sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rel. Macioce, P.M. (concl. conf.);Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons. ministri e altro. Regolamento di competenza avversoTrib. Catanzaro 16 gennaio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 4 (APRILE 2005), pp. 1117/1118-1133/1134Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200703 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1030) e n. 9612 del 2000 (id., Rep. 2001, voce cit., n. 628), mentre quella sostenuta nella sentenza impugnata è affermata
nella sentenza n. 152 del 1997 (id.. Rep. 1997, voce cit., n.
1036). La tesi della prevalente giurisprudenza di questa corte si fon
da sull'argomentazione che: «La decisione del tribunale si fon
da sul rilievo che il diritto del superstite è autonomo rispetto a
quello del de cuius, e non ne è perciò influenzato. La tesi non
può essere condivisa. È bensì vero che i titolari di pensioni indi
rette acquisiscono il diritto iure proprio e non iure hereditatis, ma ciò giustifica l'attribuzione del beneficio anche nei casi in
cui il dante causa sia deceduto prima dell'entrata in vigore della
1. n. 140 del 1985, oppure dopo tale data senza avere chiesto la
maggiorazione all'Inps. Diversa questione è se debba tenersi
conto della pensione già goduta dal de cuius o di quella conse
guita dal superstite, allorché la norma limiti il beneficio ai tito
lari di pensione con decorrenza successiva al 7 marzo 1968.
A tale riguardo devesi considerare che il diritto del superstite alla maggiorazione è acquisito sulla base della posizione assicu
rativo-pensionistica del de cuius. Il titolare di pensione di rever
sibilità fa valere come proprio un diritto scaturente da una quali ficazione soggettiva del dante causa. La maggiorazione inerisce
alla pensione diretta, e solo di riflesso sulla reversibile. La nor
mativa riferisce i suoi effetti al pensionato, effetti che si riverbe
rano sul trattamento di reversibilità nella medesima ampiezza, ma anche con gli stessi limiti. Pertanto, allorché la norma attri
buisce un diritto derivante da una situazione giuridica che è
propria del titolare di un diritto stipite, la decorrenza indicata
con riferimento alla pensione non può essere che quella della
pensione stipite, ossia della pensione diretta. L'erede fa valere
gli effetti che la sopravvenuta normativa riferisce ad una quali ficazione personale acquisita in vita dal pensionato. Qualifica zione che, non esaurendosi con la morte, si proietta sul tratta
mento di reversibilità in tutte le sue implicazioni; con la conse
guenza che detto trattamento, in difetto di espressa previsione, non può assumere un contenuto più ampio di quello che sarebbe
configurabile in capo al de cuius. Diversamente opinando, po trebbe verificarsi il caso del pensionato diretto (ancora vivente), con diritto alla maggiorazione dal 1° gennaio 1989, che vedreb
be l'erede del proprio compagno d'armi già titolare di pensione diretta con medesima decorrenza, beneficiato della medesima
provvidenza ma con decorrenza dal 1° gennaio 1985»: così mo
tiva Cass. n. 6067 del 1997.
La tesi sostenuta nella sentenza impugnata e da Cass. n. 152
del 1997 si basa sull'argomentazione che, secondo l'art. 6 1. n.
140, destinatari del beneficio sono le categorie di cui all'art. 2 1.
n. 336 del 1970, e cioè sia l'ex combattente che i superstiti,
quindi quando la legge fa riferimento alla decorrenza della pen sione deve ritenersi per i secondi che sia quella che percepisco no, cioè quella di reversibilità.
Osserva il collegio che l'argomento non è concludente in
quanto per la pensione di reversibilità, che, come nella specie, trova origine e deriva da altra pensione diretta, si possono indi
viduare due decorrenze della pensione: quella della pensione del
dante causa e quella della pensione di reversibilità. In mancanza
di una specifica indicazione normativa l'interprete deve rifarsi
alla ratio perequati va delle 1. n. 140 del 1985 e n. 544 del 1988
di attribuire un beneficio agli ex combattenti, che non avevano
potuto godere dei maggiori benefici della 1. n. 336 del 1970,
contingentandoli nel tempo in relazione alle disponibilità finan
ziarie. La tesi interpretativa sostenuta dal tribunale, introducen
do le ulteriori differenze di trattamento, è in contrasto con la fi
nalità delle leggi e va pertanto disattesa.
La causa può essere decisa nel merito con il rigetto della do
manda di retrodatazione al 1985 del beneficio combattentistico
proposta dalla Di Pasquale Riso.
La soccombente non è tenuta al rimborso delle spese dell'in
tero giudizio nei confronti dell'Inps ex art. 152 disp. att. c.p.c., non essendo applicabile ratione temporis la modifica ad esso
apportata dall'11° comma dell'art. 42 d.l. n. 269 del 2003, con
vertito, con modificazioni, con 1. n. 326 del 2003.
II. Foro Italiano — 2005.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 18 giugno 2004, n. 11441; Pres. Olla, Rei. Macioce, P.M.
(conci, conf.); Saparamadu (Avv. Lo Faro) c. Pres. cons, mi
nistri e altro. Regolamento di competenza avverso Trib. Ca
tanzaro 16 gennaio 2003.
Competenza civile — Diniego di riconoscimento dello «sta
tus» di rifugiato — Ricorso — Competenza per territorio
(Cod. proc. civ., art. 25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, norme
urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei
cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini
extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello
Stato, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416).
Spetta al Tribunale di Roma, in applicazione delle norme gene rali sulla competenza per territorio, la cognizione del ricorso
proposto dallo straniero avverso il diniego di riconoscimento
dello status di rifugiato. ( 1 )
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 mag
gio 2004, n. 8423; Pres. De Musis, Est. Petitti, P.M. Sepe
(conci, conf.); Thalahitiya Gamaralalage Lahal Ranjan Evere
(1, 4-5) I. - La Corte di cassazione, in sede di regolamento di com
petenza, rileva come nelle controversie aventi ad oggetto lo status di ri
fugiato dovesse farsi ricorso, anteriormente alle modifiche introdotte con l'art. 32 1. 30 luglio 2002 n. 189, alle norme generali sulla compe tenza per territorio, con il che la competenza veniva a radicarsi in capo al Tribunale di Roma, in relazione alla sede del convenuto, if ministero
dell'interno, di cui la commissione centrale per i rifugiati era organo (sulla spettanza a tale commissione dell'accertamento della condizione di rifugiato, v. Cass. 25 febbraio 2004, n. 3732, Foro it., 2004,1, 3441, con nota di richiami, cui adde Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n.
5754, 17 settembre 2002, n. 4664, 29 agosto 2002, n. 4336, 11 luglio 2002, n. 3876, e 2 luglio 2002, n. 3603, id.. Rep. 2003, voce Rifugiati, nn. 3, 4, 7, 6 e 5).
In applicazione della medesima disciplina, il Tribunale di Catania ha rilevato che tale competenza, trattandosi di competenza per territorio c.d.
«semplice», era comunque derogabile dalle parti, dovendo essere l'in
competenza eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. II. - Entrambe le statuizioni sono state adottate anteriormente alla
piena efficacia del disposto dell'art. 32 1. 189/02, subordinata alla vi
genza del regolamento di attuazione (ora: d.p.r. 16 settembre 2004 n.
303, pubblicato il 22 dicembre 2004). La nuova normativa legislativa prevede l'istituzione delle commissioni territoriali per il riconoscimen to dello status di rifugiato presso gli uffici territoriali del governo (art. 1 quater, 1° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, nel nuovo testo); l'eventuale ricorso avverso la decisione della commissione territoriale è
presentato al tribunale in composizione monocratica territorialmente
competente entro quindici giorni (art. 1 ter, 6° comma, d.l. 416/89). III. - Sulla spettanza all'autorità giudiziaria ordinaria della cognizio
ne in ordine al ricorso avverso il diniego della concessione dello status di rifugiato, v. Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, id., Rep. 2000, voce cit., n. 8, la quale ha sottolineato che la qualifica di rifugiato
politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costi
tuisce, come quella di avente diritto all'asilo, una figura giuridica ri
conducibile alla categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la
conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in
materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le
controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressa mente abrogato dall'art. 46 1. 6 marzo 1998 n. 40, l'art. 5 d.l. 416/89
(abrogazione confermata dall'art. 47 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286), che
attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato. Conformemente, v. Trib. Roma 3 giugno 2003, id., Rep. 2003, voce cit., n. 12, e App. Catania 22 marzo 2002, ibid., n. 11.
Contra, v. Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5754, 29 agosto 2002, n. 4336, e 30 luglio 2002, n. 4071, ibid., nn. 10, 9 e 8, in cui si
afferma che, anche dopo l'abrogazione dell'art. 5, 2° comma, d.l.
416/89, in mancanza di un'apposita diversa disposizione normativa,
sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo la ci
tata norma attributiva al giudice amministrativo di una giurisdizione esclusiva e non potendosi negare l'esistenza di un potere discrezionale, da parte dell'amministrazione, nell'apprezzamento dei fatti e della loro
rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato.
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PARTE PRIMA
sta (Avv. Lo Faro) c. Prefetto di Catania e altro. Conferma Trib. Catania 1° marzo 2002.
Straniero — Decreto di espulsione — Giudizio di opposizio ne — Mancata audizione dell'interessato — Nullità del
provvedimento decisorio — Esclusione — Limiti (D.leg. 25
luglio 1998 n. 286, t.u. delle disposizioni concernenti la disci
plina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello stra
niero, art. 13; 1. 30 luglio 2002 n. 189, modifica alla normati
va in materia di immigrazione e di asilo, art. 12). Straniero — Diritto di asilo — Domanda — Disciplina del
procedimento per il riconoscimento dello «status» di rifu
giato — Applicabilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n.
39).
Nel giudizio di opposizione avverso il decreto di espulsione, la
mancata audizione dell'interessato non è causa di nullità del
provvedimento decisorio qualora sia stato dato avviso allo straniero ed al suo difensore della fissazione dell 'udienza di
trattazione. (2) In assenza di una normativa di attuazione dell'art. 10. 3° comma,
Cost., con riferimento alla domanda di asilo devono trovare
applicazione le disposizioni che disciplinano il procedimento volto al riconoscimento dello status di rifugiato (nella specie, la Corte di cassazione ha precisato che la domanda di asilo deve
essere assistita dalle medesime formalità previste per la richie sta del riconoscimento dello status di rifugiato). (3)
III
TRIBUNALE DI CATANIA; sentenza 15 dicembre 2004; Giud. Lima; Said Elias e altri (Avv. Aieli.o) c. Min. interno.
Rifugiati — Riconoscimento dello «status» di rifugiato o del diritto di asilo — Giurisdizione del giudice ordinario (D.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 5; 1. 28 febbraio 1990 n. 39; 1. 6 marzo 1998 n. 40, disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 46; d.leg. 25 luglio 1998 n.
286, art. 47). Competenza civile — Riconoscimento dello «status» di rifu
giato o del diritto di asilo — Competenza per territorio —
Derogabilità (Cod. proc. civ., art. 25; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39).
Rifugiati — Riconoscimento dello «status» di rifugiato —
Condizioni — Esclusione — Fattispecie (L. 24 luglio 1954 n. 722, ratifica ed esecuzione della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951; d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, art. 1; 1. 28 febbraio 1990 n. 39).
Straniero — Diritto di asilo — Riconoscimento — Presup posti —
Fattispecie (Cost., art. 10).
A seguito dell'abrogazione dell'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, con vertito in l. n. 39 del 1990, ad opera dell'art. 46 l. n. 40 del
1998, e confermata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, le controversie riguardanti il riconoscimento dello status di ri
fugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di
asilo) rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. (4)
La competenza per territorio del Tribunale di Roma nei giudizi in cui si controverte del riconoscimento dello status di rifu giato o del diritto d'asilo è derogabile dalle parti. (5)
Non sussistono le condizioni per il riconoscimento dello status
(2) La Corte di cassazione conferma un orientamento giurispruden ziale già più volte ribadito. Cfr. Cass. 25 febbraio 2004, n. 3745, Foro it., 2005, I, 521, con nota di richiami, secondo cui, nel procedimento camerale introdotto con l'opposizione al decreto di espulsione, la mera omessa audizione dello straniero non comporta la nullità del provvedi mento che decide il ricorso.
(3) Sulla procedura da seguire per il conseguimento dello status di ri
fugiato e/o per il riconoscimento del diritto di asilo, v. Cass. 25 feb braio 2004, n. 3732, cit.
Per l'affermazione secondo cui in assenza della domanda di asilo e del riconoscimento dello status di rifugiato politico, rimesso dalla legge in via esclusiva all'apposita commissione centrale con sede in Roma, il
giudice ordinario non può compiere un autonomo accertamento delle condizioni per tale riconoscimento, v. Trib. sorv. Sassari 30 gennaio 2003, Foro it., Rep. 2003, voce Straniero, n. 288.
Con riguardo agli effetti che conseguono all'avvenuta domanda.
Il Foro Italiano — 2005.
di rifugiato allorché il mutamento dì regime nel paese dì ori
gine dello straniero renda presumibile che gli esponenti della
vecchia amministrazione non siano più in grado di attuare la temuta persecuzione. (6)
Unico presupposto per il riconoscimento del diritto di asilo è
quello, indicato nell'art. 10 Cost., dell'impedimento per lo
straniero all'effettivo esercizio delle libertà democratiche ga rantite dalla Costituzione italiana (nella specie, è stato ricono
sciuto il diritto di asilo a cittadini iracheni, in conseguenza del
l'assenza nel paese di orìgine di un governo legittimo, nonché
dell'occupazione militare da parte di potenze straniere, dello
svolgimento di operazioni militari nel territorio e della man
canza di garanzie dell'ordine e della sicurezza pubblica). (7)
Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5749, ibid., n. 83, ha stabilito che la presentazione della domanda di asilo politico (o del riconosci mento dello status di rifugiato politico) da parte dello straniero conferi sce al richiedente il titolo ad ottenere un permesso di soggiorno tempo raneo fino alla definizione della procedura. Cass. 11 giugno 2003, n. 9362, ibid., n. 274, ha peraltro sottolineato che, anche una volta conse
guito il riconoscimento dello status di rifugiato, esso può rappresentare una circostanza ostativa e, dunque, un possibile vizio dei provvedi mento di espulsione, ma non dell'esecuzione di quest'ultimo da parte del questore, il quale — come risulta dagli art. 13 e 14 d.leg. 286/98 —
una volta che sia stato emanato il decreto di espulsione, è tenuto sen z'altro a darvi corso, senza necessità di richiedere alcun altro nulla osta, se non quello previsto per l'ipotesi in cui lo straniero si trovi sot
toposto a procedimento penale. (6) I. - Per quanto attiene ai presupposti in presenza dei quali può es
sere riconosciuto lo status di rifugiato, App. Firenze 13 aprile 2004, Foro it., 2005, I, 244, con nota di richiami, ha precisato che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la prova richiesta dalla legge deve andare oltre il mero stato di verosimiglianza dell'assunto perse cutorio (nella specie, è stato ritenuto insufficiente il quadro probatorio costituito da dichiarazioni rese dall'interessato e da un documento pro veniente da un terzo, «non riconoscibile, né verificabile» in assenza dell'asseverazione testimoniale del suo autore).
Sul tema, per l'affermazione secondo cui la convenzione di Ginevra, dopo aver definito la posizione di «rifugiato» come quella di colui che, temendo di essere perseguitato per motivi di razza, di religione, ecc., si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di questo paese, impegna gli Stati firmatari alla prote zione del perseguitato (anche potenziale) nei confronti dello Stato di
appartenenza, v. Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3874, id., Rep. 2003, voce Rifugiati, n. 2, che ha sottolineato che, una volta che il per seguitato abbia ottenuto (o avrebbe potuto ottenere) tutela da parte di uno degli Stati firmatari, non vi è ragione perché permanga l'obbligo di
questi ultimi di accordare una difesa aggiuntiva (o alternativa) in luogo di altro Stato in ipotesi inadempiente (fattispecie, peraltro, che è stata considerata assai improbabile).
Analogamente, Cons. Stato, sez. IV, 2 luglio 2002, n. 3605, ibid., voce Straniero, n. 84, ha ritenuto che legittimamente viene negato asilo
politico al cittadino extracomunitario che, prima di entrare in Italia, ab bia a lungo soggiornato in altro Stato, a sua volta firmatario della con venzione di Ginevra.
II. - Con riferimento alla distinzione tra il riconoscimento dello sta tus di rifugiato e la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel senso dell'impossibilità di scindere i due istituti, v. App. Firenze 13 aprile 2004, cit., che ha affermato il principio secondo cui, allorché non sussistono i presupposti che presiedono al riconoscimento dello status di rifugiato, non può essere rilasciato il permesso di sog giorno per motivi umanitari di cui all'art. 19 d.leg. 286/98.
Nel senso della distinguibilità, v., invece, Tar Toscana, sez. I, 23 settembre 2002, n. 2129, ibid., n. 88, che, nello stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno a fini umanitari è istituto volto ad ovviare, in
presenza di gravi ragioni, ad una situazione specifica, in cui allo stra niero dovrebbe essere altrimenti negata la possibilità di soggiornare in Italia sulla base di convenzioni o accordi internazionali, ha precisato che, trattandosi di istituto rimesso, nella prassi, alla valutazione discre zionale della pubblica amministrazione, questa, nel disciplinare i limiti, può condizionare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi uma nitari alla previa raccomandazione della commissione centrale per il ri conoscimento dello status di rifugiato, ben formulabile sulla base di elementi oggettivi di cui essa sia venuta in possesso in sede di esame dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato.
(7) In ordine alle condizioni al sussistere delle quali viene subordi nato il riconoscimento del diritto di asilo, App. Firenze 13 aprile 2004, cit., peraltro in contrasto con l'opinione dominante in tema di applica zione della garanzia costituzionale, ha evidenziato come, nella perdu rante assenza di una legge di attuazione dell'art. 10, 3° comma. Cost., non sia riconosciuto, nell'ordinamento italiano, il diritto di asilo demo cratico, come previsto dalla Costituzione.
Sul tema, v., in dottrina, Chieffi, La tutela costituzionale del diritto di asilo e rifugio a fini umanitari, in Revenga Sanchez (a cura di), I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e Spagna, Giornate
italo-spagnole di giustizia costituzionale, Valencia-Milano, 2004, 173.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Rileva. — Con ricorso del 7 giugno 2002 il cittadino dello Sri Lanka Ranil Priyankara Saparamadu conveniva innanzi al Tri
bunale di Catanzaro il presidente del consiglio dei ministri im
pugnando il diniego frapposto alla sua richiesta di asilo politico comunicatogli il 7 marzo 2002 dalla commissione centrale per i
rifugiati. Si costituiva il presidente del consiglio dei ministri —
con il patrocinio dell'avvocatura distrettuale dello Stato — de ducendo la carenza di giurisdizione del giudice ordinario ed il
difetto della propria legittimazione (essendo la commissione centrale organo del ministero dell'interno). Integrato il contrad dittorio nei confronti del ministero — che si costituiva dedu cendo l'infondatezza della pretesa
— il tribunale invitava le
parti alla decisione sulla questione di competenza per territorio ed in data 16 gennaio 2003 emetteva sentenza con la quale di
chiarava la propria incompetenza ed indicava nel Tribunale di Roma il giudice competente. Affermava il tribunale in motiva zione: che si trattava di competenza inderogabile (in ragione della natura della controversia afferente status, della partecipa zione del p.m. e del rito camerale), rilevabile d'ufficio ed in
fatto rilevata in limine; che, vertendosi in tema di azione di ac
certamento contro amministrazione centrale dello Stato e non avendo la commissione centrale alcuna soggettività giuridica, legittimato era il ministro; che, pertanto, la competenza spettava — ai sensi dell'art. 25 c.p.c.
— al Tribunale di Roma. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per regolamento Ranil Priyan kara Saparamadu con atto del 19 febbraio 2003 al quale non
hanno fatto resistenza gli intimati.
Osserva. — Il ricorso non merita condivisione, dovendo di
contro statuirsi — in accordo con la decisione contenuta nel
l'impugnata sentenza — la competenza territoriale del Tribu nale di Roma. Deve premettersi che il provvedimento reiettivo
della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato reca la
data del 7 marzo 2002, che il ricorso avverso tale diniego è stato
proposto il 7 giugno 2002 e che la sentenza del tribunale — de
clinatoria della competenza — è stata pubblicata il 16 gennaio
2003, di guisa che l'intera vicenda si è svolta sotto il vigore della previgente normativa.
Ed infatti l'art. 47 d.leg. 286/98 (il c.d. t.u. sull'immigrazio ne, sottoposto a modifiche dalla successiva 1. 189/02) ha abro
gato alla lett. e) gli art. 2 ss. d.l. 416/89, convertito in 1. 39/90, ma ha lasciato in vigore la disciplina di cui all'art. 1 dello stesso
testo, con la conseguenza che è alla procedura delineata da tale
disposizione (ed alle disposizioni del regolamento attuativo di
cui al d.p.r. 15 maggio 1990 n. 136) che occorre far capo per il
conseguimento dello status di rifugiato, per l'attribuzione del
permesso di soggiorno in pendenza di procedura, per la stessa
contestazione innanzi al giudice ordinario del diniego (una volta
abrogata la riserva al giudice amministrativo della relativa attri
buzione, già contenuta nell'art. 5). Ed al proposito questa corte, che a sezioni unite (sent. 907/SU/99, Foro it., Rep. 2000, voce
Rifugiati, n. 8) ebbe a statuire sulla giurisdizione del giudice or
dinario con pronunzia esattamente richiamata dal Tribunale di
Catanzaro, ha avuto occasione di delineare la situazione interi
nale dello straniero in pendenza della procedura in discorso
(Cass. 5055/02, id.. Rep. 2002, voce Straniero, n. 127; 8067/02,
ibid., n. 126). Alla stregua di tale procedura è agevole rilevare che la domanda, presentata all'ufficio di polizia di Stato di
frontiera, viene inoltrata al questore che, rilasciato al richiedente
il richiesto permesso di soggiorno temporaneo, rimette gli atti
alla commissione centrale (nominata con decreto del presidente del consiglio dei ministri), organo del ministero dell'interno, che provvede alla istruzione della richiesta e, all'esito, all'acco
glimento (con rilascio del permesso di soggiorno da parte del
questore) od alla reiezione (con l'obbligo di allontanamento e
correlata espulsione). Tale complessa disciplina è stata radicalmente trasformata
dall'art. 32 1. 189/02 che ha inserito, dopo l'art. 1 d.l. 416/89
convertito in 1. 39/90, gli articoli da 1 bis a 1 septies recanti si
gnificative innovazioni (tra le quali — nell'ambito della proce
dura semplificata applicabile alle richieste di riconoscimento
dello status a beneficio dello straniero, ristretto per identifica
zione nel CPTA — quella afferente l'istituzione delle commis
sioni territoriali e la previsione della competenza del tribunale
territorialmente competente a conoscere dei ricorsi proposti av
verso il rigetto della richiesta). Ma, come in premessa precisato, tale disciplina non trova applicazione (neanche in termini di ius
superveniens, rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.c.) nel caso che
occupa, posto che ai sensi dell'art. 34, 3° comma, predetta 1.
Il Foro Italiano — 2005.
189/02 (entrata in vigore il 10 settembre 2002), le disposizioni testé rammentate avrebbero dovuto trovare applicazione a de
correre dalla entrata in vigore del nuovo regolamento (di cui al l'art. 1 bis, 3° comma, d.l. 416/89 come modificato), la cui emanazione (con sostituzione di quello di cui al d.p.r. 136/90) avrebbe dovuto aver corso entro sei mesi dalla entrata in vigore della 1. 189/02 (e quindi entro il 10 marzo 2003). Ma, neanche essendo stato il regolamento in discorso in tal data emanato, ne
discende che l'intera vicenda che occupa si è svolta sotto il vi
gore dell'unica disciplina esistente, quella di cui alle disposi zioni menzionate in premessa.
Sulle esposte premesse appare al collegio indiscutibile la
competenza del Tribunale di Roma a conoscere del ricorso che lo straniero abbia proposto avverso il diniego di riconoscimento
in discorso. Se, come con chiarezza precisato dalle sezioni unite
di questa corte (907/SU/99). la controversia ha ad oggetto lo
status del richiedente (e se da tanto discende, al contempo, la
giurisdizione del giudice ordinario e la competenza ratione ma
teriae del tribunale ex art. 9 c.p.c.), il ricorso alle norme gene rali sulla competenza per territorio contenute nel codice di rito
(ed in difetto della scelta «plurima» contenuta nel sopravvenuto art. 32 1. 189/02) comporta l'individuazione obbligata della
competenza nella sede del soggetto convenuto - amministrazio
ne centrale dello Stato (art. 25), senza che abbia alcuna seria
possibilità di considerazione l'ipotesi, affacciata dal ricorrente, del foro del luogo (prefettura di Crotone) nel quale la commis
sione ha effettuato le proprie audizioni decentrate dei richie
denti lo status ed ha assunto, e comunicato, la decisione negati va. L'evidente assenza di una soggettività giuridica della com
missione centrale (organo istituito e regolato dall'art. 2 d.p.r. 136/90 in attuazione del disposto dell'art. 1, 2° comma, d.l.
416/89) e la sua inerenza, come organo, all'amministrazione
centrale dello Stato, in una con l'incongruità della pretesa di ri
durre lo status ad oggetto di una obbligazione ex art. 1182 c.c.
(onde applicare il foro di cui agli art. 20 e 25 c.p.c. in ragione del luogo nel quale viene eseguita la consegna del provvedi mento), fanno dunque ritenere corretta la statuizione dell'impu
gnata sentenza e pertanto acclarata la competenza del Tribunale
di Roma. In tal senso si dichiara.
II
Svolgimento del processo. — Con provvedimento in data 26
febbraio 2002, il Tribunale di Catania, in composizione mono
cratica, rigettava il ricorso proposto da Thalahitiya Gamaralala
ge Lahal Ranjan Everesta avverso il decreto di espulsione emes
so nei suoi confronti dal prefetto di Catania in data 17 gennaio 2002, ai sensi dell'art. 13, 2° comma, lett. a), d.leg. 25 luglio 1998 n. 296, per essere egli entrato nel territorio dello Stato ita
liano sbarcando clandestinamente lungo le coste etnee.
Il ricorrente, premettendo di esser fuggito dal suo paese per motivi politici e religiosi e di aver saputo con ritardo della pos sibilità di chiedere asilo politico, aveva lamentato l'illegittimità del provvedimento impugnato sotto diversi profili ed in parti colare per la violazione dell'art. 19 d.leg. n. 286 del 1998, per la
violazione dell'art. 10 Cost., per la violazione delle convenzioni
di Ginevra e di Dublino ed infine per la violazione dell'art. 13 1.
n. 39 del 1990, essendo egli «in attesa di motivare la propria domanda innanzi alla questura di Catania».
Il tribunale rilevava che la prefettura opposta, costituitasi in
giudizio, aveva eccepito l'infondatezza del ricorso, sottolinean
do come il ricorrente (sbarcato in Italia il 4 gennaio 2002 e alla
data dell'emissione del decreto ancora presente nel territorio
italiano solo perché, per impedimento del vettore aereo, non era
stato possibile dare esecuzione al decreto di respingimento nei
suoi confronti già adottato) solo dopo la notifica del ricorso
aveva presentato richiesta di asilo politico, peraltro, del tutto ir
rituale nelle forme (la stessa era stata avanzata via fax da avvo
cato che assumeva essere procuratore del ricorrente e che analo
ga istanza presentava per altri quarantasei connazionali) e asso
lutamente immotivata nel contenuto.
Ciò premesso, il tribunale riteneva, in primo luogo, che non
dovesse essere approfondito il motivo di ricorso avente ad og
getto la dedotta violazione della disciplina relativa ai rifugiati
politici (convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata
con 1. 24 luglio 1954 n. 722, d.leg. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1990 n. 30),
posto che la condizione del ricorrente, per come risultante dagli
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PARTE PRIMA
atti, non era quella del rifugiato politico, così come unanime
mente intesa in giurisprudenza. Il giudice del merito riteneva altresì infondate le censure
avanzate dal ricorrente al provvedimento impugnato per viola
zione del «diritto di asilo», in dispregio dell'art. 10 Cost., in
quanto, posto che il ricorrente stesso aveva presentato istanza di
asilo (nelle forme esattamente indicate dalla prefettura) succes
sivamente alla notifica del decreto di espulsione, non poteva es
servi dubbio alcuno sulla legittimità del provvedimento alla data
della sua emanazione.
Né, ad avviso del tribunale, l'illegittimità del provvedimento
poteva derivare dalla richiesta successivamente in tal senso
avanzata dall'attuale ricorrente, non contenendo la stessa (anche così come successivamente proposta dal richiedente personal mente in data 20 gennaio 2002) alcun elemento dal quale desu
mere l'esistenza in capo al ricorrente stesso del diritto d'asilo
previsto dalla Costituzione a favore dello straniero «al quale sia
impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà demo
cratiche garantite dalla Costituzione italiana» (art. 10, 3° com
ma), diritto al quale va riconosciuta la dignità di diritto sogget tivo sempre che il soggetto che lo invochi dimostri (o almeno
specificatamente deduca) di trovarsi nelle condizioni previste dal su richiamato art. 10, cosa che doveva escludersi in conside
razione dell'assoluta mancanza di motivazione della richiesta, essendosi, nel caso di specie, il ricorrente limitato ad affermare
di essere militante del partito di opposizione chiamato «J.V.P.
National Party»; il che non consentiva neanche di ritenere ope rante il divieto di espulsione, previsto dall'art. 19 d.leg. n. 286
del 1998, a favore dello straniero che, nel suo stato d'origine, «possa esser oggetto di persecuzione per motivi di razza, di ses
so, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali», anche in considerazione del fatto che, nelle prime dichiarazioni rese subito dopo lo sbarco, il
ricorrente aveva affermato di essere venuto in Italia per trovare
lavoro, al pari della sorella già entrata in questo paese. Avverso tale provvedimento Thalahitiya Gamaralalage Lahal
Ranjan Everesta propone ricorso per cassazione, notificato alla
prefettura di Catania e al ministero dell'interno, sulla base di tre
motivi; resiste con controricorso la prefettura di Catania, mentre il ministero dell'interno non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — Deve preliminarmente essere di chiarata l'inammissibilità del ricorso notificato al ministero del
l'interno, giacché, come questa corte ha ripetutamente afferma
to, «nei giudizi promossi con ricorso contro il decreto di espul sione la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, per sonale e permanente all'autorità che ha emesso il provvedi mento, e cioè al prefetto» (Cass. 5 aprile 2002, n. 4847, Foro it.,
Rep. 2002, voce Straniero, n. 191; 6 febbraio 2003, n. 1748, id.,
Rep. 2003, voce cit., n. 240). Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione dell'art. 13, 9° comma, d.leg. n. 286 del 1998, e dell'art. 24 Cost., in riferimento all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. Benché, in sede di ricorso contro il decreto prefettizio di espul sione, il ricorrente avesse chiesto espressamente al giudice di essere sentito con l'assistenza di un interprete, come risulta sia dal ricorso che dai verbali di causa, il giudice ha ritenuto di po ter decidere sulla base della documentazione in atti e delle di chiarazioni rese dal ricorrente stesso all'autorità amministrativa.
Il motivo è infondato.
Premesso che è indubitabile che, ai sensi dell'art. 13, 9°
comma, d.leg. n. 286 del 1998 (abrogato dall'art. 12 1. 30 luglio 2002 n. 189, ma applicabile ratione temporis al caso di specie), nel procedimento introdotto con il ricorso avverso il decreto di
espulsione il giudice deve procedere all'audizione dell'interes
sato, è altrettanto indubbio che l'onere posto a carico dell'orga no giudicante in tanto può ritenersi violato, in quanto delia fis sazione dell'udienza di trattazione del ricorso non venga dato avviso allo straniero e al difensore da questi nominato (Cass. 4 marzo 2003, n. 3154, ibid., n. 238; 26 novembre 2003, n. 18031, ibid., n. 233). La mancata audizione dell'interessato, del resto, non è causa di nullità del provvedimento poiché il giudice è te nuto a decidere in ogni caso entro dieci giorni dalla data del de
posito del ricorso, sicché la decisione può essere validamente
presa anche in assenza del ricorrente (v. Cass. 11 gennaio 2002, n. 298, id., Rep. 2002, voce cit., n. 174).
Nella specie, dallo stesso ricorso si evince che il procuratore dello straniero ha partecipato al procedimento, svolgendo istan ze e contestando le difese dell'amministrazione convenuta, il che consente di ritenere che la comunicazione dell'avviso di fis sazione dell'udienza in camera di consiglio sia stato tempesti
li. Foro Italiano — 2005.
vamente effettuata. Nel ricorso, inoltre, non viene dedotto che
l'avviso di fissazione dell'udienza allo straniero interessato non
sia stato notificato e neanche che lo straniero sia stato impedito dal partecipare all'udienza in camera di consiglio.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli art. 10 e 19 d.leg. n. 286 del 1998 e dell'art.
10 Cost.
La prefettura e la questura di Catania con i provvedimenti amministrativi posti in essere avrebbero violato le norme che
prevedono il principio del «non respingimento» e del divieto di
espulsione previsto dall'art. 19. L'art. 10, 4° comma, infatti, vieta il respingimento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e di co loro che devono essere protetti per motivi umanitari. L'art. 19, a
sua volta, prevede il divieto di espulsione e di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di perse cuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o so
ciali. La prefettura di Catania ha considerato irrituale la doman
da formulata dallo straniero, esprimendo con ciò un giudizio di
merito sulle circostanze di tempo di luogo e sulla fondatezza
della stessa in diritto e non avrebbe quindi concesso ai richie
denti alcuna possibilità di motivare e documentare le loro vo
lontà. Sebbene nel nostro ordinamento giuridico ancora non esi
sta una normativa sull'asilo politico e sullo status di rifugiato, ciò nondimeno la dichiarazione della manifesta infondatezza
delle richieste di status di rifugiato non può essere fatta né dalle
questure né dalle prefetture, perché non è prevista dalla risolu
zione del consiglio d'Europa 1995, né dalla legge ordinaria ita
liana. La mancata attuazione dell'art. 10, 3° comma, Cost, non
potrebbe poi in alcun modo essere d'ostacolo alla sua forza co
gente. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione della 1. 28
febbraio 1990 n. 39, eccesso di potere per difetto di motivazio
ne, per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di
presupposti, errore di motivazione, illogicità manifesta, in rela
zione all'art. 360, n. 5, c.p.c. Il giudice del merito avrebbe do vuto annullare il provvedimento impugnato, in quanto la richie
sta di asilo era già stata formulata per ben undici cingalesi con
telegramma dal loro procuratore. La domanda di asilo, in quanto diritto non strettamente personale, non esclude infatti la rappre sentanza: si tratta di un diritto personale relativo, che può essere
esercitato dal procuratore in nome e per conto. L'autorità di po lizia non ha permesso al procuratore e allo straniero di spiegare e provare attraverso documentazione, né durante le operazioni di rimpatrio né successivamente quanto da essi avanzato; ha
soltanto valutato negativamente, nonostante la propria incom
petenza, ogni e qualsiasi richiesta formulata dai predetti sogget ti. Al contrario, le motivazioni della domanda non devono esse
re formulate in via immediata, ben potendo essere esternate nel momento in cui viene compilato il modello C/3. Non vi sono
termini che precludano la generica previsione «istanza motiva
ta» prevista dalla normativa.
Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati
congiuntamente, stante l'evidente connessione, sono infondati, avendo il Tribunale di Catania correttamente respinto l'impu gnazione se pur dispiegando motivazione che deve, come ap presso, essere integrata.
Ai fini della decisione della presente controversia, occorre
premettere che l'art. 10, 3° comma. Cost., prevede che «Lo
straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo eserci zio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione ita
liana, ha diritto d'asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Nella vigenza dell'art. 5 d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, con
vertito, con modificazioni, nella 1. 28 febbraio 1990 n. 39, il
quale, al 2° comma, stabiliva che contro i provvedimenti di di
niego del riconoscimento dello status di rifugiato è ammesso ri corso al Tar del luogo del domicilio eletto dall'interessato e in mancanza di una normativa di attuazione del precetto costitu
zionale, le sezioni unite di questa corte hanno ritenuto che non
possano trovare applicazione al richiedente asilo le disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello status di rifugiato poli tico. Ciò sulla base di talune concorrenti argomentazioni: il pre cetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici non co incidono dal punto di vista soggettivo; la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo, in
quanto la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con 1. 24 luglio 1954 n. 722, prevede quale fattore determinante
per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in
concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un re
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quisito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma.
Cost.; tale convenzione non prevede un vero e proprio diritto di
asilo in favore dei rifugiati politici (Cass., sez. un., 26 maggio 1997, n. 4674, id., Rep. 1997, voce Rifugiati, n. 3).
Nella medesima pronuncia si è altresì rilevato che alla diver
sità di requisiti ai quali sono subordinate le due situazioni sog
gettive corrisponde anche una diversità di trattamento, nel senso
che allo straniero il quale chiede il diritto di asilo nuli'altro vie
ne garantito se non l'ingresso nello Stato, mentre il rifugiato
politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla con
venzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Alla lu
ce di tale considerazione si è quindi affermato che le controver
sie che riguardano il diritto di asilo, di cui all'art. 10, 3° comma,
Cost., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trat
tandosi di un diritto soggettivo al quale non è applicabile la di
sciplina sullo status di rifugiato, la quale invece espressamente
prevede la giurisdizione del giudice amministrativo.
Una successiva pronuncia (Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 8), intervenuta dopo che
l'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998 aveva abrogato gli art. 2 ss.
d.leg. n. 416 del 1989, ha poi affermato che la qualifica di rifu
giato politico, secondo le previsioni della convenzione di Gine
vra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libero
e facile accesso ai tribunali nel territorio degli Stati contraenti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al citta
dino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della giu risdizione, costituisce come quella di avente diritto all'asilo —
dalla quale si distingue, perché richiede, quale fattore determi
nante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requi sito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma, Cost. — uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i' provvedimenti, assunti dagli organi competenti in
materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva,
per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto
di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tale occasione si è quindi affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario
in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello
status di rifugiato politico da parte della apposita commissione
costituita presso il ministero dell'interno.
Chiarito, dunque, che la posizione del richiedente asilo è una
posizione di diritto soggettivo, occorre ora chiedersi se, a parte il
caso in cui l'interessato proponga una specifica domanda di ac
certamento dinnanzi al giudice ordinario, allorquando la do
manda sia rivolta all'autorità amministrativa al momento dell'in
gresso nel territorio dello Stato ovvero successivamente, e in par ticolare dopo l'adozione nei confronti dello straniero di un prov vedimento di espulsione, la domanda stessa debba o meno pre sentare determinati requisiti e segnatamente, se l'istanza, come
disposto dall'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989 per la richie
sta dello status di rifugiato, debba essere motivata e accompa
gnata dalla richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo. In proposito, si deve rilevare che, pur non avendo trovato at
tuazione l'art. 10, 3° comma, Cost., nella legislazione nazionale
non mancano formulazioni normative tali da indurre a ritenere
che la domanda di asilo debba essere assistita dalle medesime
formalità previste per la richiesta del riconoscimento dello sta
tus di rifugiato. In particolare, la 1. 23 dicembre 1992 n. 523, re
cante ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determina
zione dello Stato competente per l'esame di una domanda di
asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità euro
pee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990, al
l'art. 1 reca le seguenti disposizioni: «Ai fini della presente convenzione s'intende per: a) straniero chi non è cittadino di
uno Stato membro; b) domanda di asilo: domanda con cui uno
straniero chiede ad uno Stato membro la protezione della con
venzione di Ginevra invocando la qualità di rifugiato ai sensi
dell'art. 1 della summenzionata convenzione, modificata dal
protocollo di New York; e) richiedente l'asilo: straniero che ha
presentato una domanda di asilo in merito alla quale non è anco
ra stata presa una decisione definitiva; d) esame di una domanda
di asilo: l'insieme dei provvedimenti relativi all'esame di una
domanda di asilo, delle decisioni o delle sentenze ad essa affe
renti, adottati dalle autorità competenti, ad eccezione delle pro cedure di determinazione dello Stato competente per l'esame
della domanda di asilo in virtù delle disposizioni della presente convenzione». Già alla luce di tali norme, non pare dubitabile
che il legislatore nazionale, nel recepire la suindicata conven
zione, abbia considerato la domanda di asilo come finalizzata al
riconoscimento dello status di rifugiato.
Il Foro Italiano — 2005.
Che il legislatore nazionale consideri la domanda di asilo in
modo indistinto rispetto al riconoscimento dello status di rifu
giato emerge poi chiaramente dalla successiva evoluzione legis lativa. Il t.u. approvato con d.leg. n. 286 del 1998, infatti, nel di
sciplinare l'istituto del respingimento, all'art. 10, 4° comma, di
spone che «le disposizioni del 1°, 2° e 3° comma e quelle del
l'art. 4, 3° e 6° comma, non si applicano nei casi previsti dalle
disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il ricono scimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di
protezione temporanea per motivi umanitari». A sua volta, l'art.
19, 1° comma, medesimo d.leg. stabilisce che «In nessun caso
può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in
cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzioni per motivi
di razza, di sesso, dì lingua, di cittadinanza, di religione, di opi nioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia
protetto dalla persecuzione». Nel dare attuazione a tali disposi zioni, poi, l'art. 11,1° comma, lett. a), d.p.r. 31 agosto 1999 n.
384, dispone che «il permesso di soggiorno è rilasciato, quando ne ricorrano i presupposti, per i motivi e la durata indicati nel
visto d'ingresso o dal testo unico, ovvero per uno dei seguenti motivi: a) per richiesta di asilo, per la durata delle procedure occorrenti».
Ancor più esplicitamente, la 1. 30 luglio 2002 n. 189, al capo secondo, sotto la rubrica «disposizioni in materia di asilo», con
gli art. 32 e 33 ha introdotto modificazioni e nuove disposizioni nel corpo del d.l. n. 416 del 1989. In particolare, è stato intro
dotto l'art. 1 bis, il quale, nel disciplinare i casi di trattenimento,
dispone, al 1° comma, che il richiedente asilo non può essere
trattenuto al solo fine di esaminare la domanda di asilo presen tata. Esso può, tuttavia, essere trattenuto per il tempo stretta
mente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla per manenza nel territorio dello Stato in base alle disposizioni del
t.u. di cui al d.leg. n. 286 del 1998, tra l'altro, per verificare gli elementi sui quali si basa la domanda di asilo, qualora tali ele
menti non siano immediatamente disponibili. Ai sensi del 2°
comma, il trattenimento deve essere sempre disposto: a) a se
guito della presentazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il
controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni
di soggiorno irregolare; b) a seguito della presentazione della
domanda di asilo da parte di uno straniero già destinatario di un
provvedimento di espulsione o respingimento. Il 5° comma del
medesimo articolo stabilisce poi che allo scadere del periodo
previsto per la procedura semplificata di cui all'art. 1 ter e qua lora la stessa non si sia ancora conclusa, allo straniero è conces
so un permesso di soggiorno temporaneo fino al termine della
procedura stessa.
L'art. 1 ter, a sua volta, sotto la rubrica «procedura semplifi cata», dispone, al 1° comma, che nei casi di cui alle lett. a) e b) del 2° comma dell'art. 1 bis è istituita la procedura semplificata
per la definizione dell'istanza di riconoscimento dello status di
rifugiato secondo le modalità di cui ai commi da 2 a 6, discipli nando, poi, al 2° e 3° comma gli adempimenti ai quali deve
provvedere il questore non appena ricevuta la richiesta di rico
noscimento dello status di rifugiato, presentata, rispettivamente, ai sensi dell'art. 1 bis, 2° comma, lett. a), e dell'art. 1 bis, 2°
comma, lett. b). Al 5° comma, inoltre, l'art. 1 ter stabilisce che
lo Stato italiano è competente all'esame delle domande di rico
noscimento dello status di rifugiato di cui al presente articolo, ove i tempi non lo consentano, ai sensi della convenzione di
Dublino ratificata ai sensi della 1. 23 dicembre 1992 n. 523. Per
lo svolgimento della procedura semplificata è altresì prevista la
costituzione di commissioni territoriali per il riconoscimento
dello status di rifugiato (art. 1 quater), che, per l'esame delle
domande di asilo presentate ai sensi dell'art. 1 bis, 2° comma, lett. a) e b), è integrata da un componente della commissione
nazionale per il diritto di asilo, cosi venendo denominata la
commissione nazionale per il riconoscimento dello status di ri
fugiato già prevista dall'art. 2 del regolamento di cui al d.p.r. 15
maggio 1990 n. 136. Da ultimo, il d.leg. 7 aprile 2003 n. 85, di attuazione della di
rettiva 2001/55/Ce relativa alla concessione della protezione
temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e alla coope razione in ambito comunitario, all'art. 7, sotto la rubrica «istan
ze di asilo», dispone che «l'ammissione alla misura di protezio ne temporanea non preclude la presentazione dell'istanza per il
riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della conven
zione di Ginevra».
Le disposizioni alle quali si e fatto cenno assumono un rile
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PARTE PRIMA
vante significato al fine di stabilire se, anche in riferimento alla
domanda di asilo, debbano o meno trovare applicazione l'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989 (disposizione, questa, non abro
gata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, che alla lett. e ha invece
abrogato gli art. 2 ss. medesimo decreto legge), nonché l'art. 1, 2° comma, d.p.r. 15 maggio 1990 n. 136. Il primo prescrive che
«lo straniero che intende entrare nel territorio dello Stato per es
sere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata e, in
quanto possibile, documentata all'ufficio di polizia di frontiera»
e stabilisce che «il questore (...) rilascia, su richiesta, un per messo di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione del
la procedura di riconoscimento». Il secondo prevede che «la que stura raccoglie i dati sulla identità del richiedente la qualifica di
rifugiato e i documenti prodotti o comunque acquisiti anche
d'ufficio, redige un verbale delle dichiarazioni dell'interessato e,
sempre che non risultino i motivi ostativi di cui all'art. 1, 4°
comma, d.l. sopra richiamato (n. 416 del 1989), invia entro sette
giorni tutta la documentazione istruttoria alla commissione di cui
all'art. 2, rilasciando al richiedente un permesso di soggiorno
temporaneo valido sino alla definizione della procedura». Il collegio ritiene che al quesito ora posto debba essere data
risposta affermativa, giacché le indicazioni che emergono dal
diritto positivo, innanzi richiamato, convergono nel senso di ac
comunare i due istituti sotto il profilo procedimentale, pur la
sciando inalterati i connotati sostanziali che li differenziano. Del
resto, conferma in tal senso si trae dalla sentenza di questa corte
9 aprile 2002, n. 5055 (id., Rep. 2002, voce Straniero, n. 127) che, pronunciandosi "sul ricorso proposto da uno straniero avver
so il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti pur se ave
va presentato domanda di asilo, lo ha rigettato argomentando
proprio sulla riconducibilità della domanda di asilo proposta alla
disciplina posta dall'art. 1, 5° comma, d.l. n. 416 del 1989.
Nella citata pronuncia (ma per analoghe affermazioni, v. an
che Cass. 4 giugno 2002, n. 8067, ibid., n. 126), la corte ha rile vato che, in coerenza con il dettato dell'art. 10, 3° comma, Cost., il t.u. sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione giuri dica dello straniero, approvato con d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, interamente recependo le previsioni della 1. 6 marzo 1998 n. 40, ha inteso escludere l'esercizio dei poteri di respingimento ed e
spulsione degli stranieri che versino nelle condizioni «previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il ri conoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di mi
sure di protezione temporanea per motivi umanitari» (art. 10, 4°
comma, t.u.), in nessun caso essendo consentita una misura che
importi il rinvio del respinto o dell'espulso verso uno Stato che
10 esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni perso nali e delle sue idee (art. 19, 1° comma, t.u.).
In riferimento alla condizione ostativa alla espulsione, costi
tuita dallo status di rifugiato, la corte, dopo aver ricordato che
essa differisce da quella dell'avente diritto all'asilo ex art. 10, 3° comma, Cost., in ragione della esigenza di accertare l'ulterio
re requisito del pericolo di persecuzione (Cass., sez. un., 17 di
cembre 1999, n. 907/SU, cit.), ha rilevato che il riconoscimento dello status in discorso tuttora si consegue attraverso la proce dura di cui all'art. 1, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito, con modificazioni, dalla 1. 28 febbraio 1990 n. 39
(norma non abrogata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998, che, alla
lett. e ha invece abrogato gli art. 2 ss. citato decreto legge). In
base alla conservata disposizione, dunque, lo straniero deve pre sentare all'ufficio di polizia istanza motivata e sulla sua base «Il
questore (...) rilascia, dietro richiesta, un permesso di soggior no temporaneo valido fino alla definizione della procedura di ri
conoscimento».
Tutti i provvedimenti assunti al proposito, e con particolare
riguardo a quelli occorsi nell'ambito della procedura afferente l'invocato status di rifugiato, ha osservato la corte, non possono che avere natura dichiarativa-accertativa avendo essi ad oggetto 11 riconoscimento di un diritto soggettivo, con la conseguenza che le controversie relative al diniego di tale riconoscimento ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale rientrano nella
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tal quadro è chiaro che il divieto di espulsione, e l'illegit
timità del decreto del prefetto che abbia ad essa provveduto, so no conseguenza, nel caso dello straniero che deduca le condi zioni per poter beneficiare dello status di rifugiato, della pre sentazione della motivata istanza all'ufficio di polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno tempora neo in pendenza della relativa procedura di riconoscimento, da
un canto restando escluso il rilievo delle mere affermazioni del
II Foro Italiano — 2005.
l'interessato di trovarsi nelle condizioni per un esito favorevole
della procedura e, dall'altro, ben potendo il giudice ordinario, adito in opposizione al decreto di espulsione, annullarlo in ra
gione della documentata pendenza della procedura e dell'ingiu stificato diniego del (o ritardo nella concessione del) permesso
temporaneo da parte del questore. Altro è, di contro, l'istituto del divieto di respingimento od
espulsione (art. 19 d.leg. n. 286 del 1998), in base al quale in
nessun caso l'espulso può essere inviato in uno Stato nel quale
egli può patire persecuzioni: si tratta di una misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo che non conferisce, di per sé, al beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia ma solo il di
ritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio
personale. E sarà il giudice a valutare in concreto la sussistenza
delle allegate condizioni ostative all'espulsione od al respingi mento.
Applicando quindi al caso di specie i principi suindicati, che il collegio condivide, deve rilevarsi che, essendo mancata e tut
tora mancando da parte del ricorrente la prova (o anche la sem
plice allegazione) dell'avvenuta presentazione di un'istanza di
concessione del permesso di soggiorno in pendenza della do
manda di asilo, nessun ostacolo alla espulsione poteva essere
costituito dalla sola proposizione della domanda stessa. E di
converso, è altrettanto evidente che, a contestare le valutazioni
in fatto operate dal giudice di merito sulla insussistenza delle
condizioni di persecuzione ostative al respingimento ex art. 19
d.leg. n. 286 del 1998 non vale in alcun modo addurre il men
zionato «fatto» della proposizione della domanda di asilo, do
vendo soltanto essere censurata per vizi argomentativi la valuta
zione in proposito espressa dal primo giudice. E il ricorso non
contiene alcuna censura idonea ad evidenziare la sussistenza di
un vizio di motivazione nell'iter argomentativo seguito nel
provvedimento impugnato per escludere la sussistenza del peri colo di persecuzioni.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Ili
Svolgimento del processo. — Con ricorso a questo tribunale
depositato il 30 marzo 2004, Said Elias Ibrahim e Khodeda
Oseke Layla esponevano: «Sono cittadini iracheni appartenenti all'etnia curda del grup
po Yazidi. Sono sposati dal 1990 e hanno vissuto nella città di
Sinjar nel nord dell'Iraq. Dal 1995 il sig. Said Ibrahim Elias è stato costretto dal regime governativo di Saddam Hussein a la
vorare come guardia carceraria in una piccola città irachena
chiamata Badush, dove si è trasferito con moglie e quattro figli. Durante la permanenza a Badush, in data 29 luglio 2000, tre
prigionieri di etnia curda, reclusi nel carcere dove il sig. Said
lavorava e condannati a morte per aver organizzato una manife
stazione antigovernativa, riuscirono a portare a termine con suc
cesso un tentativo di evasione. La polizia irachena, in conside
razione solamente dell'appartenenza all'etnia curda e senza of
frirgli la possibilità di dimostrare la propria estraneità all'eva
sione, accusò il ricorrente di essere stato complice nell'organiz zazione della predetta fuga, tant'è che il direttore del carcere ne
dispose, insieme ad altre due guardie carcerarie anch'esse di et nia curda, l'immediata reclusione al posto degli evasi e la rela tiva condanna a morte senza alcuna verifica di sorta della fon datezza degli addebiti.
Al sig. Said non rimaneva altro che tentare la fuga, sicché la stessa sera del 29 luglio 2000 tentò di evadere assieme agli altri due reclusi curdi. Il tentativo andò in porto per lui e per uno
solo dei due compagni di evasione, sopravvissuto ai colpi di
arma da fuoco dei carcerieri iracheni che si erano avveduti della
fuga. Così l'esponente, con un mandato di cattura pendente sulle proprie spalle, rimase nascosto con la propria moglie e i
quattro figli, per una settimana fuori dalla città di Badush. Lì vennero raggiunti dal padre del sig. Said, il quale, atteso lo stato di pericolo in cui si trovavano quali traditori del regime, li ha aiutati ad organizzare il viaggio per lasciare il paese, pagando novemila dollari Usa a persone che li avrebbero tradotti fino in Germania. Raggiunto in macchina Musei e da lì presero un taxi fino alla frontiera con la Turchia, dove erano attesi da persone che li fecero salire su un autobus dal quale scesero ventiquattro ore dopo allorché giunsero ad Istanbul. Lì rimasero per dieci
giorni in una casa, in attesa del giorno in cui sarebbero stati im barcati.
Partiti a bordo di un peschereccio, dopo sei giorni di viaggio,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in data 22 agosto 2000 sbarcarono in Italia. Raggiunsero Roma,
poi Milano in treno e da ultimo in macchina giunsero in Germa nia il 28 agosto 2000. Ivi fecero richiesta di asilo politico, tro vando ospitalità da parenti del padre, anch'essi fuggiti dall'Iraq, cui lo Stato tedesco aveva riconosciuto lo status di rifugiati po litici in quanto perseguitati dal regime iracheno in ragione della loro etnia curda. Proposero anch'essi istanza per il riconosci mento di detto status, che venne denegato con provvedimento comunicato in data 15 aprile 2001 in virtù dell'incompetenza della Germania, conformemente a quanto stabilito dalla conven zione di Dublino, essendo lo Stato italiano, paese di primo in
gresso, deputato a provvedere in merito.
Avverso detto diniego i ricorrenti proposero inutilmente ri
corso, e così dopo quasi più di un anno di soggiorno in Germa
nia, anche a causa dello stato di gravidanza della sig. Khodeda Oseke Layla che in data 6 aprile 2002 partorì il quinto figlio, i ricorrenti vennero accompagnati alla frontiera per lasciare il ter
ritorio tedesco. Lo stesso giorno arrivarono a Catania, dove la
questura di Catania, dopo aver verbalizzato la richiesta di rico
noscimento di status di rifugiato, rilasciò loro un permesso di
soggiorno temporaneo per motivo di richiesta di asilo politico, in attesa del colloquio con la commissione centrale competente.
In data 26 novembre 2003, detta commissione, conforme mente a quanto stabilito dal d.l. 416/89, così come modificato
dalla 1. 36/90 e dal d.p.r. 136/90, provvide a convocare i ricor renti per l'audizione, in esito alla quale, con decisioni nn. Id 122481 sez. e Id 122480 del 26 novembre 2003 notificate en trambe per il tramite della questura di Catania in data 30 gen naio 2004, detto organo ha denegato il richiesto status di rifu
giati. Entrambi i provvedimenti di diniego, formalizzati a seguito di
un brevissimo colloquio di circa quindici minuti, sono così mo
tivati: 'rilevato che le contraddizioni e i mutamenti di versione, riscontrati durante l'intervista personale, comportano perplessità in ordine alla veridicità e alla credibilità di quanto asserito ed
alla fondatezza della richiesta; considerato che, in ordine al ri
tardo tra l'ingresso in Italia e la presentazione della domanda, non vengono fornite giustificazioni plausibili e che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato riveste carattere strumentale essendo stata prodotta al fine di poter prolungare, in
assenza di altre opportunità, il soggiorno in Italia in attesa della
decisione della commissione centrale; ritenuto che la ricerca di
migliore occupazione lavorativa deve ritenersi prevalente e as
sorbente rispetto agli altri moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto
prettamente economico'».
Sulla base di questa narrazione e di diverse considerazioni di
diritto, i ricorrenti chiedevano al tribunale di «annullare e/o re
vocare le decisioni della commissione di cui al ricorso e, per l'effetto, ritenere e dichiarare lo status di rifugiati degli stessi
ricorrenti. In via subordinata, concedere un permesso di sog
giorno per motivi umanitari ovvero, in via gradata, il diritto di
asilo in territorio italiano».
Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza venivano no
tificati al ministero dell'interno e alla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Nessuno si costituiva per l'amministrazione dell'interno. Il 16 aprile 2004 veniva adottato inaudita altera parte un de
creto cautelare, che veniva confermato con provvedimento del 30 aprile - 3 maggio 2004.
Acquisiti i documenti offerti in produzione e precisate le con
clusioni, la causa veniva posta in decisione.
Motivi della decisione. — 1. - Come si è detto, il ricorso in
troduttivo del giudizio e il decreto di fissazione della prima udienza sono stati notificati dagli attori, oltre che al ministero
dell'interno, anche alla commissione centrale per il riconosci
mento dello status di rifugiato. La commissione, però, è organo del ministero dell'interno
privo di autonoma soggettività giuridica (cfr., sul punto, Cass.
18 giugno 2004, n. 11441, che precede).
Dunque, unico contraddittore legittimo in questo giudizio va
ritenuto il ministero dell'interno.
2. - Di esso va dichiarata la contumacia, perché, come si è
detto, benché ritualmente chiamato in giudizio (vi è in atti la re
lata di notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto
di fissazione dell'udienza), non ha provveduto a costituirsi.
3. - Oggetto del giudizio sono le domande con le quali gli at
tori chiedono si riconosca loro lo status di rifugiati o, in subor
dine, quello di aventi diritto all'asilo nel nostro paese.
Il Foro Italiano — 2005.
Entrambe le domande rientrano nella giurisdizione del giudi ce ordinario.
Infatti, come statuito dalle sezioni unite della Suprema corte, con la sentenza 17 dicembre 1999, n. 907/SU (Foro it., Rep. 2000, voce Rifugiati, n. 8), «la qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951 costitui
sce, come quella di avente diritto all'asilo (dalla quale si distin
gue perché richiede quale fattore determinante un fondato timo re di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall'art.
10, 3° comma. Cost.), una figura giuridica riconducibile alla
categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in mate ria hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di ri
fugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall'art. 46 1. n. 40 del 1998, l'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la com
petenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato».
4. - La competenza territoriale ad esaminare domande come
quelle oggetto di questo giudizio è, ex art. 25 e 19 c.p.c., del Tribunale di Roma, luogo dove ha sede il ministero dell'interno convenuto.
Diversamente da quanto sembra emergere dalla motivazione di Cass. 18 giugno 2004, n. 11441, la competenza in questione è
quella per territorio c.d. semplice, derogabile dalle parti. Sicché, ai sensi del 2° comma dell'art. 38 c.p.c., l'incompe
tenza non può essere rilevata d'ufficio, ma deve (nel caso di
specie, avrebbe dovuto) essere «eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta».
E stato sostenuto in contrario, dal Tribunale di Catanzaro, nella sentenza riassunta nella motivazione della citata Cass. 18
giugno 2004, n. 11441, che sembra condividerla (il dubbio sor
ge perché nell'ordinanza della Suprema corte, nella parte relati va allo svolgimento del processo vengono esposte tutte le tesi del Tribunale di Catanzaro, ma nella parte relativa ai motivi della decisione viene affrontata solo la questione dell'indivi duazione del tribunale competente e non anche quella della na
tura di questa competenza, se derogabile o inderogabile), che si
tratterebbe di competenza per territorio inderogabile «in ragione della natura della controversia afferente status, della partecipa zione del p.m. e del rito camerale».
Ma tutti e tre questi motivi sono privi di fondamento. In particolare: 1) il fatto che la condizione di rifugiato e quella di avente di
ritto all'asilo vengano definiti come degli status non significa affatto che le cause relative a queste questioni siano cause «ri
guardanti lo stato delle persone», ai sensi dell'art. 70, n. 3, c.p.c. Quelli al rifugio e all'asilo sono — com'è stato sempre affer
mato in tutte le sedi — diritti delle persone interessate, ma non
riguardano il loro stato. Basti considerare che l'asilo è dovuto a
taluno sulla base delle condizioni di vita del paese dal quale
provengono, sicché quel diritto sussiste o viene meno in rela
zione a fatti e circostanze che riguardano la vita di una nazione e non dell'interessato. E con riferimento all'equivoco lessicale nel quale è incorso il Tribunale di Catanzaro e sembra essere in
corsa anche la Suprema corte, si consideri che parlano di status
con riferimento alla qualità di «erede», Cass. 22 gennaio 1988, n. 488, id., Rep. 1988, voce Matrimonio, n. 111; 28 marzo 1981, n. 1787, id., 1981, I, 2472; Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 14 novembre 1995, n. 388, id., Rep. 1996, voce Pensione, nn. 191, 899; sez. giur. reg. Lombardia, 27 luglio 1995, n. 786, ibid., n.
823; sez. giur. reg. Molise, 23 maggio 1995, n. 61, ibid., n. 858; Comm. trib. II grado Treviso, 26 novembre 1986, id., Rep. 1987, voce Successioni (imposte), n. 86. Ed è pacifico che lo
«status di erede» non ha nulla a che fare con lo «stato delle per sone». Sicché:
2) non è in alcun modo necessaria ex art. 70 c.p.c. la parteci
pazione del pubblico ministero alle cause che hanno ad oggetto domande di rifugio e/o di asilo;
3) i giudizi come questo vanno trattati con il rito c.d. conten
zioso ordinario e non con quello camerale, non essendovi alcuna
norma che consenta di derogare alla regola generale del rito or
dinario.
Ciò posto, il sottoscritto non può rilevare d'ufficio un'incom
petenza territoriale derogabile che l'amministrazione convenuta, rimasta contumace, non ha eccepito.
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PARTE PRIMA
5. - Per le ragioni testé dette, questo giudizio avrebbe dovuto
essere promosso con atto di citazione a udienza fissa.
È stato promosso, invece, con ricorso.
Tuttavia, il procuratore degli attori, nel notificare all'avvo
catura dello Stato il ricorso e il decreto di fissazione dell'udien
za di prima comparizione, ha inserito nell'atto notificato le se
guenti testuali parate: «Si invita il ministero dell'interno, in per sona del ministro pro tempore (...) domiciliati per la carica
presso la sede dell'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania
(...) a comparire all'udienza del 12 ottobre 2004, ore 9.00 e
segg., dinanzi al Tribunale civile di Catania, giudice unico dr.
Felice Lima, nei locali di ordinaria seduta in Catania, piazza
Verga, con l'invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166
c.p.c. e con avvertimento che la costituzione oltre il suddetto
termine implica le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c., per senti
re accogliere le conclusioni già spiegate in ricorso introduttivo».
Sicché, avendo l'atto notificato tutti i requisiti di cui all'art.
163 c.p.c. ed essendo state, quindi, rispettate tutte le forme ne
cessarie alla validità della vocatio in iudicio dell'amministra
zione convenuta, la notificazione del ricorso e del decreto di fis
sazione dell'udienza di prima comparizione e degli avvertimenti
sopra testualmente riportati ha pienamente raggiunto il suo sco
po e la scelta del ricorso in luogo della citazione resta, nel caso
di specie, del tutto irrilevante, ai sensi dell'ultimo comma del
l'art. 156 c.p.c. 6. - Gli attori deducono, a fondamento della loro domanda di
riconoscimento della condizione di «rifugiati», il fatto di essere
stati oggetto, nel loro paese di origine (l'Iraq), di gravi persecu zioni.
La loro narrazione — che trova riscontro in alcune lettere
spedite loro da congiunti —
appare del tutto verosimile.
E palesemente inverosimile e surreale appare, invece, la mo
tivazione solo apparente del provvedimento di rigetto dell'istan
za adottato il 26 novembre 2003 dalla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, che, senza chiarire in
alcun modo su cosa fondi un tale assunto (che stride con evi
denza con la ben nota situazione nella quale versa da alcuni anni
l'Iraq), si limita ad affermare che «la ricerca di migliore occu
pazione lavorativa deve ritenersi prevalente e assorbente ri
spetto agli altri moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo
a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico».
Non può dirsi, tuttavia, raggiunta una prova rigorosa della
sussistenza dei presupposti per il riconoscimento agli attori e ai
loro figli minori della condizione di rifugiati, perché, per un
verso, i documenti prodotti non offrono una prova rassicurante
dei fatti dedotti in giudizio (non è certa né l'identità degli autori
delle lettere prodotte né la veridicità dei loro racconti) e, per al
tro verso, va rilevato che, nella prospettazione degli attori, essi subivano persecuzione da esponenti dell'amministrazione ira
chena facente capo al governo di Saddam Hussein con riferi
mento ad asserite responsabilità del Said Elias Ibrahim nell'eva sione di alcuni detenuti. E nella condizione in cui notoriamente
oggi versa l'Iraq, deve presumersi che te persone dalle quali gli odierni attori avevano da temere quegli atti di persecuzione non siano più nelle condizioni di attuarli, perché l'amministrazione facente capo al governo di Saddam Hussein risulta essere stata
quasi del tutto smantellata.
Sicché la domanda degli attori tendente a ottenere il ricono scimento della condizione di rifugiati va rigettata.
7. - E fondata e va accolta, invece, la domanda tendente a ot tenere il riconoscimento del loro diritto di asilo.
Dispone l'art. 10 Cost, che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche ga rantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Aderendo alla quasi unanime opinione di dottrina e giurispru denza (con rarissime eccezioni, fra te quali Trib. Roma 13 feb braio 1997, id., 1997, I, 1257), deve ritenersi che questa norma della Costituzione sia immediatamente precettiva e attribuisca un diritto perfetto all'asilo allo straniero che si trovi nelle con dizioni previste dal citato art. 10, sicché la promulgazione di una legge ordinaria che stabilisca le condizioni per l'esercizio di
quel diritto non è condizione di esistenza dello stesso, ma fonte di una sua eventuale concreta disciplina di dettaglio.
Ciò emerge con evidenza dal tenore della norma, che non
prevede la possibilità per il legislatore ordinario di prevedere un diritto di asilo in favore di determinati soggetti né demanda al
Il Foro Italiano — 2005.
medesimo legislatore il potere di individuare i presupposti e
fondamenti di quel diritto, ma, al contrario, afferma la positiva concreta esistenza di quel diritto e ne individua il presupposto: il fatto che allo straniero «sia impedito nel suo paese l'effettivo
esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana».
Sicché, l'adozione di una legge ordinaria che lo regoli non è
posta dalla Costituzione come condizione di esistenza del diritto
di asilo, né essa è tale per una necessità pratica, perché il diritto
di asilo ha un suo contenuto concreto pur in assenza della legge ordinaria che lo disciplini ulteriormente.
Dunque, non appare possibile sotto alcun profilo negare ca
rattere immediatamente precettivo all'art. 10 Cost.
E in questo senso si sono espresse —
esplicitamente o impli citamente —, fra le altre, Cass., sez. un., 26 maggio 1997, n.
4674, id., Rep. 1997, voce Straniero, n. 15; 17 dicembre 1999, n. 907/SU, cit.; 7 febbraio 2001, n. 1714, id., Rep. 2001, voce cit., n. 160; 4 giugno 2002, n. 8067, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 126; 4 maggio 2004, n. 8423, che precede; 18 giugno 2004, n.
11441, che precede; Trib. Roma 1° ottobre 1999, id., Rep. 1999, voce cit., n. 68; 3 giugno 2003, id., Rep. 2003, voce Rifugiati, n.
12; Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1995, n. 149, id., Rep. 1995, voce Straniero, n. 54; 10 marzo 1998, n. 405, id., 1998, III, 216; 18 marzo 1999, n. 291, id.. Rep. 1999, voce Rifugiati, n. 9; Tar
Friuli-Venezia Giulia 23 gennaio 1992, n. 15, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 5; 19 febbraio 1992, n. 91, id., Rep. 1993, voce cit., n. 2.
8. - L'art. 32 1. 30 luglio 2002 n. 189, ha introdotto nel d.l. 30
dicembre 1989 n. 416. gli art. da 1 bis a 1 septies, che conten
gono anche alcune disposizioni in materia di diritto di asilo.
Tali disposizioni, per un verso, non riguardano i profili del di
ritto di asilo qui in discussione e sono, quindi, irrilevanti in que sto giudizio, e, per altro verso, non sono ancora in vigore, per ché l'art. 34 medesima 1. 189/02 ne ha subordinato l'entrata in
vigore alla previa adozione del «regolamento previsto dall'art. 1
bis, 3° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416», regolamento a
oggi non ancora emanato.
9. - Come si è già detto, unico presupposto per il riconosci
mento del diritto di asilo è quello indicato dall'art. 10 Cost, e,
cioè, il fatto che allo straniero che invochi quel diritto «sia im
pedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democra
tiche garantite dalla Costituzione italiana».'
Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, ha osservato (cfr. la motiva
zione per esteso) che «le sezioni unite di questa corte hanno ri
tenuto che non possano trovare applicazione al richiedente asilo
le disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello status di
rifugiato politico. Ciò sulla base di talune concorrenti argo mentazioni: il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati
politici non coincidono dal punto di vista soggettivo; la catego ria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi di ritto all'asilo, in quanto la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con 1. 24 luglio 1954 n. 722, prevede quale fat
tore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la
persecuzione in concreto, un fondato timore di essere persegui tato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall'art.
10, 3° comma, Cost.; tale convenzione non prevede un vero e
proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati politici (Cass., sez.
un., 26 maggio 1997, n. 4674, cit.). Nella medesima pronuncia si è altresì rilevato che alla diversità di requisiti ai quali sono
subordinate le due situazioni soggettive corrisponde anche una
diversità di trattamento, nel senso che allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null'altro viene garantito se non l'in
gresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto
tale, viene a godere, in base alla convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Alla luce di tale considerazione si è
quindi affermato che le controversie che riguardano il diritto di
asilo, di cui all'art. 10, 3° comma. Cost., rientrano nella giuris dizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggetti vo al quale non è applicabile la disciplina sullo status di rifu
giato, la quale invece espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo. Una successiva pronuncia (Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907/SU, cit.), intervenuta dopo che l'art. 47 d.leg. n. 286 del 1998 aveva abrogato gli art. 2 ss. del d.l. n. 416 del 1989, ha poi affermato che la qualifica di ri fugiato politico, secondo le previsioni della convenzione di Gi nevra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libe ro e facile accesso ai tribunali nel territorio degli Stati contraen
ti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al cittadino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giurisdizione, costituisce come quella di avente diritto all'asilo — dalla quale si distingue, perché richiede, quale fattore deter
minante, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un re
quisito che non è considerato necessario dall'art. 10, 3° comma, Cost. — uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in
materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva,
per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto
di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. In tale occasione si è quindi affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario
in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello
status di rifugiato politico da parte dell'apposita commissione
costituita presso il ministero dell'interno».
Subito dopo, però, ha sostenuto — contraddittoriamente —
che «asilo e rifugio politico, pur avendo connotazioni diverse, sono tuttavia accomunati sotto il profilo procedimentale, la do
manda di asilo dovendo essere assistita dalle medesime forma
lità previste per la richiesta di riconoscimento dello status di ri
fugiato, e in particolare occorrendo che sia accompagnata dalla
richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo, come dispo sto dall'art. 1, 5° comma, d.l. 30 dicembre 1989 n. 416. Ne con
segue che, in mancanza della prova (o anche della semplice al
legazione), da parte dell'interessato dell'avvenuta presentazione di una istanza di concessione del permesso di soggiorno in pen denza della domanda di asilo, la sola proposizione della doman
da stessa non può costituire, di per sé, ostacolo alla espulsione dello straniero».
Si tratta, deve dirsi, di un'argomentazione che non può essere
condivisa, perché illogica. Posto, infatti, che la stessa corte ribadisce espressamente
—
richiamando anche propri precedenti sul punto — che gli istituti
del rifugio e dell'asilo sono diversi fra loro e, addirittura, che
l'istituto dell'asilo copre un'area di applicazione più ampia di
quella del rifugio, appare del tutto illogico affermare che una di
sposizione dettata espressamente solo per il rifugio si debba ap
plicare anche all'asilo e ciò in danno dei richiedenti asilo.
Per fare un paragone agevolmente condivisibile, sarebbe co
me se, dopo avere sottolineato come lo stato giuridico dei magi strati abbia solo alcuni profili comuni a quello degli altri impie
gati civili dello Stato, che costituiscono una più ampia catego ria, si pretendesse di applicare a tutti gli impiegati civili dello Stato delle disposizioni espressamente dettate per i magistrati.
E ciò senza dire che, diversamente dall'esempio testé propo sto, il rapporto fra diritto di asilo e rifugio non è quello di genus e specie, trattandosi, invece, di istituti del tutto diversi: il diritto
all'asilo spetta a chi proviene da un paese nel quale, indipen dentemente dalla sua condizione personale, è generalmente im
pedito l'effettivo esercizio delle nostre libertà costituzionali; il
diritto al rifugio spetta a chi, indipendentemente dalle condizio
ni generali del paese dal quale proviene, è personalmente og
getto di una persecuzione. Arbitraria appare, dunque, la pretesa di imporre al diritto di
asilo condizioni di esercizio dettate per il rifugio. Va osservato, infine, che, con una ulteriore contraddizione,
nella motivazione della stessa sentenza della Suprema corte qui in discussione (la n. 8423 del 4 maggio 2004) si afferma che, in
ogni caso, i limiti tratti dalla disciplina del diritto al rifugio non
si applicano all'asilo «nel caso in cui l'interessato proponga una
specifica domanda di accertamento dinanzi al giudice ordinario»
(così testualmente la motivazione di quella sentenza).
Sicché, essendo quest'ultimo il caso qui in discussione, anche
se si volesse seguire l'indirizzo scelto da Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, fin qui criticato, deve, comunque, affermarsi che nel
giudizio dinanzi al giudice ordinario per l'accertamento del di
ritto di asilo l'unico presupposto per il riconoscimento dello
stesso è quello sopra indicato, tratto dal citato art. 10 Cost.
10. - Ciò posto in diritto, deve ritenersi notorio che in questo momento in Iraq è «impedito l'esercizio» e ancor più «l'effetti
vo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costitu
zione italiana».
Non occorre citare fonti di cognizione particolarmente auto
revoli, venendo quotidianamente resa nota da tutti i mezzi d'in
formazione, nel nostro paese e fuori, la condizione dell'Iraq e, fra l'altro:
— che in quel paese non vi è un governo legittimo; — che il paese è occupato militarmente da potenze straniere; — che le potenze occupanti
— è stato provato e da esse stesse
Il Foro Italiano — 2005.
riconosciuto — hanno violato in più occasioni e gravemente an
che i più basilari principi della convenzione di Ginevra, impri
gionando cittadini civili senza alcuna garanzia processuale, as
soggettandoli a torture e in molti casi assassinandoli mentre
erano detenuti; — che il paese è tuttora soggetto a operazioni militari delle
potenze occupanti nel corso delle quali vengono in vario modo
(bombardamenti aerei e missilistici, attacchi con mezzi blindati
di terra, ecc.) uccisi indiscriminatamente anche civili innocenti, donne e bambini;
— che nel paese non sono garantiti l'ordine e la sicurezza
pubblica; — che nel paese non è garantito il diritto ad agire e difendersi
in regolari giudizi; — che nel paese non sono garantite libertà fondamentali co
me il diritto di muoversi liberamente, di ottenere tutela per i
propri diritti, patrimoniali e non, lo stesso diritto all'incolumità
personale e alla vita; — che nel paese operano oppositori delle potenze occupanti
che utilizzano tecniche di guerriglia che anch'esse provocano l'uccisione indiscriminata di civili innocenti.
A fronte di tutto ciò, appare, come si è già detto, sorprendente e incomprensibile che la commissione centrale per il riconosci
mento dello status di rifugiato abbia potuto affermare che nel
caso degli odierni attori «la ricerca di migliore occupazione la
vorativa deve ritenersi prevalente e assorbente rispetto agli altri
moventi cui va ricondotto l'espatrio, conferendo a quest'ultimo carattere di emigrazione ad aspetto prettamente economico».
11. - E, poiché nel provvedimento di rigetto della richiesta di
rifugio vi è anche un inciso del seguente testuale tenore «consi
derato che, in ordine al ritardo tra l'ingresso in Italia e la pre sentazione della domanda, non vengono fornite giustificazioni
plausibili», sono necessarie alcune considerazioni sul punto. Per le ragioni fin qui esposte, quelli al rifugio e all'asilo sono,
nel nostro ordinamento, diritti perfetti. E nel nostro ordinamento la regola è quella della libertà di
forme e di tempi nell'esercizio dei diritti, costituendo i limiti
temporali allo stesso — fra i quali, per esempio, le decadenze e
le prescrizioni — eccezioni che devono essere espressamente
previste dalla legge. Ora, in mancanza di espresse previsioni di decadenza o pre
scrizione per l'esercizio dei diritti all'asilo e/o al rifugio, appare francamente incomprensibile la ragione per la quale in diverse
sedi si pretenda di attribuire una qualche importanza all'asserito —- e nel caso di specie non provato
— ritardo nell'esercizio di
quei diritti. Non è possibile comprendere, cioè, perché non appaia strano
che un numero elevatissimo di persone si presenti a chiedere al
l'amministrazione pubblica dopo tempi anche lunghissimi prov videnze alle quali abbia a qualsiasi titolo diritto o anche solo
interesse legittimo e sembri strano che taluno eserciti nei tempi che ritiene più opportuni o che le circostanze rendano concreta
mente praticabili il proprio diritto all'asilo o al rifugio. Per di più, poi, che intercorra un certo tempo, a volte anche
lungo, tra l'ingresso nel nostro paese e la richiesta di rifugio e/o
di asilo appare del tutto ragionevole, se si considera, fra le altre
tante circostanze: — che ci vuole un tempo perché uno straniero si orienti in un
quadro legislativo della materia assai complesso, che non appa re chiaro e di univoca interpretazione neppure a chi studia da
tempo dottrina e giurisprudenza; — che in molte occasioni è accaduto che siano stati espulsi
richiedenti asilo (come si è visto, Cass. 4 maggio 2004, n. 8423, che si è sopra esaminata ha ritenuto legittima l'espulsione di un
richiedente asilo per il solo fatto che l'interessato non aveva se
guito quanto prescritto proceduralmente per la diversa richiesta
di rifugio); — che fino al 15 luglio di quest'anno
— data della sentenza
n. 222 della Corte costituzionale (id., 2004, I, 2617) — gli stra
nieri venivano espulsi senza avere la previa possibilità di rivol
gersi al giudice per far valere eventuali illegittimità dell'espul sione e in diverse occasioni questo tribunale ha dichiarato l'ille
gittimità di espulsioni disposte in danno di richiedenti asilo.
Alla stregua di tutto ciò, appare del tutto ragionevole che chi
ha diritto all'asilo faccia valere tale suo diritto solo quando as
solutamente necessario a sottrarlo a un'espulsione in ipotesi il
legittima.
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