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sezione I civile; sentenza 16 luglio 2002, n. 10296; Pres. Grieco, Est. Salmè, P.M. Golia (concl....

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sezione I civile; sentenza 16 luglio 2002, n. 10296; Pres. Grieco, Est. Salmè, P.M. Golia (concl.conf.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. Veroni) c. Comune di Roma; Comune di Roma(Avv. Tomasuolo) c. Soc. Imprese costruzioni riunite. Conferma App. Roma 24 luglio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 3039/3040-3043/3044Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196682 .

Accessed: 24/06/2014 22:57

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3039 PARTE PRIMA 3040

È avviso della corte — conformemente a quanto sostenuto in

analoghe occasioni (cfr., in particolare, Cass. 5219/97, id.,

1997, I, 2917) — che le retribuzioni da corrispondersi al lavo

ratore a seguito e per effetto della dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli e del correlativo ordine di reinte

grazione nel posto di lavoro, cui il datore di lavoro ometta di

ottemperare, siano quelle che egli avrebbe percepito, secondo

un criterio di onnicomprensività, se non vi fosse stata l'estro

missione di fatto dall'azienda, perpetuata da tale mancata ot

temperanza. Ben vero, nel nostro ordinamento non è configurabile un

principio generale di onnicomprensività della retribuzione; ma

ciò significa soltanto che, ove si ponga un problema di defini

zione del contenuto di un'obbligazione retributiva, la soluzione

non può essere improntata sempre all'adozione del medesimo

criterio di onnicomprensività, trattandosi, invece, di indagare caso per caso, al fine di verificare se un criterio siffatto sia stato

o meno recepito dalle disposizioni legali o contrattuali applica bili alla fattispecie (v., per tutte, Cass., sez. un., 1° aprile 1993,

n. 3889, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1657).

Orbene, dopo la sentenza delle sezioni unite di questa corte

13 aprile 1988, n. 2925 (id., 1988,1, 1493), costituisce ormai ius receptutn che il diritto alla percezione delle retribuzioni sud

dette si fonda sulla riaffermata vigenza della lex contractus e

sulla ininterrotta continuità del rapporto di lavoro con la corre

lativa equiparazione alla effettiva utilizzazione delle energie la

vorative del dipendente, della mera utilizzazione di esse, in re

lazione alla disponibilità del lavoratore, ove richiesto, a ripren dere servizio, salvo la prova, contraria, a carico del datore di la

voro, della mancanza di detta disponibilità (v., ex plurimis, Cass. 13 gennaio 1993, n. 315, id., 1993,1, 396).

Questa equiparazione implica di per sé che l'identificazione

del contenuto dell'obbligazione retributiva dipenda, ai sensi e

per gli effetti di cui all'art. 18 1. n. 300 del 1970, non da para metri teorici ed astratti, ma dalla concreta posizione che il lavo

ratore aveva al momento del licenziamento illegittimo, vale a

dire dal coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali

od eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione

con le modalità proprie della prestazione lavorativa implicata dalla posizione suddetta, ancorché eccedenti la retribuzione

base.

Opinare diversamente significherebbe frustrare il risultato, coerente con la ratio della c.d. «tutela reale» del posto di lavoro, di neutralizzare compiutamente gli effetti del licenziamento il

legittimo, giacché, ove fosse ipotizzabile, per il lavoratore rein

tegrando, una retribuzione minore di quella che avrebbe otte

nuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negati ve di un illecito altrui, in assenza di qualsiasi sopravvenuta cir

costanza idonea ad interrompere legittimamente il nesso causale

fra questo e quelle. In effetti, vero è che il datore di lavoro, nei limiti dello ius

variandi attribuitogli dall'art. 2103. c.c., nel testo modificato

dall'art. 13 1. 20 maggio 1970 n. 300, ben potrebbe destinare il

lavoratore ad altra posizione che si caratterizzi per l'assenza di

modalità della prestazione tali da comportare le suddette ecce

denze retributive; ma non è men vero che, mentre il ripristino della lex contractus, nei sensi sopra esposti, comporta la rico

stituzione del rapporto quale era in corso di svolgimento al mo

mento del recesso illegittimo, l'esercizio dello ius variandi co

stituisce una mera eventualità, come tale inidonea a recidere il

rapporto di conseguenzialità necessaria fra tutela ripristinatoria e parametrazione dell'obbligazione retributiva sulla posizione lavorativa ripristinata, almeno fino a quando, avvenuta la rein

tegrazione o contestualmente ad essa, tale eventualità non si

concreti — come è avvenuto nel caso in esame —, attraverso

una specifica disposizione del datore di lavoro,

Ulteriore, ma non meno importante, è l'argomento che si trae

dallo stesso art. 18 1. n. 300 del 1970, che fa espressamente ri

corso ad una nozione di retribuzione onnicomprensiva, richia

mando il disposto dell'art. 2121 c.c.

Non rileva in contrario la circostanza che il richiamo sia ef

fettuato in sede di determinazione dei criteri di liquidazione del

risarcimento del danno. Infatti, pur presupposta l'indiscutibile

diversità fra tutela risarcitoria e tutela ripristinatoria (in entram

be le quali sembra inquadrarsi l'obbligazione che è in contesta

zione nella presente controversia), resta nondimeno evidente un

Il Foro Italiano — 2002.

dato che accomuna entrambe le situazioni cui le dette tutele so

no riferibili, vale a dire la carenza della prestazione lavorativa

per fatto addebitabile al datore di lavoro, così prima, come dopo l'ordine di reintegrazione.

È, allora, consentito desumerne che a questo comune sostrato

materiale corrisponda una comune nozione di retribuzione, an

corché piegata, nell'una forma di tutela alla funzione di para

metro per la quantificazione del danno sopportato dal lavorato

re, nell'altra, invece, ad oggetto di una specifica obbligazione nascente dalla reviviscenza della lex contractus, secondo la già

ricordata ratio di una disciplina funzionale, nel suo complesso, alla eliminazione di qualsivoglia pregiudizio prodotto dal licen

ziamento illegittimo. In questo senso la nozione di retribuzione onnicomprensiva si

colloca come perno su cui si articolano e si collegano le due

forme di tutela apprestate dalle due proposizioni in cui si com

pendia il 2° comma dell'art. 18 1. n. 300 del 1970, nel testo pre

vigente alla novella del 1990 (in termini, pressoché analoghi a

quelli sopra esposti, v. ancora Cass. 5219/97).

Ma, anche in seguito alla novella del 1990, la soluzione alla

questione in oggetto — nei limiti in cui la controversia si pone

— non muta giacché la spettanza al lavoratore illegittimamente licenziato di una «indennità commisurata alla retribuzione glo bale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'ef

fettiva reintegrazione» (v. 4° comma), assume un preciso rilievo

cognitivo della comune sostanza delle situazioni di cui sopra. Deve quindi convenirsi con quanto ritenuto dal giudice d'ap

pello secondo cui il concetto di «retribuzione globale di fatto»

non coincide con il concetto di prestazione minima garantita dalla lex contractus, come sostenuto dalla Iveco, giacché l'uso

delle espressioni «globale» e «di fatto» indica con chiarezza che

il legislatore, in armonia con la ratio posta a base della inter

pretazione sopra fornita del 2° comma del vecchio testo dell'art.

18, ha inteso ricomprendere tutti i compensi ricollegati alle con

crete modalità di prestazione dell'attività lavorativa, con esclu

sione dei soli compensi occasionali ed eccezionali.

Pertanto, anche i compensi per lavoro straordinario e le in

dennità turni, ove siano determinati —così come accertato, nel

caso in esame, dal giudice di merito — dal costante svolgimento della prestazione lavorativa per quarantotto ore settimanali su

turni avvicendati, devono essere ricompresi nella retribuzione

utile ai fini del calcolo delle mensilità dovute al lavoratore dalla

data del licenziamento a quella della reintegrazione. Il ricorso va, quindi, rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 lu

glio 2002, n. 10296; Pres. Grieco, Est. Salme, P.M. Golia

(conci, conf.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. Veroni) c. Comune di Roma; Comune di Roma (Avv. Tomasuolo) c.

Soc. Imprese costruzioni riunite. Conferma App. Roma 24 lu

glio 1995.

Procedimento civile — Comparse conclusionali — Sciopero

degli avvocati — Adesione del difensore di una delle parti — Mancato deposito

— Irrilevanza — Fattispecie (Cost.,

art. 24; cod. proc. civ., art. 156, 161, 190).

Poiché il diritto del difensore di ottenere un differimento della

trattazione della causa a seguito della propria adesione al

l'astensione dalle udienze deliberata dal competente organi smo forense postula che la volontà di adesione dello stesso

professionista sia stata portata previamente a conoscenza dell 'ufficio giudiziario, la mancata predisposizione e deposito della comparsa conclusionale non costituisce impedimento allo svolgimento dell'udienza collegiale già fissata ove in tal

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sede i difensori delle parti chiedano concordemente che la

causa venga posta in decisione. ( 1 )

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 27 lu

glio 1990 la società Imprese costruzioni riunite — I.c.r. — ha

convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma il comune di Roma, chiedendo che fosse condannato al pagamento della

somma di lire 563.520.419, corrispondenti al contenuto delle

pretese avanzate mediante tempestiva iscrizione di riserve, in

relazione all'appalto per la costruzione dell'adduttrice ovest

dell'impianto di depurazione di «Roma nord», dell'importò di lire 1.057.018.680, stipulato nel 1976. Dette riserve avevano ad

oggetto: a) gli oneri sopportati a seguito della mancata corré

sponsione dell'anticipazione del cinquanta per cento dell'im

(1) Fattispecie concreta priva di precedenti negli esatti termini, ri solta con l'applicazione del principio enunciato da Cass. 19 dicembre

1997, n. 12841 (Foro it., Rep. 1997, voce Avvocato, n. 64), relativa an ch'essa ad ipotesi di comportamento omissivo (in quel caso si trattava di mera assenza del difensore all'udienza di discussione in un .giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione. La fattispecie odierna, per quel che se ne può ricavare dalla lettura della sentenza di cassazione, era connotata da un più alto tasso di equivocità in quanto il fatto del mancato deposito della comparsa conclusionale in sé non lascia univo camente percepire né la mancata redazione dell'atto né, tantomeno, la volontà di aderire con ciò al c.d. sciopero degli avvocati, qualora poi i

procuratori delle parti compaiano regolarmente all'udienza collegiale). V. pure Cass., ord. 1° febbraio 1991, n. Ill, id., 1991, I, 1319, rela

tiva a fattispecie di mancata predisposizione della memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. in previsione dello sciopero congiunto dei giudici e degli avvocati indetto per il giorno 1° febbraio 1991: in tale circostanza si è osservato che l'omessa presentazione della memoria «non può giustifi carsi in conseguenza di uno 'sciopero' proclamato per il giorno in cui è stata fissata l'adunanza della camera di consiglio, ma costituisce una scelta da parte dell'avvocato» (sia pure motivata da una presunzione che la citata ordinanza ha definito «niente affatto ragionevole» in me rito al mancato svolgimento dell'udienza, stante la libertà per i singoli di astenersi o meno dalle udienze in occasione degli scioperi proclamati dalle associazioni di categoria). Da ultimo, v. Cass. 9 maggio 1996, n.

4349, id., Rep. 1996, voce Separazione di coniugi, n. 93; 1° ottobre 1997, n. 9576, id.. Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 115; 8

aprile 1998, n. 3632, id., 1998, I, 1841, mentre, nella giurisprudenza di

merito, v. Pret. Sant'Angelo dei Lombardi 18 dicembre 1998, id.. Rep. 2000, voce Avvocato, n. 74 (e Giur. merito, 2000, 53, con nota di Gior

GIANNI). ;

Corte cost. 27 maggio 1996. n. 171, ricordata in motivazione, si leg ge in Foro it., 1997, I, 1027, con nota di G. Pino; da ultimo, con ordi nanza 20 maggio 1^98,"n. 175 (id., Rep. 1999, voce Procedimento ci vile, n. 83, e, per esteso, Giur. costit., 1998, 1469), il giudice delle leggi ha ordinato la restituzione al giudice a quo degli atti relativi ai giudizi di legittimità costituzionale degli art. 84, 85, 169, 2° comma, 208 e 309

c.p.c. e dell'art. 104, 2° congnia, r.d. 18 dicembre 1941 n. 1368 (dispo sizioni per l'attuazione del codice di procedura civile), sospettati di collidere con gli art. 3, 24, 40, 41, 2° comma, 97 e 101, 2° comma, Cost., per un riesame della rilevanza, «in quanto con sentenza n. 171 del 1996 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 1° e 5° comma, 1. n. 146 del 1990 (nella parte in cui non prevede, nel caso dell'astensione collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati, l'ob

bligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale del l'astensione e non prevede, altresì, gli strumenti idonei ad assicurare le

prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza); ed in quanto con tale sentenza e con le successive ordinanze n. 273 e n. 318 del 1996 (Foro it., Rep. 1997, vo ce Dibattimento penale, nn. 55 e 56) n. 105 e n. 106 del 1998 (id., Rep. 1998, voce Sciopero, n. 34, e ibid., voce Dibattimento penale, n. 85) si è già chiarito come la libertà dei professionisti non sia assoluta, spet tando al giudice il potere di bilanciare i valori in conflitto, sì da far re cedere — se del caso — quella libertà a fronte di valori costituzional mente rilevanti».

Sulle modalità ed i limiti dell'astensione, v., sia pure con riferimento al regime anteriore alla modifica della 1. 146/90 operata dalla 1. 83/00, Comm. garanzia attuaz. legge sciopero serv. pubbl. essenziali 3 feb braio 2000, nn. 46 e 64, id., 2000, III, 328, con nota di G. Pino.

Sull'opposto versante, v. invece Cons. naz. forense 27 settembre 1999

(id., Rep. 2000, voce Avvocato, n. 75, e Rass. forense, 2000, 153), Per un primo commento al nuovo regime, v. AM. Perrino, in Foro it., 2000, I, 1795; G. Pera, in Corriere giur., 2000, 705 ss.; A.V. Izar, in Dir. e pratica lav., 2001, fase. 6; amplius, G. Fontana, in Nuove leggi civ., 2000, 960 ss., 968 s.; A. D'Atena, C. Piazza, G. Frigo, B.N. Bu

cicco, E. Ales, C. La Macchia, E. Gianfrancesco, in Guida al dir., 2000, fase. 15, 14 ss.; C. Ponari, in Le regole dello sciopero - Com mento sistematico alla l. 83/00 a cura di F. Santoni, Napoli, 2001. 25 ss.

Il Foro Italiano — 2002.

porto contrattuale; b) gli oneri derivanti dalle sospensioni; c) l'errata applicazione della penale per ritardata consegna dei la

vori; d) l'errata applicazione della revisione prezzi sui lavori

eseguiti in economia, in quanto non avrebbe dovuto essere de

tratta l'alea contrattuale del cinque per cento.

Il comune ha eccepito l'improponibilità della domanda, per non essere ancora intervenuta la decisione amministrativa sulle

riserve, e, nel merito, L'infondatezza.

Con sentenza del 3 giugno 1992 il tribunale ha rigettato la

domanda e tale pronuncia è stata confermata dalla corte d'ap pello.

Per quanto ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha

osservato che:

a) non poteva essere accolta la richiesta di rimessione della

causa sul ruolo, avanzata dalla I.c.r., successivamente all'udien

za in cui la causa è stata riservata per la decisione, sulla base della ragione che, a causa dell'adesione a uno sciopero degli avvocati, non era stata predisposta la comparsa conclusionale e

l'avvocato intervenuto all'udienza collegiale, in sostituzione dei

difensori, per prendere atto del rinvio, aveva dichiarato che i di

fensori stessi avevano aderito allo sciopero. (Omissis)

Ayverso la sentenza della Corte d'appello di Roma la I.c.r. ha

proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, ai quali re

siste con controricorso il comune, che ha anche proposto ricorso

incidentale condizionato affidato a due motivi. La I.c.r. resiste

con controricorso al ricorso incidentale avversario e ha presen tato memoria.

Motivi della decisione, — 1. - Con il primo motivo la società

ricorrente deduce la nullità della sentenza e vizio di motivazio

ne, censurando il rigetto dell'istanza di rimessione della causa

sul ruolo avanzata il 16 giugno 1995. Con tale istanza si era so

stenuto che l'udienza collegiale del 13 giugno precedente avrebbe dovuto rinviarsi d'ufficio essendo in atto uno sciopero

degli avvocati, anche perché l'adesione a tale sciopero aveva

indotto i difensori della ricorrente a non predisporre la comparsa conclusionale. All'udienza collegiale era intervenuto un sosti

tuto dei difensori per prendere atto del rinvio d'ufficio e per di

chiarare di astenersi da qualsiasi attività processuale. La causa

era passata in decisione sulla sola richiesta dell'avvocatura co

munale.

La corte d'appello ha rigettato l'istanza di rimessione sul

ruolo osservando che l'adesione allo sciopero può giustificare la

mancata partecipazione all'udienza, ma non la mancata predi

sposizione della comparsa conclusionale; il sostituto dei difen

sori intervenuto all'udienza collegiale non aveva dichiarato la

volontà propria o quella del difensore sostituito di astenersi dal

l'udienza per l'adesione allo sciopero; il. difensore del comune non aveva dichiarato di astenersi dall'udienza.

Ad avviso della ricorrente il rigetto dell'istanza di rimessione

della causa sul ruolo sarebbe basato.su una motivazione incon

grua, perché, anche ad ammettere che lo sciopero degli avvocati

abbia ad oggetto solo la partecipazione allè udiènze, lo sciopero stesso dovrebbe costituire di per sé, e, quindi, indipendente mente dalla dichiarazione di adesione da parte dei difensori, un

legittimo impedimento allo svolgimento delle udienze che do

vrebbero essere rinviate d'ufficio.

Il motivo non è fondato. La stessa ricorrente ammette, non riproponendo alcuna censu

ra sul punto, che la mancata predisposizione della comparsa conclusionale, che non trova alcuna giustificazione nell'even

tuale adesione all'astensione delle udienze proclamata dall'av

vocatura, non è motivo sufficiente per consentire il differimento

dell'udienza collegiale. La tesi secondo la quale la proclamazione del c.d. sciopero

degli avvocati imporrebbe il rinvio d'ufficio dell'udiènza, indi pendentemente dal concreto,comportamento assunto dai difen

sori nella causa, non può essere condivisa.

In punto di fatto deve, innanzi tutto, rilevarsi che dagli atti di

causa, che, per la natura del vizio denunciato, possono essere

esaminati in questa sede, risulta che all'udienza collegiale del

13 giugno 1995 erano presenti (per mezzo di sostituti) i difenso

ri di entrambe le parti, che nessuno di èssi dichiarò di volersi

astenere dall'udienza e che anzi entrambi i difensori, come

emerge dal verbale dell'udienza collegiale, dopo essersi ripor tati alle conclusioni in atti, chiesero concordemente che la causa

venisse posta in decisione.

Ora, come è noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n.

171 del 1996 (Foro it., 1997, I, 1027), ha dichiarato l'illegitti

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3043 PARTE PRIMA 3044

mità costituzionale dell'art. 2, 1° e 5° comma, 1. 12 giugno 1990

n. 146, nella parte in cui non prevede, nel caso dell'astensione

collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati e dei procurato ri legali, l'obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell'astensione e non prevede altresì gli stru

menti idonei ad individuare e assicurare le prestazioni essenzia

li, nonché le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di

inosservanza. In presenza della lacuna legislativa conseguente mente verificatasi, come è stato affermato con costante orienta

mento da questa corte, spetta al giudice il potere di bilanciare i

valori in conflitto, così da far recedere — se del caso — la li

bertà sindacale a fronte di interessi sovraordinati, fra i quali va

annoverato il diritto inviolabile alla difesa tecnica.

Ne deriva che, come è stato affermato (Cass. 12841/97, id.,

Rep. 1997, voce Avvocato, n. 64), se è vero che è diritto indi

scutibile del difensore — che aderisca all'astensione dalle

udienze legittimamente deliberata dal competente organismo fo

rense — quello di ottenere un differimento della trattazione, in

dubbiamente valendo tale astensione quale legittimo impedi mento dello svolgimento delle previste attività processuali, e se

è altrettanto indubbio che lo svolgimento di quelle attività in

presenza di tale impedimento ben possa determinare, ove ne sia

da esse derivato pregiudizio al diritto di difesa, una nullità degli atti assunti, ma è al tempo stesso di tutta evidenza il fatto che

l'impedimento de quo ben deve essere previamente portato a

conoscenza dell'ufficio, anche mediante semplice dichiarazione

rassegnata a verbale della stessa udienza, in quanto la facoltà

del difensore, pur avendo origine o fonte da un deliberato «col

lettivo», si esercita mediante un atto di esternazione individuale,

la cui presenza è indefettibile, appartenendo alla sfera dei diritti

personali la facoltà di aderire, o meno, ad una decisione di

astensione dall'attività. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 luglio 2002, n. 9864; Pres. Senese, Est. Vidiri, P.M. Napoletano

(conci, conf.); Soc. Montepaschi Se.ri.t. (Avv. Calvo) c. Fer

lito (Avv. Rizzo). Conferma Trib. Catania 10 agosto 1999.

Lavoro (rapporto di) — Lavoratrici madri — Contratto a termine — Licenziamento — Illegittimità (Cost., art. 3, 37; 1. 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contratto di lavoro a

tempo determinato, art. 1, 2; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tu

tela delle lavoratrici madri, art. 2).

È illegittimo il licenziamento irrogato alla lavoratrice, gestante all'ottavo mese, la quale, assunta con contratto a termine, non informi il datore di lavoro del proprio stato. (1)

(1) I. - La motivazione della sentenza in epigrafe si fonda su due ar

gomenti: uno, generale, secondo cui la configurabilità dell'obbligo della lavoratrice di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di

gravidanza sarebbe di ostacolo alla sua assunzione; l'altro, specifica mente riferito al contratto a tempo determinato, per cui sussiste l'inte resse datoriale alla stipula del contratto in relazione al periodo non co

perto dall'astensione obbligatoria. La soluzione è confortata da richiami alla giurisprudenza comunita

ria. In particolare, Corte giust. 4 ottobre 2001, causa C-109/00, Tele Danmark (Foro it., 2002, IV, 36, con nota di richiami), citata in moti

vazione, facendo leva sulle direttive 76/207 e 92/85, ha affermato che

l'apposizione del termine al contratto di lavoro non incide sul carattere discriminatorio del licenziamento irrogato a motivo dello stato interes sante della lavoratrice, giacché è pur sempre la gravidanza a determi nare l'incapacità della dipendente ad adempiere il contratto di lavoro.

Conforme, con riguardo ad un'ipotesi in cui lo stato di gravidanza era avanzato e palese, Cass. 4 marzo 1988, n. 2248, id.. Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2124.

Il Foro Italiano — 2002.

Svolgimento del giudizio. — Con ricorso depositato in data 9

dicembre 1996, Alice Maria Sara Ferlito esponeva che in data

1° aprile 1996 era stata assunta dalla Montepaschi Se.ri.t. s.p.a.,

quale ufficiale esattoriale, con contratto a tempo determinato.

Riferiva anche che al momento dell'assunzione si trovava in

stato di gravidanza e che non aveva taciuto tale condizione, del

resto evidente, neanche all'ufficiale sanitario che aveva attestato

l'idoneità fisica allo svolgimento delle specifiche mansioni da

espletare. In data 9 aprile 1996 aveva presentato alla datrice di

lavoro la certificazione medica che documentava lo stato di gra vidanza all'ottavo mese, dal quale conseguiva l'astensione ob

bligatoria dal lavoro. Dopo che in data 14 maggio 1996 la

Montepaschi le aveva contestato quale «grave comportamento omissivo» l'avere taciuto «il già esistente impedimento», in data

19 giugno 1996 la Montepaschi le aveva comunicato la risolu

zione del rapporto di lavoro per giusta causa ai sensi dell'art.

II. - Per l'affermazione della tassatività delle ipotesi di deroga al di

vieto di licenziamento fissato dall'art. 2 1. 1204/71, Cass. 15 novembre

2001, n. 14219, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1298; 20 ottobre 1987, n.

7747, id., 1988,1,441. Sulla nozione di colpa grave che consente il licenziamento della la

voratrice gestante e puerpera, Cass. 21 settembre 2000, n. 12503, id.,

2001,1,110. Va segnalato che il d.leg. 26 marzo 2001 n. 151 (Le leggi, 2001, I,

2515) che contiene il testo unico delle disposizioni legislative in mate

ria di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma del

l'art. 15 1. 8 marzo 2000 n. 53, ha abrogato la disciplina apprestata dalla 1. 1204/71. Al testo unico vanno quindi aggiornati i riferimenti

normativi. Per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale del

l'art. 2 1. 1204/71 (il riferimento è oggi all'art. 54 d.leg. 151/01) nella

parte in cui non prevede(va) che la lavoratrice madre non possa essere

trasferita per un periodo non inferiore a quello in cui vige il divieto di

licenziamento, App. Milano 20 dicembre 2000, Foro it., Rep. 2001, vo

ce cit., n. 945. III. - In dottrina, v. C. Colapietro, Dalla tutela della lavoratrice ma

dre alla tutela della maternità e dell'infanzia: l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, in Giur. it., 2000, 1317; L. Paganuzzi, L. n. 1204 del 1971: dalla tutela della madre alla tutela della maternità, in Riv.

critica dir. lav., 1999, 787; L. Forte, La nullità del licenziamento per maternità, in Riv. giur. lav., 1999,1, 58.

IV. - Sulla spettanza dell'indennità sostitutiva del preavviso alla la

voratrice gestante o puerpera dimessasi nel periodo di vigenza del di vieto di recesso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni, v.

Trib. Cagliari 24 ottobre 1997, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 1295,

e, con specifico riguardo al contratto collettivo dei giornalisti, Trib. Milano 13 dicembre 2001 e 15 novembre 2001, Riv. critica dir. lav.,

2002, 417; per Pret. Milano 27 marzo 1982, Foro it., Rep. 1982, voce

cit., n. 1804, invece, compete l'indennità alla lavoratrice che si sia di messa entro il compimento del primo anno di età del bambino soltanto

qualora sia stata la necessità di accudire la prole a determinare la rinun cia al posto di lavoro. Contra, Cass. 19 agosto 2000, n. 10994, id.,

2000,1, 3108, secondo cui occorre, per riconoscere o meno l'indennità, che il datore di lavoro provi che la lavoratrice abbia iniziato un nuovo lavoro senza intervallo di tempo e che la lavoratrice a sua volta provi che il nuovo lavoro sia per lei meno vantaggioso sul piano patrimoniale o su quello non patrimoniale.

Il 5° comma dell'art. 55 d.leg. 151/01, che ha sostituito l'art. 12 1.

1204/71, ha previsto che, nel caso di dimissioni, la lavoratrice o il lavo ratore non sono tenuti al preavviso.

V. - Per l'affermazione che il preesistente stato di gravidanza non osta alla stipula del contratto di lavoro a termine ed alla configurabilità del diritto della lavoratrice all'indennità di maternità, cfr. Cass. 9 otto bre 1997, n. 9800, id., Rep. 1997, voce Previdenza sociale, n. 666; 24

agosto 1995, n. 8971, id., Rep. 1995, voce cit., n. 527. VI. - Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 17, 1° comma, 1.

1204/71, nella parte in cui esclude(va) la corresponsione dell'indennità

di maternità nell'ipotesi prevista dall'art. 2, lett. a), ossia in caso di li cenziamento per giusta causa che intervenga nel periodo di astensione

obbligatoria dal lavoro, Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 405, Famiglia e dir., 2002, 121, con nota di R. Nunin, Licenziamento per giusta causa ed indennità di maternità: la Consulta si pronuncia ancora a tutela delle lavoratrici madri. In applicazione dell'art. 27 1. 87/53, è stata di chiarata l'illegittimità costituzionale anche dell'art. 24, 1° comma,

d.leg. 151/01, nel quale è stato trasfuso il contenuto dell'art. 17. In ipotesi di risoluzione del rapporto per scadenza del termine, an

corché la scadenza si verifichi durante il periodo d'interdizione dal la voro previsto dall'art. 4 1. 1204/71 (sostituito dall'art. 16 d.leg. 151/01; v. anche l'art. 17), l'indennità di maternità compete soltanto per il pe riodo di effettiva durata del rapporto di lavoro: Cons. Stato, sez. VI, 13 novembre 2001, n. 5821, ibid., 402.

VII. - Cfr. anche Cons, giust. amm. sic. 2 giugno 1988, n. 104, Foro

it., Rep. 1988, voce Impiegato dello Stato, n. 255.

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