il conferimento di incarichi esterni è da consi
derare giuridicamente ammissibile in presenza della sussistenza
delle seguenti condizioni: 1) rispondenza degli incarichi conferiti agli scopi e all'utilità
dell'ente; è pacifico e si intuisce facilmente che, ove l'oggetto dell'incarico fosse estraneo alla finalità dell'ente, lo stesso sa
rebbe privo di causa giuridica, abusivo e, dunque, illecito;
2) specificità e temporaneità dell'incarico; l'eventuale rinno
vo deve risultare sempre limitato nel tempo e opportunamente
giustificato. Se fosse generico o indeterminato nella durata
equivarrebbe ad un accrescimento surrettizio delle competenze e degli organici dell'ente;
3) impossibilità di adeguato o tempestivo assolvimento del
l'incarico da parte delle strutture dell'ente, o per insufficienza
numerica del personale in dotazione o per mancanza della ne
cessaria professionalità del personale disponibile;
4) adeguata motivazione del provvedimento di conferimento
dell'incarico, al fine di consentire l'accertamento della sussi
stenza dei requisiti in parola;
5) proporzionalità degli esborsi connessi all'incarico con i
vantaggi conseguibili dall'ente.
È di tutta evidenza che, ove difetti anche una soltanto delle
suddette condizioni, il conferimento dell'incarico sarebbe ille
cito ed il compenso ad esso conseguente costituirebbe ingiusto
depauperamento delle pubbliche finanze.
E noto, altresì, che la giurisdizione amministrativo-contabile,
pur se inizialmente concepita per perseguire le responsabilità nascenti dallo svolgimento di un rapporto di pubblico impiego, si è, poi, dilatata fino a ricomprendervi qualsiasi rapporto di
servizio nascente dall'inserimento, nell'organizzazione ammini
strativa, di soggetti, in via autoritativa o, anche, convenzionale, con investitura dei medesimi a svolgere funzioni obiettivamente
pubblicistiche. Pertanto, statuendo l'art. 58 1. 142/90 (ad esordio del capo
XV relativo alla responsabilità) che «per gli amministratori e
per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vi
venti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato», devono ritenersi estese al settore della responsabilità per danno erariale arrecato all'ente locale dal suo amministratore o
dipendente, le norme di carattere processuale (art. 52 r.d.
1214/34; art. 82 e 83 r.d. 2440/23; art. 18 e 19 1. 3/57), le quali attraggono nell'ambito della giurisdizione della Corte dei conti tutte le controversie in tema di responsabilità di funzionari,
agenti ed impiegati statali.
Appare, altresì, evidente che il legislatore, interponendosi per una più ampia attuazione del precetto di cui al 2° comma del
l'art. 103 Cost., abbia inteso eliminare una diversità di tratta
mento tra il funzionario dello Stato ed amministratore di ente
locale, diversità che, segnatamente, in relazione alla non coinci
denza degli apparati giurisdizionali e dei meccanismi proces suali da attivare per il giudizio sugli illeciti perpetrati dagli uni e dagli altri, non appariva più giustificabile a fronte delle numero se critiche della dottrina e delle stridenti inconvenienze segna late dalla giurisprudenza.
In questo caso di riequilibrio assume pregnante significato
l'abrogazione espressa (art. 64 della nuova legge), tra le altre
norme del t.u. 383/44, di quelle che assegnavano all'a.g.o. la
cognizione dei giudizi per generica responsabilità amministrati va (art. 261, 263, 264 e 265).
La nuova disciplina della materia si presenta, in tal modo, chiaramente contrassegnata dalla concentrazione davanti a que sto giudice, di tutti i giudizi di responsabilità patrimoniale amministrativa e della conseguente eliminazione della riparti zione della giurisdizione.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Per dovere di completezza, la sezione deve, inoltre, precisare che la giurisprudenza dalla Corte dei conti, proprio occupandosi delle consulenze assentite da enti locali, ha statuito l'inquadra bilità dell'illecito contabile discendente dall'affidamento di detti incarichi, nell'ambito delle responsabilità ex art. 254 r.d. 3
marzo 1934 n. 383.
Alla stregua di quanto sopra esposto, ritiene il collegio che la
domanda attrice sia fondata e meritevole di accoglimento pur con le dovute precisazioni che saranno successivamente indica
te.
La difesa dei convenuti si incentra, in particolar modo, sui
seguenti punti:
1) liceità degli incarichi deliberati con provvedimento 1/94, nella considerazione che quest'ultimo non risulta contestato;
2) erronea interpretazione dei fatti, attesa la natura degli stes
si;
3) svolgimento di compiti di indirizzo politico e di controllo e non di natura amministrativa;
4) riconoscimento dell'indispensabilità dei compiti affidati ai collaboratori esterni;
5) inesistenza del danno;
6) previsione regolamentare in ordine all'oggettivazione dei
criteri finalizzati all'esercizio del potere discrezionale;
7) assenza di «proteste» a livello sindacale e, di conseguen
za, nessuna mortificazione per il personale del comune di Ro
ma;
8) obbligatorietà del parere del segretario comunale, ai fini
della legittimità del procedimento e conseguente mancanza del
l'elemento soggettivo. Osserva, al riguardo, la sezione, come già esposto, che gli in
carichi di consulenza possono essere conferiti ove i problemi di
pertinenza dell'amministrazione richiedano conoscenze ed espe rienze eccedenti le normali competenze del personale dipen dente.
Ma, a ben vedere, l'art. 51 1. 142/90, ed in particolare il 7°
comma al quale la delibera fa espresso riferimento, prevede collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, e la 1. 127/97,
all'art. 6, 8° comma, fermo restando quanto sopra, si limita ad
aggiungere che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e
dei servizi può inoltre prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, della giunta o degli assesso
ri, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero
da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato.
Sempre in materia di incarichi, la 1. 81/93, che, come è noto,
modificò ampiamente la 1. 142/90 (elezione diretta del sindaco e
competenze degli organi comunali), trattando dei poteri del sin
daco, fa espresso riferimento alle modalità ed ai criteri stabiliti
dall'art. 51, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti.
Quasi contestualmente, il d.leg. 29/93, all'art. 7, 6° comma,
ha ribadito che «per esigenze cui non possano far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di comprovata compe
tenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione».
Infine, la 1. 75/99, art. 2, comma 2 bis, che, ad avviso di parte convenuta avrebbe dovuto rappresentare una specie di «sanato
ria», in realtà non poteva sanare una situazione non preesistente
(facoltà di istituire i c.d. uffici di staff), ma, soprattutto, perché non è stata, comunque, esclusa la conformità delle nomine alle
condizioni ed ai requisiti previsti dalla precedente normativa e,
di conseguenza, l'illiceità delle norme disposte in violazione dei
suddetti principi, come giustamente evidenziato dal p.m.
Orbene, posto che la deliberazione comunale 1/94 aveva na
tura programmatica (impegno di fondi per gli incarichi di con
sulenza), e, dunque, è di per sé legittima, si appalesa, altresì,
non commendevole l'uso distorto che, in pratica, gli ammini
stratori del comune di Roma hanno posto in essere, conferendo
incarichi in spregio ai principi che, peraltro, essi stessi avevano
precisato. In buona sostanza, ritiene il collegio che, pur se rispettosi,
sotto l'aspetto formale, dei criteri dettati dalla legge, in realtà
gli odierni convenuti hanno inteso conferire incarichi a spese del bilancio comunale e, quindi, a carico della collettività am
ministrata, a favore di soggetti non in possesso della specifica
Il Foro Italiano — 2001.
professionalità, disattendendo e travisando così il dettato nor
mativo.
Appare, altresì, priva di pregio l'affermazione che l'apparato burocratico fosse corrotto ed incapace, di tal che la necessità di
ricorrere a persone di fiducia.
Ma è vero il contrario, atteso che proprio gli amministratori
avrebbero avuto il dovere di valorizzare la struttura amministra
tiva (cfr. art. 24, 4° comma, dello statuto), senza gravare sul
contribuente.
Dall'esame di tutti gli incarichi conferiti emerge chiaramente che trattavasi di consulenze generiche, per le quali, in concreto, non era necessaria alcuna competenza specifica e che coincide
vano con le funzioni degli uffici, i quali, come già evidenziato in narrativa, disponevano di organici particolarmente consisten
ti, nell'ambito dei quali sicuramente sarebbe stato possibile sce
gliere dipendenti dotati di capacità ad espletare i compiti affidati ai collaboratori esterni e che, al di là delle surrettizie generiche
definizioni, si sono, invero, dimostrate normali attività rientranti
nell'azione amministrativa comunale, svolta, altresì, da soggetti non forniti di particolari competenze nei settori oggetto di con
sulenza, né in possesso dei requisiti di alta specializzazione, ec
cedenti, comunque, analoghe professionalità del dipendente per sonale.
Né la semplice ed apodittica affermazione di inesistenza di
tali professionalità è utile a far superare la previsione normativa,
in quanto nessun accertamento in tal senso risulta, in realtà, ef
fettuato.
In sintesi, al fine di favorire persone di fiducia, portavoce, se
gretari, ecc., si sono, di fatto, conferiti incarichi sulla base di
criteri diversi da quelli indicati nella citata deliberazione 1/94,
disattendendo volontariamente i principi richiamati dalla legge e
che trovano ingresso solo ed ogni qualvolta un'amministrazione
intenda affidare un incarico di consulenza che, ripetesi, non de
ve implicare uno svolgimento di attività continuativa, ma la so
luzione di specifiche problematiche e, cioè, di questioni ben
precise e delicate.
Diversamente opinando, appare chiaro che l'affidamento de
gli incarichi in discussione si risolva in un ingiustificato ricorso ad estranei per lo svolgimento di funzioni proprie dell'apparato, come nella presente fattispecie.
In conclusione, contrariamente a quanto asserito dalle rispet tive difese, l'insussistenza del danno deve essere connotato dal
l'impossibilità per l'ente di procurarsi altrimenti — con il per sonale e le strutture già a disposizione e senza aggravio di spese — i beni e servizi di cui si discute; occorre, altresì, l'indifferi
bilità della loro acquisizione, nel senso della non procrastinabi lità ad altro momento organizzativo che consenta la stessa ac
quisizione con maggiore economicità.
In altri termini, deve ritenersi che il perseguimento dei fini
istituzionali deve avvenire esclusivamente sulla base degli schemi approntati dal legislatore, onde ogni diversa azione non
solo non è utile per l'amministrazione, ma elusiva del fine pub blico cui l'ente deve tendere.
Una diversa condotta, volta a legittimare incarichi del genere di quelli assentiti e la relativa spesa, implicano una vistosa elu
sione alla normativa dettata al riguardo; ne consegue che la spe sa effettuata riveste i connotati dell'illiceità e, quindi, del danno
erariale.
Orbene, dagli atti processuali si evince che tutti gli incarichi
assentiti e più volte reiterati si fondavano su compiti di perti nenza dell'apparato comunale, le cui strutture erano adeguate ri
spetto alle esigenze di funzionalità poste a base delle assentite
consulenze, consistenti in attività marginali, senza alcuna utilità
per l'ente.
Evidente è, altresì, il nesso causale tra la condotta e l'evento
pregiudizievole per l'erario, giacché proprio le delibere di con ferimento e reiterazione degli incarichi hanno prodotto il la mentato illecito esborso.
Comprovato è, poi, l'elemento psicologico della colpa grave, risultando chiaro che gli incarichi di consulenza furono affidati
senza i necessari presupposti, con lo scopo evidente, quindi, di
affiancare alla struttura comunale soggetti estranei per l'esple
tamento di compiti istituzionali. Ad avviso del collegio, va affermata la responsabilità anche
per il capo di gabinetto e per i segretari comunali.
La legge prevede, al riguardo, il loro intervento nel procedi
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PARTE TERZA
mento di formazione della volontà dell'ente locale, conferendo un ruolo di qualificata consulenza a garanzia della legalità del
l'azione dell'ente medesimo.
Orbene, i pareri sono atti preparatori volti ad illuminare gli
organi di amministrazione attiva in ordine agli aspetti tecnico
contabile e di legittimità dell'atto. Riguardando la parte istruttoria, i pareri non possono essere
esercitati ex post e, comunque, non sono vincolanti, ma debbono
fornire adeguata motivazione, perché entrano a far parte inte
grante ed essenziale del provvedimento deliberativo.
Ne discende che, nel caso in esame, doveva emergere chiara
mente la non rispondenza degli incarichi attribuiti, atteso il pre ciso riferimento all'art. 51, 7° comma, 1. 142/90 e, di conse
guenza, un giudizio negativo avrebbe comunque potuto sortire
l'effetto di evidenziare la non liceità dei provvedimenti, poi, adottati.
Pertanto, la piena responsabilizzazione nel perseguimento del
fine pubblico, se da un lato rivaluta la figura del segretario co
munale, che diviene il primo garante del legittimo operare della
pubblica amministrazione, dall'altro ricollega ad esso la conse
guente responsabilità amministrativa e contabile.
Considerato quanto sopra esposto, le pur sottili distinzioni tra
incarichi di consulenza e l'istituzione dei c.d. staff, ad avviso
del collegio, non sono idonee ad escludere che, lungi dal ricono
scere una qualsivoglia utilità pubblica nel comportamento dei
convenuti, si è in presenza di attività svolta esclusivamente a favore del sindaco e dei suoi collaboratori, al fine di soddisfare
esigenze che nulla hanno a che vedere con l'interesse pubblico generale; in pratica, disattendere in assoluto l'organizzazione burocratica esistente, che — a ben vedere — avrebbe certa mente svolto i compiti richiesti con l'identica professionalità, senza ulteriori spese a carico della collettività, rappresenta di minuzione patrimoniale ingiusta per la collettività amministrata, né tali asserite «particolari funzioni» hanno, in concreto, risolto
bisogni pubblici; anzi, al contrario, hanno influito negativa mente in capo ai contribuenti.
Reputa il collegio che la vicenda descritta che ha avuto gran de eco sulla stampa e che è stata seguita con una certa preoccu pazione dell'opinione pubblica per il modo disinvolto di ammi nistrare la finanza pubblica, integri una fattispecie di responsa bilità.
Infatti, i convenuti si sono resi responsabili di comportamenti illegittimi e illeciti, nonché della violazione delle regole di effi
cienza, economicità ed efficacia in cui si compendiano i principi del c.d. «buon andamento» e della «sana gestione» ai quali deve essere improntata l'azione di qualsiasi amministrazione pubbli ca e privata.
In ogni caso, nella fattispecie, difettano le condizioni surri chiamate per il conferimento delle consulenze esterne, per cui tali incarichi debbono considerarsi illeciti ed i compensi ad essi
conseguenti costituiscono ingiusto depauperamento delle finan ze del comune di Roma.
In tale situazione, ritiene il collegio che il danno concreta mente subito dal comune di Roma, che si ripercuote in definiti va sulla collettività, è grave ed è in re ipsa.
In ogni caso, è stata sufficientemente provata la sussistenza di un nocumento patrimoniale del comune di Roma, prendendo in considerazione tutti gli elementi acquisiti, valutandoli autono mamente ai fini propri del presente giudizio, nonché tenendo conto del danno del quale sono stati ampiamente evidenziati i
profili, del nesso di causalità, degli elementi oggettivi e sogget ti vi dell'obbligazione risarcitoria per cui è domanda, nonché del collocamento funzionale fra i fatti dannosi e l'illecito conferi mento degli incarichi di consulenze a persone estranee all'am ministrazione comunale da parte dei convenuti, con un com
portamento di questi ultimi, contrario ai doveri di fedeltà e lealtà verso lo Stato, alla cui osservanza, peraltro, i sindaci e gli assessori sono particolarmente tenuti.
Alla stregua delle esposte considerazioni, la richiesta di risar cimento di cui al presente giudizio è fondata nei confronti di tutti i convenuti.
Il danno va quantificato, secondo le indicazioni della parte attrice, in complessive lire 1.090.547.564.
Sulla somma indicata, va calcolata la rivalutazione monetaria, dalle date di effettuazione dei pagamenti fino al deposito della
presente sentenza e, da tale data, sulle stesse somme vanno cal colati gli interessi legali fino alla data dell'effettivo risarci mento.
Il Foro Italiano — 2001.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 21 novembre 2000, n. 9886;
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione I; sentenza 21 novembre 2000, n. 9886; Pres. Tosti, Est. Leoni; Codacons e Associazione per la tutela
dei diritti del malato (Avv. Lioi, Rienzi, Saporito, Montal
do, Viti, Mirenghi, Caracuzzo, Marconi) c. Min. sanità, Associazione italiana industriali della birra e del malto e As sociazione italiana industriali delle bevande analcoliche (Avv.
Longo, Mosco, Romano), Soc. Coca Cola Italia e Soc. Coca
Cola bevande Italia (Avv. Corte, Manzi, Sica).
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Commercializ zazione di lattine pericolose per i consumatori — Rigetto della richiesta di inibitoria — Illegittimità (D.p.r. 23 agosto 1982 n. 777, attuazione della direttiva (Cee) n. 76/893 relativa
ai materiali e agli oggetti destinati a venire a contatto con i
prodotti alimentari; d.leg. 25 gennaio 1992 n. 108, attuazione
della direttiva 89/109/Cee concernente i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari; d.leg. 17 marzo 1995 n. 115, attuazione della direttiva 92/59/Cee
relativa alla sicurezza generale dei prodotti, art. 2, 3, 5, 6; 1.
30 luglio 1998 n. 281, disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, art. 1, 3).
E illegittimo il provvedimento con cui il ministero della sanità
ha rigettato la richiesta di inibire la commercializzazione delle lattine provviste del sistema di apertura «stay on tab», senza considerare le ragioni di rischio per i consumatori
emerse nel corso della procedura di verifica. (1)
(1) I. - Nella fase cautelare del giudizio definito dalla sentenza in
epigrafe, il Tar Lazio (sez. I, ord. 11 gennaio 1999, n. 20, Foro it., 1999, III, 100) aveva accolto l'istanza di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, affinché l'amministrazione riesaminasse con urgenza la situazione e, conseguentemente, assumesse le opportune iniziative; tuttavia, il Consiglio di Stato (sez. IV, ord. 9 novembre
1999, n. 2079, id., 2000, III, 16, con nota di A. Palmieri), era stato di contrario avviso, annullando l'ordinanza resa dai giudici di prime cure.
Il collegio giudicante fonda l'odierna decisione di annullamento sulle
disposizioni relative alla sicurezza dei prodotti dettate dal d.leg. 115/95, attuativo della direttiva 92/59/Cee. In particolare, si rimprovera all'autorità amministrativa l'esito insoddisfacente del procedimento di verifica relativo alla pericolosità delle lattine che vengono aperte con il meccanismo stay on tab. Essendo tale sistema caratterizzato dal fatto che la linguetta a strappo, in fase di apertura, rientra nel corpo della
lattina, gli organi tecnici incaricati della verifica avevano prospettato la sussistenza di rischi per la salute dei consumatori, legati alla presenza di sostanze inquinanti sulla superficie della lattina medesima ed alla
conseguente (potenziale) contaminazione della bevanda in essa conte nuta. Ciononostante, il ministero della sanità era rimasto praticamente inerte, non adottando deliberazioni coerenti con le risultanze procedi mentali.
L'annullamento giurisdizionale del provvedimento negativo non pre figura, peraltro, l'automatico divieto di commercializzazione delle lat tine provviste del citato meccanismo di apertura. Residuano, infatti, margini di discrezionalità per l'amministrazione, che è chiamata a sce
gliere, tra le diverse misure concepibili, quelle adeguate al caso, ri
spettando il criterio (enunciato dall'art. 6, 3° comma, d.leg. 115/95) della proporzionalità tra il livello di precauzioni da adottare e la gravità del rischio. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare l'avvio di una campa gna di informazione e di sensibilizzazione ad ampio raggio (come sug gerisce lo stesso Tar) ovvero l'imposizione a produttori e distributori dell'uso di dispositivi idonei a coprire la superficie della lattina (segue tale linea il progetto di legge S3914, disposizioni integrative per l'eti chettatura delle bevande confezionate in lattine con dispositivo di
apertura a strappo, nel testo risultante dagli emendamenti approvati dalla competente commissione del senato, che è stato trasmesso all'aula nel luglio del 1999 ed attende ancora di essere vagliato). Non sembra
percorribile, invece, la strada che passa per la previsione di particolari indicazioni nelle etichette apposte sulle confezioni, considerata l'oppo sizione formalmente manifestata dalle istituzioni comunitarie (v. deci sione 10 settembre 1999, n. 99/63I/Ce). [A. Palmieri]
II. - In materia di disciplina igienica dei prodotti destinati all'ali
mentazione, con particolare riferimento al cattivo stato di conservazio ne, v. Cass. 23 marzo 1998, De Matteis, Foro it., 1999, II, 197, con nota di richiami, in merito a confezioni di latte fresco pastorizzato e di
panna fresca pastorizzata detenute per la vendita a temperatura superio re a quella prescritta.
Da ultimo, Cass. 17 aprile 2000, Peca, Guida al dir., 2000, fase. 43, 76, ha ribadito che l'art. 5, lett. b), 1. 30 aprile 1962 n. 283, che vieta di detenere e di distribuire per il consumo sostanze alimentari in cattivo
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