Sezione I civile; sentenza 11 aprile 1983, n. 2542; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P. M. La Valva(concl. conf.); Meiners e altri (Avv. Villa, Ferrari) c. Fall. soc. Pro.R.A. Conferma App. Trento18 luglio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1243/1244-1245/1246Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175500 .
Accessed: 25/06/2014 04:03
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 188.72.126.25 on Wed, 25 Jun 2014 04:03:39 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1243 PARTE PRIMA 1244
gli arbitri a far uso dell'equità (come — può aggiungersi — la
rinuncia a giudicare secondo diritto) svuota di ogni contenuto la
volontà delle parti e concreta un eccesso di potere, che costitui
sce violazione dei limiti segnati dal compromesso e dalla clausola
compromissoria, prevista quale error in procedendo dall'art. 829,
1° comma, n. 4, c.p.c. come motivo di nullità della sentenza.
Nella motivazione della citata decisione, cui in questa sede si
aderisce, si sottolinea come tale norma non costituisca soltanto
delimitazione della res controversa, ma anche enunciazione dei
parametri «diritto-equità», alla stregua dei quali la controversia
va decisa, in quanto non dev'essere interpretata esclusivamente
nel senso materialistico dell'oggetto della controversia, ma va ri
ferita alla funzione giurisdizionale dell'arbitro, che è determinata
dalle parti in ordine sia all'oggetto della controversia sia ai po teri che l'arbitro deve esercitare.
Trattasi di una norma che, se è intesa a garantire anche il
giudizio di equità (come si osserva nel richiamato precedente), non può non garantire il giudizio di diritto; e se ne può escludere
l'applicazione solo quando gli arbitri motivatamente ritengano che il principio di equità coincide con il giudizio di diritto, nel
qual caso il giudizio di equità si risolve in giudizio di diritto ed è,
quindi, impugnabile ai sensi dell'art. 829, 2° comma, c.p.c. (cfr. la sent. 2501/59, già citata).
L'applicabilità della norma di cui all'art. 829, 1° comma, n.
4, c.p.c., sia che gli arbitri, investiti di un giudizio di equità, ab
biano deciso secondo diritto, sia che, richiesti di decidere secon
do diritto, abbiano deciso secondo equità, esclude conseguente mente quella della norma contenuta nel 2° comma dello stesso
articolo, la quale ammette l'impugnazione di nullità se gli arbi
tri, nel giudicare, non abbiano osservato le regole di diritto, sal
vo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità.
Quest'ultima norma concede un rimedio per gli errores in iu
dicando commessi dagli arbitri, investiti di un giudizio secondo
diritto, che abbiano, conformemente al mandato ricevuto, espres so un giudizio di diritto. In questo caso appare giustificata l'am
missione di un sindacato generale sul merito per violazione delle
norme giuridiche da parte degli arbitri di diritto; ma la stessa
giustificazione non avrebbe senso non solo per gli arbitri di equi tà (in quanto essi non sono tenuti ad applicare le norme di di
ritto e il loro errore si esaurisce in tale applicazione, rimanendo
indifferente che queste siano state applicate, oppur no, corret
tamente), ma anche per gli arbitri che, contrariamente al man
dato ricevuto, abbiano giudicato secondo equità, poiché in que sto caso (quando il giudizio di equità non sia stato ritenuto dagli arbitri collimante con un giudizio di diritto e sia, anzi, escluso, come nel caso in esame, che vi fosse coincidenza tra i principi di equità con quelli di diritto) gli arbitri a priori non hanno in
teso conformarsi a principi di diritto, ma hanno scelto come mo dello decisionale un diverso ordinamento, qual è quello dell'equi tà. In tal caso manca, infatti, il parametro, cui la correttezza
giuridica della decisione possa confrontarsi e con riferimento al
quale possano configurarsi specifici errori di diritto deducibili ai
sensi dell'art. 829, 2° comma; e la denuncia dell'eccesso di po tere, nel quale siano incorsi gli arbitri nel pronunziare in base
all'equità e non secondo diritto, è esaustiva dell'onere di impu gnazione e assorbe ogni specifica censura di diritto.
La tesi contraria rivela la sua debolezza allorché si è dovuto coerentemente farne discendere la conseguenza che, mentre l'ap plicazione dei principi di equità da parte dell'arbitro rientrereb be nella previsione dell'ultimo comma e non in quella del 1°
comma, n. 4, dell'art. 829, l'ipotesi inversa non rientrerebbe in nessuna delle due, poiché mancherebbero gli estremi della impu gnazione. Cosi ragionando, non solo si regolano difformemente due fattispecie che hanno un sostanziale fondamento comune e si limiti gravemente la difesa delle parti senza giustificazione al
cuna, ma non si considera che la verifica della natura dell'arbi trato — di diritto o di equità — attiene non al momento del giu dizio bensì a quello anteriore della determinazione della potestas iudicandi degli arbitri, il cui errore costituisce un tipico eccesso di potere giurisdizionale e dà luogo ad una pronunzia fuori dai limiti del compromesso.
Esattamente, dunque, la corte d'appello ha ritenuto ammissi bile l'impugnazione del lodo per eccesso di potere degli arbitri e rimane indifferente accertare la fondatezza, o meno, dell'assun to del comune di avere sostanzialmente denunciato specifiche violazioni di norme di diritto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 11 aprile
1983, n. 2542; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P. M. La
Valva (conci, conf.); Meiners e altri (Avv. Villa, Ferrari) c. Fall. soc. Pro.R.A. Conferma App. Trento 18 luglio 1979.
Privilegio — Privilegio generale mobiliare — Amministratore di
società per azioni — Prestatore d'opera intellettuale — Assi
milabilità — Esclusione (Cod. civ., art. 2751 bis).
I crediti relativi ai compensi degli amministratori di società per azioni non sono assistiti dal privilegio generale mobiliare pre visto dall'art. 2751 bis, n. 2, c.c. per le retribuzioni dei pro
fessionisti e di ogni altro prestatore d'opera intellettuale. (1)
Svolgimento del processo. — Con domanda di ammissione al
passivo del 20 gennaio 1977, presentata al giudice delegato al
fallimento della s.p.a. Pro.R.A. presso il Tribunale di Rovereto, Meiners Giovanni, Lupi Bruno, Po Angelo e Po' Richeldi An
na insinuavano i crediti rispettivamente di lire 2.920.000, lire
2.740.000, lire 10.307.630, lire 7.120.000, maturati quali membri
del consiglio di amministrazione della società fallita, chieden
done l'ammissione in via privilegiata ai sensi dell'art. 2751 bis,
n. 2, c.c. (art. 2 1. 29 luglio 1975 n. 426).
Il giudice delegato ammetteva i crediti in via chirografaria e
gli interessati ricorrevano, chiedendo il privilegio ai sensi del
l'art. 2751 bis c.c. Il Tribunale di Rovereto respingeva la do
manda con sentenza 14 novembre 1977, confermata (perdurando la contumacia del fallimento) dalla Corte d'appello di Trento
con sentenza 18 luglio 1979. A sostegno della decisione la corte
trentina osservava che l'art. 2751 bis, n. 2, c.c. non intende pri
vilegiare una situazione genericamente retributiva, ma i crediti
derivanti da contratti tipici espressamente indicati. Per « presta tore d'opera intellettuale » deve intendersi non già il soggetto che genericamente svolga un'attività di fatto qualificabile come
frutto dell'intelletto, ma colui che — essendo parte di un rap
porto che ha per oggetto prestazioni d'opera intellettuale (art. 2230 c.c.) — trae il suo credito da un contratto tipico discipli nato dal capo II del titolo III del libro V del codice civile.
L'assimilazione degli amministratori alla figura dei prestatori
d'opera intellettuale desta notevoli perplessità, innanzitutto per ché l'attività dell'amministratore, più che intellettuale, dovrebbe
qualificarsi di natura giuridico-amministrativa; in secondo luo
go perché la stessa derivazione contrattuale del rapporto fra
organo ed ente non è da tutti condivisa. Infatti l'immedesimazio ne organica fra amministratore e persona giuridica lascia pen sare ad un atto unilaterale di nomina da parte della assemblea
rispetto al quale l'accettazione non si configura come una mera
adesione ad una proposta contrattuale. Infine, secondo la corte
trentina, la legge impone agli amministratori la diligenza del mandatario (art. 2932 c.c.), mostrando con ciò — ed indipenden temente dalla natura contrattuale del rapporto — di rifarsi ad uno schema giuridico diverso da quello del contratto d'opera intellettuale.
Avverso la suddetta sentenza, non notificata, Giovanni Mei
ners, Angelo Po e Anna Richeldi Po hanno proposto ricorso
(1) Non constano precedenti editi in termini. In dottrina si esclude, conformemente alla decisione riportata, che
il credito dell'amministratore di società per i compensi della propria attività sia assistito dal privilegio di cui all'art. 2751 bis, n. 2, c.c.; ciò in base alla considerazione secondo la quale il rapporto di am ministrazione può definirsi « rapporto organico e non di lavoro, na scente non da un consenso contrattuale ma da due atti unilaterali, la nomina e l'accettazione » (G. Ruisi, A. e C. Palermo, I privilegi, in Giur. sistem. civ. e comm., fondata da Bigiavi, 1980, 386).
Sulla natura del rapporto fra società per azioni e suoi amministra tori v., per la tesi contrattualistica della fattispecie costitutiva del rapporto, Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Mila no, 1956, 56-59 e 71, ma già in tal senso G. Fanelli, La delega di potere amministrativo nelle s.p.a., Milano, 1952, 92 ss.; contra, nel senso cioè della tesi unilateralistica, v. Frè, Società per azioni, in Commentario, a cura di Scialoja e (Branca, 1982, 426 s., nonché L'organo amministrativo nelle società anonime, Roma, 1938, 25 ss. (per una variante a quest'ultima tesi cfr. Galgano, Le società per azioni, Bologna, 1978, 129 s.).
Per l'ammissibilità del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, relativa mente ai compensi spettanti ai sindaci di società per azioni, v. Cass. 23 aprile 1975, n. 1579, Foro it., 1976, I, 1670, con nota di richiami, a cui dire l'opera prestata dai sindaci non può essere inquadrata nel rapporto di lavoro subordinato e l'attività di controllo esplicata ha indubbiamente carattere intellettuale.
Sul problema, senz'altro più frequente, del privilegio spettante al l'amministratore di società per azioni in qualità di lavoratore subor dinato, v., da ultimo, G. Ruisi, A. e C. Palermo, cit., 385 s.
This content downloaded from 188.72.126.25 on Wed, 25 Jun 2014 04:03:39 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
per cassazione. Il fallimento della soc. Pro.R.A. non si è co stituito.
Motivi della decisione. — Col primo motivo i ricorrenti de ducono la violazione dell'art. 2751 bis, n. 2, c.c. nella parte in cui dispone che hanno privilegio generale sui mobili i crediti
riguardanti le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro pre statore d'opera intellettuale dovute per gli ultimi due anni di
pestazione, osservando che il compenso dell'amministratore è in dubbiamente una retribuzione per l'attività di prestazione d'ope ra intellettuale dallo stesso prestata a favore della società.
Il motivo è infondato. L'art. 2751 bis, n. 2, c.c. (che succede
all'originario testo dell'art. 2751, n. 5, e lo modifica soltanto
per quanto riguarda il riferimento temporale) conferisce privi
legio generale mobiliare alle retribuzioni dei professionisti e di
ogni altro prestatore d'opera intellettuale e deve essere inter
pretato alla luce della norma fondamentale dell'art. 2745 se
condo cui il privilegio è accordato dalla legge in considerazione
della causa del credito, nonché del principio secondo cui le
norme che disciplinano i privilegi non sono suscettibili di inter
pretazione analogica (Cass. 30 maggio 1960, n. 1398, Foro it.,
Rep. 1960, voce Privilegio, n. 9), in quanto i privilegi sono tipici e non ne sono ammessi altri all'infuori di quelli esplicitamente considerati dalla legge.
La legge effettua una valutazione tipica della preferenza ac
cordata in relazione allo scopo pratico del credito; ma poiché,
appunto, tale valutazione è fatta esclusivamente dalla legge, in
relazione al contenuto economico di certi crediti, è stato esatta
mente osservato in dottrina che la « causa del credito » non
può fornire un criterio autonomo di interpretazione, perché essa si converte nella ratio legis delle singole norme e cioè non
aggiunge niente al criterio fondamentale di cui al 1° comma del
l'art. 12 disp. prel. c. c. (restando escluso il ricorso al 2°
comma del medesimo articolo). In sede descrittiva dei singoli
privilegi può identificarsi la « causa del credito » ed in base ad
essa risolvere i casi dubbi.
Nella norma che i ricorrenti assumono essere stata violata
dalla corte d'appello la causa del credito (di retribuzione) è
la prestazione d'opera intellettuale. La formula mette in primo
piano la retribuzione dei professionisti, ma in realtà si tratta di
un caso particolare, rientrando nella pili ampia categoria della
prestazione di opera intellettuale, come risulta dalle parole « ogni altro » le quali implicano che anche il caso espressamente con
siderato per primo e cioè quello dei « professionisti » rientra
nello stesso genere aggiunto in secondo luogo. La formula richiama, per l'identità delle espressioni, gli art.
2229 e 2230 c.c., che si riferiscono rispettivamente all'esercizio
delle professioni intellettuali ed al contratto che ha per ogget to una prestazione d'opera intellettuale (sia o meno compiuta da
un professionista nel senso in cui all'art. 2229); contratto il cui
connotato essenziale è l'autonomia od assenza di subordinazio
ne, ex art. 2222 c.c. Il quesito a cui si deve rispondere è, quindi, se l'amministratore di società per azioni sia un prestatore d'ope ra intellettuale. La risposta è negativa.
La dottrina ha affrontato il problema sotto diversi profili, uno
dei quali consiste nel rilevare che, tramite il rinvio che l'art.
2751 bis, n. 2 (e, prima di esso, l'art. 2751, n. 5) fa all'art. 2230
c.c., dovrebbe considerarsi elemento essenziale del credito pri
vilegiato la fonte contrattuale del credito stesso, in quanto l'art. 2230 disciplina appunto, un «contratto». Poiché, secondo que sta parte della dottrina, il rapporto che lega l'amministratore
alla società per azioni non è di natura contrattuale, ma deriva
da una designazione nell'atto costitutivo e da una nomina del
l'assemblea (art. 2382 c.c.), si dovrebbe escludere a favore del
l'amministratore il privilegio di cui si tratta.
Il collegio non ritiene decisivo il suddetto approccio al pro blema, tanto è vero che un'altra parte della dottrina, che pure afferma la natura contrattuale del rapporto, nega egualmente il privilegio. Non è necessario affrontare pertanto la questione
(limitandosi a rammentare che dalla motivazione di Cass. 22
luglio 1969, n. 2755, id., Rep. 1970, voce Società, n. 198, sem
bra sottolineato l'accordo come fonte del rapporto organico;
rapporto organico ribadito di recente da Cass. 20 aprile 1982,
n. 2449, id., 1982, I, 2439) perché, anche data per ammessa la
qualificazione contrattuale, non ne viene la necessaria conse
guenza che si tratti di un contratto di prestazione d'opera intel
lettuale nel senso di cui all'art. 2230 c.c.
L'unico profilo decisivo è — come si è già cennato — l'iden
tificazione della ratio legis della concessione del privilegio ge nerale mobiliare nel rapporto di corrispettività fra una retribu
zione ed una «prestazione d'opera intellettuale». Il primo ele
mento esiste in capo agli amministratori di società di capitali
(cfr. la citata Cass. n. 2755 del 1969, nonché Cass. 26 gennaio 1976, n. 243, id., 1976, I, 613), ma non esiste il secondo, in
quanto la prestazione degli amministratori non può considerarsi
quella di un'opera intellettuale.
Oggetto dell'attività degli amministratori di una società di
capitali non è soltanto il compimento di atti giuridici per conto di essa (e pertanto si deve escludere che essi siano legati da
un rapporto di mandato, diverso essendo il significato del rinvio
alla diligenza del mandatario posto dall'art. 2392 c.c. come pa rametro della responsabilità). Gli amministratori, costituendo
l'organo al quale è commessa la gestione dell'impresa sociale, devono, fra l'altro, occuparsi della sua organizzazione interna a
predisporre e curare lo svolgimento della attività in cui consiste
l'oggetto della società.
A tal fine è indispensabile che essi posseggano ed applichino
cognizioni di ordine tecnico, anche se variabili per quantità e
qualità secondo la natura dell'oggetto sociale e le dimensioni
dell'impresa, perché sia loro possibile organizzare l'attività di
retta al conseguimento di tale oggetto, stabilire programmi, ef
fettuare scelte, impartire direttive o esercitare controlli (Cass. 11 ottobre 1969, n. 3284, id., Rep. 1970, voce cit., nn. 188-190).
L'attività amministrativa è quell'attività che viene svolta per il raggiungimento dell'oggetto sociale e cioè lo svolgimento di
un'attività economica che si converte nell'esercizio di una im
presa. L'attività amministrativa, in quanto diretta al persegui mento dell'oggetto sociale, si salda alla attività di esercizio del
l'impresa e chi è incaricato di amministrare deve necessaria
mente affrontare i problemi ad essa connessi. È vero che la co
noscenza di chi è investito della gestione dell'impresa dovreb
bero abbracciare un campo vastissimo che va dalla organizza zione iniziale dell'impresa agli aggiustamenti di essa; dalla pro duzione alla vigilanza sulla mano d'opera; dalle ricerche di
mercato alla previsione di analisi della congiuntura, ecc.
Ma quello che la legge prende in considerazione non è la mera
prestazione dell'opera intellettuale coordinata con le suddette
conoscenze, opera che, in una o più delle sue esplicazioni, può essere commessa anche dall'amministratore ad un terzo, quan to l'amministrare è cioè l'attività pratico-economica rivolta alla
cura del patrimonio ed all'esercizio dell'impresa. L'opera intel
lettuale consiste nell'applicazione concreta di cognizioni tecni
che e scientifiche nell'opera stessa, che è l'oggetto della presta zione. L'amministrazione ha invece una sfera di attività assai
più ampia ed indeterminata, che consiste essenzialmente nell'or
ganizzare i fattori della produzione, fra cui il lavoro di terzi.
Invece il prestatore d'opera intellettuale, per definizione, com
pie l'opera promessa al committente soprattutto mediante la sua
personale attività.
Non esiste, pertanto, l'identità di ratio fra prestazione d'opera intellettuale e prestazione dell'amministratore di società di ca
pitali che permetterebbe al secondo di invocare l'art. 2751 bis, n. 2, c.c.
Per completezza, deve rammentarsi che la suddetta identità
di ratio è stata invece affermata, per le retribuzioni dei sindaci
delle società di capitali, da Cass. 23 aprile 1975, n. 1579 (id.,
1976, I, 1670); e ben a ragione, perché i sindaci possono con
siderarsi prestatori d'opera intellettuale in quanto la loro atti
vità è limitata a quei compiti di controllo, di vigilanza, di ac
certamento contabile ed ispettivo (art. 2403 c.c.) che concretano
l'espletamento di un'opera meramente intellettuale, tramite l'ap
plicazione di cognizioni tecniche, contabili e legali negli atti di
controllo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 30 marzo
1983, n. 2307; Pres. Sandulli, Est. Caizzone, P. M. Mar
tinelli (conci, conf.); Soc. Sibep (Avv. Troilo) c. Min.
finanze. Conferma App. L'Aquila 17 dicembre 1979.
Concessioni governative (tassa sulle) — Detenzione di macchine
frigorifere — Distributori automatici di bevande — Applicabilità della tassa (D.p. r. 1° marzo 1961 n. 121, t.u. delle disposi zioni in materia di tasse sulle concessioni governative, all. A
n. 133; d. p. r. 26 ottobre 1972 n. 641, disciplina delle tasse
sulle concessioni governative, ali. A, n. 87).
La detenzione di apparecchi per la distribuzione automatica di
bevande è soggetta alla tassa sulle concessioni governative pre vista per le macchine frigorifere (nella specie, è stata conferma ta la sentenza di merito che aveva ritenuto la refrigerazione
requisito essenziale per la stessa commercializzazione del pro
Il Foro Italiano — 1983 — Parte I- 80.
This content downloaded from 188.72.126.25 on Wed, 25 Jun 2014 04:03:39 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions