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sezione I civile; ordinanza 22 febbraio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rel. R. Sgroi, P. M. Paolucci...

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sezione I civile; ordinanza 22 febbraio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rel. R. Sgroi, P. M. Paolucci (concl. diff.); Padovani e altri (Avv. Rocca) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia) Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 545/546-549/550 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177721 . Accessed: 28/06/2014 15:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 15:39:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; ordinanza 22 febbraio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rel. R. Sgroi, P. M. Paolucci(concl. diff.); Padovani e altri (Avv. Rocca) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 545/546-549/550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177721 .

Accessed: 28/06/2014 15:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nei confronti delle imprese impegnate in processi di ristruttura

zione, conversione e riorganizzazione produttive ... per la durata

dei relativi processi debitamente riconosciuti e, ove siano in atto

interventi della c.i.g., per la durata della corresponsione dei re

lativi trattamenti... ».

Tale disposizione è sicuramente immotivata (appunto perché

sospende, ovviamente ex nunc, gli obblighi di cui alla 1. n.

482/68 per le aziende, le quali versino nelle condizioni in cui

versava la Montedison); ma, appunto in quanto tale, non può incidere sugli « obblighi » e sui correlativi diritti soggettivi perfet ti maturatisi in tempo ben anteriore all'entrata in vigore della 1.

25 marzo 1983 n. 79, che avrebbero dovuto attuarsi al momento

dell'avvio dei riservatari de quibus, attraverso stipulazioni con

trattuali ed ogni conseguenziale trattamento e che, in quanto non

attuati, danno luogo al sostitutivo diritto al tantundem come

determinato dai giudici del merito.

L'altro aspetto del complesso primo mezzo del ricorso attiene il

computo della percentuale del 15 % rispetto al personale dipen dente (o, alternativamente, come in via subordinata si prospetta,

peraltro con assoluta ingiustificabilità sul piano normativo, il

defalco dalla base imponibile) dei lavoratori divenuti invalidi nel

corso del rapporto di lavoro.

Anche questo aspetto del complesso primo mezzo è infondato.

Nulla di nuovo può indurre questa Suprema corte a modificare

l'espresso avviso per cui « le aziende private devono assumere gli invalidi da occupare obbligatoriamente, nella misura del 15 % del

personale, esclusivamente tramite gli uffici provinciali del lavoro e

non possono comprendere nell'aliquota degli invalidi da occupare eventuali dipendenti che siano divenuti invalidi mentre già lavo ravano alle dipendenze della stessa azienda e che non siano stati

assunti come invalidi tramite l'ufficio provinciale del lavoro »

(Cass. 2 febbraio 1976, n. 284, id., Rep. 1976, voce Lavoro e

previdenza (controversie), n. 320) nonché il successivo e sostan

zialmente conforme insegnamento, per cui « la copertura dell'ali

quota complessiva di cui all'art. 11, 1° comma, 1. 2 aprile 1968 n.

482 — in tema di assunzione obbligatoria di invalidi ed assimilati — può ritenersi realizzata solo attraverso le assunzioni effettuate

su designazione del compente ufficio provinciale, dovendosi perciò escludere dal computo quei lavoratori che, sebbene infortunati o

malati o comunque astrattamente riconducibili ad una delle

categorie protette, siano stati diversamente assunti » (Cass. 12

gennaio 1982, n. 154, cit.). Per niente può illuminare diversamente ai fini dell'interpreta

zione della fattispecie il contenuto del 2" comma del citato art. 9

1. n. 79/83 dove d'altronde si dispone, ai fini della licenziabilità

in percentuale, di invalidi soggetti alla disciplina del collocamento

obbligatorio. Con il secondo mezzo si tende a sostenere il ricorso sotto i

profili della violazione degli art. 1362, 1363, 1366, 1371 c.c. e

della contraddittoria motivazione sul punto decisivo della contro

versia, se il datore avesse o meno avviato una richiesta di

avviamento di invalidi.

Fermo ed incontrastato il punto che in effetti la richiesta del

datore di lavoro, prevista dall'art. 16, 6° comma, della legge in

esame, costituisce un indispensabile requisito di legittimità del

provvedimento di assegnazione da lavoratore ad un'azienda da

parte dell'ufficio provinciale del lavoro (cfr., tra l'altro, ed anche

amplius Cass. 25 novembre 1982, n. 6395, id., Rep. 1982, voce

Lavoro (collocamento), n. 149), la interpretazione data dal tribu

nale alla missiva del 22 febbraio 1980, nel senso che la Montedi

son ha avanzato « una vera e propria richiesta » e che essa

società non può dolersi di un'interpretazione « per cosi dire non

realistica » (intendesi non adeguata al reale stato dell'azienda)

data dall'ufficio provinciale del lavoro, cui non compete interpre tare l'esatta portata attribuibile alle dichiarazioni « ufficiali », non

viola i canoni dell'ermeneutica indicati dalla ricorrente (in effetti

applicabili anche alle dichiarazioni unilaterali aventi contenuto

patrimoniale ai sensi dell'art. 1324 c.c. — cfr. sul punto tra l'altro,

Cass. 22 aprile 1963, n. 1022, id., Rep. 1963, voce Obbligazioni e

contratti, n. 66) e, risolvendosi nella valorizzazione dell'inequivo co contenuto letterale della richiesta della sua parte « formale »

(che come tale ha portata « ufficiale » e non è suscettibile di

apprezzamenti sostanziali diversi o addirittura contrari da parte del pubblico ufficio), devesi vedere, con riguardo alla stretta

finalità attribuibile ad una richiesta ufficiale, sufficientemente

motivata; talché sfugge al sindacato di legittimità. Indubbiamente sussistono nell'intero testo della valutazione del

tribunale alcuni rilievi inesatti (come quello per cui la Montedi

son avrebbe potuto addirittura astenersi dalla richiesta, affermazio

ne subito dopo ridimensionata); ma nell'economia di un giudizio

Il Foro Italiano — 1985.

circa la portata ufficiale di un atto diretto alla p.a., tali

aggiunte non ingenerano una vera e propria contradditto

rietà con l'anteriore apprezzamento, di una realtà effettuale, legato all'essersi indirizzata una vera e propria richiesta; che, anzi, gli ac

cennati rilievi aggiuntivi sono a ben vedere estranei alla vera so

stanza del giudizio interpretativo e non sono valorizzabili, perché in parte contrari ad un obbligo specifico penalmente sanzionato

(ben inteso ove non sia stato escluso da un precedente « esonero »)

ed in parte costituente, se mai, possibile oggetto di una domanda

formale di esonero che sarebbe stata da avanzarsi all'ufficio pro

vinciale del lavoro del luogo dove l'azienda ha la sua sede principa le (nella specie Milano) e di un connesso provvedimento discrezio

nale della p.a. (v. art. 13, penult, comma, e 17, lett. /, del testo);

mentre nella specie si sarebbe trattato, come si argomenta dalle

affermazioni e dai richiami del ricorrente, in una con la narrativa

del processo, di « sospensione dell'avviamento », chiesta in aggiunta

e contestualmente a quella formale, cui è stata data esecuzione nel

marzo-giugno 1980 dall'ufficio del lavoro di Brindisi.

Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere

respinto in toto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 22 feb

braio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rei. R. Sgroi, P. M. Pao

lucci (conci, difi.); Padovani e altri (Avv. Rocca) c. Min. fi

nanze (Avv. dello Stato Braguglia).

Comunità europee — Diritti di prelievo — Prodotti cereagricoli

importati da paesi terzi via mare — Interpretazione di re

golamenti comunitari — Rimessione alla Corte di giusti zia (Reg. 13 giugno 1967 n. 120/67 CEE del consiglio, relativo

all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali, art.

23; d.l. 11 ottobre 1967 n. 901, disciplina relativa ad alcuni

prodotti oggetto della politica agricola della Comunità economi

ca europea, art. 1; reg. 18 marzo 1969 n. 542 CEE del consiglio, relativo al transito comunitario, art. 1).

Ai fini della decisione sull'applicabilità della riduzione dei diritti

di prelievo a prodotti cereagricoli provenienti via mare da

paesi terzi che siano stati sdoganati a bordo della nave a

norma della legislazione interna italiana e rispediti, senza essere

sbarcati, con lo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato mem

bro della CEE deve essere sospeso il giudizio sino alla decisione

della Corte di giustizia sulla questione interpretativa dell'art. 23.1

del regolamento 13 giugno 1967 n. 120, per accertare se la ratio

della riduzione dei diritti di prelievo ivi prevista consista nei

maggiori costi delle operazioni di scarico nei porti italiani

ovvero nella pura e semplice permanenza delle navi nei porti stessi per le operazioni doganali compiute a bordo, senza

scarico delle merci; nonché sulla questione relativa all'interpre tazione dell'art. 1, par. 3, lett. a, del regolamento 18 marzo 1969

n. 542 al fine di stabilire se fra le condizioni che realizzano il

transito comunitario interno, previsto e regolato dal suddetto

regolamento, e che consentono di considerare i prodotti « in

libera pratica » nello Stato del porto dove l'operazione dogana le è compiuta, sussista anche l'immissione in consumo nel

territorio dello Stato membro, quando le norme comunitarie

prevedono una riduzione del prelievo in detto Stato rispetto a

quello applicabile negli altri Stati della Comunità. (1)

Il 10 luglio 1972 la ditta Otello Mantovani presentava alla

dogana di La Spezia tre dichiarazioni di importazioni di grano turco, per un ammontare complessivo di Kg 27.040.542, giunto a

La Spezia con la nave « Panagos D. Pateras » proveniente da

Baton Ruge (U.S.A.), chiedendone la nazionalizzazione a bordo

della nave, ai sensi dell'art. 59 dell'allora vigente d.p.r. 18

febbraio 1971 n. 18, contenente modifiche di disposizioni legisla tive in materia doganale, in attuazione della delega conferita al

governo con 1. 23 gennaio 1968 n. 29.

La richiesta di nazionalizzazione veniva eseguita a bordo della

nave, in data 10 luglio 1972 con l'emissione dei certificati

d'importazione n. 27841/15238 e n. 627845/15213, con indicazione

del prelievo in lire 29.875 per tonnellata metrica.

(1) Questione nuova. Sui diritti di prelievo in genere e l'aliquota applicabile vedi Cass. 30

marzo 1984, n. 2086, Foro it., 1984, I, 1253; 25 marzo 1983, n. 2084, id., 1983, I, 1250; 25 maggio 1982, n. 3177, id., 1982, I, 1872, con nota di richiami.

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PARTE PRIMA

La ditta Mantovani, con due dichiarazioni di esportazione definitiva dello stesso 10 luglio 1972 destinava l'intera partita di

granoturco alla ditta Koninklijke Bunge N.V. di Rotterdam (O

landa) e la dogana di La Spezia emetteva due documenti T2L di

transito comunitario interno, per giustificare il carattere comunita

rio delle merci, che proseguivano il viaggio — senza essere

sbarcate in Italia — verso Rotterdam, dove venivano sbarcate.

La ditta Mantovani chiedeva alla dogana italiana che il prelie vo prefissato fosse ridotto di 7,5 unità di conto per tonnellata, ai

sensi dell'art. 23.1 del regolamento CEE n. 120/67 del 13 giugno 1967 (GUCE 19 giugno 1967 n. 117) e dell'art. 1 di. 11 ottobre

1967 n. 901 conv. in 1. 9 dicembre 1967 n. 1156.

La ditta Mantovani non pagava alcuna somma, a titolo di

prelievo, nè in misura piena nè in misura ridotta, ma rilasciava

fideiussioni a garanzia. Soltanto con lettera 13 luglio 1977 la

dogana di La Spezia comunicava (richiamandosi ad un telex

ministeriale del 1° agosto 1972) che il prelievo non poteva essere

diminuito dell'importo corrispondente alla riduzione richiesta, trattandosi di merce nazionalizzata a bordo della nave ed esporta ta verso i Paesi Bassi con la stessa nave.

Con analoga motivazione la dogana notificava alla ditta Manto

vani ingiunzione fiscale per il pagamento di lire 808.723.150 per diritti di prelievo e tassa di sbarco, cor» riferimento all'importa zione del 10 luglio 1972. È da notare che successivamente, da un

lato l'amministrazione finanziaria riconosceva che non era dovuta

la tassa di sbarco, e dall'altro lato la ditta Mantovani si ricono

sceva debitrice dell'importo di lire 681.159.384 e cioè del diritto

di prelievo, meno la riduzione nella misura di 7,5 unità di conto

per tonnellata.

La contestazione iniziata dalla ditta Mantovani dinanzi al

Tribunale di La Spezia era pertanto limitata al punto se essa

dovesse pagare il prelievo nella misura intera, senza la riduzione

di cui all'art. 23.1 del regolamento 120/67 CEE. Il Tribunale di

La Spezia accoglieva la tesi della ditta Mantovani, ma la Corte

d'appello di Genova dichiarava dovuto il prelievo nella misura

intera, senza abbattimento, osservando: che la lettura dei « consi

derando » e cioè del preambolo che illustra le ragioni della

disciplina dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei

cereali consente di rilevare, fra l'altro, che si è ritenuto opportu no consentire all'Italia l'introduzione di misure volte a diminuire

l'incidenza del nuovo regime dei prezzi validi per tutta la

Comunità sul livello dei prezzi dei cereali da foraggio, al fine di

facilitare l'adattamento del mercato italiano; — che la normativa dettata dall'art. 23.1 è distinta da quella

di cui all'art. 23.2, posto che la prima riguarda diminuzioni di

prelievo accordate in vista del particolare mezzo di trasporto

utilizzato; la seconda diminuzioni in vista di particolari situazioni

del mercato interno; — che la richiesta di un prelievo non ridotto ai sensi della

prima ipotesi non equivale all'applicazione di un dazio all'espor

tazione, perché tale richiesta non riguarda una riesportazione di merce effettivamente importata, in relazione alla circostanza

che l'importazione (in Italia) via mare è stata del tutto fittizia e

pertanto al valico doganale di La Spezia dovevano essere riscosse,

proprio in conseguenza del principio dell'identità dei prelievi in

tutti i valichi comunitari, le stesse somme che sarebbero state

richieste in qualsiasi dogana di altro paese membro della Comu

nità; — che, invero, l'abbattimento del prelievo è concesso a norma

dell'art. 1 di. 11 ottobre 1967 n. 901 ai cereali da foraggio

importati via mare e cioè trasportati nel territorio della repubbli ca con navi provenienti direttamente dai porti esteri d'imbarco; e

lo sdoganamento operato su merce mai sbarcata e che mai si

aveva l'intenzione di sbarcare non equivale ad un trasporto nel

territorio dello Stato; — che, infatti, l'art. 62 t.u. del 1973 delle leggi doganali

(corrispondenti all'art. 59 d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18) consente

10 sdoganamento a bordo, ma impone altresì lo sbarco al porto di

sdoganamento ovvero in altro porto dello Stato, sempreché il

trasporto avvenga con l'osservanza delle disposizioni doganali per 11 cabotaggio ;

— che la suddetta disciplina è adeguata ai principi comunitari, nel senso che il transito comunitario per le merci soggette ai

diritti doganali è assimilato alle destinazioni doganali previste dalle lett. c) e d) del punto 1 dell'art. 55 t.u. leggi doganali, mentre il cabotaggio costituisce un'ipotesi diversa, prevista dalla

lett. c) del punto 2 dello stesso art. 55; — che pertanto lo sdoganamento a bordo, non seguito da

sbarco in un porto dello Stato, non costituisce importazione nel

territorio della repubblica e che alla merce cosi sdoganata e fatta

Il Foro Italiano — 1985.

proseguire direttamente per altro paese comunitario devono essere

applicati i prelievi in misura intera, senza riduzioni.

Avverso la suddetta sentenza gli eredi di Otello Mantovani

hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendo in via prelimi nare la remissione alla Corte di giustizia delle Comunità europee della questione relativa all'interpretazione dell'art. 23, punto 1 del

regolamento CEE 120/67 e deducendo la violazione e falsa

applicazione degli art. 9 e 10 del trattato istitutivo della CEE; 21

e 23 del regolamento della CEE 120/67; 1 d.l. 11 ottobre 1967 n.

901; 50 d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18; 55, 62, 222, 227, 238, 241, 242 d.p.r. 23 gennaio 1973 n 43.

I ricorrenti sostengono: — che le due agevolazioni concesse

rispettivamente nel par. 1 e nel par. 2 dell'art. 23 regolamento CEE 120/67 hanno natura e caratteri differenti, come risulta non

soltanto dalla diversità della loro disciplina, ma anche dal consi

derandum che figura in premessa al regolamento CEE n. 1157

del 17 maggio 1977, nel quale la proroga della facoltà di

abbattimento del prelievo sulle merci importate via mare viene

giustificata con il rilievo che il miglioramento delle strutture

portuali in Italia non ha potuto essere effettuato nei tempi

previsti; — che quella prevista dall'art. 23.1 non è (diversamente

da quella prevista dall'art. 23.2) un'agevolazione in senso proprio, ma piuttosto un mezzo tecnico per realizzare, con riferimento

all'Italia, quel prezzo indicativo valido per tutta la Comunità, che

il regolamento 120/67 intendeva realizzare; ed infatti, stanti i

maggiori oneri portuali derivanti dalla minore efficienza dei porti italiani, i prezzi dei cereali importati via mare avrebbero finito con l'essere più alti in Italia, se i maggiori oneri portuali non fossero stati compensati da un abbattimento dei prelievi di entità

presuntivamente corrispondente; — che la compensazione suddetta può realizzare soltanto in via

di approssimazione l'uniformità dei prezzi dei cereali all'interno della Comunità, dato che anche la globale inefficienza dei porti italiani consente una graduatoria fra i singoli porti, e quindi l'importatore italiano può trarre vantaggio dall'effettuare l'impor tazione via mare in un porto i cui oneri siano minori del

beneficio riconosciutogli con l'abbattimento del prelievo, senza

per questo essere privato di tale beneficio; — che i cereali importati in Italia via mare e che hanno fruito

della diminuzione del prelievo di cui all'art. 23.1, non possono essere soggetti, in virtù dell'art. 21, ad alcuna altra imposta (e nemmeno, conseguentemente, alla perdita del beneficio della ridu zione di cui si siano verificati i presupposti) nel caso in cui

vengano riesportati in altri paesi della Comunità; — che, quindi, il vero quesito da risolvere è quello dell'esigen

za di coordinamento fra la cennata normativa comunitaria e l'art. 62 t.u. sulle disposizioni doganali (approvato con d.p.r. 23 gen naio 1973 n. 43), nel quale è stato trasfuso l'art. 59 d.p.r. 18

febbraio 1971 n. 18; — che la nazionalizzazione di merci estere a bordo della

nave, secondo la norma da ultimo richiamata, non costituisce una

modalità d'importazione fittizia, ma realizza l'adempimento delle

formalità doganali richieste dall'ordinamento, al pari dello sdoga namento a terra, e configura pertanto i presupposti della libera

pratica comunitaria delle merci; — che la disposizione del 3° comma dell'art. 59 d.p.r. 18

febbraio 1971 n. 28 non ha portata restrittiva e non esclude che, allorché si verifichino i presupposti della « libera pratica » nel

l'ambito della CEE, la dizione « porti dello Stato » possa essere

equiparata a quella di « porto di un Stato aderente alla Comuni

tà », qualora siano stati osservati gli adempimenti doganali pre visti dalle legislazioni interne del singolo Stato membro (quale è

anche il procedimento di nazionalizzazione delle merci a bordo

della nave); — che l'art. 238 della legge doganale consente di equiparare la

destinazione della merce in transito comunitario dall'Italia a

qualsiasi altro luogo della Comunità alla spedizione da una

dogana all'altra, la quale preclude l'esazione del tributo ad ogni ufficio doganale di passaggio;

— che l'interpretazione estensiva suddetta dell'art. 62, 3° com

ma, t.u. leggi risulta necessitata nell'ipotesi di riscossione del

prelievo per intero, cosi come troverebbe sicuramente applicazio ne in caso di merce sdoganata a terra e rispedita, con la stessa

nave o con altro mezzo, in un porto o altra località, della

Comunità; — che la ragione della pretesa inapplicabilità della diminuzione

del prelievo di cui all'art. 23.1 del regolamento 120/67, in caso

di merce sdoganata a bordo e rispedita, senza essere sbarcata, in

un porto comunitario, sta nel convincimento dell'inesistenza della

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ragione giustificatrice dell'abbattimento del prelievo, in tal caso; — che però, in contrario, deve osservarsi che, una volta

importati i prodotti via mare, la diminuzione del prelievo non

può essere negata in ragione delle modalità di sdoganamento; — che la ratio della disposizione è riscontrabile anche nel caso

di nazionalizzazione della merce a bordo, perché la maggiore incidenza degli oneri portuali si realizza per il solo fatto dell'ap

prodo della nave in un porto italiano, giacché anche la semplice

permanenza della nave in rada in attesa del compimento delle

operazioni doganali (inconveniente conseguente alla scarsa

efficienza delle strutture portuali) è cagione di costi sensibilmente

maggiori, tali da giustificare l'operatività del meccanismo corretti

vo costituito dalla diminuzione del prelievo; — che l'incidenza degli oneri portuali possa essere minore nel

caso in cui la merce non venga sbarcata, è questione di mero

fatto che non può avere influenza sull'interpretazione della nor

ma.

L'amministrazione finanziaria dello Stato ha resistito con con

troricorso, nel quale deduce; — che è esatto che la riduzione del prelievo autorizzata

dall'art. 23.1 del regolamento 120/67 ha natura e finalità differen

ti da quelle autorizzate dall'art. 23.2; e che la prima riduzione

ha la finalità di compensare i maggiori oneri portuali esistenti in

Italia, dove i costi delle operazioni di carico e scarico sono più elevati che negli altri porti della CEE (come afferma la decisione

del Consiglio CEE 15 dicembre 1964, in GUCE, febbraio 1965); — che se, dunque, l'operatore ha subito i maggiori costi delle

operazioni di carico e scarico in porti italiani e li ha avuti

compensati con l'abbattimento di prelievo di cui all'art. 23.1, è

logico che la merce importata via mare possa poi circolare

liberamente per tutta la CEE; — che se la riduzione ex art. 23.1 presuppone un aggravio di

oneri per lo sbarco e scarico (effettivi) della merce in porti nazionali, l'autorizzazione comunitaria ad applicare tale riduzione è limitata al suddetto presupposto ed in tal senso si deve

interpretare l'art. 1 di. n. 901/67; — che non viene in discussione l'art. 21 del regolamento n.

120/67, perché la pretesa tributaria è di non concedere la

riduzione del prelievo ex art. 23.1; e non già di concederla e poi annullarla con la tassa ex art. 23.3;

— che non rileva che i cereali siano stati nazionalizzati a

bordo, perché tale procedura è prevista a condizione che le merci

o siano sbarcate ovvero proseguano con la medesima nave per altri porti dello Stato, sotto osservanza delle disposizioni doganali

previste per il cabotaggio mentre nessuna delle due ipotesi si è

verificata nella specie; — che non si può accogliere l'interpretazione secondo cui la

dizione « porti dello Stato » di cui all'art. 62 t.u. leggi doganali andrebbe intesa come « porti di uno Stato della Comunità »,

perchè l'art. 62 fa parte del regime nazionale di cabotaggio e

l'equiparazione pretesa ex adverso non si ottiene nell'ambito del

regime di cabotaggio, ma attraverso il regime del transito comuni

tario il quale è assicurato, dopo lo sbarco delle merci nei porti

italiani; regime che non vieta — per i prodotti provenienti da

paesi terzi — di riscuotere all'importazione il prelievo nella

misura dovuta e cioè senza la riduzione ex art. 23.1; — che i maggiori oneri da compensare con la riduzione dei

prelievi sono quelli connessi alle operazioni di carico o scarico,

in porto, e non già al fatto che il funzionario doganale sia salito

a bordo per la nazionalizzazione.

Tutto ciò, premesso, la Corte di cassazione osserva: la sentenza

della Corte di giustizia delle Comunità europee 6 ottobre 1982 (in causa n. 283/81, Foro it., 1983, IV, 63) ha stabilito che a norma del

l'art. 177, 3° comma, trattato CEE le giurisdizioni, le cui decisioni

non sono impugnabili secondo l'ordinamento interno, sono tenute,

qualora una questione di diritto comunitario si ponga innanzi ad es

se, ad adire la Corte di giustuzia, salvo che la questione non sia

pertinente o che la disposizione comunitaria di cui è causa abbia

già costituito oggetto di interpretazione da parte della corte;

ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si

imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.

Nella specie, è indubbia la rilevanza in causa dell'interpreta zione di norme comunitarie e precisamente: a) dell'art. 23.1 del

regolamento 19 giugno 1967 n. 120, perché occorre accertare se la

riduzione dei diritti di prelievo nella misura di 7,5 unità di conto

prevista dalla cennata disposizione comunitaria per i prodotti

cereagricoli importati da paesi terzi nello Stato italiano via mare

si applichi anche nel caso che i prodotti stessi vengano naziona

lizzati a bordo della nave in un porto italiano, ma rispediti senza

Il Foro Italiano — 1985.

essere sbarcati con lo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato

della CEE: b) dell'art. 1, par. 3, lett. a), del regolamento del

Consiglio CEE 18 marzo 1969 n. 542 per stabilire se il regime di

transito comunitario interno previsto e regolato dal suddetto

regolamento possa applicarsi ai prodotti agricoli di provenienza

via mare da paesi terzi, che siano stati sdoganati a bordo della

nave a norma della legislazione interna italiana e vengano tra

sportati, senza essere sbarcati in Italia, in un altro porto di altro

Stato della Comunità, quando le norme comunitarie prevedono una riduzione del prelievo per i prodotti agricoli importati via

mare nella repubblica italiana.

Invero, il primo quesito condiziona l'applicabilità della riduzio

ne accordata con d.l. 11 ottobre 1967 n. 901, perchè tale norma

presuppone la determinazione dell'ampiezza del beneficio autoriz

zato dall'art. 23.1 del regolamento CEE n. 120/67. La questione non può risolversi; con assoluta evidenza occorre infatti accertare

se la ratio della riduzione dei diritti di prelievo ex art. 23.1 del

regolamento CEE n. 120/67 consista nei maggiori costi delle

operazioni di scarico nei porti italiani, ovvero nella pura e

semplice permanenza della nave nei porti stessi per le operazioni

doganali compiute a bordo, senza scarico delle merci.

Una volta poi che si escluda il regime del cabotaggio interno, ai sensi del combinato disposto degli art. 59 d.p.r. n. 18/71 e 83

ss. 1. doganale n. 1424/40, allora vigente (art. 62, 222 e 247 t.u.

leggi doganali n. 43/73) — con un'operazione interpretativa che

deve essere compiuta esclusivamente dal giudice italiano alla

stregua della lettera e del sistema delle disposizioni citate — la

soluzione del secondo quesito serve per definire la nozione di

« transito comunitario », espressamente invocata dai Mantovani, attraverso il richiamo all'art. 21 del regolamento CEE n. 120 del

1967. Si deve stabilire se il regime di transito comunitario (che a

norma dell'art. 1.3, lett. a, reg. n. 542/69 riguarda le merci che

soddisfano alle condizioni stabilite agli art. 9 e 10 del trattato

istitutivo della CEE e cioè, fra l'altro, i prodotti provenienti da

paesi terzi per i quali siano state adempiute nello Stato membro

le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse

d'effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un

ristorno totale o parziale di dazi e tasse), possa riguardare — ex

art. 38.2 del predetto trattato — anche i prodotti agricoli prove nienti da paesi terzi per i quali le norme comunitarie prevedono che la legislazione del suddetto Stato membro possa diminuire

l'importo dei prelievi, in relazione alla via d'importazione in

quello Stato, come nel caso previsto dall'art. 23.3 reg. n. 120/67;

oppure se, per poter applicare il regime del transito comunitario, lo Stato membro debba riscuotere (come nella fattispecie preten de di fare) il prelievo nella misura intera fissata per gli altri Stati

della Comunità, in relazione alla medesima via mare d'importa zione.

Infatti, soltanto la soluzione nel primo senso di tale quesito

(che non è d'immediata evidenza) potrebbe fare eventualmente

ritenere che si sia realizzata per i prodotti agricoli provenienti da

paesi terzi una delle destinazioni doganali previste dall'art. 6, 2°

comma, n. 1, lett. c) — spedizione da una dogana all'altra — o

lett. d) (transito) 1. doganale n. 1124 del 1940 vigente all'epoca, a

cui corrispondono le destinazioni previste dall'art. 55 punto 1, lett. c) e d) t.u. 23 gennaio 1973 n. 43, richiamata dall'art. 238

dello stesso t.u. che definisce la nozione di transito comunitario in attuazione del principio già contenuto nella delega conferita

dall'art. 2 1. n. 29/68, vigente all'epoca delle importazioni di cui è

causa.

In altri termini, una volta escluso (con interpretazione del

diritto interno che compete direttamente a questa corte) che si sia

completato il procedimento di nazionalizzazione della merce in

quanto non sono stati effettuati né lo sbarco né il cabotaggio, residua l'altro quesito se si tratti di prodotti esteri per i quali si

sono realizzate le condizioni del transito comunitario interno, ai

sensi dell'art. 1, par. 3, lett. a) reg. del Consiglio CEE n. 542/69, con riguardo alle condizioni stabilite dagli art. 9 e 10 del trattato, ove ritenute applicabili ai sensi dell'art. 38.2 nel settore agricolo.

Per risolvere tale secondo quesito occorre stabilire se fra le

predette condizioni (anche tenendo presente l'art. 44.1 reg. n.

542/69 che rende obbligatoria la procedura del transito co

munitario interno quando le merci soggette a misure

comunitarie che comportano il controllo della loro destinazione o

utilizzazione) sussista anche l'immissione in consumo nel territo

rio dello Stato membro, per poter considerare i prodotti « in

libera pratica » nello Stato del porto dove l'operazione doganale è

compiuta, quando la misura del diritto di prelievo è inferiore in

detto Stato, rispetto a quella applicabile negli altri Stati della

Comunità.

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