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sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rel. Macioce, P.M. (concl. conf.);...

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sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rel. Macioce, P.M. (concl. conf.); Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons. ministri e altro. Regolamento di competenza avverso Trib. Catanzaro 16 gennaio 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1117/1118-1133/1134 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200703 . Accessed: 24/06/2014 23:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.128 on Tue, 24 Jun 2014 23:45:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rel. Macioce, P.M. (concl. conf.);Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons. ministri e altro. Regolamento di competenza avversoTrib. Catanzaro 16 gennaio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1117/1118-1133/1134Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200703 .

Accessed: 24/06/2014 23:45

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1030) e n. 9612 del 2000 (id., Rep. 2001, voce cit., n. 628), mentre quella sostenuta nella sentenza impugnata è affermata

nella sentenza n. 152 del 1997 (id.. Rep. 1997, voce cit., n.

1036). La tesi della prevalente giurisprudenza di questa corte si fon

da sull'argomentazione che: «La decisione del tribunale si fon

da sul rilievo che il diritto del superstite è autonomo rispetto a

quello del de cuius, e non ne è perciò influenzato. La tesi non

può essere condivisa. È bensì vero che i titolari di pensioni indi

rette acquisiscono il diritto iure proprio e non iure hereditatis, ma ciò giustifica l'attribuzione del beneficio anche nei casi in

cui il dante causa sia deceduto prima dell'entrata in vigore della

1. n. 140 del 1985, oppure dopo tale data senza avere chiesto la

maggiorazione all'Inps. Diversa questione è se debba tenersi

conto della pensione già goduta dal de cuius o di quella conse

guita dal superstite, allorché la norma limiti il beneficio ai tito

lari di pensione con decorrenza successiva al 7 marzo 1968.

A tale riguardo devesi considerare che il diritto del superstite alla maggiorazione è acquisito sulla base della posizione assicu

rativo-pensionistica del de cuius. Il titolare di pensione di rever

sibilità fa valere come proprio un diritto scaturente da una quali ficazione soggettiva del dante causa. La maggiorazione inerisce

alla pensione diretta, e solo di riflesso sulla reversibile. La nor

mativa riferisce i suoi effetti al pensionato, effetti che si riverbe

rano sul trattamento di reversibilità nella medesima ampiezza, ma anche con gli stessi limiti. Pertanto, allorché la norma attri

buisce un diritto derivante da una situazione giuridica che è

propria del titolare di un diritto stipite, la decorrenza indicata

con riferimento alla pensione non può essere che quella della

pensione stipite, ossia della pensione diretta. L'erede fa valere

gli effetti che la sopravvenuta normativa riferisce ad una quali ficazione personale acquisita in vita dal pensionato. Qualifica zione che, non esaurendosi con la morte, si proietta sul tratta

mento di reversibilità in tutte le sue implicazioni; con la conse

guenza che detto trattamento, in difetto di espressa previsione, non può assumere un contenuto più ampio di quello che sarebbe

configurabile in capo al de cuius. Diversamente opinando, po trebbe verificarsi il caso del pensionato diretto (ancora vivente), con diritto alla maggiorazione dal 1° gennaio 1989, che vedreb

be l'erede del proprio compagno d'armi già titolare di pensione diretta con medesima decorrenza, beneficiato della medesima

provvidenza ma con decorrenza dal 1° gennaio 1985»: così mo

tiva Cass. n. 6067 del 1997.

La tesi sostenuta nella sentenza impugnata e da Cass. n. 152

del 1997 si basa sull'argomentazione che, secondo l'art. 6 1. n.

140, destinatari del beneficio sono le categorie di cui all'art. 2 1.

n. 336 del 1970, e cioè sia l'ex combattente che i superstiti,

quindi quando la legge fa riferimento alla decorrenza della pen sione deve ritenersi per i secondi che sia quella che percepisco no, cioè quella di reversibilità.

Osserva il collegio che l'argomento non è concludente in

quanto per la pensione di reversibilità, che, come nella specie, trova origine e deriva da altra pensione diretta, si possono indi

viduare due decorrenze della pensione: quella della pensione del

dante causa e quella della pensione di reversibilità. In mancanza

di una specifica indicazione normativa l'interprete deve rifarsi

alla ratio perequati va delle 1. n. 140 del 1985 e n. 544 del 1988

di attribuire un beneficio agli ex combattenti, che non avevano

potuto godere dei maggiori benefici della 1. n. 336 del 1970,

contingentandoli nel tempo in relazione alle disponibilità finan

ziarie. La tesi interpretativa sostenuta dal tribunale, introducen

do le ulteriori differenze di trattamento, è in contrasto con la fi

nalità delle leggi e va pertanto disattesa.

La causa può essere decisa nel merito con il rigetto della do

manda di retrodatazione al 1985 del beneficio combattentistico

proposta dalla Di Pasquale Riso.

La soccombente non è tenuta al rimborso delle spese dell'in

tero giudizio nei confronti dell'Inps ex art. 152 disp. att. c.p.c., non essendo applicabile ratione temporis la modifica ad esso

apportata dall'11° comma dell'art. 42 d.l. n. 269 del 2003, con

vertito, con modificazioni, con 1. n. 326 del 2003.

II. Foro Italiano — 2005.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rei. Macioce, P.M.

(conci, conf.); Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons, mi

nistri e altro. Regolamento di competenza avverso Trib. Ca

tanzaro 16 gennaio 2003.

Competenza civile — Diniego di riconoscimento dello «sta

tus» di rifugiato — Ricorso — Competenza per territorio

(Cod. proc. civ., art. 25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, norme

urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei

cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini

extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello

Stato, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416).

Spetta al Tribunale di Roma, in applicazione delle norme gene rali sulla competenza per territorio, la cognizione del ricorso

proposto dallo straniero avverso il diniego di riconoscimento

dello status di rifugiato. ( 1 )

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 mag

gio 2004, n. 8423; Pres. De Musis, Est. Petitti, P.M. Sepe

(conci, conf.); Thalahitiya Gamaralalage Lahal Ranjan Evere

(1, 4-5) I. - La Corte di cassazione, in sede di regolamento di com

petenza, rileva come nelle controversie aventi ad oggetto lo status di ri

fugiato dovesse farsi ricorso, anteriormente alle modifiche introdotte con l'art. 32 1. 30 luglio 2002 n. 189, alle norme generali sulla compe tenza per territorio, con il che la competenza veniva a radicarsi in capo al Tribunale di Roma, in relazione alla sede del convenuto, if ministero

dell'interno, di cui la commissione centrale per i rifugiati era organo (sulla spettanza a tale commissione dell'accertamento della condizione di rifugiato, v. Cass. 25 febbraio 2004, n. 3732, Foro it., 2004,1, 3441, con nota di richiami, cui adde Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n.

5754, 17 settembre 2002, n. 4664, 29 agosto 2002, n. 4336, 11 luglio 2002, n. 3876, e 2 luglio 2002, n. 3603, id.. Rep. 2003, voce Rifugiati, nn. 3, 4, 7, 6 e 5).

In applicazione della medesima disciplina, il Tribunale di Catania ha rilevato che tale competenza, trattandosi di competenza per territorio c.d.

«semplice», era comunque derogabile dalle parti, dovendo essere l'in

competenza eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. II. - Entrambe le statuizioni sono state adottate anteriormente alla

piena efficacia del disposto dell'art. 32 1. 189/02, subordinata alla vi

genza del regolamento di attuazione (ora: d.p.r. 16 settembre 2004 n.

303, pubblicato il 22 dicembre 2004). La nuova normativa legislativa prevede l'istituzione delle commissioni territoriali per il riconoscimen to dello status di rifugiato presso gli uffici territoriali del governo (art. 1 quater, 1° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, nel nuovo testo); l'eventuale ricorso avverso la decisione della commissione territoriale è

presentato al tribunale in composizione monocratica territorialmente

competente entro quindici giorni (art. 1 ter, 6° comma, d.l. 416/89). III. - Sulla spettanza all'autorità giudiziaria ordinaria della cognizio

ne in ordine al ricorso avverso il diniego della concessione dello status di rifugiato, v. Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, id., Rep. 2000, voce cit., n. 8, la quale ha sottolineato che la qualifica di rifugiato

politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costi

tuisce, come quella di avente diritto all'asilo, una figura giuridica ri

conducibile alla categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la

conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in

materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le

controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella

giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressa mente abrogato dall'art. 46 1. 6 marzo 1998 n. 40, l'art. 5 d.l. 416/89

(abrogazione confermata dall'art. 47 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286), che

attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato. Conformemente, v. Trib. Roma 3 giugno 2003, id., Rep. 2003, voce cit., n. 12, e App. Catania 22 marzo 2002, ibid., n. 11.

Contra, v. Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5754, 29 agosto 2002, n. 4336, e 30 luglio 2002, n. 4071, ibid., nn. 10, 9 e 8, in cui si

afferma che, anche dopo l'abrogazione dell'art. 5, 2° comma, d.l.

416/89, in mancanza di un'apposita diversa disposizione normativa,

sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo la ci

tata norma attributiva al giudice amministrativo di una giurisdizione esclusiva e non potendosi negare l'esistenza di un potere discrezionale, da parte dell'amministrazione, nell'apprezzamento dei fatti e della loro

rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato.

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PARTE PRIMA

sta (Avv. Lo Faro) c. Prefetto di Catania e altro. Conferma Trib. Catania 1° marzo 2002.

Straniero — Decreto di espulsione — Giudizio di opposizio ne — Mancata audizione dell'interessato — Nullità del

provvedimento decisorio — Esclusione — Limiti (D.leg. 25

luglio 1998 n. 286, t.u. delle disposizioni concernenti la disci

plina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello stra

niero, art. 13; 1. 30 luglio 2002 n. 189, modifica alla normati

va in materia di immigrazione e di asilo, art. 12). Straniero — Diritto di asilo — Domanda — Disciplina del

procedimento per il riconoscimento dello «status» di rifu

giato — Applicabilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.

25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n.

39).

Nel giudizio di opposizione avverso il decreto di espulsione, la

mancata audizione dell'interessato non è causa di nullità del

provvedimento decisorio qualora sia stato dato avviso allo straniero ed al suo difensore della fissazione dell 'udienza di

trattazione. (2) In assenza di una normativa di attuazione dell'art. 10. 3° comma,

Cost., con riferimento alla domanda di asilo devono trovare

applicazione le disposizioni che disciplinano il procedimento volto al riconoscimento dello status di rifugiato (nella specie, la Corte di cassazione ha precisato che la domanda di asilo deve

essere assistita dalle medesime formalità previste per la richie sta del riconoscimento dello status di rifugiato). (3)

III

TRIBUNALE DI CATANIA; sentenza 15 dicembre 2004; Giud. Lima; Said Elias e altri (Avv. Aieli.o) c. Min. interno.

Rifugiati — Riconoscimento dello «status» di rifugiato o del diritto di asilo — Giurisdizione del giudice ordinario (D.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 5; 1. 28 febbraio 1990 n. 39; 1. 6 marzo 1998 n. 40, disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 46; d.leg. 25 luglio 1998 n.

286, art. 47). Competenza civile — Riconoscimento dello «status» di rifu

giato o del diritto di asilo — Competenza per territorio —

Derogabilità (Cod. proc. civ., art. 25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39).

Rifugiati — Riconoscimento dello «status» di rifugiato —

Condizioni — Esclusione — Fattispecie (L. 24 luglio 1954 n. 722, ratifica ed esecuzione della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39).

Straniero — Diritto di asilo — Riconoscimento — Presup posti —

Fattispecie (Cost., art. 10).

A seguito dell'abrogazione dell'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, con vertito in l. n. 39 del 1990, ad opera dell'art. 46 l. n. 40 del

1998, e confermata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, le controversie riguardanti il riconoscimento dello status di ri

fugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di

asilo) rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. (4)

La competenza per territorio del Tribunale di Roma nei giudizi in cui si controverte del riconoscimento dello status di rifu giato o del diritto d'asilo è derogabile dalle parti. (5)

Non sussistono le condizioni per il riconoscimento dello status

(2) La Corte di cassazione conferma un orientamento giurispruden ziale già più volte ribadito. Cfr. Cass. 25 febbraio 2004, n. 3745, Foro it., 2005, I, 521, con nota di richiami, secondo cui, nel procedimento camerale introdotto con l'opposizione al decreto di espulsione, la mera omessa audizione dello straniero non comporta la nullità del provvedi mento che decide il ricorso.

(3) Sulla procedura da seguire per il conseguimento dello status di ri

fugiato e/o per il riconoscimento del diritto di asilo, v. Cass. 25 feb braio 2004, n. 3732, cit.

Per l'affermazione secondo cui in assenza della domanda di asilo e del riconoscimento dello status di rifugiato politico, rimesso dalla legge in via esclusiva all'apposita commissione centrale con sede in Roma, il

giudice ordinario non può compiere un autonomo accertamento delle condizioni per tale riconoscimento, v. Trib. sorv. Sassari 30 gennaio 2003, Foro it., Rep. 2003, voce Straniero, n. 288.

Con riguardo agli effetti che conseguono all'avvenuta domanda.

Il Foro Italiano — 2005.

di rifugiato allorché il mutamento dì regime nel paese dì ori

gine dello straniero renda presumibile che gli esponenti della

vecchia amministrazione non siano più in grado di attuare la temuta persecuzione. (6)

Unico presupposto per il riconoscimento del diritto di asilo è

quello, indicato nell'art. 10 Cost., dell'impedimento per lo

straniero all'effettivo esercizio delle libertà democratiche ga rantite dalla Costituzione italiana (nella specie, è stato ricono

sciuto il diritto di asilo a cittadini iracheni, in conseguenza del

l'assenza nel paese di orìgine di un governo legittimo, nonché

dell'occupazione militare da parte di potenze straniere, dello

svolgimento di operazioni militari nel territorio e della man

canza di garanzie dell'ordine e della sicurezza pubblica). (7)

Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5749, ibid., n. 83, ha stabilito che la presentazione della domanda di asilo politico (o del riconosci mento dello status di rifugiato politico) da parte dello straniero conferi sce al richiedente il titolo ad ottenere un permesso di soggiorno tempo raneo fino alla definizione della procedura. Cass. 11 giugno 2003, n. 9362, ibid., n. 274, ha peraltro sottolineato che, anche una volta conse

guito il riconoscimento dello status di rifugiato, esso può rappresentare una circostanza ostativa e, dunque, un possibile vizio dei provvedi mento di espulsione, ma non dell'esecuzione di quest'ultimo da parte del questore, il quale — come risulta dagli art. 13 e 14 d.leg. 286/98 —

una volta che sia stato emanato il decreto di espulsione, è tenuto sen z'altro a darvi corso, senza necessità di richiedere alcun altro nulla osta, se non quello previsto per l'ipotesi in cui lo straniero si trovi sot

toposto a procedimento penale. (6) I. - Per quanto attiene ai presupposti in presenza dei quali può es

sere riconosciuto lo status di rifugiato, App. Firenze 13 aprile 2004, Foro it., 2005, I, 244, con nota di richiami, ha precisato che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la prova richiesta dalla legge deve andare oltre il mero stato di verosimiglianza dell'assunto perse cutorio (nella specie, è stato ritenuto insufficiente il quadro probatorio costituito da dichiarazioni rese dall'interessato e da un documento pro veniente da un terzo, «non riconoscibile, né verificabile» in assenza dell'asseverazione testimoniale del suo autore).

Sul tema, per l'affermazione secondo cui la convenzione di Ginevra, dopo aver definito la posizione di «rifugiato» come quella di colui che, temendo di essere perseguitato per motivi di razza, di religione, ecc., si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di questo paese, impegna gli Stati firmatari alla prote zione del perseguitato (anche potenziale) nei confronti dello Stato di

appartenenza, v. Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3874, id., Rep. 2003, voce Rifugiati, n. 2, che ha sottolineato che, una volta che il per seguitato abbia ottenuto (o avrebbe potuto ottenere) tutela da parte di uno degli Stati firmatari, non vi è ragione perché permanga l'obbligo di

questi ultimi di accordare una difesa aggiuntiva (o alternativa) in luogo di altro Stato in ipotesi inadempiente (fattispecie, peraltro, che è stata considerata assai improbabile).

Analogamente, Cons. Stato, sez. IV, 2 luglio 2002, n. 3605, ibid., voce Straniero, n. 84, ha ritenuto che legittimamente viene negato asilo

politico al cittadino extracomunitario che, prima di entrare in Italia, ab bia a lungo soggiornato in altro Stato, a sua volta firmatario della con venzione di Ginevra.

II. - Con riferimento alla distinzione tra il riconoscimento dello sta tus di rifugiato e la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel senso dell'impossibilità di scindere i due istituti, v. App. Firenze 13 aprile 2004, cit., che ha affermato il principio secondo cui, allorché non sussistono i presupposti che presiedono al riconoscimento dello status di rifugiato, non può essere rilasciato il permesso di sog giorno per motivi umanitari di cui all'art. 19 d.leg. 286/98.

Nel senso della distinguibilità, v., invece, Tar Toscana, sez. I, 23 settembre 2002, n. 2129, ibid., n. 88, che, nello stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno a fini umanitari è istituto volto ad ovviare, in

presenza di gravi ragioni, ad una situazione specifica, in cui allo stra niero dovrebbe essere altrimenti negata la possibilità di soggiornare in Italia sulla base di convenzioni o accordi internazionali, ha precisato che, trattandosi di istituto rimesso, nella prassi, alla valutazione discre zionale della pubblica amministrazione, questa, nel disciplinare i limiti, può condizionare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi uma nitari alla previa raccomandazione della commissione centrale per il ri conoscimento dello status di rifugiato, ben formulabile sulla base di elementi oggettivi di cui essa sia venuta in possesso in sede di esame dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato.

(7) In ordine alle condizioni al sussistere delle quali viene subordi nato il riconoscimento del diritto di asilo, App. Firenze 13 aprile 2004, cit., peraltro in contrasto con l'opinione dominante in tema di applica zione della garanzia costituzionale, ha evidenziato come, nella perdu rante assenza di una legge di attuazione dell'art. 10, 3° comma. Cost., non sia riconosciuto, nell'ordinamento italiano, il diritto di asilo demo cratico, come previsto dalla Costituzione.

Sul tema, v., in dottrina, Chieffi, La tutela costituzionale del diritto di asilo e rifugio a fini umanitari, in Revenga Sanchez (a cura di), I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e Spagna, Giornate

italo-spagnole di giustizia costituzionale, Valencia-Milano, 2004, 173.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Rileva. — Con ricorso del 7 giugno 2002 il cittadino dello Sri Lanka Ranil Priyankara Saparamadu conveniva innanzi al Tri

bunale di Catanzaro il presidente del consiglio dei ministri im

pugnando il diniego frapposto alla sua richiesta di asilo politico comunicatogli il 7 marzo 2002 dalla commissione centrale per i

rifugiati. Si costituiva il presidente del consiglio dei ministri —

con il patrocinio dell'avvocatura distrettuale dello Stato — de ducendo la carenza di giurisdizione del giudice ordinario ed il

difetto della propria legittimazione (essendo la commissione centrale organo del ministero dell'interno). Integrato il contrad dittorio nei confronti del ministero — che si costituiva dedu cendo l'infondatezza della pretesa

— il tribunale invitava le

parti alla decisione sulla questione di competenza per territorio ed in data 16 gennaio 2003 emetteva sentenza con la quale di

chiarava la propria incompetenza ed indicava nel Tribunale di Roma il giudice competente. Affermava il tribunale in motiva zione: che si trattava di competenza inderogabile (in ragione della natura della controversia afferente status, della partecipa zione del p.m. e del rito camerale), rilevabile d'ufficio ed in

fatto rilevata in limine; che, vertendosi in tema di azione di ac

certamento contro amministrazione centrale dello Stato e non avendo la commissione centrale alcuna soggettività giuridica, legittimato era il ministro; che, pertanto, la competenza spettava — ai sensi dell'art. 25 c.p.c.

— al Tribunale di Roma. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per regolamento Ranil Priyan kara Saparamadu con atto del 19 febbraio 2003 al quale non

hanno fatto resistenza gli intimati.

Osserva. — Il ricorso non merita condivisione, dovendo di

contro statuirsi — in accordo con la decisione contenuta nel

l'impugnata sentenza — la competenza territoriale del Tribu nale di Roma. Deve premettersi che il provvedimento reiettivo

della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato reca la

data del 7 marzo 2002, che il ricorso avverso tale diniego è stato

proposto il 7 giugno 2002 e che la sentenza del tribunale — de

clinatoria della competenza — è stata pubblicata il 16 gennaio

2003, di guisa che l'intera vicenda si è svolta sotto il vigore della previgente normativa.

Ed infatti l'art. 47 d.leg. 286/98 (il c.d. t.u. sull'immigrazio ne, sottoposto a modifiche dalla successiva 1. 189/02) ha abro

gato alla lett. e) gli art. 2 ss. d.l. 416/89, convertito in 1. 39/90, ma ha lasciato in vigore la disciplina di cui all'art. 1 dello stesso

testo, con la conseguenza che è alla procedura delineata da tale

disposizione (ed alle disposizioni del regolamento attuativo di

cui al d.p.r. 15 maggio 1990 n. 136) che occorre far capo per il

conseguimento dello status di rifugiato, per l'attribuzione del

permesso di soggiorno in pendenza di procedura, per la stessa

contestazione innanzi al giudice ordinario del diniego (una volta

abrogata la riserva al giudice amministrativo della relativa attri

buzione, già contenuta nell'art. 5). Ed al proposito questa corte, che a sezioni unite (sent. 907/SU/99, Foro it., Rep. 2000, voce

Rifugiati, n. 8) ebbe a statuire sulla giurisdizione del giudice or

dinario con pronunzia esattamente richiamata dal Tribunale di

Catanzaro, ha avuto occasione di delineare la situazione interi

nale dello straniero in pendenza della procedura in discorso

(Cass. 5055/02, id.. Rep. 2002, voce Straniero, n. 127; 8067/02,

ibid., n. 126). Alla stregua di tale procedura è agevole rilevare che la domanda, presentata all'ufficio di polizia di Stato di

frontiera, viene inoltrata al questore che, rilasciato al richiedente

il richiesto permesso di soggiorno temporaneo, rimette gli atti

alla commissione centrale (nominata con decreto del presidente del consiglio dei ministri), organo del ministero dell'interno, che provvede alla istruzione della richiesta e, all'esito, all'acco

glimento (con rilascio del permesso di soggiorno da parte del

questore) od alla reiezione (con l'obbligo di allontanamento e

correlata espulsione). Tale complessa disciplina è stata radicalmente trasformata

dall'art. 32 1. 189/02 che ha inserito, dopo l'art. 1 d.l. 416/89

convertito in 1. 39/90, gli articoli da 1 bis a 1 septies recanti si

gnificative innovazioni (tra le quali — nell'ambito della proce

dura semplificata applicabile alle richieste di riconoscimento

dello status a beneficio dello straniero, ristretto per identifica

zione nel CPTA — quella afferente l'istituzione delle commis

sioni territoriali e la previsione della competenza del tribunale

territorialmente competente a conoscere dei ricorsi proposti av

verso il rigetto della richiesta). Ma, come in premessa precisato, tale disciplina non trova applicazione (neanche in termini di ius

superveniens, rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.c.) nel caso che

occupa, posto che ai sensi dell'art. 34, 3° comma, predetta 1.

Il Foro Italiano — 2005.

189/02 (entrata in vigore il 10 settembre 2002), le disposizioni testé rammentate avrebbero dovuto trovare applicazione a de

correre dalla entrata in vigore del nuovo regolamento (di cui al l'art. 1 bis, 3° comma, d.l. 416/89 come modificato), la cui emanazione (con sostituzione di quello di cui al d.p.r. 136/90) avrebbe dovuto aver corso entro sei mesi dalla entrata in vigore della 1. 189/02 (e quindi entro il 10 marzo 2003). Ma, neanche essendo stato il regolamento in discorso in tal data emanato, ne

discende che l'intera vicenda che occupa si è svolta sotto il vi

gore dell'unica disciplina esistente, quella di cui alle disposi zioni menzionate in premessa.

Sulle esposte premesse appare al collegio indiscutibile la

competenza del Tribunale di Roma a conoscere del ricorso che lo straniero abbia proposto avverso il diniego di riconoscimento

in discorso. Se, come con chiarezza precisato dalle sezioni unite

di questa corte (907/SU/99). la controversia ha ad oggetto lo

status del richiedente (e se da tanto discende, al contempo, la

giurisdizione del giudice ordinario e la competenza ratione ma

teriae del tribunale ex art. 9 c.p.c.), il ricorso alle norme gene rali sulla competenza per territorio contenute nel codice di rito

(ed in difetto della scelta «plurima» contenuta nel sopravvenuto art. 32 1. 189/02) comporta l'individuazione obbligata della

competenza nella sede del soggetto convenuto - amministrazio

ne centrale dello Stato (art. 25), senza che abbia alcuna seria

possibilità di considerazione l'ipotesi, affacciata dal ricorrente, del foro del luogo (prefettura di Crotone) nel quale la commis

sione ha effettuato le proprie audizioni decentrate dei richie

denti lo status ed ha assunto, e comunicato, la decisione negati va. L'evidente assenza di una soggettività giuridica della com

missione centrale (organo istituito e regolato dall'art. 2 d.p.r. 136/90 in attuazione del disposto dell'art. 1, 2° comma, d.l.

416/89) e la sua inerenza, come organo, all'amministrazione

centrale dello Stato, in una con l'incongruità della pretesa di ri

durre lo status ad oggetto di una obbligazione ex art. 1182 c.c.

(onde applicare il foro di cui agli art. 20 e 25 c.p.c. in ragione del luogo nel quale viene eseguita la consegna del provvedi mento), fanno dunque ritenere corretta la statuizione dell'impu

gnata sentenza e pertanto acclarata la competenza del Tribunale

di Roma. In tal senso si dichiara.

II

Svolgimento del processo. — Con provvedimento in data 26

febbraio 2002, il Tribunale di Catania, in composizione mono

cratica, rigettava il ricorso proposto da Thalahitiya Gamaralala

ge Lahal Ranjan Everesta avverso il decreto di espulsione emes

so nei suoi confronti dal prefetto di Catania in data 17 gennaio 2002, ai sensi dell'art. 13, 2° comma, lett. a), d.leg. 25 luglio 1998 n. 296, per essere egli entrato nel territorio dello Stato ita

liano sbarcando clandestinamente lungo le coste etnee.

Il ricorrente, premettendo di esser fuggito dal suo paese per motivi politici e religiosi e di aver saputo con ritardo della pos sibilità di chiedere asilo politico, aveva lamentato l'illegittimità del provvedimento impugnato sotto diversi profili ed in parti colare per la violazione dell'art. 19 d.leg. n. 286 del 1998, per la

violazione dell'art. 10 Cost., per la violazione delle convenzioni

di Ginevra e di Dublino ed infine per la violazione dell'art. 13 1.

n. 39 del 1990, essendo egli «in attesa di motivare la propria domanda innanzi alla questura di Catania».

Il tribunale rilevava che la prefettura opposta, costituitasi in

giudizio, aveva eccepito l'infondatezza del ricorso, sottolinean

do come il ricorrente (sbarcato in Italia il 4 gennaio 2002 e alla

data dell'emissione del decreto ancora presente nel territorio

italiano solo perché, per impedimento del vettore aereo, non era

stato possibile dare esecuzione al decreto di respingimento nei

suoi confronti già adottato) solo dopo la notifica del ricorso

aveva presentato richiesta di asilo politico, peraltro, del tutto ir

rituale nelle forme (la stessa era stata avanzata via fax da avvo

cato che assumeva essere procuratore del ricorrente e che analo

ga istanza presentava per altri quarantasei connazionali) e asso

lutamente immotivata nel contenuto.

Ciò premesso, il tribunale riteneva, in primo luogo, che non

dovesse essere approfondito il motivo di ricorso avente ad og

getto la dedotta violazione della disciplina relativa ai rifugiati

politici (convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata

con 1. 24 luglio 1954 n. 722, d.leg. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1990 n. 30),

posto che la condizione del ricorrente, per come risultante dagli

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PARTE PRIMA

atti, non era quella del rifugiato politico, così come unanime

mente intesa in giurisprudenza. Il giudice del merito riteneva altresì infondate le censure

avanzate dal ricorrente al provvedimento impugnato per viola

zione del «diritto di asilo», in dispregio dell'art. 10 Cost., in

quanto, posto che il ricorrente stesso aveva presentato istanza di

asilo (nelle forme esattamente indicate dalla prefettura) succes

sivamente alla notifica del decreto di espulsione, non poteva es

servi dubbio alcuno sulla legittimità del provvedimento alla data

della sua emanazione.

Né, ad avviso del tribunale, l'illegittimità del provvedimento

poteva derivare dalla richiesta successivamente in tal senso

avanzata dall'attuale ricorrente, non contenendo la stessa (anche così come successivamente proposta dal richiedente personal mente in data 20 gennaio 2002) alcun elemento dal quale desu

mere l'esistenza in capo al ricorrente stesso del diritto d'asilo

previsto dalla Costituzione a favore dello straniero «al quale sia

impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà demo

cratiche garantite dalla Costituzione italiana» (art. 10, 3° com

ma), diritto al quale va riconosciuta la dignità di diritto sogget tivo sempre che il soggetto che lo invochi dimostri (o almeno

specificatamente deduca) di trovarsi nelle condizioni previste dal su richiamato art. 10, cosa che doveva escludersi in conside

razione dell'assoluta mancanza di motivazione della richiesta, essendosi, nel caso di specie, il ricorrente limitato ad affermare

di essere militante del partito di opposizione chiamato «J.V.P.

National Party»; il che non consentiva neanche di ritenere ope rante il divieto di espulsione, previsto dall'art. 19 d.leg. n. 286

del 1998, a favore dello straniero che, nel suo stato d'origine, «possa esser oggetto di persecuzione per motivi di razza, di ses

so, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali», anche in considerazione del fatto che, nelle prime dichiarazioni rese subito dopo lo sbarco, il

ricorrente aveva affermato di essere venuto in Italia per trovare

lavoro, al pari della sorella già entrata in questo paese. Avverso tale provvedimento Thalahitiya Gamaralalage Lahal

Ranjan Everesta propone ricorso per cassazione, notificato alla

prefettura di Catania e al ministero dell'interno, sulla base di tre

motivi; resiste con controricorso la prefettura di Catania, mentre il ministero dell'interno non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione. — Deve preliminarmente essere di chiarata l'inammissibilità del ricorso notificato al ministero del

l'interno, giacché, come questa corte ha ripetutamente afferma

to, «nei giudizi promossi con ricorso contro il decreto di espul sione la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, per sonale e permanente all'autorità che ha emesso il provvedi mento, e cioè al prefetto» (Cass. 5 aprile 2002, n. 4847, Foro it.,

Rep. 2002, voce Straniero, n. 191; 6 febbraio 2003, n. 1748, id.,

Rep. 2003, voce cit., n. 240). Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa

applicazione dell'art. 13, 9° comma, d.leg. n. 286 del 1998, e dell'art. 24 Cost., in riferimento all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. Benché, in sede di ricorso contro il decreto prefettizio di espul sione, il ricorrente avesse chiesto espressamente al giudice di essere sentito con l'assistenza di un interprete, come risulta sia dal ricorso che dai verbali di causa, il giudice ha ritenuto di po ter decidere sulla base della documentazione in atti e delle di chiarazioni rese dal ricorrente stesso all'autorità amministrativa.

Il motivo è infondato.

Premesso che è indubitabile che, ai sensi dell'art. 13, 9°

comma, d.leg. n. 286 del 1998 (abrogato dall'art. 12 1. 30 luglio 2002 n. 189, ma applicabile ratione temporis al caso di specie), nel procedimento introdotto con il ricorso avverso il decreto di

espulsione il giudice deve procedere all'audizione dell'interes

sato, è altrettanto indubbio che l'onere posto a carico dell'orga no giudicante in tanto può ritenersi violato, in quanto delia fis sazione dell'udienza di trattazione del ricorso non venga dato avviso allo straniero e al difensore da questi nominato (Cass. 4 marzo 2003, n. 3154, ibid., n. 238; 26 novembre 2003, n. 18031, ibid., n. 233). La mancata audizione dell'interessato, del resto, non è causa di nullità del provvedimento poiché il giudice è te nuto a decidere in ogni caso entro dieci giorni dalla data del de

posito del ricorso, sicché la decisione può essere validamente

presa anche in assenza del ricorrente (v. Cass. 11 gennaio 2002, n. 298, id., Rep. 2002, voce cit., n. 174).

Nella specie, dallo stesso ricorso si evince che il procuratore dello straniero ha partecipato al procedimento, svolgendo istan ze e contestando le difese dell'amministrazione convenuta, il che consente di ritenere che la comunicazione dell'avviso di fis sazione dell'udienza in camera di consiglio sia stato tempesti

li. Foro Italiano — 2005.

vamente effettuata. Nel ricorso, inoltre, non viene dedotto che

l'avviso di fissazione dell'udienza allo straniero interessato non

sia stato notificato e neanche che lo straniero sia stato impedito dal partecipare all'udienza in camera di consiglio.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa

applicazione degli art. 10 e 19 d.leg. n. 286 del 1998 e dell'art.

10 Cost.

La prefettura e la questura di Catania con i provvedimenti amministrativi posti in essere avrebbero violato le norme che

prevedono il principio del «non respingimento» e del divieto di

espulsione previsto dall'art. 19. L'art. 10, 4° comma, infatti, vieta il respingimento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e di co loro che devono essere protetti per motivi umanitari. L'art. 19, a

sua volta, prevede il divieto di espulsione e di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di perse cuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o so

ciali. La prefettura di Catania ha considerato irrituale la doman

da formulata dallo straniero, esprimendo con ciò un giudizio di

merito sulle circostanze di tempo di luogo e sulla fondatezza

della stessa in diritto e non avrebbe quindi concesso ai richie

denti alcuna possibilità di motivare e documentare le loro vo

lontà. Sebbene nel nostro ordinamento giuridico ancora non esi

sta una normativa sull'asilo politico e sullo status di rifugiato, ciò nondimeno la dichiarazione della manifesta infondatezza

delle richieste di status di rifugiato non può essere fatta né dalle

questure né dalle prefetture, perché non è prevista dalla risolu

zione del consiglio d'Europa 1995, né dalla legge ordinaria ita

liana. La mancata attuazione dell'art. 10, 3° comma, Cost, non

potrebbe poi in alcun modo essere d'ostacolo alla sua forza co

gente. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione della 1. 28

febbraio 1990 n. 39, eccesso di potere per difetto di motivazio

ne, per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di

presupposti, errore di motivazione, illogicità manifesta, in rela

zione all'art. 360, n. 5, c.p.c. Il giudice del merito avrebbe do vuto annullare il provvedimento impugnato, in quanto la richie

sta di asilo era già stata formulata per ben undici cingalesi con

telegramma dal loro procuratore. La domanda di asilo, in quanto diritto non strettamente personale, non esclude infatti la rappre sentanza: si tratta di un diritto personale relativo, che può essere

esercitato dal procuratore in nome e per conto. L'autorità di po lizia non ha permesso al procuratore e allo straniero di spiegare e provare attraverso documentazione, né durante le operazioni di rimpatrio né successivamente quanto da essi avanzato; ha

soltanto valutato negativamente, nonostante la propria incom

petenza, ogni e qualsiasi richiesta formulata dai predetti sogget ti. Al contrario, le motivazioni della domanda non devono esse

re formulate in via immediata, ben potendo essere esternate nel momento in cui viene compilato il modello C/3. Non vi sono

termini che precludano la generica previsione «istanza motiva

ta» prevista dalla normativa.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati

congiuntamente, stante l'evidente connessione, sono infondati, avendo il Tribunale di Catania correttamente respinto l'impu gnazione se pur dispiegando motivazione che deve, come ap presso, essere integrata.

Ai fini della decisione della presente controversia, occorre

premettere che l'art. 10, 3° comma. Cost., prevede che «Lo

straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo eserci zio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione ita

liana, ha diritto d'asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Nella vigenza dell'art. 5 d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, con

vertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1990 n. 39, il

quale, al 2° comma, stabiliva che contro i provvedimenti di di

niego del riconoscimento dello status di rifugiato è ammesso ri corso al Tar del luogo del domicilio eletto dall'interessato e in mancanza di una normativa di attuazione del precetto costitu

zionale, le sezioni unite di questa corte hanno ritenuto che non

possano trovare applicazione al richiedente asilo le disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello status di rifugiato poli tico. Ciò sulla base di talune concorrenti argomentazioni: il pre cetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici non co incidono dal punto di vista soggettivo; la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo, in

quanto la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con 1. 24 luglio 1954 n. 722, prevede quale fattore determinante

per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in

concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un re

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quisito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma.

Cost.; tale convenzione non prevede un vero e proprio diritto di

asilo in favore dei rifugiati politici (Cass., sez. un., 26 maggio 1997, n. 4674, id., Rep. 1997, voce Rifugiati, n. 3).

Nella medesima pronuncia si è altresì rilevato che alla diver

sità di requisiti ai quali sono subordinate le due situazioni sog

gettive corrisponde anche una diversità di trattamento, nel senso

che allo straniero il quale chiede il diritto di asilo nuli'altro vie

ne garantito se non l'ingresso nello Stato, mentre il rifugiato

politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla con

venzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Alla lu

ce di tale considerazione si è quindi affermato che le controver

sie che riguardano il diritto di asilo, di cui all'art. 10, 3° comma,

Cost., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trat

tandosi di un diritto soggettivo al quale non è applicabile la di

sciplina sullo status di rifugiato, la quale invece espressamente

prevede la giurisdizione del giudice amministrativo.

Una successiva pronuncia (Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 8), intervenuta dopo che

l'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998 aveva abrogato gli art. 2 ss.

d.leg. n. 416 del 1989, ha poi affermato che la qualifica di rifu

giato politico, secondo le previsioni della convenzione di Gine

vra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libero

e facile accesso ai tribunali nel territorio degli Stati contraenti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al citta

dino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della giu risdizione, costituisce come quella di avente diritto all'asilo —

dalla quale si distingue, perché richiede, quale fattore determi

nante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requi sito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma, Cost. — uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i' provvedimenti, assunti dagli organi competenti in

materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva,

per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto

di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tale occasione si è quindi affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario

in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello

status di rifugiato politico da parte della apposita commissione

costituita presso il ministero dell'interno.

Chiarito, dunque, che la posizione del richiedente asilo è una

posizione di diritto soggettivo, occorre ora chiedersi se, a parte il

caso in cui l'interessato proponga una specifica domanda di ac

certamento dinnanzi al giudice ordinario, allorquando la do

manda sia rivolta all'autorità amministrativa al momento dell'in

gresso nel territorio dello Stato ovvero successivamente, e in par ticolare dopo l'adozione nei confronti dello straniero di un prov vedimento di espulsione, la domanda stessa debba o meno pre sentare determinati requisiti e segnatamente, se l'istanza, come

disposto dall'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989 per la richie

sta dello status di rifugiato, debba essere motivata e accompa

gnata dalla richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo. In proposito, si deve rilevare che, pur non avendo trovato at

tuazione l'art. 10, 3° comma, Cost., nella legislazione nazionale

non mancano formulazioni normative tali da indurre a ritenere

che la domanda di asilo debba essere assistita dalle medesime

formalità previste per la richiesta del riconoscimento dello sta

tus di rifugiato. In particolare, la 1. 23 dicembre 1992 n. 523, re

cante ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determina

zione dello Stato competente per l'esame di una domanda di

asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità euro

pee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990, al

l'art. 1 reca le seguenti disposizioni: «Ai fini della presente convenzione s'intende per: a) straniero chi non è cittadino di

uno Stato membro; b) domanda di asilo: domanda con cui uno

straniero chiede ad uno Stato membro la protezione della con

venzione di Ginevra invocando la qualità di rifugiato ai sensi

dell'art. 1 della summenzionata convenzione, modificata dal

protocollo di New York; e) richiedente l'asilo: straniero che ha

presentato una domanda di asilo in merito alla quale non è anco

ra stata presa una decisione definitiva; d) esame di una domanda

di asilo: l'insieme dei provvedimenti relativi all'esame di una

domanda di asilo, delle decisioni o delle sentenze ad essa affe

renti, adottati dalle autorità competenti, ad eccezione delle pro cedure di determinazione dello Stato competente per l'esame

della domanda di asilo in virtù delle disposizioni della presente convenzione». Già alla luce di tali norme, non pare dubitabile

che il legislatore nazionale, nel recepire la suindicata conven

zione, abbia considerato la domanda di asilo come finalizzata al

riconoscimento dello status di rifugiato.

Il Foro Italiano — 2005.

Che il legislatore nazionale consideri la domanda di asilo in

modo indistinto rispetto al riconoscimento dello status di rifu

giato emerge poi chiaramente dalla successiva evoluzione legis lativa. Il t.u. approvato con d.leg. n. 286 del 1998, infatti, nel di

sciplinare l'istituto del respingimento, all'art. 10, 4° comma, di

spone che «le disposizioni del 1°, 2° e 3° comma e quelle del

l'art. 4, 3° e 6° comma, non si applicano nei casi previsti dalle

disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il ricono scimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di

protezione temporanea per motivi umanitari». A sua volta, l'art.

19, 1° comma, medesimo d.leg. stabilisce che «In nessun caso

può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in

cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzioni per motivi

di razza, di sesso, dì lingua, di cittadinanza, di religione, di opi nioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia

protetto dalla persecuzione». Nel dare attuazione a tali disposi zioni, poi, l'art. 11,1° comma, lett. a), d.p.r. 31 agosto 1999 n.

384, dispone che «il permesso di soggiorno è rilasciato, quando ne ricorrano i presupposti, per i motivi e la durata indicati nel

visto d'ingresso o dal testo unico, ovvero per uno dei seguenti motivi: a) per richiesta di asilo, per la durata delle procedure occorrenti».

Ancor più esplicitamente, la 1. 30 luglio 2002 n. 189, al capo secondo, sotto la rubrica «disposizioni in materia di asilo», con

gli art. 32 e 33 ha introdotto modificazioni e nuove disposizioni nel corpo del d.l. n. 416 del 1989. In particolare, è stato intro

dotto l'art. 1 bis, il quale, nel disciplinare i casi di trattenimento,

dispone, al 1° comma, che il richiedente asilo non può essere

trattenuto al solo fine di esaminare la domanda di asilo presen tata. Esso può, tuttavia, essere trattenuto per il tempo stretta

mente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla per manenza nel territorio dello Stato in base alle disposizioni del

t.u. di cui al d.leg. n. 286 del 1998, tra l'altro, per verificare gli elementi sui quali si basa la domanda di asilo, qualora tali ele

menti non siano immediatamente disponibili. Ai sensi del 2°

comma, il trattenimento deve essere sempre disposto: a) a se

guito della presentazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il

controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni

di soggiorno irregolare; b) a seguito della presentazione della

domanda di asilo da parte di uno straniero già destinatario di un

provvedimento di espulsione o respingimento. Il 5° comma del

medesimo articolo stabilisce poi che allo scadere del periodo

previsto per la procedura semplificata di cui all'art. 1 ter e qua lora la stessa non si sia ancora conclusa, allo straniero è conces

so un permesso di soggiorno temporaneo fino al termine della

procedura stessa.

L'art. 1 ter, a sua volta, sotto la rubrica «procedura semplifi cata», dispone, al 1° comma, che nei casi di cui alle lett. a) e b) del 2° comma dell'art. 1 bis è istituita la procedura semplificata

per la definizione dell'istanza di riconoscimento dello status di

rifugiato secondo le modalità di cui ai commi da 2 a 6, discipli nando, poi, al 2° e 3° comma gli adempimenti ai quali deve

provvedere il questore non appena ricevuta la richiesta di rico

noscimento dello status di rifugiato, presentata, rispettivamente, ai sensi dell'art. 1 bis, 2° comma, lett. a), e dell'art. 1 bis, 2°

comma, lett. b). Al 5° comma, inoltre, l'art. 1 ter stabilisce che

lo Stato italiano è competente all'esame delle domande di rico

noscimento dello status di rifugiato di cui al presente articolo, ove i tempi non lo consentano, ai sensi della convenzione di

Dublino ratificata ai sensi della 1. 23 dicembre 1992 n. 523. Per

lo svolgimento della procedura semplificata è altresì prevista la

costituzione di commissioni territoriali per il riconoscimento

dello status di rifugiato (art. 1 quater), che, per l'esame delle

domande di asilo presentate ai sensi dell'art. 1 bis, 2° comma, lett. a) e b), è integrata da un componente della commissione

nazionale per il diritto di asilo, cosi venendo denominata la

commissione nazionale per il riconoscimento dello status di ri

fugiato già prevista dall'art. 2 del regolamento di cui al d.p.r. 15

maggio 1990 n. 136. Da ultimo, il d.leg. 7 aprile 2003 n. 85, di attuazione della di

rettiva 2001/55/Ce relativa alla concessione della protezione

temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e alla coope razione in ambito comunitario, all'art. 7, sotto la rubrica «istan

ze di asilo», dispone che «l'ammissione alla misura di protezio ne temporanea non preclude la presentazione dell'istanza per il

riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della conven

zione di Ginevra».

Le disposizioni alle quali si e fatto cenno assumono un rile

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PARTE PRIMA

vante significato al fine di stabilire se, anche in riferimento alla

domanda di asilo, debbano o meno trovare applicazione l'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989 (disposizione, questa, non abro

gata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, che alla lett. e ha invece

abrogato gli art. 2 ss. medesimo decreto legge), nonché l'art. 1, 2° comma, d.p.r. 15 maggio 1990 n. 136. Il primo prescrive che

«lo straniero che intende entrare nel territorio dello Stato per es

sere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata e, in

quanto possibile, documentata all'ufficio di polizia di frontiera»

e stabilisce che «il questore (...) rilascia, su richiesta, un per messo di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione del

la procedura di riconoscimento». Il secondo prevede che «la que stura raccoglie i dati sulla identità del richiedente la qualifica di

rifugiato e i documenti prodotti o comunque acquisiti anche

d'ufficio, redige un verbale delle dichiarazioni dell'interessato e,

sempre che non risultino i motivi ostativi di cui all'art. 1, 4°

comma, d.l. sopra richiamato (n. 416 del 1989), invia entro sette

giorni tutta la documentazione istruttoria alla commissione di cui

all'art. 2, rilasciando al richiedente un permesso di soggiorno

temporaneo valido sino alla definizione della procedura». Il collegio ritiene che al quesito ora posto debba essere data

risposta affermativa, giacché le indicazioni che emergono dal

diritto positivo, innanzi richiamato, convergono nel senso di ac

comunare i due istituti sotto il profilo procedimentale, pur la

sciando inalterati i connotati sostanziali che li differenziano. Del

resto, conferma in tal senso si trae dalla sentenza di questa corte

9 aprile 2002, n. 5055 (id., Rep. 2002, voce Straniero, n. 127) che, pronunciandosi "sul ricorso proposto da uno straniero avver

so il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti pur se ave

va presentato domanda di asilo, lo ha rigettato argomentando

proprio sulla riconducibilità della domanda di asilo proposta alla

disciplina posta dall'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989.

Nella citata pronuncia (ma per analoghe affermazioni, v. an

che Cass. 4 giugno 2002, n. 8067, ibid., n. 126), la corte ha rile vato che, in coerenza con il dettato dell'art. 10, 3° comma, Cost., il t.u. sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione giuri dica dello straniero, approvato con d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, interamente recependo le previsioni della 1. 6 marzo 1998 n. 40, ha inteso escludere l'esercizio dei poteri di respingimento ed e

spulsione degli stranieri che versino nelle condizioni «previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il ri conoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di mi

sure di protezione temporanea per motivi umanitari» (art. 10, 4°

comma, t.u.), in nessun caso essendo consentita una misura che

importi il rinvio del respinto o dell'espulso verso uno Stato che

10 esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni perso nali e delle sue idee (art. 19, 1° comma, t.u.).

In riferimento alla condizione ostativa alla espulsione, costi

tuita dallo status di rifugiato, la corte, dopo aver ricordato che

essa differisce da quella dell'avente diritto all'asilo ex art. 10, 3° comma, Cost., in ragione della esigenza di accertare l'ulterio

re requisito del pericolo di persecuzione (Cass., sez. un., 17 di

cembre 1999, n. 907/SU, cit.), ha rilevato che il riconoscimento dello status in discorso tuttora si consegue attraverso la proce dura di cui all'art. 1, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito, con modificazioni, dalla 1. 28 febbraio 1990 n. 39

(norma non abrogata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, che, alla

lett. e ha invece abrogato gli art. 2 ss. citato decreto legge). In

base alla conservata disposizione, dunque, lo straniero deve pre sentare all'ufficio di polizia istanza motivata e sulla sua base «Il

questore (...) rilascia, dietro richiesta, un permesso di soggior no temporaneo valido fino alla definizione della procedura di ri

conoscimento».

Tutti i provvedimenti assunti al proposito, e con particolare

riguardo a quelli occorsi nell'ambito della procedura afferente l'invocato status di rifugiato, ha osservato la corte, non possono che avere natura dichiarativa-accertativa avendo essi ad oggetto 11 riconoscimento di un diritto soggettivo, con la conseguenza che le controversie relative al diniego di tale riconoscimento ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale rientrano nella

giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tal quadro è chiaro che il divieto di espulsione, e l'illegit

timità del decreto del prefetto che abbia ad essa provveduto, so no conseguenza, nel caso dello straniero che deduca le condi zioni per poter beneficiare dello status di rifugiato, della pre sentazione della motivata istanza all'ufficio di polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno tempora neo in pendenza della relativa procedura di riconoscimento, da

un canto restando escluso il rilievo delle mere affermazioni del

II Foro Italiano — 2005.

l'interessato di trovarsi nelle condizioni per un esito favorevole

della procedura e, dall'altro, ben potendo il giudice ordinario, adito in opposizione al decreto di espulsione, annullarlo in ra

gione della documentata pendenza della procedura e dell'ingiu stificato diniego del (o ritardo nella concessione del) permesso

temporaneo da parte del questore. Altro è, di contro, l'istituto del divieto di respingimento od

espulsione (art. 19 d.leg. n. 286 del 1998), in base al quale in

nessun caso l'espulso può essere inviato in uno Stato nel quale

egli può patire persecuzioni: si tratta di una misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo che non conferisce, di per sé, al beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia ma solo il di

ritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio

personale. E sarà il giudice a valutare in concreto la sussistenza

delle allegate condizioni ostative all'espulsione od al respingi mento.

Applicando quindi al caso di specie i principi suindicati, che il collegio condivide, deve rilevarsi che, essendo mancata e tut

tora mancando da parte del ricorrente la prova (o anche la sem

plice allegazione) dell'avvenuta presentazione di un'istanza di

concessione del permesso di soggiorno in pendenza della do

manda di asilo, nessun ostacolo alla espulsione poteva essere

costituito dalla sola proposizione della domanda stessa. E di

converso, è altrettanto evidente che, a contestare le valutazioni

in fatto operate dal giudice di merito sulla insussistenza delle

condizioni di persecuzione ostative al respingimento ex art. 19

d.leg. n. 286 del 1998 non vale in alcun modo addurre il men

zionato «fatto» della proposizione della domanda di asilo, do

vendo soltanto essere censurata per vizi argomentativi la valuta

zione in proposito espressa dal primo giudice. E il ricorso non

contiene alcuna censura idonea ad evidenziare la sussistenza di

un vizio di motivazione nell'iter argomentativo seguito nel

provvedimento impugnato per escludere la sussistenza del peri colo di persecuzioni.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Ili

Svolgimento del processo. — Con ricorso a questo tribunale

depositato il 30 marzo 2004, Said Elias Ibrahim e Khodeda

Oseke Layla esponevano: «Sono cittadini iracheni appartenenti all'etnia curda del grup

po Yazidi. Sono sposati dal 1990 e hanno vissuto nella città di

Sinjar nel nord dell'Iraq. Dal 1995 il sig. Said Ibrahim Elias è stato costretto dal regime governativo di Saddam Hussein a la

vorare come guardia carceraria in una piccola città irachena

chiamata Badush, dove si è trasferito con moglie e quattro figli. Durante la permanenza a Badush, in data 29 luglio 2000, tre

prigionieri di etnia curda, reclusi nel carcere dove il sig. Said

lavorava e condannati a morte per aver organizzato una manife

stazione antigovernativa, riuscirono a portare a termine con suc

cesso un tentativo di evasione. La polizia irachena, in conside

razione solamente dell'appartenenza all'etnia curda e senza of

frirgli la possibilità di dimostrare la propria estraneità all'eva

sione, accusò il ricorrente di essere stato complice nell'organiz zazione della predetta fuga, tant'è che il direttore del carcere ne

dispose, insieme ad altre due guardie carcerarie anch'esse di et nia curda, l'immediata reclusione al posto degli evasi e la rela tiva condanna a morte senza alcuna verifica di sorta della fon datezza degli addebiti.

Al sig. Said non rimaneva altro che tentare la fuga, sicché la stessa sera del 29 luglio 2000 tentò di evadere assieme agli altri due reclusi curdi. Il tentativo andò in porto per lui e per uno

solo dei due compagni di evasione, sopravvissuto ai colpi di

arma da fuoco dei carcerieri iracheni che si erano avveduti della

fuga. Così l'esponente, con un mandato di cattura pendente sulle proprie spalle, rimase nascosto con la propria moglie e i

quattro figli, per una settimana fuori dalla città di Badush. Lì vennero raggiunti dal padre del sig. Said, il quale, atteso lo stato di pericolo in cui si trovavano quali traditori del regime, li ha aiutati ad organizzare il viaggio per lasciare il paese, pagando novemila dollari Usa a persone che li avrebbero tradotti fino in Germania. Raggiunto in macchina Musei e da lì presero un taxi fino alla frontiera con la Turchia, dove erano attesi da persone che li fecero salire su un autobus dal quale scesero ventiquattro ore dopo allorché giunsero ad Istanbul. Lì rimasero per dieci

giorni in una casa, in attesa del giorno in cui sarebbero stati im barcati.

Partiti a bordo di un peschereccio, dopo sei giorni di viaggio,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

in data 22 agosto 2000 sbarcarono in Italia. Raggiunsero Roma,

poi Milano in treno e da ultimo in macchina giunsero in Germa nia il 28 agosto 2000. Ivi fecero richiesta di asilo politico, tro vando ospitalità da parenti del padre, anch'essi fuggiti dall'Iraq, cui lo Stato tedesco aveva riconosciuto lo status di rifugiati po litici in quanto perseguitati dal regime iracheno in ragione della loro etnia curda. Proposero anch'essi istanza per il riconosci mento di detto status, che venne denegato con provvedimento comunicato in data 15 aprile 2001 in virtù dell'incompetenza della Germania, conformemente a quanto stabilito dalla conven zione di Dublino, essendo lo Stato italiano, paese di primo in

gresso, deputato a provvedere in merito.

Avverso detto diniego i ricorrenti proposero inutilmente ri

corso, e così dopo quasi più di un anno di soggiorno in Germa

nia, anche a causa dello stato di gravidanza della sig. Khodeda Oseke Layla che in data 6 aprile 2002 partorì il quinto figlio, i ricorrenti vennero accompagnati alla frontiera per lasciare il ter

ritorio tedesco. Lo stesso giorno arrivarono a Catania, dove la

questura di Catania, dopo aver verbalizzato la richiesta di rico

noscimento di status di rifugiato, rilasciò loro un permesso di

soggiorno temporaneo per motivo di richiesta di asilo politico, in attesa del colloquio con la commissione centrale competente.

In data 26 novembre 2003, detta commissione, conforme mente a quanto stabilito dal d.l. 416/89, così come modificato

dalla 1. 36/90 e dal d.p.r. 136/90, provvide a convocare i ricor renti per l'audizione, in esito alla quale, con decisioni nn. Id 122481 sez. e Id 122480 del 26 novembre 2003 notificate en trambe per il tramite della questura di Catania in data 30 gen naio 2004, detto organo ha denegato il richiesto status di rifu

giati. Entrambi i provvedimenti di diniego, formalizzati a seguito di

un brevissimo colloquio di circa quindici minuti, sono così mo

tivati: 'rilevato che le contraddizioni e i mutamenti di versione, riscontrati durante l'intervista personale, comportano perplessità in ordine alla veridicità e alla credibilità di quanto asserito ed

alla fondatezza della richiesta; considerato che, in ordine al ri

tardo tra l'ingresso in Italia e la presentazione della domanda, non vengono fornite giustificazioni plausibili e che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato riveste carattere strumentale essendo stata prodotta al fine di poter prolungare, in

assenza di altre opportunità, il soggiorno in Italia in attesa della

decisione della commissione centrale; ritenuto che la ricerca di

migliore occupazione lavorativa deve ritenersi prevalente e as

sorbente rispetto agli altri moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto

prettamente economico'».

Sulla base di questa narrazione e di diverse considerazioni di

diritto, i ricorrenti chiedevano al tribunale di «annullare e/o re

vocare le decisioni della commissione di cui al ricorso e, per l'effetto, ritenere e dichiarare lo status di rifugiati degli stessi

ricorrenti. In via subordinata, concedere un permesso di sog

giorno per motivi umanitari ovvero, in via gradata, il diritto di

asilo in territorio italiano».

Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza venivano no

tificati al ministero dell'interno e alla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Nessuno si costituiva per l'amministrazione dell'interno. Il 16 aprile 2004 veniva adottato inaudita altera parte un de

creto cautelare, che veniva confermato con provvedimento del 30 aprile - 3 maggio 2004.

Acquisiti i documenti offerti in produzione e precisate le con

clusioni, la causa veniva posta in decisione.

Motivi della decisione. — 1. - Come si è detto, il ricorso in

troduttivo del giudizio e il decreto di fissazione della prima udienza sono stati notificati dagli attori, oltre che al ministero

dell'interno, anche alla commissione centrale per il riconosci

mento dello status di rifugiato. La commissione, però, è organo del ministero dell'interno

privo di autonoma soggettività giuridica (cfr., sul punto, Cass.

18 giugno 2004, n. 11441, che precede).

Dunque, unico contraddittore legittimo in questo giudizio va

ritenuto il ministero dell'interno.

2. - Di esso va dichiarata la contumacia, perché, come si è

detto, benché ritualmente chiamato in giudizio (vi è in atti la re

lata di notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto

di fissazione dell'udienza), non ha provveduto a costituirsi.

3. - Oggetto del giudizio sono le domande con le quali gli at

tori chiedono si riconosca loro lo status di rifugiati o, in subor

dine, quello di aventi diritto all'asilo nel nostro paese.

Il Foro Italiano — 2005.

Entrambe le domande rientrano nella giurisdizione del giudi ce ordinario.

Infatti, come statuito dalle sezioni unite della Suprema corte, con la sentenza 17 dicembre 1999, n. 907/SU (Foro it., Rep. 2000, voce Rifugiati, n. 8), «la qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costitui

sce, come quella di avente diritto all'asilo (dalla quale si distin

gue perché richiede quale fattore determinante un fondato timo re di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall'art.

10, 3° comma. Cost.), una figura giuridica riconducibile alla

categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in mate ria hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di ri

fugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall'art. 46 1. n. 40 del 1998, l'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la com

petenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato».

4. - La competenza territoriale ad esaminare domande come

quelle oggetto di questo giudizio è, ex art. 25 e 19 c.p.c., del Tribunale di Roma, luogo dove ha sede il ministero dell'interno convenuto.

Diversamente da quanto sembra emergere dalla motivazione di Cass. 18 giugno 2004, n. 11441, la competenza in questione è

quella per territorio c.d. semplice, derogabile dalle parti. Sicché, ai sensi del 2° comma dell'art. 38 c.p.c., l'incompe

tenza non può essere rilevata d'ufficio, ma deve (nel caso di

specie, avrebbe dovuto) essere «eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta».

E stato sostenuto in contrario, dal Tribunale di Catanzaro, nella sentenza riassunta nella motivazione della citata Cass. 18

giugno 2004, n. 11441, che sembra condividerla (il dubbio sor

ge perché nell'ordinanza della Suprema corte, nella parte relati va allo svolgimento del processo vengono esposte tutte le tesi del Tribunale di Catanzaro, ma nella parte relativa ai motivi della decisione viene affrontata solo la questione dell'indivi duazione del tribunale competente e non anche quella della na

tura di questa competenza, se derogabile o inderogabile), che si

tratterebbe di competenza per territorio inderogabile «in ragione della natura della controversia afferente status, della partecipa zione del p.m. e del rito camerale».

Ma tutti e tre questi motivi sono privi di fondamento. In particolare: 1) il fatto che la condizione di rifugiato e quella di avente di

ritto all'asilo vengano definiti come degli status non significa affatto che le cause relative a queste questioni siano cause «ri

guardanti lo stato delle persone», ai sensi dell'art. 70, n. 3, c.p.c. Quelli al rifugio e all'asilo sono — com'è stato sempre affer

mato in tutte le sedi — diritti delle persone interessate, ma non

riguardano il loro stato. Basti considerare che l'asilo è dovuto a

taluno sulla base delle condizioni di vita del paese dal quale

provengono, sicché quel diritto sussiste o viene meno in rela

zione a fatti e circostanze che riguardano la vita di una nazione e non dell'interessato. E con riferimento all'equivoco lessicale nel quale è incorso il Tribunale di Catanzaro e sembra essere in

corsa anche la Suprema corte, si consideri che parlano di status

con riferimento alla qualità di «erede», Cass. 22 gennaio 1988, n. 488, id., Rep. 1988, voce Matrimonio, n. 111; 28 marzo 1981, n. 1787, id., 1981, I, 2472; Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 14 novembre 1995, n. 388, id., Rep. 1996, voce Pensione, nn. 191, 899; sez. giur. reg. Lombardia, 27 luglio 1995, n. 786, ibid., n.

823; sez. giur. reg. Molise, 23 maggio 1995, n. 61, ibid., n. 858; Comm. trib. II grado Treviso, 26 novembre 1986, id., Rep. 1987, voce Successioni (imposte), n. 86. Ed è pacifico che lo

«status di erede» non ha nulla a che fare con lo «stato delle per sone». Sicché:

2) non è in alcun modo necessaria ex art. 70 c.p.c. la parteci

pazione del pubblico ministero alle cause che hanno ad oggetto domande di rifugio e/o di asilo;

3) i giudizi come questo vanno trattati con il rito c.d. conten

zioso ordinario e non con quello camerale, non essendovi alcuna

norma che consenta di derogare alla regola generale del rito or

dinario.

Ciò posto, il sottoscritto non può rilevare d'ufficio un'incom

petenza territoriale derogabile che l'amministrazione convenuta, rimasta contumace, non ha eccepito.

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PARTE PRIMA

5. - Per le ragioni testé dette, questo giudizio avrebbe dovuto

essere promosso con atto di citazione a udienza fissa.

È stato promosso, invece, con ricorso.

Tuttavia, il procuratore degli attori, nel notificare all'avvo

catura dello Stato il ricorso e il decreto di fissazione dell'udien

za di prima comparizione, ha inserito nell'atto notificato le se

guenti testuali parate: «Si invita il ministero dell'interno, in per sona del ministro pro tempore (...) domiciliati per la carica

presso la sede dell'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania

(...) a comparire all'udienza del 12 ottobre 2004, ore 9.00 e

segg., dinanzi al Tribunale civile di Catania, giudice unico dr.

Felice Lima, nei locali di ordinaria seduta in Catania, piazza

Verga, con l'invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166

c.p.c. e con avvertimento che la costituzione oltre il suddetto

termine implica le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c., per senti

re accogliere le conclusioni già spiegate in ricorso introduttivo».

Sicché, avendo l'atto notificato tutti i requisiti di cui all'art.

163 c.p.c. ed essendo state, quindi, rispettate tutte le forme ne

cessarie alla validità della vocatio in iudicio dell'amministra

zione convenuta, la notificazione del ricorso e del decreto di fis

sazione dell'udienza di prima comparizione e degli avvertimenti

sopra testualmente riportati ha pienamente raggiunto il suo sco

po e la scelta del ricorso in luogo della citazione resta, nel caso

di specie, del tutto irrilevante, ai sensi dell'ultimo comma del

l'art. 156 c.p.c. 6. - Gli attori deducono, a fondamento della loro domanda di

riconoscimento della condizione di «rifugiati», il fatto di essere

stati oggetto, nel loro paese di origine (l'Iraq), di gravi persecu zioni.

La loro narrazione — che trova riscontro in alcune lettere

spedite loro da congiunti —

appare del tutto verosimile.

E palesemente inverosimile e surreale appare, invece, la mo

tivazione solo apparente del provvedimento di rigetto dell'istan

za adottato il 26 novembre 2003 dalla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, che, senza chiarire in

alcun modo su cosa fondi un tale assunto (che stride con evi

denza con la ben nota situazione nella quale versa da alcuni anni

l'Iraq), si limita ad affermare che «la ricerca di migliore occu

pazione lavorativa deve ritenersi prevalente e assorbente ri

spetto agli altri moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo

a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico».

Non può dirsi, tuttavia, raggiunta una prova rigorosa della

sussistenza dei presupposti per il riconoscimento agli attori e ai

loro figli minori della condizione di rifugiati, perché, per un

verso, i documenti prodotti non offrono una prova rassicurante

dei fatti dedotti in giudizio (non è certa né l'identità degli autori

delle lettere prodotte né la veridicità dei loro racconti) e, per al

tro verso, va rilevato che, nella prospettazione degli attori, essi subivano persecuzione da esponenti dell'amministrazione ira

chena facente capo al governo di Saddam Hussein con riferi

mento ad asserite responsabilità del Said Elias Ibrahim nell'eva sione di alcuni detenuti. E nella condizione in cui notoriamente

oggi versa l'Iraq, deve presumersi che te persone dalle quali gli odierni attori avevano da temere quegli atti di persecuzione non siano più nelle condizioni di attuarli, perché l'amministrazione facente capo al governo di Saddam Hussein risulta essere stata

quasi del tutto smantellata.

Sicché la domanda degli attori tendente a ottenere il ricono scimento della condizione di rifugiati va rigettata.

7. - E fondata e va accolta, invece, la domanda tendente a ot tenere il riconoscimento del loro diritto di asilo.

Dispone l'art. 10 Cost, che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche ga rantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Aderendo alla quasi unanime opinione di dottrina e giurispru denza (con rarissime eccezioni, fra te quali Trib. Roma 13 feb braio 1997, id., 1997, I, 1257), deve ritenersi che questa norma della Costituzione sia immediatamente precettiva e attribuisca un diritto perfetto all'asilo allo straniero che si trovi nelle con dizioni previste dal citato art. 10, sicché la promulgazione di una legge ordinaria che stabilisca le condizioni per l'esercizio di

quel diritto non è condizione di esistenza dello stesso, ma fonte di una sua eventuale concreta disciplina di dettaglio.

Ciò emerge con evidenza dal tenore della norma, che non

prevede la possibilità per il legislatore ordinario di prevedere un diritto di asilo in favore di determinati soggetti né demanda al

Il Foro Italiano — 2005.

medesimo legislatore il potere di individuare i presupposti e

fondamenti di quel diritto, ma, al contrario, afferma la positiva concreta esistenza di quel diritto e ne individua il presupposto: il fatto che allo straniero «sia impedito nel suo paese l'effettivo

esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione

italiana».

Sicché, l'adozione di una legge ordinaria che lo regoli non è

posta dalla Costituzione come condizione di esistenza del diritto

di asilo, né essa è tale per una necessità pratica, perché il diritto

di asilo ha un suo contenuto concreto pur in assenza della legge ordinaria che lo disciplini ulteriormente.

Dunque, non appare possibile sotto alcun profilo negare ca

rattere immediatamente precettivo all'art. 10 Cost.

E in questo senso si sono espresse —

esplicitamente o impli citamente —, fra le altre, Cass., sez. un., 26 maggio 1997, n.

4674, id., Rep. 1997, voce Straniero, n. 15; 17 dicembre 1999, n. 907/SU, cit.; 7 febbraio 2001, n. 1714, id., Rep. 2001, voce cit., n. 160; 4 giugno 2002, n. 8067, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 126; 4 maggio 2004, n. 8423, che precede; 18 giugno 2004, n.

11441, che precede; Trib. Roma 1° ottobre 1999, id., Rep. 1999, voce cit., n. 68; 3 giugno 2003, id., Rep. 2003, voce Rifugiati, n.

12; Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1995, n. 149, id., Rep. 1995, voce Straniero, n. 54; 10 marzo 1998, n. 405, id., 1998, III, 216; 18 marzo 1999, n. 291, id.. Rep. 1999, voce Rifugiati, n. 9; Tar

Friuli-Venezia Giulia 23 gennaio 1992, n. 15, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 5; 19 febbraio 1992, n. 91, id., Rep. 1993, voce cit., n. 2.

8. - L'art. 32 1. 30 luglio 2002 n. 189, ha introdotto nel d.l. 30

dicembre 1989 n. 416. gli art. da 1 bis a 1 septies, che conten

gono anche alcune disposizioni in materia di diritto di asilo.

Tali disposizioni, per un verso, non riguardano i profili del di

ritto di asilo qui in discussione e sono, quindi, irrilevanti in que sto giudizio, e, per altro verso, non sono ancora in vigore, per ché l'art. 34 medesima 1. 189/02 ne ha subordinato l'entrata in

vigore alla previa adozione del «regolamento previsto dall'art. 1

bis, 3° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416», regolamento a

oggi non ancora emanato.

9. - Come si è già detto, unico presupposto per il riconosci

mento del diritto di asilo è quello indicato dall'art. 10 Cost, e,

cioè, il fatto che allo straniero che invochi quel diritto «sia im

pedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democra

tiche garantite dalla Costituzione italiana».'

Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, ha osservato (cfr. la motiva

zione per esteso) che «le sezioni unite di questa corte hanno ri

tenuto che non possano trovare applicazione al richiedente asilo

le disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello status di

rifugiato politico. Ciò sulla base di talune concorrenti argo mentazioni: il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati

politici non coincidono dal punto di vista soggettivo; la catego ria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi di ritto all'asilo, in quanto la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con 1. 24 luglio 1954 n. 722, prevede quale fat

tore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la

persecuzione in concreto, un fondato timore di essere persegui tato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall'art.

10, 3° comma, Cost.; tale convenzione non prevede un vero e

proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati politici (Cass., sez.

un., 26 maggio 1997, n. 4674, cit.). Nella medesima pronuncia si è altresì rilevato che alla diversità di requisiti ai quali sono

subordinate le due situazioni soggettive corrisponde anche una

diversità di trattamento, nel senso che allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null'altro viene garantito se non l'in

gresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto

tale, viene a godere, in base alla convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Alla luce di tale considerazione si è

quindi affermato che le controversie che riguardano il diritto di

asilo, di cui all'art. 10, 3° comma. Cost., rientrano nella giuris dizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggetti vo al quale non è applicabile la disciplina sullo status di rifu

giato, la quale invece espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo. Una successiva pronuncia (Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, cit.), intervenuta dopo che l'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998 aveva abrogato gli art. 2 ss. del d.l. n. 416 del 1989, ha poi affermato che la qualifica di ri fugiato politico, secondo le previsioni della convenzione di Gi nevra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libe ro e facile accesso ai tribunali nel territorio degli Stati contraen

ti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al cittadino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della

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Page 10: sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rel. Macioce, P.M. (concl. conf.); Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons. ministri e altro. Regolamento di competenza

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

giurisdizione, costituisce come quella di avente diritto all'asilo — dalla quale si distingue, perché richiede, quale fattore deter

minante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un re

quisito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma, Cost. — uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in

materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva,

per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto

di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tale occasione si è quindi affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario

in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello

status di rifugiato politico da parte dell'apposita commissione

costituita presso il ministero dell'interno».

Subito dopo, però, ha sostenuto — contraddittoriamente —

che «asilo e rifugio politico, pur avendo connotazioni diverse, sono tuttavia accomunati sotto il profilo procedimentale, la do

manda di asilo dovendo essere assistita dalle medesime forma

lità previste per la richiesta di riconoscimento dello status di ri

fugiato, e in particolare occorrendo che sia accompagnata dalla

richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo, come dispo sto dall'art. 1, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416. Ne con

segue che, in mancanza della prova (o anche della semplice al

legazione), da parte dell'interessato dell'avvenuta presentazione di una istanza di concessione del permesso di soggiorno in pen denza della domanda di asilo, la sola proposizione della doman

da stessa non può costituire, di per sé, ostacolo alla espulsione dello straniero».

Si tratta, deve dirsi, di un'argomentazione che non può essere

condivisa, perché illogica. Posto, infatti, che la stessa corte ribadisce espressamente

richiamando anche propri precedenti sul punto — che gli istituti

del rifugio e dell'asilo sono diversi fra loro e, addirittura, che

l'istituto dell'asilo copre un'area di applicazione più ampia di

quella del rifugio, appare del tutto illogico affermare che una di

sposizione dettata espressamente solo per il rifugio si debba ap

plicare anche all'asilo e ciò in danno dei richiedenti asilo.

Per fare un paragone agevolmente condivisibile, sarebbe co

me se, dopo avere sottolineato come lo stato giuridico dei magi strati abbia solo alcuni profili comuni a quello degli altri impie

gati civili dello Stato, che costituiscono una più ampia catego ria, si pretendesse di applicare a tutti gli impiegati civili dello Stato delle disposizioni espressamente dettate per i magistrati.

E ciò senza dire che, diversamente dall'esempio testé propo sto, il rapporto fra diritto di asilo e rifugio non è quello di genus e specie, trattandosi, invece, di istituti del tutto diversi: il diritto

all'asilo spetta a chi proviene da un paese nel quale, indipen dentemente dalla sua condizione personale, è generalmente im

pedito l'effettivo esercizio delle nostre libertà costituzionali; il

diritto al rifugio spetta a chi, indipendentemente dalle condizio

ni generali del paese dal quale proviene, è personalmente og

getto di una persecuzione. Arbitraria appare, dunque, la pretesa di imporre al diritto di

asilo condizioni di esercizio dettate per il rifugio. Va osservato, infine, che, con una ulteriore contraddizione,

nella motivazione della stessa sentenza della Suprema corte qui in discussione (la n. 8423 del 4 maggio 2004) si afferma che, in

ogni caso, i limiti tratti dalla disciplina del diritto al rifugio non

si applicano all'asilo «nel caso in cui l'interessato proponga una

specifica domanda di accertamento dinanzi al giudice ordinario»

(così testualmente la motivazione di quella sentenza).

Sicché, essendo quest'ultimo il caso qui in discussione, anche

se si volesse seguire l'indirizzo scelto da Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, fin qui criticato, deve, comunque, affermarsi che nel

giudizio dinanzi al giudice ordinario per l'accertamento del di

ritto di asilo l'unico presupposto per il riconoscimento dello

stesso è quello sopra indicato, tratto dal citato art. 10 Cost.

10. - Ciò posto in diritto, deve ritenersi notorio che in questo momento in Iraq è «impedito l'esercizio» e ancor più «l'effetti

vo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costitu

zione italiana».

Non occorre citare fonti di cognizione particolarmente auto

revoli, venendo quotidianamente resa nota da tutti i mezzi d'in

formazione, nel nostro paese e fuori, la condizione dell'Iraq e, fra l'altro:

— che in quel paese non vi è un governo legittimo; — che il paese è occupato militarmente da potenze straniere; — che le potenze occupanti

— è stato provato e da esse stesse

Il Foro Italiano — 2005.

riconosciuto — hanno violato in più occasioni e gravemente an

che i più basilari principi della convenzione di Ginevra, impri

gionando cittadini civili senza alcuna garanzia processuale, as

soggettandoli a torture e in molti casi assassinandoli mentre

erano detenuti; — che il paese è tuttora soggetto a operazioni militari delle

potenze occupanti nel corso delle quali vengono in vario modo

(bombardamenti aerei e missilistici, attacchi con mezzi blindati

di terra, ecc.) uccisi indiscriminatamente anche civili innocenti, donne e bambini;

— che nel paese non sono garantiti l'ordine e la sicurezza

pubblica; — che nel paese non è garantito il diritto ad agire e difendersi

in regolari giudizi; — che nel paese non sono garantite libertà fondamentali co

me il diritto di muoversi liberamente, di ottenere tutela per i

propri diritti, patrimoniali e non, lo stesso diritto all'incolumità

personale e alla vita; — che nel paese operano oppositori delle potenze occupanti

che utilizzano tecniche di guerriglia che anch'esse provocano l'uccisione indiscriminata di civili innocenti.

A fronte di tutto ciò, appare, come si è già detto, sorprendente e incomprensibile che la commissione centrale per il riconosci

mento dello status di rifugiato abbia potuto affermare che nel

caso degli odierni attori «la ricerca di migliore occupazione la

vorativa deve ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri

moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico».

11. - E, poiché nel provvedimento di rigetto della richiesta di

rifugio vi è anche un inciso del seguente testuale tenore «consi

derato che, in ordine al ritardo tra l'ingresso in Italia e la pre sentazione della domanda, non vengono fornite giustificazioni

plausibili», sono necessarie alcune considerazioni sul punto. Per le ragioni fin qui esposte, quelli al rifugio e all'asilo sono,

nel nostro ordinamento, diritti perfetti. E nel nostro ordinamento la regola è quella della libertà di

forme e di tempi nell'esercizio dei diritti, costituendo i limiti

temporali allo stesso — fra i quali, per esempio, le decadenze e

le prescrizioni — eccezioni che devono essere espressamente

previste dalla legge. Ora, in mancanza di espresse previsioni di decadenza o pre

scrizione per l'esercizio dei diritti all'asilo e/o al rifugio, appare francamente incomprensibile la ragione per la quale in diverse

sedi si pretenda di attribuire una qualche importanza all'asserito —- e nel caso di specie non provato

— ritardo nell'esercizio di

quei diritti. Non è possibile comprendere, cioè, perché non appaia strano

che un numero elevatissimo di persone si presenti a chiedere al

l'amministrazione pubblica dopo tempi anche lunghissimi prov videnze alle quali abbia a qualsiasi titolo diritto o anche solo

interesse legittimo e sembri strano che taluno eserciti nei tempi che ritiene più opportuni o che le circostanze rendano concreta

mente praticabili il proprio diritto all'asilo o al rifugio. Per di più, poi, che intercorra un certo tempo, a volte anche

lungo, tra l'ingresso nel nostro paese e la richiesta di rifugio e/o

di asilo appare del tutto ragionevole, se si considera, fra le altre

tante circostanze: — che ci vuole un tempo perché uno straniero si orienti in un

quadro legislativo della materia assai complesso, che non appa re chiaro e di univoca interpretazione neppure a chi studia da

tempo dottrina e giurisprudenza; — che in molte occasioni è accaduto che siano stati espulsi

richiedenti asilo (come si è visto, Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, che si è sopra esaminata ha ritenuto legittima l'espulsione di un

richiedente asilo per il solo fatto che l'interessato non aveva se

guito quanto prescritto proceduralmente per la diversa richiesta

di rifugio); — che fino al 15 luglio di quest'anno

— data della sentenza

n. 222 della Corte costituzionale (id., 2004, I, 2617) — gli stra

nieri venivano espulsi senza avere la previa possibilità di rivol

gersi al giudice per far valere eventuali illegittimità dell'espul sione e in diverse occasioni questo tribunale ha dichiarato l'ille

gittimità di espulsioni disposte in danno di richiedenti asilo.

Alla stregua di tutto ciò, appare del tutto ragionevole che chi

ha diritto all'asilo faccia valere tale suo diritto solo quando as

solutamente necessario a sottrarlo a un'espulsione in ipotesi il

legittima.

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