Click here to load reader
Click here to load reader
sezione I civile; sentenza 16 luglio 2002, n. 10296; Pres. Grieco, Est. Salmè, P.M. Golia (concl.conf.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. Veroni) c. Comune di Roma; Comune di Roma(Avv. Tomasuolo) c. Soc. Imprese costruzioni riunite. Conferma App. Roma 24 luglio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 3039/3040-3043/3044Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196682 .
Accessed: 24/06/2014 22:57
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 22:57:42 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3039 PARTE PRIMA 3040
È avviso della corte — conformemente a quanto sostenuto in
analoghe occasioni (cfr., in particolare, Cass. 5219/97, id.,
1997, I, 2917) — che le retribuzioni da corrispondersi al lavo
ratore a seguito e per effetto della dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli e del correlativo ordine di reinte
grazione nel posto di lavoro, cui il datore di lavoro ometta di
ottemperare, siano quelle che egli avrebbe percepito, secondo
un criterio di onnicomprensività, se non vi fosse stata l'estro
missione di fatto dall'azienda, perpetuata da tale mancata ot
temperanza. Ben vero, nel nostro ordinamento non è configurabile un
principio generale di onnicomprensività della retribuzione; ma
ciò significa soltanto che, ove si ponga un problema di defini
zione del contenuto di un'obbligazione retributiva, la soluzione
non può essere improntata sempre all'adozione del medesimo
criterio di onnicomprensività, trattandosi, invece, di indagare caso per caso, al fine di verificare se un criterio siffatto sia stato
o meno recepito dalle disposizioni legali o contrattuali applica bili alla fattispecie (v., per tutte, Cass., sez. un., 1° aprile 1993,
n. 3889, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1657).
Orbene, dopo la sentenza delle sezioni unite di questa corte
13 aprile 1988, n. 2925 (id., 1988,1, 1493), costituisce ormai ius receptutn che il diritto alla percezione delle retribuzioni sud
dette si fonda sulla riaffermata vigenza della lex contractus e
sulla ininterrotta continuità del rapporto di lavoro con la corre
lativa equiparazione alla effettiva utilizzazione delle energie la
vorative del dipendente, della mera utilizzazione di esse, in re
lazione alla disponibilità del lavoratore, ove richiesto, a ripren dere servizio, salvo la prova, contraria, a carico del datore di la
voro, della mancanza di detta disponibilità (v., ex plurimis, Cass. 13 gennaio 1993, n. 315, id., 1993,1, 396).
Questa equiparazione implica di per sé che l'identificazione
del contenuto dell'obbligazione retributiva dipenda, ai sensi e
per gli effetti di cui all'art. 18 1. n. 300 del 1970, non da para metri teorici ed astratti, ma dalla concreta posizione che il lavo
ratore aveva al momento del licenziamento illegittimo, vale a
dire dal coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali
od eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione
con le modalità proprie della prestazione lavorativa implicata dalla posizione suddetta, ancorché eccedenti la retribuzione
base.
Opinare diversamente significherebbe frustrare il risultato, coerente con la ratio della c.d. «tutela reale» del posto di lavoro, di neutralizzare compiutamente gli effetti del licenziamento il
legittimo, giacché, ove fosse ipotizzabile, per il lavoratore rein
tegrando, una retribuzione minore di quella che avrebbe otte
nuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negati ve di un illecito altrui, in assenza di qualsiasi sopravvenuta cir
costanza idonea ad interrompere legittimamente il nesso causale
fra questo e quelle. In effetti, vero è che il datore di lavoro, nei limiti dello ius
variandi attribuitogli dall'art. 2103. c.c., nel testo modificato
dall'art. 13 1. 20 maggio 1970 n. 300, ben potrebbe destinare il
lavoratore ad altra posizione che si caratterizzi per l'assenza di
modalità della prestazione tali da comportare le suddette ecce
denze retributive; ma non è men vero che, mentre il ripristino della lex contractus, nei sensi sopra esposti, comporta la rico
stituzione del rapporto quale era in corso di svolgimento al mo
mento del recesso illegittimo, l'esercizio dello ius variandi co
stituisce una mera eventualità, come tale inidonea a recidere il
rapporto di conseguenzialità necessaria fra tutela ripristinatoria e parametrazione dell'obbligazione retributiva sulla posizione lavorativa ripristinata, almeno fino a quando, avvenuta la rein
tegrazione o contestualmente ad essa, tale eventualità non si
concreti — come è avvenuto nel caso in esame —, attraverso
una specifica disposizione del datore di lavoro,
Ulteriore, ma non meno importante, è l'argomento che si trae
dallo stesso art. 18 1. n. 300 del 1970, che fa espressamente ri
corso ad una nozione di retribuzione onnicomprensiva, richia
mando il disposto dell'art. 2121 c.c.
Non rileva in contrario la circostanza che il richiamo sia ef
fettuato in sede di determinazione dei criteri di liquidazione del
risarcimento del danno. Infatti, pur presupposta l'indiscutibile
diversità fra tutela risarcitoria e tutela ripristinatoria (in entram
be le quali sembra inquadrarsi l'obbligazione che è in contesta
zione nella presente controversia), resta nondimeno evidente un
Il Foro Italiano — 2002.
dato che accomuna entrambe le situazioni cui le dette tutele so
no riferibili, vale a dire la carenza della prestazione lavorativa
per fatto addebitabile al datore di lavoro, così prima, come dopo l'ordine di reintegrazione.
È, allora, consentito desumerne che a questo comune sostrato
materiale corrisponda una comune nozione di retribuzione, an
corché piegata, nell'una forma di tutela alla funzione di para
metro per la quantificazione del danno sopportato dal lavorato
re, nell'altra, invece, ad oggetto di una specifica obbligazione nascente dalla reviviscenza della lex contractus, secondo la già
ricordata ratio di una disciplina funzionale, nel suo complesso, alla eliminazione di qualsivoglia pregiudizio prodotto dal licen
ziamento illegittimo. In questo senso la nozione di retribuzione onnicomprensiva si
colloca come perno su cui si articolano e si collegano le due
forme di tutela apprestate dalle due proposizioni in cui si com
pendia il 2° comma dell'art. 18 1. n. 300 del 1970, nel testo pre
vigente alla novella del 1990 (in termini, pressoché analoghi a
quelli sopra esposti, v. ancora Cass. 5219/97).
Ma, anche in seguito alla novella del 1990, la soluzione alla
questione in oggetto — nei limiti in cui la controversia si pone
— non muta giacché la spettanza al lavoratore illegittimamente licenziato di una «indennità commisurata alla retribuzione glo bale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'ef
fettiva reintegrazione» (v. 4° comma), assume un preciso rilievo
cognitivo della comune sostanza delle situazioni di cui sopra. Deve quindi convenirsi con quanto ritenuto dal giudice d'ap
pello secondo cui il concetto di «retribuzione globale di fatto»
non coincide con il concetto di prestazione minima garantita dalla lex contractus, come sostenuto dalla Iveco, giacché l'uso
delle espressioni «globale» e «di fatto» indica con chiarezza che
il legislatore, in armonia con la ratio posta a base della inter
pretazione sopra fornita del 2° comma del vecchio testo dell'art.
18, ha inteso ricomprendere tutti i compensi ricollegati alle con
crete modalità di prestazione dell'attività lavorativa, con esclu
sione dei soli compensi occasionali ed eccezionali.
Pertanto, anche i compensi per lavoro straordinario e le in
dennità turni, ove siano determinati —così come accertato, nel
caso in esame, dal giudice di merito — dal costante svolgimento della prestazione lavorativa per quarantotto ore settimanali su
turni avvicendati, devono essere ricompresi nella retribuzione
utile ai fini del calcolo delle mensilità dovute al lavoratore dalla
data del licenziamento a quella della reintegrazione. Il ricorso va, quindi, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 lu
glio 2002, n. 10296; Pres. Grieco, Est. Salme, P.M. Golia
(conci, conf.); Soc. Imprese costruzioni riunite (Avv. Veroni) c. Comune di Roma; Comune di Roma (Avv. Tomasuolo) c.
Soc. Imprese costruzioni riunite. Conferma App. Roma 24 lu
glio 1995.
Procedimento civile — Comparse conclusionali — Sciopero
degli avvocati — Adesione del difensore di una delle parti — Mancato deposito
— Irrilevanza — Fattispecie (Cost.,
art. 24; cod. proc. civ., art. 156, 161, 190).
Poiché il diritto del difensore di ottenere un differimento della
trattazione della causa a seguito della propria adesione al
l'astensione dalle udienze deliberata dal competente organi smo forense postula che la volontà di adesione dello stesso
professionista sia stata portata previamente a conoscenza dell 'ufficio giudiziario, la mancata predisposizione e deposito della comparsa conclusionale non costituisce impedimento allo svolgimento dell'udienza collegiale già fissata ove in tal
This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 22:57:42 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sede i difensori delle parti chiedano concordemente che la
causa venga posta in decisione. ( 1 )
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 27 lu
glio 1990 la società Imprese costruzioni riunite — I.c.r. — ha
convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma il comune di Roma, chiedendo che fosse condannato al pagamento della
somma di lire 563.520.419, corrispondenti al contenuto delle
pretese avanzate mediante tempestiva iscrizione di riserve, in
relazione all'appalto per la costruzione dell'adduttrice ovest
dell'impianto di depurazione di «Roma nord», dell'importò di lire 1.057.018.680, stipulato nel 1976. Dette riserve avevano ad
oggetto: a) gli oneri sopportati a seguito della mancata corré
sponsione dell'anticipazione del cinquanta per cento dell'im
(1) Fattispecie concreta priva di precedenti negli esatti termini, ri solta con l'applicazione del principio enunciato da Cass. 19 dicembre
1997, n. 12841 (Foro it., Rep. 1997, voce Avvocato, n. 64), relativa an ch'essa ad ipotesi di comportamento omissivo (in quel caso si trattava di mera assenza del difensore all'udienza di discussione in un .giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione. La fattispecie odierna, per quel che se ne può ricavare dalla lettura della sentenza di cassazione, era connotata da un più alto tasso di equivocità in quanto il fatto del mancato deposito della comparsa conclusionale in sé non lascia univo camente percepire né la mancata redazione dell'atto né, tantomeno, la volontà di aderire con ciò al c.d. sciopero degli avvocati, qualora poi i
procuratori delle parti compaiano regolarmente all'udienza collegiale). V. pure Cass., ord. 1° febbraio 1991, n. Ill, id., 1991, I, 1319, rela
tiva a fattispecie di mancata predisposizione della memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. in previsione dello sciopero congiunto dei giudici e degli avvocati indetto per il giorno 1° febbraio 1991: in tale circostanza si è osservato che l'omessa presentazione della memoria «non può giustifi carsi in conseguenza di uno 'sciopero' proclamato per il giorno in cui è stata fissata l'adunanza della camera di consiglio, ma costituisce una scelta da parte dell'avvocato» (sia pure motivata da una presunzione che la citata ordinanza ha definito «niente affatto ragionevole» in me rito al mancato svolgimento dell'udienza, stante la libertà per i singoli di astenersi o meno dalle udienze in occasione degli scioperi proclamati dalle associazioni di categoria). Da ultimo, v. Cass. 9 maggio 1996, n.
4349, id., Rep. 1996, voce Separazione di coniugi, n. 93; 1° ottobre 1997, n. 9576, id.. Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 115; 8
aprile 1998, n. 3632, id., 1998, I, 1841, mentre, nella giurisprudenza di
merito, v. Pret. Sant'Angelo dei Lombardi 18 dicembre 1998, id.. Rep. 2000, voce Avvocato, n. 74 (e Giur. merito, 2000, 53, con nota di Gior
GIANNI). ;
Corte cost. 27 maggio 1996. n. 171, ricordata in motivazione, si leg ge in Foro it., 1997, I, 1027, con nota di G. Pino; da ultimo, con ordi nanza 20 maggio 1^98,"n. 175 (id., Rep. 1999, voce Procedimento ci vile, n. 83, e, per esteso, Giur. costit., 1998, 1469), il giudice delle leggi ha ordinato la restituzione al giudice a quo degli atti relativi ai giudizi di legittimità costituzionale degli art. 84, 85, 169, 2° comma, 208 e 309
c.p.c. e dell'art. 104, 2° congnia, r.d. 18 dicembre 1941 n. 1368 (dispo sizioni per l'attuazione del codice di procedura civile), sospettati di collidere con gli art. 3, 24, 40, 41, 2° comma, 97 e 101, 2° comma, Cost., per un riesame della rilevanza, «in quanto con sentenza n. 171 del 1996 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 1° e 5° comma, 1. n. 146 del 1990 (nella parte in cui non prevede, nel caso dell'astensione collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati, l'ob
bligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale del l'astensione e non prevede, altresì, gli strumenti idonei ad assicurare le
prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza); ed in quanto con tale sentenza e con le successive ordinanze n. 273 e n. 318 del 1996 (Foro it., Rep. 1997, vo ce Dibattimento penale, nn. 55 e 56) n. 105 e n. 106 del 1998 (id., Rep. 1998, voce Sciopero, n. 34, e ibid., voce Dibattimento penale, n. 85) si è già chiarito come la libertà dei professionisti non sia assoluta, spet tando al giudice il potere di bilanciare i valori in conflitto, sì da far re cedere — se del caso — quella libertà a fronte di valori costituzional mente rilevanti».
Sulle modalità ed i limiti dell'astensione, v., sia pure con riferimento al regime anteriore alla modifica della 1. 146/90 operata dalla 1. 83/00, Comm. garanzia attuaz. legge sciopero serv. pubbl. essenziali 3 feb braio 2000, nn. 46 e 64, id., 2000, III, 328, con nota di G. Pino.
Sull'opposto versante, v. invece Cons. naz. forense 27 settembre 1999
(id., Rep. 2000, voce Avvocato, n. 75, e Rass. forense, 2000, 153), Per un primo commento al nuovo regime, v. AM. Perrino, in Foro it., 2000, I, 1795; G. Pera, in Corriere giur., 2000, 705 ss.; A.V. Izar, in Dir. e pratica lav., 2001, fase. 6; amplius, G. Fontana, in Nuove leggi civ., 2000, 960 ss., 968 s.; A. D'Atena, C. Piazza, G. Frigo, B.N. Bu
cicco, E. Ales, C. La Macchia, E. Gianfrancesco, in Guida al dir., 2000, fase. 15, 14 ss.; C. Ponari, in Le regole dello sciopero - Com mento sistematico alla l. 83/00 a cura di F. Santoni, Napoli, 2001. 25 ss.
Il Foro Italiano — 2002.
porto contrattuale; b) gli oneri derivanti dalle sospensioni; c) l'errata applicazione della penale per ritardata consegna dei la
vori; d) l'errata applicazione della revisione prezzi sui lavori
eseguiti in economia, in quanto non avrebbe dovuto essere de
tratta l'alea contrattuale del cinque per cento.
Il comune ha eccepito l'improponibilità della domanda, per non essere ancora intervenuta la decisione amministrativa sulle
riserve, e, nel merito, L'infondatezza.
Con sentenza del 3 giugno 1992 il tribunale ha rigettato la
domanda e tale pronuncia è stata confermata dalla corte d'ap pello.
Per quanto ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha
osservato che:
a) non poteva essere accolta la richiesta di rimessione della
causa sul ruolo, avanzata dalla I.c.r., successivamente all'udien
za in cui la causa è stata riservata per la decisione, sulla base della ragione che, a causa dell'adesione a uno sciopero degli avvocati, non era stata predisposta la comparsa conclusionale e
l'avvocato intervenuto all'udienza collegiale, in sostituzione dei
difensori, per prendere atto del rinvio, aveva dichiarato che i di
fensori stessi avevano aderito allo sciopero. (Omissis)
Ayverso la sentenza della Corte d'appello di Roma la I.c.r. ha
proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, ai quali re
siste con controricorso il comune, che ha anche proposto ricorso
incidentale condizionato affidato a due motivi. La I.c.r. resiste
con controricorso al ricorso incidentale avversario e ha presen tato memoria.
Motivi della decisione, — 1. - Con il primo motivo la società
ricorrente deduce la nullità della sentenza e vizio di motivazio
ne, censurando il rigetto dell'istanza di rimessione della causa
sul ruolo avanzata il 16 giugno 1995. Con tale istanza si era so
stenuto che l'udienza collegiale del 13 giugno precedente avrebbe dovuto rinviarsi d'ufficio essendo in atto uno sciopero
degli avvocati, anche perché l'adesione a tale sciopero aveva
indotto i difensori della ricorrente a non predisporre la comparsa conclusionale. All'udienza collegiale era intervenuto un sosti
tuto dei difensori per prendere atto del rinvio d'ufficio e per di
chiarare di astenersi da qualsiasi attività processuale. La causa
era passata in decisione sulla sola richiesta dell'avvocatura co
munale.
La corte d'appello ha rigettato l'istanza di rimessione sul
ruolo osservando che l'adesione allo sciopero può giustificare la
mancata partecipazione all'udienza, ma non la mancata predi
sposizione della comparsa conclusionale; il sostituto dei difen
sori intervenuto all'udienza collegiale non aveva dichiarato la
volontà propria o quella del difensore sostituito di astenersi dal
l'udienza per l'adesione allo sciopero; il. difensore del comune non aveva dichiarato di astenersi dall'udienza.
Ad avviso della ricorrente il rigetto dell'istanza di rimessione
della causa sul ruolo sarebbe basato.su una motivazione incon
grua, perché, anche ad ammettere che lo sciopero degli avvocati
abbia ad oggetto solo la partecipazione allè udiènze, lo sciopero stesso dovrebbe costituire di per sé, e, quindi, indipendente mente dalla dichiarazione di adesione da parte dei difensori, un
legittimo impedimento allo svolgimento delle udienze che do
vrebbero essere rinviate d'ufficio.
Il motivo non è fondato. La stessa ricorrente ammette, non riproponendo alcuna censu
ra sul punto, che la mancata predisposizione della comparsa conclusionale, che non trova alcuna giustificazione nell'even
tuale adesione all'astensione delle udienze proclamata dall'av
vocatura, non è motivo sufficiente per consentire il differimento
dell'udienza collegiale. La tesi secondo la quale la proclamazione del c.d. sciopero
degli avvocati imporrebbe il rinvio d'ufficio dell'udiènza, indi pendentemente dal concreto,comportamento assunto dai difen
sori nella causa, non può essere condivisa.
In punto di fatto deve, innanzi tutto, rilevarsi che dagli atti di
causa, che, per la natura del vizio denunciato, possono essere
esaminati in questa sede, risulta che all'udienza collegiale del
13 giugno 1995 erano presenti (per mezzo di sostituti) i difenso
ri di entrambe le parti, che nessuno di èssi dichiarò di volersi
astenere dall'udienza e che anzi entrambi i difensori, come
emerge dal verbale dell'udienza collegiale, dopo essersi ripor tati alle conclusioni in atti, chiesero concordemente che la causa
venisse posta in decisione.
Ora, come è noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n.
171 del 1996 (Foro it., 1997, I, 1027), ha dichiarato l'illegitti
This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 22:57:42 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3043 PARTE PRIMA 3044
mità costituzionale dell'art. 2, 1° e 5° comma, 1. 12 giugno 1990
n. 146, nella parte in cui non prevede, nel caso dell'astensione
collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati e dei procurato ri legali, l'obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell'astensione e non prevede altresì gli stru
menti idonei ad individuare e assicurare le prestazioni essenzia
li, nonché le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di
inosservanza. In presenza della lacuna legislativa conseguente mente verificatasi, come è stato affermato con costante orienta
mento da questa corte, spetta al giudice il potere di bilanciare i
valori in conflitto, così da far recedere — se del caso — la li
bertà sindacale a fronte di interessi sovraordinati, fra i quali va
annoverato il diritto inviolabile alla difesa tecnica.
Ne deriva che, come è stato affermato (Cass. 12841/97, id.,
Rep. 1997, voce Avvocato, n. 64), se è vero che è diritto indi
scutibile del difensore — che aderisca all'astensione dalle
udienze legittimamente deliberata dal competente organismo fo
rense — quello di ottenere un differimento della trattazione, in
dubbiamente valendo tale astensione quale legittimo impedi mento dello svolgimento delle previste attività processuali, e se
è altrettanto indubbio che lo svolgimento di quelle attività in
presenza di tale impedimento ben possa determinare, ove ne sia
da esse derivato pregiudizio al diritto di difesa, una nullità degli atti assunti, ma è al tempo stesso di tutta evidenza il fatto che
l'impedimento de quo ben deve essere previamente portato a
conoscenza dell'ufficio, anche mediante semplice dichiarazione
rassegnata a verbale della stessa udienza, in quanto la facoltà
del difensore, pur avendo origine o fonte da un deliberato «col
lettivo», si esercita mediante un atto di esternazione individuale,
la cui presenza è indefettibile, appartenendo alla sfera dei diritti
personali la facoltà di aderire, o meno, ad una decisione di
astensione dall'attività. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 luglio 2002, n. 9864; Pres. Senese, Est. Vidiri, P.M. Napoletano
(conci, conf.); Soc. Montepaschi Se.ri.t. (Avv. Calvo) c. Fer
lito (Avv. Rizzo). Conferma Trib. Catania 10 agosto 1999.
Lavoro (rapporto di) — Lavoratrici madri — Contratto a termine — Licenziamento — Illegittimità (Cost., art. 3, 37; 1. 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contratto di lavoro a
tempo determinato, art. 1, 2; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tu
tela delle lavoratrici madri, art. 2).
È illegittimo il licenziamento irrogato alla lavoratrice, gestante all'ottavo mese, la quale, assunta con contratto a termine, non informi il datore di lavoro del proprio stato. (1)
(1) I. - La motivazione della sentenza in epigrafe si fonda su due ar
gomenti: uno, generale, secondo cui la configurabilità dell'obbligo della lavoratrice di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di
gravidanza sarebbe di ostacolo alla sua assunzione; l'altro, specifica mente riferito al contratto a tempo determinato, per cui sussiste l'inte resse datoriale alla stipula del contratto in relazione al periodo non co
perto dall'astensione obbligatoria. La soluzione è confortata da richiami alla giurisprudenza comunita
ria. In particolare, Corte giust. 4 ottobre 2001, causa C-109/00, Tele Danmark (Foro it., 2002, IV, 36, con nota di richiami), citata in moti
vazione, facendo leva sulle direttive 76/207 e 92/85, ha affermato che
l'apposizione del termine al contratto di lavoro non incide sul carattere discriminatorio del licenziamento irrogato a motivo dello stato interes sante della lavoratrice, giacché è pur sempre la gravidanza a determi nare l'incapacità della dipendente ad adempiere il contratto di lavoro.
Conforme, con riguardo ad un'ipotesi in cui lo stato di gravidanza era avanzato e palese, Cass. 4 marzo 1988, n. 2248, id.. Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2124.
Il Foro Italiano — 2002.
Svolgimento del giudizio. — Con ricorso depositato in data 9
dicembre 1996, Alice Maria Sara Ferlito esponeva che in data
1° aprile 1996 era stata assunta dalla Montepaschi Se.ri.t. s.p.a.,
quale ufficiale esattoriale, con contratto a tempo determinato.
Riferiva anche che al momento dell'assunzione si trovava in
stato di gravidanza e che non aveva taciuto tale condizione, del
resto evidente, neanche all'ufficiale sanitario che aveva attestato
l'idoneità fisica allo svolgimento delle specifiche mansioni da
espletare. In data 9 aprile 1996 aveva presentato alla datrice di
lavoro la certificazione medica che documentava lo stato di gra vidanza all'ottavo mese, dal quale conseguiva l'astensione ob
bligatoria dal lavoro. Dopo che in data 14 maggio 1996 la
Montepaschi le aveva contestato quale «grave comportamento omissivo» l'avere taciuto «il già esistente impedimento», in data
19 giugno 1996 la Montepaschi le aveva comunicato la risolu
zione del rapporto di lavoro per giusta causa ai sensi dell'art.
II. - Per l'affermazione della tassatività delle ipotesi di deroga al di
vieto di licenziamento fissato dall'art. 2 1. 1204/71, Cass. 15 novembre
2001, n. 14219, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1298; 20 ottobre 1987, n.
7747, id., 1988,1,441. Sulla nozione di colpa grave che consente il licenziamento della la
voratrice gestante e puerpera, Cass. 21 settembre 2000, n. 12503, id.,
2001,1,110. Va segnalato che il d.leg. 26 marzo 2001 n. 151 (Le leggi, 2001, I,
2515) che contiene il testo unico delle disposizioni legislative in mate
ria di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma del
l'art. 15 1. 8 marzo 2000 n. 53, ha abrogato la disciplina apprestata dalla 1. 1204/71. Al testo unico vanno quindi aggiornati i riferimenti
normativi. Per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
l'art. 2 1. 1204/71 (il riferimento è oggi all'art. 54 d.leg. 151/01) nella
parte in cui non prevede(va) che la lavoratrice madre non possa essere
trasferita per un periodo non inferiore a quello in cui vige il divieto di
licenziamento, App. Milano 20 dicembre 2000, Foro it., Rep. 2001, vo
ce cit., n. 945. III. - In dottrina, v. C. Colapietro, Dalla tutela della lavoratrice ma
dre alla tutela della maternità e dell'infanzia: l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, in Giur. it., 2000, 1317; L. Paganuzzi, L. n. 1204 del 1971: dalla tutela della madre alla tutela della maternità, in Riv.
critica dir. lav., 1999, 787; L. Forte, La nullità del licenziamento per maternità, in Riv. giur. lav., 1999,1, 58.
IV. - Sulla spettanza dell'indennità sostitutiva del preavviso alla la
voratrice gestante o puerpera dimessasi nel periodo di vigenza del di vieto di recesso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni, v.
Trib. Cagliari 24 ottobre 1997, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 1295,
e, con specifico riguardo al contratto collettivo dei giornalisti, Trib. Milano 13 dicembre 2001 e 15 novembre 2001, Riv. critica dir. lav.,
2002, 417; per Pret. Milano 27 marzo 1982, Foro it., Rep. 1982, voce
cit., n. 1804, invece, compete l'indennità alla lavoratrice che si sia di messa entro il compimento del primo anno di età del bambino soltanto
qualora sia stata la necessità di accudire la prole a determinare la rinun cia al posto di lavoro. Contra, Cass. 19 agosto 2000, n. 10994, id.,
2000,1, 3108, secondo cui occorre, per riconoscere o meno l'indennità, che il datore di lavoro provi che la lavoratrice abbia iniziato un nuovo lavoro senza intervallo di tempo e che la lavoratrice a sua volta provi che il nuovo lavoro sia per lei meno vantaggioso sul piano patrimoniale o su quello non patrimoniale.
Il 5° comma dell'art. 55 d.leg. 151/01, che ha sostituito l'art. 12 1.
1204/71, ha previsto che, nel caso di dimissioni, la lavoratrice o il lavo ratore non sono tenuti al preavviso.
V. - Per l'affermazione che il preesistente stato di gravidanza non osta alla stipula del contratto di lavoro a termine ed alla configurabilità del diritto della lavoratrice all'indennità di maternità, cfr. Cass. 9 otto bre 1997, n. 9800, id., Rep. 1997, voce Previdenza sociale, n. 666; 24
agosto 1995, n. 8971, id., Rep. 1995, voce cit., n. 527. VI. - Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 17, 1° comma, 1.
1204/71, nella parte in cui esclude(va) la corresponsione dell'indennità
di maternità nell'ipotesi prevista dall'art. 2, lett. a), ossia in caso di li cenziamento per giusta causa che intervenga nel periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro, Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 405, Famiglia e dir., 2002, 121, con nota di R. Nunin, Licenziamento per giusta causa ed indennità di maternità: la Consulta si pronuncia ancora a tutela delle lavoratrici madri. In applicazione dell'art. 27 1. 87/53, è stata di chiarata l'illegittimità costituzionale anche dell'art. 24, 1° comma,
d.leg. 151/01, nel quale è stato trasfuso il contenuto dell'art. 17. In ipotesi di risoluzione del rapporto per scadenza del termine, an
corché la scadenza si verifichi durante il periodo d'interdizione dal la voro previsto dall'art. 4 1. 1204/71 (sostituito dall'art. 16 d.leg. 151/01; v. anche l'art. 17), l'indennità di maternità compete soltanto per il pe riodo di effettiva durata del rapporto di lavoro: Cons. Stato, sez. VI, 13 novembre 2001, n. 5821, ibid., 402.
VII. - Cfr. anche Cons, giust. amm. sic. 2 giugno 1988, n. 104, Foro
it., Rep. 1988, voce Impiegato dello Stato, n. 255.
This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 22:57:42 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions