sezione I civile; sentenza 17 luglio 2003, n. 11179; Pres. Grieco, Est. Di Amato, P.M. Ceniccola(concl. parz. diff.); Soc. Freeport (Avv. Berruti, Zanchini, Di Santo) c. Soc. coop. Freeport (Avv.Niccolini, Parini, Mugnoz) e altra. Conferma App. Milano 3 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 529/530-533/534Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200473 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1.080.000.000, con termine sino al 30 giugno 1994 per la stipula del preliminare e sino al 30 ottobre 1994 per la stipula del rogito notarile; che il Norzi, con lettera 21 giugno 1994, dichiarò di
revocare l'accettazione di cui alla citata scrittura 1° giugno 1994 e, con atto 21 luglio 1994, vendette l'immobile ad altra
persona per il prezzo simulato di lire 371.600.000. Il convenuto
si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Venezia rigettava la domanda principale os
servando che la vendita al Barbini non era pervenuta a conclu
sione in quanto quest'ultimo non disponeva della somma neces
saria per il pagamento del prezzo dell'immobile; che, inoltre, il
rapporto di mediazione era invalido perché il legale rappresen tante della soc. Life non era iscritto all'albo dei mediatori. Ac
coglieva la domanda subordinata per la somma di lire 350.000.
La soc. Life proponeva appello per l'accoglimento della do
manda avente ad oggetto la provvigione. Il Norzi resisteva e
proponeva appello incidentale per il rigetto della domanda su
bordinata. La corte di Venezia, con sentenza 19 gennaio 2000,
rigettava l'appello principale ed accoglieva l'appello incidenta
le. Avverso tale sentenza la soc. Life propone ricorso per cassa
zione con cinque motivi di gravame. Resiste con controricorso
Norzi Vittorio, che propone altresì ricorso incidentale condizio
nato.
Motivi della decisione. — La Corte d'appello di Venezia ha
ritenuto essere pacifico che la compravendita tra Norzi e Barbi
ni non pervenne a conclusione per mancata disponibilità, da
parte dell'aspirante acquirente, della somma corrispondente al
prezzo richiesto dal Norzi, il quale, pertanto, cedette legittima mente il proprio bene ad altra persona senza l'opera di media
zione della soc. Life. Ha poi rilevato, con riferimento anche al
richiesto pagamento della penale, che tra il Norzi e la soc. Life
non venne ad esistenza un valido rapporto di mediazione, aven
do il primo trattato esclusivamente con tale Bulli, rappresen tante legale della società, non iscritto nell'albo dei mediatori.
Da ciò la corte del merito ha tratto argomento per ritenere la
domanda principale e quella subordinata prive di fondamento.
Con le prime tre censure la soc. Life afferma che l'assunto se
condo cui il Barbini non disponeva della somma necessaria al
pagamento del prezzo non corrisponde a verità; che pertanto il
Norzi si è sottratto illegittimamente all'impegno da lui assunto
con la firma del preliminare; che, ove non sia dovuto il paga mento della provvigione, è dovuto il pagamento del tantundem a
titolo di penale, per avere il Norzi venduto l'immobile nel tem
po di vigenza del rapporto di mediazione. Con la quarta censura
la società ricorrente afferma la validità del rapporto di media
zione negata dal giudice a quo. Tale tema deve essere affrontato
per primo, giacché dalla risoluzione di esso dipende l'accerta
mento del diritto vantato dalla società ricorrente. Dopo l'entrata
in vigore della 1. n. 39 del 1989, che disciplina la professione del mediatore e prevede, all'art. 6, che hanno diritto alla prov
vigione soltanto coloro che sono iscritti agli appositi ruoli, il
contratto di mediazione stipulato con soggetti non iscritti nei
predetti ruoli è affetto da nullità per contrarietà a norma impe rativa (v. Cass. 15 dicembre 2000, n. 15849, Foro it., Rep. 2001, voce Mediazione, n. 36; 15 aprile 1998, n. 3803, id., 1998, I, 2133), come si desume dall'art. 8 stessa legge, che
commina una sanzione amministrativa a carico di chi eserciti la
mediazione in assenza di iscrizione nel ruolo e prevede in tal
caso l'obbligo di restituzione delle provvigioni eventualmente
pagate, con conseguente nullità di ogni diversa pattuizione. Il
relativo regolamento di attuazione (n. 452 del 1990) dispone
poi, all'art. 11, che, qualora l'attività di mediazione sia eserci
tata da una società, i requisiti per l'iscrizione nel ruolo devono essere posseduti dal legale rappresentante della società stessa, il
quale, se non iscritto, non può esercitare attività mediatoria (v.
ri, attraverso la legittimazione di comportamenti fraudolenti da parte di chi si serve del mediatore abusivo. Come già si è avuto modo di osser vare in nota a Cass. 17 aprile 2002, n. 5505, 2 aprile 2002, n. 4635, e
Trib. Bergamo 15 maggio 2002, cit., il rigore giurisprudenziale legitti ma inadempimenti efficienti da parte del preponente che. prospettando si vincitore in giudizio (con i costi comunque inferiori al prezzo della
provvigione — falsamente — pattuita), perché il mediatore abusivo non ha diritto ad alcuna tutela, ne sfrutta l'opera a proprio vantaggio e gode di un rapporto costi-benefici assolutamente favorevole. Il risultato, an
cora una volta, è quello di spostare un po' troppo in avanti la tutela del
consumatore: che paghi meno, è assolutamente legittimo; che non paghi affatto va ben al di là dei più avveniristici progetti (se non sogni) di li
beralizzazione. Come dire che è proprio vero che l'autarchia non pa
ga .. . [M. Caputi]
Il Foro Italiano — 2004.
Cass. 2 maggio 2001, n. 6160, id., Rep. 2001, voce cit., n. 17). Infatti, nel caso di attività esercitata per conto di imprese anche
organizzate in forma societaria, i soggetti che la esercitano deb
bono essere iscritti nel ruolo medesimo (art. 3, 5° comma, 1.
39/89). Nella fattispecie la corte del merito ha accertato come si
è detto, che il Norzi ebbe a trattare con il solo Bulli, legale rap
presentante della società, ma non iscritto nel ruolo dei mediato
ri. Con il quarto motivo del ricorso si sostiene la validità del
rapporto mediatorio sull'assunto secondo cui uno dei soci, tale
Atzori, sarebbe regolarmente iscritta nel ruolo e preposta all'at
tività di mediazione della società. Tale argomento non ha alcuna
incidenza, poiché, per volontà di legge, l'attività in questione deve essere esercitata esclusivamente dai soggetti a ciò abilitati.
Da ciò deriva l'infondatezza delle pretese azionate dalla soc. Li
fe, con assorbimento dei primi tre motivi di gravame, nonché
del quarto, con il quale è stata lamentata la violazione delle
norme dettate in tema di mediazione. È altresì assorbito il ricor
so incidentale in quanto condizionato all'accoglimento di quello
principale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 lu
glio 2003, n. 11179; Pres. Grieco, Est. Di Amato, P.M. Ce
niccola (conci, parz. diff.); Soc. Freeport (Avv. Berruti,
Zanchini, Di Santo) c. Soc. coop. Freeport (Avv. Niccolini,
Parini, Mugnoz) e altra. Conferma App. Milano 3 marzo
2000.
Marchio — Marchio di prodotto — Marchio di servizio — Confondibilità (R.d. 21 giugno 1942 n. 929, testo delle di sposizioni legislative in materia di brevetti per inarchi d'im
presa, art. 1,4, 11, 13).
Non vi è possibilità di confusione tra un marchio (non di rino
manza) di prodotto e un marchio di servizio, a meno che il
marchio di servizio non venga utilizzato con modalità tali da
indurre il consumatore a ritenere che esso contraddistingua anche il prodotto. (1)
(1) Il marchio di servizio è istituto relativamente recente nel nostro
ordinamento. È stato introdotto dall'art. 3 1. n. 1178 del 1959 (esecutiva dell'accordo di Madrid del 14 aprile 1891, nel testo di Nizza del 15
giugno 1957); l'attuale testo dell'art. 16 1. marchi (introdotto dal d.leg. 480/92) chiede, ai fini della registrabilità come marchi dei segni anali
ticamente indicati, che essi siano atti a distinguere i prodotti o i servizi
di un'impresa da quelli di altre imprese (v. anche art. 4, 3° comma, 1.
marchi). La giurisprudenza ha avuto occasione di occuparsi del marchio di
servizio, specie al fine di tracciarne il confine dalla ditta; così Cass. 13
giugno 2000. n. 8034, Foro it.. Rep. 2001, voce Ditta, n. 3, afferma che il marchio di servizio è «destinato a contraddistinguere una specifica attività o branca di attività tra quelle esercitate dall'impresa, ed è dotato di un campo di produzione limitato a tale attività in sé considerata, mentre la ditta è sempre riferibile ad un 'complesso' di attività». In
termini, v. Cass. 15 novembre 2000, n. 14776, ibid., voce Redditi (im
poste), n. 789; 10 luglio 1993, n. 7601, id., 1994, I, 483, con note di
Formica e Manzo-Pratis. La sentenza in rassegna richiama espressamente Cass. 21 marzo
1995, n. 3247, id., Rep. 1996, voce Concorrenza (disciplina), n. 127 (e,
per esteso, Riv. dir. ind., 1995, II, 345): «fra l'impresa che produce be
ni e l'impresa che produce servizi (nella specie, rispettivamente, prepa rati chimici per disinfestazione e servizi di disinfestazione) non sussiste
un rapporto concorrenziale, né quindi può essere ravvisata responsabi lità per concorrenza sleale o per contraffazione di marchio, anche
quando quei beni siano strumento o materia necessaria per l'espleta mento di quei servizi, ed indipendentemente dall'eventuale 'rinoman
za' del marchio stesso, in quanto detto rapporto è configurabile soltanto
fra imprese che si inseriscano in settori economici in tutto od in parte coincidenti od interdipendenti, e che cioè attingano alla medesima
clientela, intesa come l'insieme delle domande che il mercato esprime od è potenzialmente in grado di esprimere rispetto ad un determinato
bisogno od a bisogni analoghi». In termini — per la giurisprudenza di merito — App. Milano 18 lu
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PARTE PRIMA 532
Svolgimento del processo. — La Centrale s.r.l. conveniva in
giudizio, innanzi al Tribunale di Varese, la Freeport s.c.r.l., la
mentando la violazione dei propri marchi registrati Freeport o
Free-port, posta in essere dalla convenuta mediante l'adozione
«di una ragione sociale il cui cuore» era «costituito dalla parola
Freeport» nonché mediante l'adozione di «un'insegna e un mar
chio (quanto meno di servizio) identici rispetto al noto marchio
Freeport». La convenuta si costituiva contestando la fondatezza
della domanda ed eccependo il difetto di legittimazione attiva
dell'attrice in quanto non diretta utilizzatrice dei marchi di cui
era titolare. Nel giudizio interveniva, quindi, la Freeport 2 s.r.l., distributrice dei prodotti recanti il marchio dell'attrice e dalla
stessa integralmente controllata, assumendo le stesse conclusio
ni della controllante.
Con sentenza del 9 luglio 1998, il Tribunale di Varese riget tava la domanda. La Centrale s.p.a. (quale incorporante per fu
sione della Centrale s.r.l.) e la Freeport s.r.l. (già Freeport 2
s.r.l.) proponevano appello, che la corte di Milano accoglieva
parzialmente, con sentenza del 3 marzo 2000, osservando pre liminarmente: 1) che nel giudizio non potevano trovare ingresso le questioni attinenti al diritto all'insegna ed alla ragione socia
le, in quanto prospettate non dalla Centrale s.r.l. nell'atto intro
duttivo del giudizio, ma dalla Freeport 2 s.r.l., intervenuta alla
prima udienza di trattazione senza richiedere termine ai sensi
dell'art. 183, 5° comma, c.p.c.; 2) che il termine Freeport, nella
utilizzazione per distinguere capi di abbigliamento, doveva con
siderarsi di sostanziale fantasia, considerata l'assenza di un ri
chiamo descrittivo o di una aderenza concettuale ai prodotti contraddistinti; pertanto, in assenza della prova della generaliz zata diffusione del segno distintivo, il marchio in questione do
veva considerarsi forte. Ciò premesso e riaffermata l'estraneità
al giudizio dei profili della violazione dell'insegna e della ditta, la corte territoriale escludeva che, nella specie, l'utilizzo da
parte della convenuta dello stesso segno Freeport avvenisse per
prodotti o servizi affini in modo da generare un rischio di con
fusione, conseguente ad un'associazione tra i due segni; infatti, il segno Freeport era utilizzato dalla convenuta non, come face
va l'appellante, per contraddistinguere capi di abbigliamento e
accessori, ma per denominare un club di acquisti in cui si offri
vano in vendita ai soli soci prodotti di diversi settori merceolo
gici e di varie e note case produttrici, evidenziate con i rispettivi marchi e ditte. Pertanto, in un caso il marchio identificava dei
prodotti, in vendita al pubblico ed appartenenti ad una precisa classe merceologica; nell'altro caso il segno individuava un ser
glio 1995, Foro it., Rep. 1996, voce Marchio, n. 47: «la tutela assicu rata da un marchio di servizio, registrato per contraddistinguere un'at tività di 'selezione e raccomandazione' di prodotti vari, è limitata alla correlativa attività pubblicitaria e promozionale, non estendendosi ai
prodotti stessi». La giurisprudenza precisa però anche che l'utilizzazione come mar
chio di fabbrica o di commercio di una parola da altri registrata come marchio di servizio non sempre è lecita; al fine del riconoscimento della contraffazione del marchio di servizio occorre però la prova che «l'utilizzazione stessa, per le modalità con cui viene effettuata, si presta ad essere intesa come esercizio concorrente della medesima attività
promozionale attribuibile al titolare del marchio di servizio»: v. App. Firenze 9 settembre 1994 (caso Gucci), ibid., n. 125. V., altresì, App. Milano 15 aprile 1994, ibid., n. 139: «anche l'uso di un marchio di pro dotto può costituire contraffazione di un marchio di commercio quando la differenza tipologica tra marchio di fabbrica e marchio di commercio non emerge dalla natura stessa dell'operazione commerciale nella quale il marchio viene adoperato e non vale, quindi, a scongiurare il possibile equivoco in ordine alla provenienza del bene marchiato»; nonché App. Milano 10 gennaio 1997, id., Rep. 1999, voce Concorrenza (discipli na), n. 214. Per ulteriori spunti, v. Trib. Napoli 8 febbraio 2001, id., Rep. 2001, voce Marchio, n. 251.
In termini diversi, ma con riferimento ad un marchio celebre, v. Trib. Bolzano 23 giugno 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 121; App. Bolo
gna 1° ottobre 1992, id., Rep. 1995, voce cit., n. 217 (e, per esteso, Giur. dir. ind., 1993, 221).
Per profili di diritto comunitario, v. Ufficio europeo brevetti 17 di cembre 1999, n. 46/1998-2, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 48 (che ammette la registrazione come marchio comunitario del servizio costi tuito dalla vendita al dettaglio di prodotti).
Per richiami dottrinali-, v. Marchetti-Ubertazzi, Commentario breve al diritto della concorrenza, Padova, 1997, 1031.
Sul rapporto di concorrenza, v. Ghidini, Concorrenza sleale, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1999, aggiornamento, III, 382.
Il Foro Italiano — 2004.
vizio di commercializzazione riservato ai soci ed avente ad og
getto prodotti appartenenti a svariate classi merceologiche ed
identificati da propri e diversi marchi. Si trattava, quindi, «di
due utilizzazioni dello stesso segno poste a diversi livelli e in
relazione a diverse entità economiche (servizio commerciale -
prodotti)», di cui non poteva affermarsi l'affinità, con conse
guente esclusione di una confondibilità delle attività; il che
comportava anche l'insussistenza della dedotta violazione del
l'art. 13 1. marchi, sotto il profilo dell'utilizzazione come de
nominazione sociale, ditta o insegna di un segno eguale all'al
trui marchio. La corte di merito riteneva, invece, fondata la do
glianza quanto alla liquidazione degli onorari, che riteneva ec
cessivi in relazione al valore indeterminabile della causa e
provvedeva a liquidare in misura ridotta.
Avverso detta sentenza la Freeport s.r.l., propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi. La Freeport s.c.r.l. resiste
con controricorso e propone ricorso incidentale, deducendo due
motivi illustrati anche con memoria. La Centrale s.p.a. non ha
svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — I ricorsi, proposti avverso la stessa
sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo la ricorrente principale lamenta il vizio
di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di affinità
e potenzialità di confusione tra i prodotti e servizi offerti dalla
ricorrente e dalla Freeport s.c.r.l. Anzitutto, la corte territoriale
aveva erroneamente ritenuto che i marchi fossero utilizzati dalla
ricorrente soltanto per contraddistinguere capi di abbigliamento; in realtà i segni erano stati usati anche per contraddistinguere attività di commercializzazione di capi di abbigliamento ed ac
cessori contrassegnati da altri marchi, con la conseguenza che il
marchio Freeport poteva considerarsi anche un marchio di ser
vizio; a tale diversa utilizzazione del marchio avevano fatto rife
rimento numerosi atti difensivi della stessa ricorrente e della
Centrale s.p.a., che venivano sinteticamente richiamati. Questa diversa utilizzazione del marchio risultava anche da alcuni do
cumenti prodotti, non tenuti nella dovuta considerazione dalla
corte di merito e dai quali emergeva che nei negozi della ricor
rente avevano luogo iniziative promozionali che coinvolgevano
prodotti (Timberland, Polo Ralph Lauren, Clarks) diversi da
quelli contraddistinti con il marchio Freeport. Inoltre, anche il
marchio della ricorrente veniva utilizzato per contraddistinguere una vendita a condizioni particolari di prodotti di altissima qua lità; in tale situazione era irrilevante il fatto che il marchio della
ricorrente contraddistinguesse anche articoli di abbigliamento. Il motivo è infondato. Il dedotto vizio di motivazione presup
pone che con l'atto introduttivo del giudizio sia stata richiesta la
tutela di un marchio utilizzato dalla ricorrente per contraddi
stinguere sia prodotti che servizi; soltanto in questo caso, infatti, si potrebbe affermare che l'affinità e la potenzialità di confusio
ne sia stata erroneamente esclusa dalla corte di merito senza te
nere conto che la ricorrente utilizzava il marchio anche per con
traddistinguere servizi. La corte di merito, viceversa, sebbene
non affrontando esplicitamente la questione, ha dato per scon
tato che la Centrale s.r.l., prima, e la ricorrente, poi, avessero ri
chiesto soltanto la tutela di un marchio di prodotti, con una in
terpretazione della domanda che non è stata neppure oggetto di
censura. Infatti, la ricorrente non assume di avere chiesto la tu
tela anche di un marchio di servizio e si limita a richiamare do cumenti ed atti difensivi, successivi al suo intervento in giudizio e, quindi, alla definizione del thema decidendum, nei quali, se condo il suo assunto, si faceva riferimento al fatto che essa uti
lizzava il segno anche per distinguere servizi. Il che, tuttavia, in
assenza di una specifica domanda a tutela del preteso marchio di
servizio, è del tutto irrilevante al fine di valutare se l'uso di un
eguale segno da parte della convenuta per distinguere servizi
potesse ingenerare confusione rispetto ai marchi di prodotti uti
lizzati dalla ricorrente.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli art. 1, 4, 11 e 13 r.d. 21 giugno 1942 n. 929 e degli art. 2569 e 2598 c.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che, anche
ipotizzando l'utilizzazione del marchio solo per contraddistin
guere i prodotti, erroneamente la corte d'appello aveva escluso la configurabilità di interferenze tra un marchio di prodotto ed un marchio di servizio; infatti, ad avviso della ricorrente, «ogni qualvolta un marchio di servizio si inserisce nella fase di com
mercializzazione di un bene contraddistinto da un diverso mar chio di prodotto, tanto da valorizzarlo in maniera peculiare o
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
connotarlo, si può manifestare un'interferenza con analogo mar
chio di prodotto usato per contraddistinguere beni uguali o si
mili a quelli oggetto del servizio». Nella specie tale interferenza
non poteva essere esclusa né dal dato della maggiore o minore
quantità di beni concorrenti commercializzati dalla controparte, atteso che la corte d'appello non aveva offerto elementi per sta
bilire la soglia oltre la quale diventava rilevante la commercia
lizzazione di articoli di abbigliamento, né la pretesa diversità
dei destinatari delle due attività, atteso che la base sociale della
cooperativa, cui si rivolgeva l'attività della stessa, era ampia e
aperta così da sovrapporsi con la clientela potenziale della ricor
rente. Infine, nel giudizio di affinità tra prodotti e servizi la
corte territoriale si era limitata ad un giudizio statico, senza la
necessaria indagine sulla normale capacità e tendenza espansiva
dell'impresa, che avrebbe dovuto condurre a tenere conto che
sussistevano tutti i presupposti, considerata l'appartenenza ad
un noto gruppo operante nel settore dell'abbigliamento, per ri
tenere ragionevolmente possibile l'espansione dell'attività
d'impresa alla commercializzazione di beni di varie marche.
Il motivo è infondato. La possibilità di confusione tra un mar
chio di prodotto ed un marchio di servizio è stata esclusa in li
nea di massima da questa corte, sulla base del rilievo che tra
l'impresa che produce beni e l'impresa che produce servizi non
è ravvisabile un rapporto concorrenziale. Infatti, questo rapporto sussiste soltanto quando due imprenditori, per la natura della
merce o delle prestazioni offerte, e, correlativamente, per le esi
genze degli acquirenti o cessionari che mirano a soddisfare, si
inseriscano in un settore economico in tutto od in parte coinci
dente, od in settori economici interdipendenti, in quanto attin
gano alla medesima clientela, obiettivamente intesa come in
sieme delle domande che il mercato esprime od è astrattamente
in grado di esprimere in dipendenza di un certo bisogno o di bi
sogni fra loro analoghi (Cass. 21 marzo 1995, n. 3247, Foro it.,
Rep. 1996, voce Concorrenza (disciplina), n. 127, in tema di
rapporti tra un'impresa che produce preparati chimici per disin
festazione ed una impresa che produce servizi di disinfestazio
ne). Analogamente, questa corte ha escluso che la tutela assicu
rata da un marchio di servizio (costituito dall'attività di selezio
ne e raccomandazione di merci) si estenda di per sé alla tutela
dei prodotti raccomandati, salvo il «caso in cui (come ad esem
pio riguardo al marchio di trattamento) il servizio si inserisce
nel processo produttivo, quale complemento di esso, e fornisce
un risultato che si incorpora nel prodotto, qualificandolo e valo
rizzandolo ab intrinseco, o comunque quando il servizio costi
tuisca un mezzo necessario perché il prodotto raggiunga il mer
cato nelle migliori condizioni possibili (e quindi anche intrinse camente valorizzato dal servizio)» (Cass. 9 dicembre 1977, n.
5334, id., 1978, I, 358, erroneamente invocata dalla ricorrente
quale precedente a sé favorevole, in relazione ad una fattispecie nella quale i prodotti raccomandati erano eguali o affini a quelli contraddistinti dal marchio). La decisione da ultimo ricordata ha
ulteriormente precisato che la possibilità di confusione può sus
sistere soltanto nel caso in cui l'utilizzazione del marchio di
prodotto avvenga con modalità tali da far pensare che detta uti
lizzazione sia espressione di una concorrente attività promozio nale o espressione dell'attività promozionale attribuibile al ti
tolare del marchio di servizio.
Tali principi devono essere ribaditi, precisando che, quando la tutela viene richiesta, come nella specie, in relazione ad un
marchio di prodotto, la possibilità di confusione può verificarsi
soltanto se il marchio di servizio viene utilizzato con modalità
tali da indurre il consumatore a pensare che lo stesso contraddi
stingua anche il prodotto. In questi ridotti limiti possono assu
mere rilievo le interferenze tra marchi di servizio e marchi di
prodotto. Ai detti principi si è correttamente uniformata la corte di me
rito escludendo, come riferito in narrativa, l'affinità e, quindi, la
possibilità di confusione tra «due utilizzazioni dello stesso se
gno poste a diversi livelli e in relazione a diverse entità econo
miche (servizio commerciale - prodotti)» per di più non solo in
un diverso ambito territoriale, ma in un caso offrendo capi di
abbigliamento ad un pubblico indifferenziato e nell'altro of
frendo prodotti di diversi settori merceologici ai soli soci della
cooperativa. In relazione, poi, alle modalità di utilizzazione del
marchio, la corte di merito, con motivazione congrua ed immu
ne da vizi logici e giuridici, ha escluso la confondibilità in con
creto tra prodotti della ricorrente ed attività della resistente, non
Il Foro Italiano — 2004.
essendo ipotizzabile che «il consumatore che conosce ed ap
prezza i capi di abbigliamento marcati Freeport, imbattendosi
(in altra regione) nell'insegna della cooperativa appellata, con
tornata dai marchi propri dei prodotti offerti ed appartenenti a
diversi settori merceologici... possa essere indotto a ritenere
che tale attività sia in qualche modo collegata a quella dell'im
presa che commercializza solo i prodotti di abbigliamento Free
port». Il motivo è infondato anche in relazione alla pretesa mancata
considerazione della capacità e tendenze espansive dell'impre sa. Invero, le presumibili capacità e tendenze espansive dell'im
presa assumono pregnante rilievo in relazione al marchio rino
mato (art. 13, 2° comma, r.d. 21 giugno 1942 n. 929, come mo
dificato dal d.leg. 4 dicembre 1992 n. 480), e quindi ad una te matica che nel presente giudizio non è stata introdotta; escluso
il riferimento alla più ampia tutela accordata al marchio celebre,
per la verità neppure invocata dalla ricorrente, l'accertata man
canza di affinità tra le entità economiche contraddistinte dai
marchi è sufficiente ad escludere la possibilità di confusione an
che in relazione alla prevedibile capacità espansiva dell'impresa titolare del marchio.
Con i due motivi del ricorso incidentale, che possono essere
esaminati congiuntamente, la Freeport s.c.r.l. deduce rispetti vamente vizio di motivazione e violazione della 1. n. 794 del
1942 in relazione alla riduzione, operata dalla corte di merito,
degli onorari liquidati dalla sentenza di primo grado ed in rela
zione alla liquidazione degli onorari del giudizio di secondo grado. In particolare, la ricorrente incidentale, premesso che
nella specie dovevano applicarsi, in considerazione delle que stioni giuridiche trattate, gli onorari previsti per le cause di va
lore indeterminabile di particolare importanza, lamenta che a
fronte di un minimo di lire 15.325.000 e di un massimo di lire 36.780.000, aumentabile fino al doppio, era stato liquidato per il
giudizio di primo grado l'importo di lire 10.000.000 per onorari, mentre per il giudizio di secondo grado, a fronte di un minimo
di lire 14.670.000 e di un massimo di lire 35.190.000, aumenta
bile sino al doppio, era stato liquidato per gli onorari l'importo di lire 11.000.000. Inoltre, la corte di merito aveva trascurato
che, nella specie, gli onorari dovevano essere liquidati nei con
fronti di due controparti, con posizioni di diritto diverse ed au
tonome. In tale situazione la riduzione della liquidazione effet
tuata dal primo giudice avrebbe richiesto una specifica motiva
zione che, nella specie, era mancata.
I motivi sono infondati. La ricorrente incidentale identifica
gli onorari minimi per le cause di valore indeterminabile di par ticolare importanza nei minimi previsti dal d.m. 5 ottobre 1994
per le cause rientranti nello scaglione da lire 750.000.0000 a lire
1.000.000.000. Tale presupposto della doglianza è infondato
poiché per le cause di particolare importanza gli onorari minimi
sono stabiliti con riferimento allo scaglione da lire 200.000.000 a lire 500.000.000 (lett. Q dell'annesso D al d.m. 5 ottobre 1994
«qualora le cause siano di particolare importanza per l'oggetto,
per le questioni giuridiche trattate, per i rilevanti risultati utili di qualunque natura, anche se non di carattere patrimoniale, il giu dice può liquidare onorari nei limiti previsti nelle lett. da h a /»).
Questa considerazione assorbe l'ulteriore rilievo che tanto dal
ricorso quanto dalla sentenza impugnata non è dato di evincere
che la causa sia stata ritenuta di straordinaria importanza. Per
ciò che concerne la pretesa necessità della liquidazione degli onorari nei confronti di due controparti, l'assunto è senza fon
damento. Nella specie la Freeport 2 s.r.l. è volontariamente in
tervenuta nel giudizio promosso dalla Centrale s.r.l. assumendo
le stesse conclusioni proposte dall'attrice; da ciò discende l'uni
cità della causa e della liquidazione delle spese con la sola pos sibilità, peraltro neppure evocata dalla ricorrente, di una riparti zione delle spese tra i soccombenti «in proporzione del rispetti vo interesse nella causa» ovvero di una condanna solidale in ca
so di «interesse comune».
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