sezione I civile; ordinanza 22 febbraio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rel. R. Sgroi, P. M. Paolucci(concl. diff.); Padovani e altri (Avv. Rocca) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 2 (FEBBRAIO 1985), pp. 545/546-549/550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177721 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nei confronti delle imprese impegnate in processi di ristruttura
zione, conversione e riorganizzazione produttive ... per la durata
dei relativi processi debitamente riconosciuti e, ove siano in atto
interventi della c.i.g., per la durata della corresponsione dei re
lativi trattamenti... ».
Tale disposizione è sicuramente immotivata (appunto perché
sospende, ovviamente ex nunc, gli obblighi di cui alla 1. n.
482/68 per le aziende, le quali versino nelle condizioni in cui
versava la Montedison); ma, appunto in quanto tale, non può incidere sugli « obblighi » e sui correlativi diritti soggettivi perfet ti maturatisi in tempo ben anteriore all'entrata in vigore della 1.
25 marzo 1983 n. 79, che avrebbero dovuto attuarsi al momento
dell'avvio dei riservatari de quibus, attraverso stipulazioni con
trattuali ed ogni conseguenziale trattamento e che, in quanto non
attuati, danno luogo al sostitutivo diritto al tantundem come
determinato dai giudici del merito.
L'altro aspetto del complesso primo mezzo del ricorso attiene il
computo della percentuale del 15 % rispetto al personale dipen dente (o, alternativamente, come in via subordinata si prospetta,
peraltro con assoluta ingiustificabilità sul piano normativo, il
defalco dalla base imponibile) dei lavoratori divenuti invalidi nel
corso del rapporto di lavoro.
Anche questo aspetto del complesso primo mezzo è infondato.
Nulla di nuovo può indurre questa Suprema corte a modificare
l'espresso avviso per cui « le aziende private devono assumere gli invalidi da occupare obbligatoriamente, nella misura del 15 % del
personale, esclusivamente tramite gli uffici provinciali del lavoro e
non possono comprendere nell'aliquota degli invalidi da occupare eventuali dipendenti che siano divenuti invalidi mentre già lavo ravano alle dipendenze della stessa azienda e che non siano stati
assunti come invalidi tramite l'ufficio provinciale del lavoro »
(Cass. 2 febbraio 1976, n. 284, id., Rep. 1976, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 320) nonché il successivo e sostan
zialmente conforme insegnamento, per cui « la copertura dell'ali
quota complessiva di cui all'art. 11, 1° comma, 1. 2 aprile 1968 n.
482 — in tema di assunzione obbligatoria di invalidi ed assimilati — può ritenersi realizzata solo attraverso le assunzioni effettuate
su designazione del compente ufficio provinciale, dovendosi perciò escludere dal computo quei lavoratori che, sebbene infortunati o
malati o comunque astrattamente riconducibili ad una delle
categorie protette, siano stati diversamente assunti » (Cass. 12
gennaio 1982, n. 154, cit.). Per niente può illuminare diversamente ai fini dell'interpreta
zione della fattispecie il contenuto del 2" comma del citato art. 9
1. n. 79/83 dove d'altronde si dispone, ai fini della licenziabilità
in percentuale, di invalidi soggetti alla disciplina del collocamento
obbligatorio. Con il secondo mezzo si tende a sostenere il ricorso sotto i
profili della violazione degli art. 1362, 1363, 1366, 1371 c.c. e
della contraddittoria motivazione sul punto decisivo della contro
versia, se il datore avesse o meno avviato una richiesta di
avviamento di invalidi.
Fermo ed incontrastato il punto che in effetti la richiesta del
datore di lavoro, prevista dall'art. 16, 6° comma, della legge in
esame, costituisce un indispensabile requisito di legittimità del
provvedimento di assegnazione da lavoratore ad un'azienda da
parte dell'ufficio provinciale del lavoro (cfr., tra l'altro, ed anche
amplius Cass. 25 novembre 1982, n. 6395, id., Rep. 1982, voce
Lavoro (collocamento), n. 149), la interpretazione data dal tribu
nale alla missiva del 22 febbraio 1980, nel senso che la Montedi
son ha avanzato « una vera e propria richiesta » e che essa
società non può dolersi di un'interpretazione « per cosi dire non
realistica » (intendesi non adeguata al reale stato dell'azienda)
data dall'ufficio provinciale del lavoro, cui non compete interpre tare l'esatta portata attribuibile alle dichiarazioni « ufficiali », non
viola i canoni dell'ermeneutica indicati dalla ricorrente (in effetti
applicabili anche alle dichiarazioni unilaterali aventi contenuto
patrimoniale ai sensi dell'art. 1324 c.c. — cfr. sul punto tra l'altro,
Cass. 22 aprile 1963, n. 1022, id., Rep. 1963, voce Obbligazioni e
contratti, n. 66) e, risolvendosi nella valorizzazione dell'inequivo co contenuto letterale della richiesta della sua parte « formale »
(che come tale ha portata « ufficiale » e non è suscettibile di
apprezzamenti sostanziali diversi o addirittura contrari da parte del pubblico ufficio), devesi vedere, con riguardo alla stretta
finalità attribuibile ad una richiesta ufficiale, sufficientemente
motivata; talché sfugge al sindacato di legittimità. Indubbiamente sussistono nell'intero testo della valutazione del
tribunale alcuni rilievi inesatti (come quello per cui la Montedi
son avrebbe potuto addirittura astenersi dalla richiesta, affermazio
ne subito dopo ridimensionata); ma nell'economia di un giudizio
Il Foro Italiano — 1985.
circa la portata ufficiale di un atto diretto alla p.a., tali
aggiunte non ingenerano una vera e propria contradditto
rietà con l'anteriore apprezzamento, di una realtà effettuale, legato all'essersi indirizzata una vera e propria richiesta; che, anzi, gli ac
cennati rilievi aggiuntivi sono a ben vedere estranei alla vera so
stanza del giudizio interpretativo e non sono valorizzabili, perché in parte contrari ad un obbligo specifico penalmente sanzionato
(ben inteso ove non sia stato escluso da un precedente « esonero »)
ed in parte costituente, se mai, possibile oggetto di una domanda
formale di esonero che sarebbe stata da avanzarsi all'ufficio pro
vinciale del lavoro del luogo dove l'azienda ha la sua sede principa le (nella specie Milano) e di un connesso provvedimento discrezio
nale della p.a. (v. art. 13, penult, comma, e 17, lett. /, del testo);
mentre nella specie si sarebbe trattato, come si argomenta dalle
affermazioni e dai richiami del ricorrente, in una con la narrativa
del processo, di « sospensione dell'avviamento », chiesta in aggiunta
e contestualmente a quella formale, cui è stata data esecuzione nel
marzo-giugno 1980 dall'ufficio del lavoro di Brindisi.
Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere
respinto in toto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 22 feb
braio 1984, n. 104; Pres. Granata, Rei. R. Sgroi, P. M. Pao
lucci (conci, difi.); Padovani e altri (Avv. Rocca) c. Min. fi
nanze (Avv. dello Stato Braguglia).
Comunità europee — Diritti di prelievo — Prodotti cereagricoli
importati da paesi terzi via mare — Interpretazione di re
golamenti comunitari — Rimessione alla Corte di giusti zia (Reg. 13 giugno 1967 n. 120/67 CEE del consiglio, relativo
all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali, art.
23; d.l. 11 ottobre 1967 n. 901, disciplina relativa ad alcuni
prodotti oggetto della politica agricola della Comunità economi
ca europea, art. 1; reg. 18 marzo 1969 n. 542 CEE del consiglio, relativo al transito comunitario, art. 1).
Ai fini della decisione sull'applicabilità della riduzione dei diritti
di prelievo a prodotti cereagricoli provenienti via mare da
paesi terzi che siano stati sdoganati a bordo della nave a
norma della legislazione interna italiana e rispediti, senza essere
sbarcati, con lo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato mem
bro della CEE deve essere sospeso il giudizio sino alla decisione
della Corte di giustizia sulla questione interpretativa dell'art. 23.1
del regolamento 13 giugno 1967 n. 120, per accertare se la ratio
della riduzione dei diritti di prelievo ivi prevista consista nei
maggiori costi delle operazioni di scarico nei porti italiani
ovvero nella pura e semplice permanenza delle navi nei porti stessi per le operazioni doganali compiute a bordo, senza
scarico delle merci; nonché sulla questione relativa all'interpre tazione dell'art. 1, par. 3, lett. a, del regolamento 18 marzo 1969
n. 542 al fine di stabilire se fra le condizioni che realizzano il
transito comunitario interno, previsto e regolato dal suddetto
regolamento, e che consentono di considerare i prodotti « in
libera pratica » nello Stato del porto dove l'operazione dogana le è compiuta, sussista anche l'immissione in consumo nel
territorio dello Stato membro, quando le norme comunitarie
prevedono una riduzione del prelievo in detto Stato rispetto a
quello applicabile negli altri Stati della Comunità. (1)
Il 10 luglio 1972 la ditta Otello Mantovani presentava alla
dogana di La Spezia tre dichiarazioni di importazioni di grano turco, per un ammontare complessivo di Kg 27.040.542, giunto a
La Spezia con la nave « Panagos D. Pateras » proveniente da
Baton Ruge (U.S.A.), chiedendone la nazionalizzazione a bordo
della nave, ai sensi dell'art. 59 dell'allora vigente d.p.r. 18
febbraio 1971 n. 18, contenente modifiche di disposizioni legisla tive in materia doganale, in attuazione della delega conferita al
governo con 1. 23 gennaio 1968 n. 29.
La richiesta di nazionalizzazione veniva eseguita a bordo della
nave, in data 10 luglio 1972 con l'emissione dei certificati
d'importazione n. 27841/15238 e n. 627845/15213, con indicazione
del prelievo in lire 29.875 per tonnellata metrica.
(1) Questione nuova. Sui diritti di prelievo in genere e l'aliquota applicabile vedi Cass. 30
marzo 1984, n. 2086, Foro it., 1984, I, 1253; 25 marzo 1983, n. 2084, id., 1983, I, 1250; 25 maggio 1982, n. 3177, id., 1982, I, 1872, con nota di richiami.
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PARTE PRIMA
La ditta Mantovani, con due dichiarazioni di esportazione definitiva dello stesso 10 luglio 1972 destinava l'intera partita di
granoturco alla ditta Koninklijke Bunge N.V. di Rotterdam (O
landa) e la dogana di La Spezia emetteva due documenti T2L di
transito comunitario interno, per giustificare il carattere comunita
rio delle merci, che proseguivano il viaggio — senza essere
sbarcate in Italia — verso Rotterdam, dove venivano sbarcate.
La ditta Mantovani chiedeva alla dogana italiana che il prelie vo prefissato fosse ridotto di 7,5 unità di conto per tonnellata, ai
sensi dell'art. 23.1 del regolamento CEE n. 120/67 del 13 giugno 1967 (GUCE 19 giugno 1967 n. 117) e dell'art. 1 di. 11 ottobre
1967 n. 901 conv. in 1. 9 dicembre 1967 n. 1156.
La ditta Mantovani non pagava alcuna somma, a titolo di
prelievo, nè in misura piena nè in misura ridotta, ma rilasciava
fideiussioni a garanzia. Soltanto con lettera 13 luglio 1977 la
dogana di La Spezia comunicava (richiamandosi ad un telex
ministeriale del 1° agosto 1972) che il prelievo non poteva essere
diminuito dell'importo corrispondente alla riduzione richiesta, trattandosi di merce nazionalizzata a bordo della nave ed esporta ta verso i Paesi Bassi con la stessa nave.
Con analoga motivazione la dogana notificava alla ditta Manto
vani ingiunzione fiscale per il pagamento di lire 808.723.150 per diritti di prelievo e tassa di sbarco, cor» riferimento all'importa zione del 10 luglio 1972. È da notare che successivamente, da un
lato l'amministrazione finanziaria riconosceva che non era dovuta
la tassa di sbarco, e dall'altro lato la ditta Mantovani si ricono
sceva debitrice dell'importo di lire 681.159.384 e cioè del diritto
di prelievo, meno la riduzione nella misura di 7,5 unità di conto
per tonnellata.
La contestazione iniziata dalla ditta Mantovani dinanzi al
Tribunale di La Spezia era pertanto limitata al punto se essa
dovesse pagare il prelievo nella misura intera, senza la riduzione
di cui all'art. 23.1 del regolamento 120/67 CEE. Il Tribunale di
La Spezia accoglieva la tesi della ditta Mantovani, ma la Corte
d'appello di Genova dichiarava dovuto il prelievo nella misura
intera, senza abbattimento, osservando: che la lettura dei « consi
derando » e cioè del preambolo che illustra le ragioni della
disciplina dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei
cereali consente di rilevare, fra l'altro, che si è ritenuto opportu no consentire all'Italia l'introduzione di misure volte a diminuire
l'incidenza del nuovo regime dei prezzi validi per tutta la
Comunità sul livello dei prezzi dei cereali da foraggio, al fine di
facilitare l'adattamento del mercato italiano; — che la normativa dettata dall'art. 23.1 è distinta da quella
di cui all'art. 23.2, posto che la prima riguarda diminuzioni di
prelievo accordate in vista del particolare mezzo di trasporto
utilizzato; la seconda diminuzioni in vista di particolari situazioni
del mercato interno; — che la richiesta di un prelievo non ridotto ai sensi della
prima ipotesi non equivale all'applicazione di un dazio all'espor
tazione, perché tale richiesta non riguarda una riesportazione di merce effettivamente importata, in relazione alla circostanza
che l'importazione (in Italia) via mare è stata del tutto fittizia e
pertanto al valico doganale di La Spezia dovevano essere riscosse,
proprio in conseguenza del principio dell'identità dei prelievi in
tutti i valichi comunitari, le stesse somme che sarebbero state
richieste in qualsiasi dogana di altro paese membro della Comu
nità; — che, invero, l'abbattimento del prelievo è concesso a norma
dell'art. 1 di. 11 ottobre 1967 n. 901 ai cereali da foraggio
importati via mare e cioè trasportati nel territorio della repubbli ca con navi provenienti direttamente dai porti esteri d'imbarco; e
lo sdoganamento operato su merce mai sbarcata e che mai si
aveva l'intenzione di sbarcare non equivale ad un trasporto nel
territorio dello Stato; — che, infatti, l'art. 62 t.u. del 1973 delle leggi doganali
(corrispondenti all'art. 59 d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18) consente
10 sdoganamento a bordo, ma impone altresì lo sbarco al porto di
sdoganamento ovvero in altro porto dello Stato, sempreché il
trasporto avvenga con l'osservanza delle disposizioni doganali per 11 cabotaggio ;
— che la suddetta disciplina è adeguata ai principi comunitari, nel senso che il transito comunitario per le merci soggette ai
diritti doganali è assimilato alle destinazioni doganali previste dalle lett. c) e d) del punto 1 dell'art. 55 t.u. leggi doganali, mentre il cabotaggio costituisce un'ipotesi diversa, prevista dalla
lett. c) del punto 2 dello stesso art. 55; — che pertanto lo sdoganamento a bordo, non seguito da
sbarco in un porto dello Stato, non costituisce importazione nel
territorio della repubblica e che alla merce cosi sdoganata e fatta
Il Foro Italiano — 1985.
proseguire direttamente per altro paese comunitario devono essere
applicati i prelievi in misura intera, senza riduzioni.
Avverso la suddetta sentenza gli eredi di Otello Mantovani
hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendo in via prelimi nare la remissione alla Corte di giustizia delle Comunità europee della questione relativa all'interpretazione dell'art. 23, punto 1 del
regolamento CEE 120/67 e deducendo la violazione e falsa
applicazione degli art. 9 e 10 del trattato istitutivo della CEE; 21
e 23 del regolamento della CEE 120/67; 1 d.l. 11 ottobre 1967 n.
901; 50 d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18; 55, 62, 222, 227, 238, 241, 242 d.p.r. 23 gennaio 1973 n 43.
I ricorrenti sostengono: — che le due agevolazioni concesse
rispettivamente nel par. 1 e nel par. 2 dell'art. 23 regolamento CEE 120/67 hanno natura e caratteri differenti, come risulta non
soltanto dalla diversità della loro disciplina, ma anche dal consi
derandum che figura in premessa al regolamento CEE n. 1157
del 17 maggio 1977, nel quale la proroga della facoltà di
abbattimento del prelievo sulle merci importate via mare viene
giustificata con il rilievo che il miglioramento delle strutture
portuali in Italia non ha potuto essere effettuato nei tempi
previsti; — che quella prevista dall'art. 23.1 non è (diversamente
da quella prevista dall'art. 23.2) un'agevolazione in senso proprio, ma piuttosto un mezzo tecnico per realizzare, con riferimento
all'Italia, quel prezzo indicativo valido per tutta la Comunità, che
il regolamento 120/67 intendeva realizzare; ed infatti, stanti i
maggiori oneri portuali derivanti dalla minore efficienza dei porti italiani, i prezzi dei cereali importati via mare avrebbero finito con l'essere più alti in Italia, se i maggiori oneri portuali non fossero stati compensati da un abbattimento dei prelievi di entità
presuntivamente corrispondente; — che la compensazione suddetta può realizzare soltanto in via
di approssimazione l'uniformità dei prezzi dei cereali all'interno della Comunità, dato che anche la globale inefficienza dei porti italiani consente una graduatoria fra i singoli porti, e quindi l'importatore italiano può trarre vantaggio dall'effettuare l'impor tazione via mare in un porto i cui oneri siano minori del
beneficio riconosciutogli con l'abbattimento del prelievo, senza
per questo essere privato di tale beneficio; — che i cereali importati in Italia via mare e che hanno fruito
della diminuzione del prelievo di cui all'art. 23.1, non possono essere soggetti, in virtù dell'art. 21, ad alcuna altra imposta (e nemmeno, conseguentemente, alla perdita del beneficio della ridu zione di cui si siano verificati i presupposti) nel caso in cui
vengano riesportati in altri paesi della Comunità; — che, quindi, il vero quesito da risolvere è quello dell'esigen
za di coordinamento fra la cennata normativa comunitaria e l'art. 62 t.u. sulle disposizioni doganali (approvato con d.p.r. 23 gen naio 1973 n. 43), nel quale è stato trasfuso l'art. 59 d.p.r. 18
febbraio 1971 n. 18; — che la nazionalizzazione di merci estere a bordo della
nave, secondo la norma da ultimo richiamata, non costituisce una
modalità d'importazione fittizia, ma realizza l'adempimento delle
formalità doganali richieste dall'ordinamento, al pari dello sdoga namento a terra, e configura pertanto i presupposti della libera
pratica comunitaria delle merci; — che la disposizione del 3° comma dell'art. 59 d.p.r. 18
febbraio 1971 n. 28 non ha portata restrittiva e non esclude che, allorché si verifichino i presupposti della « libera pratica » nel
l'ambito della CEE, la dizione « porti dello Stato » possa essere
equiparata a quella di « porto di un Stato aderente alla Comuni
tà », qualora siano stati osservati gli adempimenti doganali pre visti dalle legislazioni interne del singolo Stato membro (quale è
anche il procedimento di nazionalizzazione delle merci a bordo
della nave); — che l'art. 238 della legge doganale consente di equiparare la
destinazione della merce in transito comunitario dall'Italia a
qualsiasi altro luogo della Comunità alla spedizione da una
dogana all'altra, la quale preclude l'esazione del tributo ad ogni ufficio doganale di passaggio;
— che l'interpretazione estensiva suddetta dell'art. 62, 3° com
ma, t.u. leggi risulta necessitata nell'ipotesi di riscossione del
prelievo per intero, cosi come troverebbe sicuramente applicazio ne in caso di merce sdoganata a terra e rispedita, con la stessa
nave o con altro mezzo, in un porto o altra località, della
Comunità; — che la ragione della pretesa inapplicabilità della diminuzione
del prelievo di cui all'art. 23.1 del regolamento 120/67, in caso
di merce sdoganata a bordo e rispedita, senza essere sbarcata, in
un porto comunitario, sta nel convincimento dell'inesistenza della
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ragione giustificatrice dell'abbattimento del prelievo, in tal caso; — che però, in contrario, deve osservarsi che, una volta
importati i prodotti via mare, la diminuzione del prelievo non
può essere negata in ragione delle modalità di sdoganamento; — che la ratio della disposizione è riscontrabile anche nel caso
di nazionalizzazione della merce a bordo, perché la maggiore incidenza degli oneri portuali si realizza per il solo fatto dell'ap
prodo della nave in un porto italiano, giacché anche la semplice
permanenza della nave in rada in attesa del compimento delle
operazioni doganali (inconveniente conseguente alla scarsa
efficienza delle strutture portuali) è cagione di costi sensibilmente
maggiori, tali da giustificare l'operatività del meccanismo corretti
vo costituito dalla diminuzione del prelievo; — che l'incidenza degli oneri portuali possa essere minore nel
caso in cui la merce non venga sbarcata, è questione di mero
fatto che non può avere influenza sull'interpretazione della nor
ma.
L'amministrazione finanziaria dello Stato ha resistito con con
troricorso, nel quale deduce; — che è esatto che la riduzione del prelievo autorizzata
dall'art. 23.1 del regolamento 120/67 ha natura e finalità differen
ti da quelle autorizzate dall'art. 23.2; e che la prima riduzione
ha la finalità di compensare i maggiori oneri portuali esistenti in
Italia, dove i costi delle operazioni di carico e scarico sono più elevati che negli altri porti della CEE (come afferma la decisione
del Consiglio CEE 15 dicembre 1964, in GUCE, febbraio 1965); — che se, dunque, l'operatore ha subito i maggiori costi delle
operazioni di carico e scarico in porti italiani e li ha avuti
compensati con l'abbattimento di prelievo di cui all'art. 23.1, è
logico che la merce importata via mare possa poi circolare
liberamente per tutta la CEE; — che se la riduzione ex art. 23.1 presuppone un aggravio di
oneri per lo sbarco e scarico (effettivi) della merce in porti nazionali, l'autorizzazione comunitaria ad applicare tale riduzione è limitata al suddetto presupposto ed in tal senso si deve
interpretare l'art. 1 di. n. 901/67; — che non viene in discussione l'art. 21 del regolamento n.
120/67, perché la pretesa tributaria è di non concedere la
riduzione del prelievo ex art. 23.1; e non già di concederla e poi annullarla con la tassa ex art. 23.3;
— che non rileva che i cereali siano stati nazionalizzati a
bordo, perché tale procedura è prevista a condizione che le merci
o siano sbarcate ovvero proseguano con la medesima nave per altri porti dello Stato, sotto osservanza delle disposizioni doganali
previste per il cabotaggio mentre nessuna delle due ipotesi si è
verificata nella specie; — che non si può accogliere l'interpretazione secondo cui la
dizione « porti dello Stato » di cui all'art. 62 t.u. leggi doganali andrebbe intesa come « porti di uno Stato della Comunità »,
perchè l'art. 62 fa parte del regime nazionale di cabotaggio e
l'equiparazione pretesa ex adverso non si ottiene nell'ambito del
regime di cabotaggio, ma attraverso il regime del transito comuni
tario il quale è assicurato, dopo lo sbarco delle merci nei porti
italiani; regime che non vieta — per i prodotti provenienti da
paesi terzi — di riscuotere all'importazione il prelievo nella
misura dovuta e cioè senza la riduzione ex art. 23.1; — che i maggiori oneri da compensare con la riduzione dei
prelievi sono quelli connessi alle operazioni di carico o scarico,
in porto, e non già al fatto che il funzionario doganale sia salito
a bordo per la nazionalizzazione.
Tutto ciò, premesso, la Corte di cassazione osserva: la sentenza
della Corte di giustizia delle Comunità europee 6 ottobre 1982 (in causa n. 283/81, Foro it., 1983, IV, 63) ha stabilito che a norma del
l'art. 177, 3° comma, trattato CEE le giurisdizioni, le cui decisioni
non sono impugnabili secondo l'ordinamento interno, sono tenute,
qualora una questione di diritto comunitario si ponga innanzi ad es
se, ad adire la Corte di giustuzia, salvo che la questione non sia
pertinente o che la disposizione comunitaria di cui è causa abbia
già costituito oggetto di interpretazione da parte della corte;
ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si
imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.
Nella specie, è indubbia la rilevanza in causa dell'interpreta zione di norme comunitarie e precisamente: a) dell'art. 23.1 del
regolamento 19 giugno 1967 n. 120, perché occorre accertare se la
riduzione dei diritti di prelievo nella misura di 7,5 unità di conto
prevista dalla cennata disposizione comunitaria per i prodotti
cereagricoli importati da paesi terzi nello Stato italiano via mare
si applichi anche nel caso che i prodotti stessi vengano naziona
lizzati a bordo della nave in un porto italiano, ma rispediti senza
Il Foro Italiano — 1985.
essere sbarcati con lo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato
della CEE: b) dell'art. 1, par. 3, lett. a), del regolamento del
Consiglio CEE 18 marzo 1969 n. 542 per stabilire se il regime di
transito comunitario interno previsto e regolato dal suddetto
regolamento possa applicarsi ai prodotti agricoli di provenienza
via mare da paesi terzi, che siano stati sdoganati a bordo della
nave a norma della legislazione interna italiana e vengano tra
sportati, senza essere sbarcati in Italia, in un altro porto di altro
Stato della Comunità, quando le norme comunitarie prevedono una riduzione del prelievo per i prodotti agricoli importati via
mare nella repubblica italiana.
Invero, il primo quesito condiziona l'applicabilità della riduzio
ne accordata con d.l. 11 ottobre 1967 n. 901, perchè tale norma
presuppone la determinazione dell'ampiezza del beneficio autoriz
zato dall'art. 23.1 del regolamento CEE n. 120/67. La questione non può risolversi; con assoluta evidenza occorre infatti accertare
se la ratio della riduzione dei diritti di prelievo ex art. 23.1 del
regolamento CEE n. 120/67 consista nei maggiori costi delle
operazioni di scarico nei porti italiani, ovvero nella pura e
semplice permanenza della nave nei porti stessi per le operazioni
doganali compiute a bordo, senza scarico delle merci.
Una volta poi che si escluda il regime del cabotaggio interno, ai sensi del combinato disposto degli art. 59 d.p.r. n. 18/71 e 83
ss. 1. doganale n. 1424/40, allora vigente (art. 62, 222 e 247 t.u.
leggi doganali n. 43/73) — con un'operazione interpretativa che
deve essere compiuta esclusivamente dal giudice italiano alla
stregua della lettera e del sistema delle disposizioni citate — la
soluzione del secondo quesito serve per definire la nozione di
« transito comunitario », espressamente invocata dai Mantovani, attraverso il richiamo all'art. 21 del regolamento CEE n. 120 del
1967. Si deve stabilire se il regime di transito comunitario (che a
norma dell'art. 1.3, lett. a, reg. n. 542/69 riguarda le merci che
soddisfano alle condizioni stabilite agli art. 9 e 10 del trattato
istitutivo della CEE e cioè, fra l'altro, i prodotti provenienti da
paesi terzi per i quali siano state adempiute nello Stato membro
le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse
d'effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un
ristorno totale o parziale di dazi e tasse), possa riguardare — ex
art. 38.2 del predetto trattato — anche i prodotti agricoli prove nienti da paesi terzi per i quali le norme comunitarie prevedono che la legislazione del suddetto Stato membro possa diminuire
l'importo dei prelievi, in relazione alla via d'importazione in
quello Stato, come nel caso previsto dall'art. 23.3 reg. n. 120/67;
oppure se, per poter applicare il regime del transito comunitario, lo Stato membro debba riscuotere (come nella fattispecie preten de di fare) il prelievo nella misura intera fissata per gli altri Stati
della Comunità, in relazione alla medesima via mare d'importa zione.
Infatti, soltanto la soluzione nel primo senso di tale quesito
(che non è d'immediata evidenza) potrebbe fare eventualmente
ritenere che si sia realizzata per i prodotti agricoli provenienti da
paesi terzi una delle destinazioni doganali previste dall'art. 6, 2°
comma, n. 1, lett. c) — spedizione da una dogana all'altra — o
lett. d) (transito) 1. doganale n. 1124 del 1940 vigente all'epoca, a
cui corrispondono le destinazioni previste dall'art. 55 punto 1, lett. c) e d) t.u. 23 gennaio 1973 n. 43, richiamata dall'art. 238
dello stesso t.u. che definisce la nozione di transito comunitario in attuazione del principio già contenuto nella delega conferita
dall'art. 2 1. n. 29/68, vigente all'epoca delle importazioni di cui è
causa.
In altri termini, una volta escluso (con interpretazione del
diritto interno che compete direttamente a questa corte) che si sia
completato il procedimento di nazionalizzazione della merce in
quanto non sono stati effettuati né lo sbarco né il cabotaggio, residua l'altro quesito se si tratti di prodotti esteri per i quali si
sono realizzate le condizioni del transito comunitario interno, ai
sensi dell'art. 1, par. 3, lett. a) reg. del Consiglio CEE n. 542/69, con riguardo alle condizioni stabilite dagli art. 9 e 10 del trattato, ove ritenute applicabili ai sensi dell'art. 38.2 nel settore agricolo.
Per risolvere tale secondo quesito occorre stabilire se fra le
predette condizioni (anche tenendo presente l'art. 44.1 reg. n.
542/69 che rende obbligatoria la procedura del transito co
munitario interno quando le merci soggette a misure
comunitarie che comportano il controllo della loro destinazione o
utilizzazione) sussista anche l'immissione in consumo nel territo
rio dello Stato membro, per poter considerare i prodotti « in
libera pratica » nello Stato del porto dove l'operazione doganale è
compiuta, quando la misura del diritto di prelievo è inferiore in
detto Stato, rispetto a quella applicabile negli altri Stati della
Comunità.
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