+ All Categories
Home > Documents > sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella...

sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella...

Date post: 27-Jan-2017
Category:
Upload: voque
View: 219 times
Download: 5 times
Share this document with a friend
7
sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi) c. Soc. Mafin e altro (Avv. Denozza, Giacomelli). Cassa App. Venezia 10 aprile 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 3 (MARZO 1999), pp. 831/832-841/842 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194186 . Accessed: 28/06/2014 17:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella(concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi) c. Soc.Mafin e altro (Avv. Denozza, Giacomelli). Cassa App. Venezia 10 aprile 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 3 (MARZO 1999), pp. 831/832-841/842Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194186 .

Accessed: 28/06/2014 17:59

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

PARTE PRIMA

me da quello previsto dalla legislazione statale (Corte cost. 19

marzo 1996, n. 80, id., 1996, I, 1933). Nel caso di specie non è però dato reperire una puntuale nor

ma provinciale o regionale che contrasti con la legislazione del

lo Stato (e contro cui debba quindi essere sollevata eccezione

di illegittimità costituzionale); infatti, come dà atto la sentenza

impugnata, il caso di specie non è regolato dalla 1. prov. 31/72, ma piuttosto dall'art. 1 1. prov. 33/74 che ha introdotto nella

1. prov. 31/72 un art. 29 bis secondo cui «per quanto non di

versamente disposto dal presente titolo . . . continuano ad ap

plicarsi ... le norme della 1. reg. 17 maggio 1956 n. 7».

Il citato art. 29 bis pone però in essere una disciplina transi

toria destinata ad operare solo finché sopraggiungano norme

più specifiche, senza stabilire che tali norme debbano essere di

natura locale. Dunque la disposizione della legge statale che esclu

de il così detto tertium genus di terreni non edificabili, ma nep

pure agricoli, deve ritenersi applicabile nella provincia di Tren

to in base alla volontà della legge regionale. Del resto la vigenza dell'art. 5 bis nella regione Trentino Alto

Adige (nel caso di specie sotto il profilo della valutazione della

edificabilità delle aree) è stata affermata da Cass. 9 luglio 1993, n. 7571, id., Rep. 1993, voce Espropriazione per p.i., n. 169, in considerazione del carattere di norma fondamentale propria di tale articolo, vincolante la potestà legislativa regionale.

La controversia in esame deve quindi essere risolta in base

al principio accolto nella più recente giurisprudenza di questa corte e secondo cui, in tema di determinazione dell'indennità

di esproprio, i suoli non edificatori, benché suscettibili di utiliz

zazione diversa da quella strettamente agricola (destinazione a

verde pubblico, impiantistica sportiva, parcheggi, ecc.), devono

essere valutati secondo parametri omogenei a quelli utilizzati

per i terreni agricoli, non potendosi più legittimamente sostene

re, all'esito dell'intervento della Corte costituzionale in subiecta

materia (v. Corte cost. n. 261 del 1997, id., 1998, I, 1021), la esistenza, nell'ordinamento, di un tertium genus oltre quello delle aree edificabili e delle aree agricole, alle quali ultime devo

no, pertanto, ritenersi parificate, sul piano della determinazione

indennitaria, tutti i suoli che, pur presentando caratteristiche

o attitudini diverse da quelle agricole, non risultino strido sen

su edificatori (Cass. 20 marzo 1998, n. 2929, id., Mass. 306; 20 gennaio 1998, n. 483, id., 1998, I, 1022; 18 agosto 1997, n. 7663, id., Rep. 1997, voce cit., n. 190). E ciò determina

l'accoglimento dei due motivi sopraindicati.

Vengono così assorbiti sia il secondo motivo in cui il comune

sostiene, con argomentazioni invero convincenti, che comunque la legge provinciale non configura un tertium genus, ed il terzo

con cui viene contestata la qualificazione dell'area di cui si di

scute come non agricola.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 1° feb braio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gam

bardella (conci, conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi) c. Soc. Mafin e altro (Avv. Denozza, Giacomelli). Cassa App. Venezia 10

aprile 1996.

Concorrenza (disciplina della) — Convenzione restrittiva — En

trata in vigore della legge antitrust — Nullità della convenzio ne — Decorrenza (L. 10 ottobre 1990 n. 287, norme per la tutela della concorrenza e del mercato, art. 2, 34).

Concorrenza (disciplina della) — Patto di non concorrenza —

Intesa restrittiva — Illecito antitrust (Cod. civ., art. 2598; 1. 10 ottobre 1990 n. 287, art. 2).

Concorrenza (disciplina della) — Convenzione restrittiva — Con sistenza della distorsione — Mercato rilevante — Accertamento

(L. 10 ottobre 1990 n. 287, art. 2).

In caso di convenzione restrittiva della concorrenza, stipulata

prima dell'entrata in vigore della legge antitrust, la nullità

Il Foro Italiano — 1999.

decorre da! momento in cui, in costanza della norma che la

stabilisce, il comportamento vietato inizia a realizzarsi. (1) Il fatto che un'intesa renda possibile una concorrenza altrimenti

illecita, perché in violazione della disciplina sulla concorrenza

sleale, non esclude la sua illiceità alla luce della normativa

antitrust. (2) Va cassata la sentenza di merito che, individuata un 'intesa po

tenzialmente distorsiva della concorrenza (perché idonea a li

mitare l'autonomia competitiva di una parte), non abbia ac

certato in modo rigoroso la consistenza della distorsione ri

spetto al mercato rilevante. (3)

(1-3) I. - Considerando la lentezza che affligge, «in ogni stato e gra do del processo», la nostra macchina giudiziaria, sbalordisce il fatto che lo spatium temporis trascorso tra l'udienza di discussione della cau sa (19 gennaio 1999) e il deposito in cancelleria della motivazione in

rassegna sia stato, questa volta, brevissimo: solo tredici giorni. Piano con l'entusiasmo: a parte qualche «svista» nella collazione del testo, vien fatto di chiedersi se l'occasionale solerzia nella stesura e pubblica zione della sentenza non renda più vistoso il diverso trattamento riser

vato, di regolatagli «utenti» della giustizia. II. - È stata nuovamente sottoposta all'attenzione della Suprema cor

te la questione circa l'applicabilità della disciplina antitrust alle conven zioni restrittive della concorrenza concluse prima dell'entrata in vigore della legge. La 1. 287/90 prevede (art. 34) la data della sua entrata in vigore, ma non prescrive alcun regime giuridico, a carattere transito

rio, cui sottoporre intese, abusi egemonici e concentrazioni realizzati

prima di quella data, ma che continuano a produrre effetti anche dopo tale momento. Sul piano del diritto intertemporale, l'abuso di posizione dominante e l'operazione di concentrazione sembrano essere le ipotesi che presentano minori incertezze. Per la prima, trattandosi di una fatti

specie comportamentale, il divieto trova attuazione solo quando l'abu so sia successivo al termine di cui all'art. 34, mentre non è determinan

te, per l'applicabilità dell'art. 3, il fatto che l'illecita posizione di mer cato dipenda da un atto anteriore al 14 ottobre 1990, data in cui è diventata operativa la 1. 287/90 (cfr. R. Alessi-G. Olivieri, La discipli na della concorrenza e del mercato, in Quaderni di diritto commerciale

europeo a cura di C. Angelici e G. Marasà, Torino, 1997, 178; M.

Coccia, in Diritto antitrust italiano a cura di A. Frignani, R. Pardo

lesi, A. Patroni Griffi, L.C. Ubertazzi, Bologna, 1993, II, 1494). Quanto alle concentrazioni, la legge in parola si applica solo alle opera zioni che si sono perfezionate successivamente alla data del 14 ottobre 1990 (cfr. Coccia, op. cit., 1490 ss.). La ragione di questa soluzione risiede nell'art. 16, 1° comma, che prescrive una comunicazione pre ventiva all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, prescrizio ne che può trovare attuazione solo per le concentrazioni non ancora definite (cfr. Alessi-Olivieri, op. cit., 179).

Per quel che riguarda le intese restrittive della concorrenza, dottrina e prassi dell'autorità sono nel senso che l'art. 2 vada applicato non solo agli accordi stipulati nella vigenza della legge antitrust, ma anche a tutte quelle convenzioni che producono effetti anticoncorrenziali do

po l'emanazione della disciplina, ancorché siano state concluse in un

periodo anteriore alla data di inizio della sua efficacia (cfr. M. Liberti

ni, Il ruoto del giudice nell'applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm., 1998, I, 669; Alessi-Olivieri, op. cit., 178; P. Auteri, Nullità e autorizzazione delle intese restrittive della concorrenza nella normati va antitrust nazionale, in Riv. dir. ind., 1996, I, 102 ss.; Coccia, op. cit., 1493. L'autorità si è pronunciata nei confronti di numerose intese: il leading case è costituito dal prow. 14 marzo 1994, n. 1796, Consor zio Trevi, in Bollettino, 1994, fase. 8, secondo cui «esula dalla compe tenza dell'autorità l'attività di cooperazione tra imprese realizzatasi an tecedentemente all'entrata in vigore della 1. 287/90. Sono invece ogget to di valutazione gli effetti di tale attività ove si manifestano successivamente all'entrata in vigore della legge citata». Nello stesso

senso, provv. 6 marzo 1996, n. 3671, Sipac, id., 1996, fase. 10. Conf., un obiter dictum di Trib. Milano 10 ottobre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Concorrenza (disciplina), n. 229, e Dir. ind., 1997, 189, con nota di M. Lamandini, Epilogo sul caso iopamidolo).

Prima dell'odierna pronuncia, la giurisprudenza della Cassazione sem brava seguire una traiettoria diversa. In sintesi, la Suprema corte muo veva dal principio di irretroattività e dal carattere non interpretativo, ma innovativo, della 1. 287/90 (cfr. Cass. 21 agosto 1996, n. 7733, Foro it., Rep. 1997, voce Arbitrato, n. 143, e Danno e resp., 1997 , 340, con nota di S. Bastianon; 28 luglio 1995, n. 8251, Foro it., Rep. 1996, voce Concorrenza (disciplina), n. 153, e Giust. civ., 1996, I, 1411, con nota di C. Giovannetti). La dottrina non ha mancato di osservare che una legge, benché innovativa, può essere applicata ai rapporti sorti anteriormente, ma ancora in corso durante la sua vigenza, senza che tale soluzione comporti una deroga al principio di irretroattività (cfr. Libertini, op. cit., 670, il quale opina, inoltre, che i due precedenti della corte si affidino a ben altre rationes decidendi).

La sentenza in rassegna costituisce, dunque, una svolta rispetto al

precedente indirizzo. La tesi accolta dalla dottrina e seguita costante

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Il 20 dicembre 1989 tra il «gruppo Pavan» ed il «gruppo Ferro», entrambi soci della Sfida — nel

l'ambito della quale spettava al gruppo Pavan, la gestione indu

striale, ed al gruppo Ferro quella finanziaria — fu stipulata una convenzione per la disciplina della concorrenza.

Continuando il contenzioso tra le parti, il gruppo Pavan, con atto di citazione notificato l'8 gennaio 1992, adì la Corte d'ap

pello di Venezia ai sensi e per gli effetti degli art. 2 e 33 1.

10 ottobre 1990 n. 287, chiedendo anzitutto la dichiarazione

di nullità della convenzione per violazione della 1. 287/90, poi

mente dall'autorità presenta, infatti, solide basi argomentative, che non sembrano collidere col principio tempus regit actum. L'art. 2 racchiude in sé una regola, a carattere di ordine pubblico, che mira ad eliminare i vincoli sulla concorrenza derivanti da intese o pratiche concordate: il divieto si applica a tutte le convenzioni da cui derivano rapporti ob

bligatori in essere durante il vigore della legge antitrust (Auteri, op. cit., 102 ss.). La conclusione risulta avvalorata da un importante dato letterale: la norma citata vieta gli accordi che «abbiano per oggetto 0 per effetto» la distorsione della concorrenza. L'effetto che incide sul

gioco della concorrenza è, dunque, direttamente contemplato dal legi slatore, a prescindere dalla circostanza che esso derivi da una fonte

generatasi in un tempo anteriore alla legge (cfr. M. Libertini, Legge antitrust nazionale e sua applicabilità ai contratti stipulati prima del l'entrata in vigore della legge, in Riv. dir. privato, 1997, 356; Auteri, op. cit., 103). Ulteriore conferma circa l'estensione dell'art. 2 a tutti 1 rapporti in corso giunge dal regime comunitario: gli art. 85 e 86 del trattato Ce sono stati applicati, in forza dell'art. 5 del regolamento 17/92, anche agli accordi e agli abusi mantenuti in essere dopo l'entrata in vigore della disciplina.

Non meno decisiva è l'obiezione mossa da una parte della dottrina sul terreno della parità di trattamento fra le imprese. Si è affermato

che, ove l'art. 2 non trovasse attuazione per le convenzioni preesistenti alla legge, si altererebbero le regole del gioco, favorendo le imprese da prima presenti sul mercato, le quali continuerebbero ad usufruire di una situazione giuridica preclusa alla new entry (cfr. Libertini, Il ruolo del giudice, cit., 671). L'obiezione, nondimeno, sembra aver bi

sogno di un correttivo: la disparità di trattamento rilevante sarebbe non tanto quella che si determinerebbe tra imprese aventi una diversa «età

anagrafica» — perché, volendo tener conto di questo stato di cose, si rischierebbe proprio di vulnerare il principio di irretroattività della

legge — quanto quella che si realizzerebbe tra imprese che, pur in pre senza di effetti destinati a realizzarsi sotto l'impero della 1. 287/90, vanno incontro a regimi differenti a seconda che le convenzioni siano state stipulate prima, o dopo, la data di entrata in vigore della legge.

D'altro canto, la tesi che riconosce allo ius superveniens un'efficacia sui rapporti in corso è stata accolta dalla giurisprudenza per altre fatti

specie. Un fenomeno di diritto intertemporale, simile a quello determi natosi all'indomani del «varo» della legge antitrust, si è sviluppato in ordine alla figura della fideiussione omnibus, recentemente innovata ad

opera dell'art. 10 1. 154/92 che ha modificato l'art. 1938 c.c. I giudici di legittimità, che in passato avevano categoricamente negato l'applica bilità dell'art. 10 cit. ai contratti stipulati prima della sua entrata in

vigore — argomentando dal carattere irretroattivo ed innovativo della nuova disciplina (cfr. Cass. 23 marzo 1996, n. 2577, Foro it., Rep. 1996, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 27) — sono passati poi ad affermare — in vero, sulla spinta interpretativa della Consulta

(v. Corte cost. 27 giugno 1997, n. 204, in motivazione, id., 1997, I, 2033) — che le fideiussioni per obbligazioni future rilasciate senza la

previsione dell'importo massimo garantito prima dell'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 1938, pur non essendo nulle, sono inoperanti rispetto alle obbligazioni sorte in epoca successiva (v. Cass. 28 gennaio 1998, n. 831, id., 1998, I, 770). Una conclusione, dunque, sostanzial mente analoga a quella emersa in tema di concorrenza: in entrambe le materie, il principio di irretroattività delle leggi non impedisce che la norma innovatrice disciplini gli effetti di un fatto generatosi anterior

mente, quando tali effetti continuano a perdurare al momento della sua entrata in vigore (si tratta, infatti, di una soluzione propugnata anche per altre vicende: v. Cass. 3 aprile 1987, n. 3231, id., 1988, I, 1226; Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1993, n. 537, id., Rep. 1993, voce

Impiegato dello Stato, n. 1195; Trib. Milano 9 novembre 1985, id.,

Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2257, e Orient, giur. lav., 1985, 1209, con nota di F. Jannoni).

Ammessa l'operatività della disciplina antitrust per tutti i contratti

che producono effetti sotto il suo impero, si è aperto un dibattito dot trinario sul tipo di sanzione da applicare alle intese stipulate anterior

mente alla data di vigenza della legge. La disputa ruota intorno alla

questione circa l'ammissibilità della figura dell'invalidità successiva. Chi

raccoglie l'insegnamento che nega l'esistenza di tale figura — perché il giudizio di validità di un atto dev'essere condotto in base alle disposi zioni vigenti all'epoca in cui si è perfezionato — è indotto a (riqualifi care la sanzione ex art. 2 come inefficacia, che colpisce le prestazioni ancora da eseguire (Coccia, op. cit., 1493). Al contrario, chi si immette nel solco dell'impostazione che riconosce cittadinanza nel nostro ordi

II Foro Italiano — 1999.

per violazione del trattato istitutivo della Cee direttamente ap plicabile dal giudice nazionale, ed infine per violazione dell'art. 2596 c.c.

Esponeva la parte attrice come con la convenzione si impe dissero la produzione, gli investimenti, lo sviluppo tecnico del

gruppo Pavan, si restringessero gli sbocchi e gli accessi al mer cato e si realizzasse una restrizione della concorrenza. Precisava che il proprio interesse alla declaratoria della nullità traeva ori

gine dalla necessità di contrastare la causa radicata dal gruppo Ferro davanti al Tribunale di Padova, proprio per il pretesto

inadempimento del gruppo Pavan alla convenzione.

namento a quella forma di invalidità è tentato di configurare la sanzio ne nei termini di nullità sopravvenuta, che investe l'intesa limitatamente

agli effetti destinati a prodursi durante il vigore della legge (Auteri, op. cri., 103; configurazione, quest'ultima, echeggiata dalla sentenza in epigrafe).

III. - Prima dell'entrata in scena della 1. 287/90, le norme del codice civile sulla concorrenza erano chiamate a supplire, in qualche modo, alla mancanza di normativa antitrust. Richiamandosi agli art. 85 e 86 del trattato Ce e al principio espresso nell'art. 41 Cost., dottrina e giuris prudenza hanno interpretato la clausola generale dell'art. 2598, n. 3, c.c. in chiave di libertà di concorrenza, prospettando talune ipotesi di illecito concorrenziale di più immediato pericolo per una sana econo mia di mercato. Il boicottaggio, la vendita sottocosto, le pratiche discri minatorie e l'imposizione di prezzi non equi sono stati i fenomeni e i comportamenti, verso i quali si è maggiormente avvertito il bisogno di aprire nuove frontiere alla disciplina sulla concorrenza sleale. L'in

gresso nel nostro ordinamento della legge antitrust ha posto sul tappeto un problema di coordinamento tra la tutela apprestata da questa disci

plina e quella di estrazione codicistica. Si riconosce una certa omoge neità dei principi che sono a base delle due discipline (cfr. C.E. Mayr, in Diritto antitrust italiano, cit., I, 497; Libertini, Il ruolo del giudice, cit., 678); e si è accennato a un «concorso reale di norme» (M. Scuffi, L'evoluzione del diritto antitrust nella giurisprudenza italiana, in Anti trust between EC Law and National Law - Antitrust fra diritto nazio nale e diritto comunitario, Bruxelles-Milano, 1998, 54), che potrebbe portare ad una loro applicazione cumulativa (cfr. M. Tavassi, Il contri buto dei giudici ordinari, in Antitrust fra diritto nazionale e diritto co

munitario, Milano, 1996, 119: Scuffi, op. cit., 55; Cass. 16 maggio 1991, n. 5506, in motivazione, Foro it., Rep. 1991, voce Giurisdizione

civile, n. 180, e Giust. civ., 1991, I, 2671). Qualcuno ha ipotizzato che

l'impresa, decisa a far valere i suoi diritti, potrebbe scegliere di attivare il meccanismo processuale in unico grado — in ambiente antitrust —

0, in alternativa, il tradizionale sistema del doppio grado, ricorrendo alle norme sulla concorrenza sleale (cfr. Tavassi, op. cri., 121; contra, Libertini, Il ruolo del giudice, cit., 678, a cui dire, ove una fattispecie ricada nell'ambito delle due discipline, occorrerebbe far ricorso al crite rio di specialità e applicare, in ordine ai rimedi civilistici, la norma di cui all'art. 33 1. 287/90).

La fattispecie sottoposta al vaglio della Cassazione, certamente diver sa da quelle sin qui evocate, ripropone, non di meno, il problema del coordinamento delle due normative. Si tratta di un interessante caso di interferenza tra le due discipline, che ha fatto sorgere il quesito se

un'intesa, lecita per il codice, possa tuttavia risultare nulla ai sensi della 1. 287/90. I giudici non hanno alcun dubbio: la circostanza che un ac cordo neutralizzi l'azione per concorrenza sleale non significa punto che l'accordo medesimo non possa essere vietato ai sensi della normati va antitrust. Quest'ultima, infatti, ha profondamente modificato l'im

postazione propria delle disposizioni codicistiche, consentendo gli ac cordi limitativi della concorrenza solo quando non siano in contrasto con l'art. 2 o beneficino, ex art. 4, di una autorizzazione in deroga al divieto (su questi articoli, per una analisi a compasso allargato, cfr.

Pardolesi, in Diritto antitrust italiano, cit., I, 145 ss. e 399 ss.). Il problema, semmai, è di segno opposto: se una convenzione, lecita

secondo le regole antitrust nazionali, perché non le infrange o perché autorizzata, sia suscettibile di essere vietata alla luce delle norme codici stiche. Quanto all'art. 2596 (buona parte del)la dottrina lo considera

superato, perché incompatibile con la disciplina a tutela della concor renza e del mercato (ex plurimis, A. Frignani, in Diritto antitrust ita

liano, cit., I, 103). Escluso che i limiti temporali e spaziali previsti da tale articolo possano aver una qualche incidenza sulle intese autorizza

te, una sua residuale applicazione si risolverebbe nell'imporre la forma scritta ai fini della prova in giudizio (cfr. P. Giudici, in Concorrenza e mercato, commento alla I. 10 ottobre 1990 n. 287 e al d.leg. 25 gen naio 1992 n. 74 a cura di V. Afferni, Padova, 1994, 155; ma v., altre

sì, Frignani, op. cri., 103, il quale riconosce un'autonomia all'articolo nelle ipotesi non soggette alla 1. 287/90).

Quanto alle disposizioni sulla competizione sleale, si pone un interes sante interrogativo: è possibile che alcune fattispecie anticoncorrenziali, come il rifiuto concertato di contrattare (id est, boicottaggio collettivo

primario e secondario) — già isolate da dottrina e giurisprudenza sulla scorta della clausola generale di cui all'art. 2598, n. 3 — incorrano nei rigori dell'art. 2 1. n. 287? Senza alcun dubbio, le ipotesi di boicot

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

PARTE PRIMA

Si costituì la parte convenuta, preliminarmente eccependo la

incompetenza della corte adita.

Nel merito, chiedeva il rigetto della domanda rilevando l'i

napplicabilità della 1. 287/90 alla convenzione, per avere la leg

ge citata carattere innovativo e non effetto retroattivo. Ed ag

giungendo che i divieti legislativi della concorrenza afferiscono

a quella legittima e non a quella illecita. Concludeva che nella

denegata ipotesi della declaratoria di nullità il gruppo Pavan

avrebbe dovuto essere condannato a risarcire alla controparte i danni conseguenti ai pagamenti fatti per aver confidato senza

colpa nella validità della convenzione.

taggio sono riconducibili alla normativa antitrust (Pardolesi, op. cit.,

240). Specularmente si lascia intendere, più di quanto non si dica, che il rifiuto concertato di contrattare viola, altresì, il canone di correttezza

professionale (cfr. M. Lamandini, Concorrenza sleale e diritto antitrust, in Dir. ind., 1994, 873; Id., Epilogo, cit., 1997, 192; v., per un approc cio risalente, ma ancor oggi di grande fascino concettuale, P. Mar

chetti, Boicottaggio e rifiuto di contrattare, Padova, 1969, 196 ss.). Da altri si afferma, invece, che il boicottaggio primario può integrare un atto di concorrenza sleale solo nei limiti in cui realizza un illecito antitrust (A. Vanzetti-V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1993, 109). Quest'ultimo ordine di considerazioni non trova tutti d'accordo: anche ad ammettere che vi siano numerosi punti di contatto tra l'area presidiata dall'art. 2598, n. 3, e quella difesa dal l'art. 2, ciò non implica che le due discipline siano sovrapponibili, non foss'altro perché la norma codicistica ha un ambito di operatività sicu ramente più ampio, trovando applicazione in molte situazioni in cui la norma antitrust resta fuori dal giro (in questo senso, Pardolesi,

op. cit., 244). IV. - Per considerare vietata un'intesa, non basta che vi sia una re

strizione della concorrenza; è altresì indispensabile che tale restrizione

possa essere qualificata come consistente rispetto al mercato di riferi mento. Questo è il sentiero che ha condotto alla ratio decidendi sintetiz zata nella terza massima. Infatti, un accertamento che voglia chiudersi con l'applicazione del divieto previsto dall'art. 2 non può prescindere dall'individuazione del mercato rilevante e dalla valutazione circa l'in tensità di distorsione della concorrenza prodotta dalla convenzione.

Quanto all'individuazione del mercato rilevante, si può convenire che esso rappresenti il nodo cruciale di qualsivoglia inquadramento antimo

nopolistico. La complessità delle valutazioni da compiere al riguardo può qui essere soltanto presupposta: per una prima, quanto dettagliata panoramica sui molti aspetti del problema, v. G. Bruzzone, L'indivi

duazione del mercato rilevante nella tutela della concorrenza, in Temi e problemi, giugno 1995, con ulteriore sviluppo in F. Gobbo, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna, 1997, 121 ss.; per un fondamen tale updating comunitario, cfr. la comunicazione della commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell'applicazione del diritto co munitario in materia di concorrenza (97/C 372/03).

Sul piano della restrizione concorrenziale, la formulazione «in manie ra consistente», di cui all'art. 2, recepisce la regola de minimis, di origi ne comunitaria — per la sua versione più recente, v. comunicazione relativa agli accordi di importanza minore che non sono contemplati dall'art. 85.1 del trattato Ce (97/C 372/04) — intesa ad escludere dalla

gamma degli accordi vietati quelli che presentano un'incidenza sul mer cato trascurabile (Corte giust. 9 luglio 1969, causa 5/69, Vòlk c. Ver

vaecke, in Foro it., 1969, IV, 153; 1° febbraio 1978, causa 19/77, Mil ler c. Commissione, id., 1978, IV, 546; 7 giugno 1983, causa 100-103/80, Pioneer Electronic Europe c. Commissione, id., 1984, IV, 239). I prin cipi sviluppati in ambito comunitario non sono, però, tutti recuperabili nell'esegesi della norma interna, perché l'art. 85 del trattato Ce e l'art. 2 1. 287/90, pur avendo una formulazione analoga, hanno «finalità di

verse, essendo dirett[i] l'un[o] a tutelare la libera concorrenza tra i mer cati dei diversi paesi membri e riferendosi invece l'altr[o] unicamente al mercato interno» (Autorità garante concorrenza e mercato 24 no vembre 1993, n. 1596 [in motivazione], Alleanza assicurazioni, id., Rep. 1994, voce Concorrenza (disciplina), n. 107, e Bollettino, 1993, fase. 36).

Particolare rilievo assume la valutazione volta ad accertare la quota di mercato detenuta dall'impresa e il grado di competitività nel merca to. Di fronte ad un modesto potere di mercato e ad una nutrita presen za di concorrenti, un'intesa tra imprese che operano nel medesimo sta dio produttivo può non comportare una restrizione consistente (Autori tà garante concorrenza e mercato 21 aprile 1993, n. 1076, Consorzio Cantieri Varese, ibid., fase. 8). Appare quindi indispensabile procedere ad un esame accurato della fattispecie, tenendo conto di tutti gli indica tori che possano far rilevare l'intelaiatura e l'evoluzione del mercato

(Autorità garante concorrenza e mercato 20 maggio 1992, n. 510, Sip/Ap ple/Olivetti, id., 1992, fase. 10; 21 febbraio 1994, n. 1794, in motiva zione, Sapio-Igi-Siad, in Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 211, e in Bollettino, 1994, fase. 8), la situazione di mercato dei principali compe titori (Autorità garante concorrenza e mercato 23 luglio 1993, n. 1310, in motivazione, Nord calce, in Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 198, e Bollettino, 1993, fase. 18-19), le quote di mercato degli imprenditori che pongono in essere l'intesa (Autorità garante concorrenza e mercato

Il Foro Italiano — 1999.

La corte di Venezia dichiarò la nullità della convenzione.

Ritenne, infatti, applicabile alla fattispecie esaminata la 1. n.

287 del 1990, giacché la stessa concerne un rapporto in atto

e non una vicenda compiuta. Quindi, nel merito, osservò che

la convenzione di cui si è detto aveva posto il gruppo Pavan

in posizione di subordinazione «ancillare» rispetto al gruppo

Ferro, dal momento che esso era risultato privato di qualunque autonomia operativa, con la conseguenza di alterare il regime della concorrenza all'interno del mercato.

Contro questa decisione vi è ricorso per cassazione da parte di Ferro e Pavan impianti con quattro motivi. Resistono con

controricorso Mafin s.p.a. e Mario Pavan in proprio. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so Ferro e Pavan lamentano la violazione e la falsa applicazio ne dell'art. 2, 3° comma, 1. n. 287 del 1990 (c.d. legge anti

trust), eli disp. prel. c.c. e 1418 c.c. Lamentano pure la moti

vazione erronea, insufficiente e contraddittoria sui relativi punti decisivi della controversia. Sostengono che la corte di merito

erroneamente ha considerato retroattiva la comminatoria della

sanzione di nullità prevista dalla legge antitrust. Rilevano che

l'intesa pretesa, ovvero la convenzione che la realizzerebbe, è

stata conclusa prima della entrata in vigore di tale normativa

e che, in ogni caso, anche a voler adottare una nozione ristretta

del principio di irretroattività della legge, in alcun modo po trebbero essere toccati dallo ius superveniens gli effetti di un

contratto validamente concluso.

la. - Osserva la corte che la 1. n. 287 del 1990, riproducendo

quasi letteralmente, all'art. 2, la norma dell'art. 85 del trattato

Ce, dopo avere individuato il proprio ambito di applicazione definendo in via di premessa al 1° comma l'intesa tra imprese, al comma successivo vieta che «abbiano per oggetto o per effet

to di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una

sua parte rilevante. . .».

Quindi, dopo avere elencato taluni comportamenti i quali rea

lizzano tale effetto, stabilisce che «le intese vietate sono nulle

ad ogni effetto».

È pacifico che la convenzione di cui è causa venne conclusa

dalla entrata in vigore della citata normativa.

1 b. - Osserva ancora il collegio che la tematica della irretroat

tività della legge nella materia dei rapporti privati aventi fonte

nei contratti ha raggiunto taluni punti fermi testimoniati da una

giurisprudenza oramai risalente della Cassazione ed altresì dalla

dottrina dominante che riconoscono la potestà del legislatore di innovare la disciplina dei rapporti in corso. Si distinguono,

invero, la disciplina del fatto generatore del rapporto, che resta

soggetta alla legge del suo tempo, ancorché originate pur sem

pre da quel medesimo fatto [s/c]. Queste conseguenze, ferma

restando la intangibilità di quel fatto e di qualunque effetto

di esso anteriore alla nuova legge e che si sia perfezionato, rien

8 giugno 1994, n. 2024, Assicurazioni rischi di massa, id., 1994, fase.

23; 12 febbraio 1992, n. 377, Consorzio produttori calcestruzzi Peru

gia, id., 1992, fase. 3; 12 febbraio 1992, n. 378, Cons. Sciacca Terme, in Foro it., Rep. 1994, voce eit., nn. 115, 116).

Da notare come l'approfondimento dell'indagine sui coefficienti so

pra indicati sia risultato, nel tempo, particolarmente sensibile al tipo di accordo concluso: un'intesa a carattere intrinsecamente anticoncor

renziale, perché concernente i prezzi minimi di vendita dei prodotti, è stata sottoposta al divieto, ancorché non si riscontrassero significativi mutamenti nelle condizioni di offerta del prodotto, sia con riguardo ai prezzi, sia con riguardo alla libertà del consumatore di scegliere l'im

presa da cui rifornirsi (Autorità garante concorrenza e mercato 12 feb braio 1992, n. 378, cit.; v., altresì, Tar Lazio, sez. I, 7 marzo 1997, n. 425, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 147); veniva così maturando l'idea di una restrizione della concorrenza vietata per se, là dove gli accordi abbiano ad oggetto pratiche di immediato impatto anticompeti tivo (v. Autorità garante concorrenza e mercato 27 aprile 1992, n. 471, Associaz. librai it., id., Rep. 1994, voce cit., nn. 117-119, che sembra aver condotto un accertamento marginale delle condizioni esterne, per ché l'intesa fissava indirettamente i prezzi di vendita di un prodotto). Ed è proprio questa la linea transitata nella comunicazione citata da ultimo e di lì rimbalzata nella prassi dell'autorità, con un automatismo sufficiente a mettere a dura prova il convincimento che la distorsione

acquisti la dimensione prevista dalla legge solo quando il potere di mer cato dei partecipanti all'accordo sia di spessore tale da rendere verosi mile la minaccia al gioco della concorrenza (in questo senso, R. Pardo

lesi, Analisi economica della legislazione antitrust italiana, id., 1993, V, 7; Id., in Diritto antitrust italiano, cit., 239). [L. Lambo]

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

trano nella disciplina del momento in cui si realizzano (cfr. Cass.

n. 3709 del 1978, Foro it., Rep. 1978, voce Registro (imposta), n. 62; n. 907 del 1972, id., Rep. 1972, voce Legge, decreto

e regolamento, n. 28; n. 1952 del 1977, id., Rep. 1977, voce

Contratti agrari, nn. 125, 201). Nella specie, come si è detto, si tratta di una convenzione

tra imprese che, disponendo per il futuro, per un periodo di

alcuni anni, viene eseguita anche nel vigore della nuova nor

mativa.

Questa, a sua volta — ricorrendo ad una tecnica di far leggi non consueta al legislatore italiano, ma mutuata da quella che,

invece, è tipica del legislatore comunitario — dà luogo nell'art.

2 anzitutto ad una premessa descrittiva più che definitoria del

l'ambito al quale la norma si riferisce.

La legge, infatti, dice che «sono considerate intese» (non dice

«sono intese»), «gli accordi e/o le pratiche concordate. . . non

ché le delibere statutarie o regolamentari. . .». Dunque essa non

si riferisce, quando parla di intese, solo ai contratti in senso

tecnico ovvero a negozi consistenti in manifestazioni di volontà

tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un parti colare voluto. La legge con la sua premessa descrittiva da leg

gersi insieme alla comminazione successiva di divieti, individua

e fa rilevare ai fini che le interessano la fonte, i possibili effetti

di questa ed il complessivo contenuto di comportamenti di mer

cato in quanto tali. In questa ottica rileva perciò, sinteticamen

te, il fatto, oggettivamente riscontrabile come tale, della ineren

za di tali comportamenti ad una distorsione del gioco della con

correnza.

Il legislatore ha, quindi, proibito, dopo avere adottato non

a caso il termine «intesa», che esplicita in tutte le culture giuri diche una direzione almeno consapevole delle attività, il fatto

della distorsione che quel comportamento produce o può pro durre in quanto derivante dall'obiettivo di coordinare verso un

comune interesse le attività economiche considerate.

Consegue che la considerazione della nullità fondata dalla nor

mativa antitrust deve essere arricchita rispetto ad una prospet tazione che consideri solo quella del negozio richiamata dai ri

correnti.

La legge non dice solo che è nullo un negozio perché il suo

intento è illecito, ma piuttosto che qualunque condotta di mer

cato, anche realizzata in forme che escludono una caratterizza

zione negoziale, come la pratica concordata o la deliberazione

consortile assunta in ossequio allo statuto, purché veda la con

sapevole partecipazione di almeno due imprese (altrimenti rica

dendosi, quando vi sia l'abuso di posizione dominante, nella

figura di cui all'art: 3 della normativa in esame), è suscettibile

di valutazione sotto il profilo di tale introdotto illecito.

le. - Va precisato che, conformemente alla diffusa giurispru denza europea, significativa per l'interprete della norma dell'art.

2 per la sua formulazione e per la origine della intera legge manifestata nella dichiarazione di principio di cui all'art. 1, n.

4, si deve ritenere che siffatta intesa può determinarsi anche

su schemi giuridici unilaterali. Come quando si inserisce in un

rapporto di durata l'esercizio di un potere unilaterale da parte di uno dei partecipi al rapporto ovvero, ad esempio, «si conce

da» una «esclusiva» che conforma il rapporto in modo da sbar

rare la strada ad altri ingressi nel medesimo mercato (cfr., per tutta la complessa problematica della definizione di «intesa», le fondamentali decisioni del giudice amministrativo: Tar La

zio, sez. I, 7 marzo 1997, n. 425, id., Rep. 1997, voce Concor

renza (disciplina), n. 147; Cons. Stato, sez. VI, n. 1792 del 1996,

id., 1997, III, 213. V. quindi Corte giust. 11 gennaio 1990, cau

sa C-277/87, id., Rep. 1991, voce Comunità europee, n. 406,

espressamente considerata dalla predetta giurisprudenza ammi

nistrativa). Il che fa concludere che la nozione di «intesa» è oggettiva

e, come si è detto, tipicamente comportamentale anziché for

male, avente al centro l'effettività del contenuto anticoncorren

ziale ovvero l'effettività di un atteggiamento comunque realiz

zato che tende a sostituire la competizione che la concorrenza

comporta con una collaborazione pratica. 1 d. - Tale definito ambito conduce alla conclusione che l'i

dentificazione dell'intesa vietata e dei suoi effetti si pone in ter

mini diversi da quelli pretesi dai ricorrenti. Sembra al collegio che la legge, laddove stabilisce la nullità

dell'intesa, non chiede di far rilevare l'eventuale negozio che

può costituirne origine dell'effetto da evitare, ma piuttosto quella

li Foro Italiano — 1999.

situazione, anche ulteriore all'eventuale negozio, che in quanto tale realizza un ostacolo al gioco della concorrenza, nel senso

precisato. Conclusione questa che contribuisce a chiarire il sen so della introdotta nullità nella fattispecie di «intese» per le quali, come nel caso di specie, si allega una fonte negoziale in senso

proprio. La legge, stabilendone la nullità ad ogni effetto, ha voluto

anche togliere l'efficacia di legge tra le parti che un eventuale

negozio possiede per sua natura, se validamente costituito. E

la sentenza in esame, laddove precisa che la sanzione di nullità

affidata al giudice colpisce «un rapporto in atto», ha per l'ap

punto chiarito di voler circoscrivere la propria statuizione alla

attualità ed al futuro, escludendo di incidere sul momento ante

cedente l'entrata in vigore della normativa antitrust.

La 1. n. 287 del 1990, pertanto, con l'art. 2 ha stabilito una

nullità ulteriore a quelle che il sistema già conosceva (cfr. Cons.

Stato, ult. cit.). L'intesa, comunque strutturata, è nulla, e la

nullità decorre dal momento in cui, beninteso, in costanza della

norma che la stabilisce, il comportamento vietato inizia a rea

lizzarsi.

Conclusione che non contraddice Cass. n. 7733 del 1996, id.,

Rep. 1997, voce Arbitrato, n. 143, come ritiene la difesa dei

ricorrenti.

Tale decisione si occupa della compromettibilità ad arbitri di

un patto di non concorrenza e solo di passata, senza esaminare

in alcun modo la situazione di mercato che da essa deriva, af

ferma il principio della irretroattività della legge civile, che, nel

la specie, non viene in rilievo.

le. - Il motivo è, dunque, infondato non essendo incorsa la

corte di merito nella lamentata violazione di legge, mentre la

motivazione adottata sui punti predetti è esente dalle esaminate

censure di legittimità, pur dovendo essere integrata nei termini

indicati. 2. - Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazio

ne dell'art. 2 della stessa legge antitrust nonché omessa motiva

zione su un punto decisivo. Sostengono che la corte di merito

non ha compreso che la convenzione di cui è causa rendeva

possibile una concorrenza altrimenti illecita e, dunque, non era

diretta a limitare una concorrenza lecita. Sostengono anche che

la convenzione medesima, ove mai potesse costituire «intesa»

ai sensi della 1. n. 287 del 1990, sarebbe di natura orizzontale, e conseguentemente escluderebbe la sussistenza di qualunque coer

cizione. Pertanto, non essendovi nella specie questione di abuso

di posizione dominante ai sensi dell'art. 3 della legge antitrust,

gli impedimenti alla concorrenza per potersi considerare tali do

vrebbero operare nei confronti di terzi estranei alla convenzione

e non nei confronti di uno dei contraenti.

2a. - Osserva la corte che la distinzione affermata nel ricorso

tra «intesa vietata» ed «accordo» che, invece, si limita a rende

re possibile una concorrenza altrimenti vietata, sembra richia

mare, al fine di identificare l'intesa, la natura della concorrenza

regolata analogamente alla ipotesi in cui si esamina un patto di non concorrenza di cui agli art. 2596 c.c. ss.

L'art. 2598 c.c., come è noto, pone in essere limiti alle restri

zioni contrattuali della concorrenza in vista dell'interesse del sin

golo a non vedersi privato per troppo tempo della propria liber

tà di impresa (Cass. n. 7266 del 1997, id., 1997, I, 3179). Nell'ottica civilistica rileva la natura della concorrenza che

con il patto si va a regolare, perché, evidentemente, non sareb

be concepibile un patto di concorrenza che vietasse la concor

renza sleale, già vietata dalla legge. Il rilievo della concorrenza oggetto dell'intesa è, invece, as

sente nella prospettiva del legislatore del 1990. Perché a fonda

mento delle tutele che la legge introduce sta il libero mercato

in quanto tale, cioè l'interesse pubblico a conservarlo e non

quello del singolo a difendere il proprio diritto. E la derivazio

ne di entrambe le tutele, inclusa quella della legge antitrust,

dato il richiamo contenuto nell'art. 1, all'art. 41 Cost., non

toglie questa distinzione di ambito e di logica. Cosicché l'oggetto della tutela, nella legge del 1990, ovvero

la libertà giuridica della concorrenza per tutti gli attori del mer

cato, è esso stesso il parametro di valutazione della meritevolez

za degli interessi in gioco. Tant'è che tutta la legge, ricorrendo

sempre a criteri di formulazione pragmatici, trae la sua valuta

zione di rilevanza dalla considerazione della «grandezza» del

fenomeno in questione (cfr. art. 2, punto 2, ed art. 3 1. n. 287

del 1990).

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

PARTE PRIMA

La legge non intende dire semplicemente che de minimis non

curat praetor, come pure in dottrina si sostiene, ma piuttosto che non ogni quantità del fenomeno «intesa», ma solo quella in grado di toccare, appunto per la sua grandezza, la struttura

concorrenziale del mercato, è oggetto della sua attenzione.

2b. - Consegue che uno stesso comportamento può avere ca

rattere illecito ai sensi dell'art. 2598 c.c., ovvero ai sensi del

l'art. 2697 c.c., e non, per ragioni quantitative oltre che di spe cifica natura, ai sensi della legge antitrust. Esso, perciò, può

giustificare una domanda individuale di ripristino dell'ordine

giuridico violato e non l'intervento pubblico previsto dalla legge del 1990.

Parimenti, un comportamento può rivelarsi plurioffensivo per ché lede sia l'interesse del singolo imprenditore quanto quello

pubblico previsto dalla predetta legge in capo alla autorità ga

rante, ovvero addirittura quello comunitario di cui al citato art.

85 del trattato Ce.

Così pure un comportamento può rilevarsi illecito sotto il pro filo della 1. n. 287, benché identico ad altro, che in ragione della sua dimensione, risulta per la stessa legge irrilevante.

Infine, la distinzione di ambito e di natura tra l'illecito civili

stico e quello propriamente concorrenziale si conferma anche

per la considerazione che può accadere, data la logica della leg

ge del 1990, che una intesa sia astrattamente sanzionabile dalla

autorità garante e tuttavia può essere da questa medesima auto

rizzata nei limiti di cui all'art. 4 della legge stessa. Essa, quindi, ad onta di tale autorizzazione, può risultare lesiva del diritto

individuale alla concorrenza lecita, e dunque può legittimare la

domanda di disapplicazione del provvedimento di autorizzazio

ne da parte del giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 1. n. 2248

del 1865.

2c. - Con ciò si intende concludere che la pretesa dei ricorren

ti di considerare la convenzione in parola immune da censure

ai sensi della 1. n. 287 del 1990, per il fatto che essa avrebbe

avuto contenuto di accordo permissivo della concorrenza, altri

menti vietata tra due imprenditori, è destituita di fondamento

giuridico, perché siffatto contenuto, sia pure sussistente, non

esclude un effetto distorsivo della concorrenza dentro uno spe cifico mercato.

2d. - Del pari infondata è la specificazione ulteriore di tale

motivo di ricorso relativa alla natura di intesa cosiddetta oriz

zontale che avrebbe rivestito la convenzione, che, sembra di ca

pire, non facendosi nella specie questione di abuso di posizione dominante essendo ad essa estranea qualunque coercizione tra i contraenti, dovrebbe essere pienamente legittima.

Va chiarito che la 1. n. 287 non stabilisce che solo le intese

cosiddette verticali possono dare luogo a distorsione della con

correnza. Né è vero che una intesa orizzontale non può dare

luogo a comportamento sanzionabile senza essersi tradotta nel

l'abuso di cui all'art. 3. Ciò che rileva ai fini della posizione in parola è che tutti i comportamenti, ancorché si traducano in liberi accordi tra soggetti che operano allo stesso livello di

mercato, se incidono sulla libertà economica delle imprese del

settore danno luogo ad un cartello. Pertanto, la circostanza che un accordo tra imprese non abbia presupposto coercizione e non comporti effetti vincolanti nel senso che si attribuisce ai

contratti quali fonti di obbligazioni, come avviene nei casi dei c.d. gentlemen's agreements, non è sufficiente a sottrarlo alla

qualifica di intesa. La cui illiceità deriva, anzitutto, dall'oggetto o dall'effetto anticoncorrenziale (cfr. ancora Cons. Stato, ult.

cit., e Corte giust. 29 ottobre 1980, cause riunite 209/80, 215

e 218/78, id., Rep. 1983, voce Comunità europee, nn. 246-248;

quindi Tar Lazio, sez. I, 12 aprile 1996, n. 605). L'intesa vietata è fattispecie diversa da quella dell'abuso an

corché tra le due proibizioni sussista una evidente analogia di ratio che determina qualche contiguità.

Resta, comunque, fondamentale elemento di distinzione che nella fattispecie dell'art. 3 è la posizione dominante il presup posto dell'illecito, mentre la fattispecie di cui all'art. 2 può per fezionarsi indipendentemente da una tale posizione nel merca to. Tant'è vero che questa per accedere alla attenzione della

legge deve dare luogo ad un fenomeno consistente, mentre la

posizione dominante dentro il mercato nazionale o una sua par te rilevante se è abusiva è sempre sanzionabile.

La doglianza di sottovalutazione della diversità tra le fatti

specie suddette è, pertanto, anch'essa infondata. Il motivo, con

seguentemente, deve essere respinto.

Il Foro Italiano — 1999.

3. - Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione

e la falsa applicazione dell'art. 2, punto 2, 1. n. 287 del 1990.

In particolare sarebbe stato mal identificato il requisito della

consistenza della distorsione della concorrenza.

4. - Con il quarto motivo — che è connesso al precedente e va esaminato insieme ad esso — i ricorrenti lamentano la omes

sa motivazione sul punto della consistenza della distorsione. La

corte di merito avrebbe adottato un simulacro di motivazione

senza chiarire gli elementi che debbono far concludere per la

sussistenza dell'illecito in questione. 4a. - Osserva il collegio che la corte di merito ha esaminato

la convenzione ed ha individuato la situazione di fatto che si

realizza in conseguenza della sua esecuzione tra i gruppi Pavan

e Ferro.

Ha rilevato che la convenzione limita la produzione, gli inve

stimenti e lo sviluppo tecnico del gruppo Pavan; ne restringe

gli sbocchi al mercato. Ciò, essa afferma, fino ad alterare il

regime della concorrenza nel mercato. Di qui il giudizio di rap

porto «ancillare» tra le due imprese.

Orbene, una intesa che consenta ad uno dei suoi autori di

appropriarsi dei momenti decisionali che provvedono alla stra

tegia ed anche alla ordinaria conduzione di altra impresa con

corrente è suscettibile di essere assunta nella griglia delle proibi zioni di cui all'art. 2 1. n. 287 del 1990.

Il mercato, concepito quale luogo della libertà di iniziativa

economica, presuppone l'esistenza e l'attività di soggetti econo

mici realmente tali, ovvero in grado di esercitare i diritti di li

bertà in questione. Deve, perciò, trattarsi di soggetti effettiva

mente responsabili delle scelte di impresa ad essi formalmente

imputabili giacché la nozione di mercato libero presuppone che

il gioco della concorrenza, per adoperare l'espressione della leg

ge, venga attuato da soggetti in grado di autodeterminarsi.

Classico comportamento anticoncorrenziale è quello che, co

munque strutturato, tende a togliere ovvero toglie al concorren

te la propria autonomia fino a farne un apparente concorrente

privo di competitività. Se la fattispecie in esame vede il gruppo Pavan per effetto

della intesa operare come una sorta di divisione del gruppo Fer

ro, ciò può dar luogo a lesione nel senso considerato. Ma tale

effetto richiede un certo grado di rilevanza quantitativa esplici tato dalla legge con la nozione di consistenza della distorsione.

Non basta la considerazione parcellizzata di un comportamento di mercato. Occorre che esso abbia per oggetto o per effetto

l'alterazione consistente del gioco della concorrenza. Anche il

solo orientamento della intesa ad un tale effetto può giustifica re l'intervento sanzionatorio e la declaratoria di nullità dell'in

tesa, dunque non occorre che esso si sia realizzato. Ma la di

storsione, reale o potenziale, per essere individuata, impone se ne accerti in modo rigoroso il riflesso sul mercato nazionale

o su di una parte rilevante, come la legge stabilisce (cfr. ancora

Cons. Stato, ult. cit.). Diversamente, essa non fuoriesce da am biti di protezione di natura individuale di fonte codicistica, se

pure ravvisabili.

Pertanto, la parte che si rivolge al giudice ordinario sulla ba se del riparto di giurisdizione che la legge ha stabilito (Cass., sez. un., n. 52 del 1994, id., 1994, I, 732), poiché chiede di

essere tutelata da una intesa il cui effetto illecito fondamentale è pur sempre quello generale che giustifica la possibilità di un

intervento regolatore e sanzionatorio di carattere amministrati

vo, deve provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito che

afferma. Cosicché l'affermazione della nullità dell'intesa da parte del giudice ordinario richiede l'accertamento di tale consistenza e l'adeguata motivazione sul punto.

Esso, nella specie, è mancato, perché il giudice di merito, mentre ha dato conto, sia pure succintamente, della corrispon denza tra modello legale di illecito e logica della convenzione, nulla ha detto circa il riflesso quantitativo della posizione defi

nita «ancillare» di Pavan sul mercato di riferimento. Ha affer mato la avvenuta distorsione, ma non ha chiarito «se e come» ha compiuto l'accertamento della sua consistenza, né ha addita to l'ambito mercantile, ovvero il mercato di riferimento, sia es so nazionale oppure una parte rilevante di questo, dentro il quale essa è apprezzabile o è potenzialmente prospettabile.

5. - Questa parte delle due doglianze è, perciò, fondata ed il ricorso in questi limiti deve essere accolto. La sentenza impu gnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra corte di

appello che deciderà accertando la consistenza della distorsione

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 7: sezione I civile; sentenza 1° febbraio 1999, n. 827; Pres. Grieco, Est. Berruti, P.M. Gambardella (concl. conf.); Ferro e Soc. Pavan Mapimpianti (Avv. Zanchini, De Poli, Negri Clementi)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che la convenzione può produrre, ovvero ha prodotto, tenendo

conto del mercato di riferimento, così considerando, oltre alla

già accertata natura dell'intesa, le dimensioni ed il potere di

mercato dei partecipanti ed il contesto economico e giuridico in cui essi operano (Corte giust. 14 novembre 1996, causa

C-333/94, id., 1997, IV, 71), dando atto del suo accertamento

in motivazione.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 gen naio 1999, n. 789; Pres. Rocchi, Est. Altieri, P.M. Macca

rone (conci, diff.); Comune di Cartoceto (Avv. Valentini)

c. Fall. Soc. C.i.p. (Avv. Grillo, Giannola). Cassa App. Ancona 31 maggio 1996.

Fallimento — Accertamento del passivo — Crediti relativi a

convenzioni di lottizzazione — Giurisdizione del giudice am

ministrativo — Contestazione sull'esistenza e sull'ammontare

del credito — Ammissione con riserva (R.d. 16 marzo 1942

n. 267, disciplina del fallimento, art. 52, 55, 95; d.p.r. 29

settembre 1973 n. 605, disposizioni relative all'anagrafe tribu

taria e al codice fiscale dei contribuenti, art. 45; 1. 28 gennaio

1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 16).

Qualora dinanzi al tribunale fallimentare in sede di accertamen

to del passivo sorga contestazione sulla esistenza o sull'am

montare di un credito relativo a convenzioni di lottizzazione

per il quale opera la giurisdizione esclusiva dei giudici ammi

nistrativi, il credito va considerato condizionale e deve essere

ammesso con riserva. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 agosto

1998, n. 8428; Pres. Grieco, Est. Ferro, P.M. Buonajuto

(conci, diff.); Fall. soc. Gruppo ceramiche Etruria (Avv. Ca

stagni) c. Soc. Azzurra Finparco ceramica sanitaria; Soc. Az

zurra Finparco ceramica sanitaria (Avv. Picchioni) c. Fall,

soc. Gruppo ceramiche Etruria. Cassa App. Roma 24 luglio

1995.

Fallimento — Effetti per i creditori — Accertamento del passi

vo — Credito futuro ed eventuale — Credito condizionale

— Esclusione — Ammissione con riserva — Inammissibilità

(R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 55, 95).

Il credito restitutorio derivante dal possibile esercizio del diritto

di recesso da un contratto deve essere considerato un credito

futuro ed eventuale e non un credito condizionale, per cui

non può essere ammesso al passivo fallimentare con riserva. (2)

(1-2) L'accostamento delle due decisioni (e delle fattispecie trattate

in particolare) mostra come, pur nella coerenza delle conclusioni, l'i

dentikit del credito condizionale nel fallimento soffra ancora di una

certa approssimazione. Il panorama di riferimento è costituito da alcuni punti fermi e da

qualche traccia dagli incerti confini che emerge in misura apprezzabile nella pronuncia meno recente laddove l'estensore ha dovuto marcare

alcuni passaggi dell'/ter argomentativo per non offrire il fianco ad ac

cuse di contraddittorietà rispetto a taluni precedenti. L'art. 55 1. fall, non descrive il credito condizionale, rinviando impli

citamente alla nozione di condizione del codice civile, ma ne afferma

la concorsualità. Infatti i crediti condizionali ricevono un trattamento

particolare e cioè il diritto all'ammissione al passivo con riserva ai sensi

dell'art. 95 1. fall. Ai crediti condizionali in senso stretto il legislatore concorsuale ha equiparato i crediti che non possono farsi valere nei

confronti del fallito se non previa escussione di un obbligo principale. Per effetto di un eccessivo intervento normativo in occasione della ri

II Foro Italiano — 1999.

I

Svolgimento del processo. — In data 17 dicembre 1990, il

comune di Cartoceto chiedeva l'ammissione, in via privilegiata, al passivo del fallimento della C.i.p. s.r.l., dichiarato dal Tri

bunale di Pesaro, del credito di lire 487.565.756 per mancata

esecuzione di opere di urbanizzazione previste nell'atto di obbli

go sottoscritto dalla società poi fallita. Detto credito era garan tito da polizza fideiussoria di pari importo della società Miner

va assicurazioni s.p.a. Il giudice delegato non accoglieva la domanda, ritenendo che

il credito non fosse né certo, né liquido, né esigibile, riguardan do opere di urbanizzazione che dovevano essere ancora realiz

zate, e la cui ultimazione era prevista per il 1998.

Avverso tale decisione e la conseguente formazione dello sta

forma tributaria dei primi anni settanta, si è stabilito che ai crediti con dizionali vanno assimilati i crediti tributari relativi ad imposte dirette

per i quali pende controversia dinanzi alle commissioni tributarie (Cass. 17 giugno 1998, n. 6032, Foro it., Mass., 681, e, in extenso, Giust.

civ., 1998, I, 2468; 13 novembre 1997, n. 11214, Foro it., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 604; 16 agosto 1996, n. 7579, id., 1996, I, 3364, alla cui nota redazionale si rinvia; adde, Abate, L'accertamento dei crediti d'imposta, in Fallimento, 1997, 445; Bonfatti, L'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in Le procedure concorsuali. Il falli mento, Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino,

1997, III, 133). La giurisprudenza ha poi esteso tale regime ai crediti

inerenti tributi indiretti (Cass. 16 agosto 1996, n. 7579, cit.). Infine i giudici di legittimità hanno più volte ribadito che, al di fuori

delle ipotesi di cui all'art. 95 1. fall, in coordinamento con l'art. 55

1. fall., non esistono altre ipotesi di ammissione al passivo con riserva,

negando così ingresso alle c.d. riserve atipiche (da ultimo, Cass. 9 otto

bre 1996, n. 8835, Foro it., 1997, I, 858, con nota di richiami; adde,

Patti, Tipicità e atipicità dell'ammissione con riserva e ammissione prov visoria del credito, in Fallimento, 1997, 606).

In tale contesto si inseriscono le due decisioni in rassegna. Cass. 798/99

affronta un tema nuovo, quello del coordinamento fra un credito per il quale l'accertamento è riservato al giudice amministrativo dotato di

giurisdizione esclusiva e il procedimento di verifica del passivo falli

mentare, risolvendolo, in assenza di precedenti specifici, con il prelievo del meccanismo previsto per i crediti tributari contestati; in questo sen

so già Cass. 23 febbraio 1994, n. 1816, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 530, aveva adottato il meccanismo della riserva in presenza di una

domanda di ammissione al passivo correlata ad un credito per il quale era pendente una controversia in altra sede. In relazione al limite della

giurisdizione del tribunale fallimentare in tema di crediti per oneri di

urbanizzazione, Trib. Pordenone 13 luglio 1990, id., Rep. 1991, voce

Privilegio, n. 36, ha stabilito che il credito per oneri di urbanizzazione

di cui alla 1. 28 gennaio 1977 n. 10 non è assistito dal privilegio di

cui all'art. 2752, ultimo comma, c.c., così implicitamente affrontando

solo il profilo della concorsualità del credito e non anche quello della

sua esistenza. Cass. 8428/98, invece, nega che il credito per le restituzioni derivante

dal possibile esercizio di un diritto di recesso dal contratto possa consi

derarsi un credito futuro e incerto ma già attuale e così escludendone

la concorsualità, in quanto credito futuro ed eventuale non dà ingresso

all'ipotesi dell'ammissione con riserva (sull'esclusione dal concorso dei

crediti eventuali, Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994, I, 343). Con questa decisione la corte regolatrice ha occasione di ribadire che

il diverso risultato cui si è giunti a proposito della fattispecie del fi

deiussore del fallito non ancora escusso dal creditore principale (evoca ta dal ricorrente per identità di disciplina), non deriva dall'applicazione dell'art. 55 1. fall., quanto piuttosto dall'invocazione del diverso art.

61 1. fall.; così Cass. 27 giugno 1998, n. 6355, Foro it., Mass., 720; 2 ottobre 1997, n. 9635, id., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 398; 12

luglio 1990, n. 7222, id., Rep. 1991, voce cit., n. 488; 5 luglio 1988, n. 4419, id., 1988, I, 2873, con nota di richiami, secondo le quali il

fideiussore, che non ha pagato il creditore prima della dichiarazione

di fallimento del debitore principale, va considerato, a norma degli art.

61, 2° comma, e 55, 3° comma, 1. fall., creditore condizionale, per

quanto attiene all'eventuale esercizio dell'azione di regresso nei con

fronti del debitore fallito, onde va ammesso al concorso dei creditori

con riserva; soluzione peraltro sulla quale sussistono ancora perplessità fra i giudici di merito (cfr. Trib. Genova 4 marzo 1992, id., Rep. 1992,

voce cit., n. 533; Trib. Bologna 25 giugno 1991, ibid., n. 534), e in

dottrina (dopo l'arresto del 1990, Bozza, Regresso del fideiussore non

escusso verso il debitore fallito, in Fallimento, 1992, 81; Bonfatti, L'ac

certamento del passivo e dei diritti mobiliari, cit., 127; contra, e cioè

in senso adesivo ai giudici di legittimità, da ultimo, De Ferra, Manuale

di diritto fallimentare, Milano, 1998, 136). Sul riparto di giurisdizione in materia urbanistica ed edilizia, cfr. l'art.

34 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 (sul quale, per riferimenti, cfr. la nota

di A. Palmieri, in Foro it., 1999, III, 74).

This content downloaded from 185.31.195.97 on Sat, 28 Jun 2014 17:59:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended