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sezione I civile; sentenza 23 luglio 1997, n. 6899; Pres. ed est. Carbone, P.M. Arena (concl....

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sezione I civile; sentenza 23 luglio 1997, n. 6899; Pres. ed est. Carbone, P.M. Arena (concl. conf.); Rossi e Marmarchi (Avv. Spaziani Testa, Mancari) c. Proc. gen. Cass. Cassa App. Milano 5 maggio 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 2057/2058-2059/2060 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193743 . Accessed: 28/06/2014 09:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.141 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:57 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 23 luglio 1997, n. 6899; Pres. ed est. Carbone, P.M. Arena (concl.conf.); Rossi e Marmarchi (Avv. Spaziani Testa, Mancari) c. Proc. gen. Cass. Cassa App. Milano 5maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 2057/2058-2059/2060Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193743 .

Accessed: 28/06/2014 09:22

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ha disatteso le pretese in argomento sul rilievo che, «pur man

cando la sottoscrizione dell'atto» cennato, risultando la relativa

carenza giustificata dall'attestazione, inserita nel documento dal

notaio, che «la sig. Bazzani Angiolina o Angela mi dichiara

di essere illetterata e pertanto di non poter sottoscrivere il pre sente atto», la summenzionata venditrice e donante «partecipò all'atto prestando il proprio consenso davanti al notaio; l'atto

venne redatto in conformità alle volontà espresse dalle parti e

nelle forme prescritte dalla legge; aveva un oggetto lecito».

Nadia e Gianfranco Vitamia, con il primo motivo di ricorso,

prospettano che, così statuendo sulle loro considerate istanze,

la corte emiliana ha reso una pronuncia viziata da «violazione

e falsa applicazione degli art. 1325, 1326, 1418 e 1350 c.c. e

degli art. 47, 51 e 58 dell'ordinamento notarile, 1. 89/13 (non ché da) omesso esame di punti decisivi della convenzione (art.

360, n. 3 e n. 5, c.p.c.)»: più specificamente, premesso che la

surrichiamata dichiarazione della Bazzani di non essere in gra

do, per analfabetismo, di apporre la propria firma sui rogiti in cui sono stati documentati i contratti in controversia sarebbe

stata menzognera, per essere stata la predetta senz'altro capace di vergare la propria firma, sostengono che, in contrasto con

quanto ritenuto dal giudice del merito, in relazione ai negozi di cui trattasi, deve intendersi mancata una valida volontà con

trattuale della donante e alienante, per aver costei «celato la

totale mancanza della volontà di vendere e di donare con il

pretesto», assunto, falso «del proprio analfabetismo»; soggiun

gono, al riguardo, che, ai fini della validità dei negozi conside

rati, non può ravvisarsi «sufficiente la menzione della dichiara

zione dell'alienante ex art. 51 1. not. concernente la causa impe ditiva ed ostativa della sua sottoscrizione», occorrendo «anche

che tale causa sussistesse nella realtà ... in quanto se essa cau

sa non sussisteva in concreto come era stato dimostrato ed era

dimostrabile, la volontà di vendere e di donare restava inficiata

come totalmente inesistente . . .».

La censura è fondata.

In relazione ai rogiti notarili, la sottoscrizione delle parti, ai

sensi dell'art. 51, n. 10, 1. 16 febbraio 1913 n. 89, si configura,

bensì, come requisito essenziale per la validità dell'atto, che nella

relativa carenza è da considerare senz'altro nullo (cfr., in tal

senso, Cass. n. 3424 dell'8 novembre 1974, Foro it., Rep. 1974,

voce Prova documentale, n. 2), e, però, accedendo ad atto che

è del pubblico ufficiale che lo redige (art. 2699 c.c.), e non

delle parti che vi intervengono, assume valenza e significato,

non già di strumento indispensabile di appropriazione della di

chiarazione documentata e di presupposto della validità di que

sta ma di elemento di completamento dell'/ter procedimentale finalizzato alla formazione dell'atto, che, come tale, nell'ambi

to di detto iter, è surrogabile, in particolare, dalla dichiarazione

che la parte renda formalmente al notaio, e che da costui venga

espressamente menzionata nel rogito, dell'esistenza di una im

possibilità o di una seria e grave difficoltà a sottoscrivere.

La funzione surrogatoria della sottoscrizione normativamente

riconosciuta alle surrichiamate dichiarazioni di impedimento a

firmare della parte e menzione di tale dichiarazione nell'atto

da parte del notaio, tuttavia, si applica incondizionatamente sol

tanto nella riscontrata effettiva esistenza della causa impeditiva,

integrando la falsità della relativa prospettazione un elemento

ben suscettibile, da solo, o più spesso in concorso con altri,

di evidenziare la mancanza nel dichiarante di un'effettiva vo

lontà di negoziare corrispondente alla manifestazione di intento

resa al notaio, e un sostanziale diniego di approvare il contenu

to del documento da questo formato (cfr., per riferimenti, Cass.

n. 2101 del 27 luglio 1950, id., 1951, I, 592; n. 535 del 15 feb braio 1968, id., 1968, I, 1949; n. 1809 del 22 maggio 1969,

id., 1969, I, 2192; n. 4781 del 23 ottobre 1978, id., Rep. 1979, voce Successione ereditaria, n. 60; n. 10605 del 5 novembre 1990,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 83; n. 1073 del 1° febbraio 1992,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 66; n. 9674 del 6 novembre 1996,

id., Rep. 1996, voce cit., n. 74, tutte riguardanti vertenze relati

ve a validità di testamenti pubblici). Di conseguenza, allorché venga contestata la veridicità della

cennata dichiarazione di impedimento a sottoscrivere, il giudice

non può ritenere, ed affermare, l'indiscutibile validità dell'atto

pubblico che detta dichiarazione contiene e, soprattutto, dei ne

gozi nello stesso documentati sulla base del solo dato della for

male presenza nell'atto medesimo dei cennati surrogati della sot

toscrizione, ma deve accertare in concreto, sulla base delle pro

li Foro Italiano — 1999.

ve offerte dalle parti interessate, se la dedotta falsità della causa

impeditiva sussista, se la stessa costituisca, di per sé sola o in

concorso con altre circostanze, indice di un rifiuto di approvare il contenuto negoziale del documento, estendendo l'indagine al

la verifica di ogni ulteriore elemento ricavabile dalle peculiarità della fattispecie che possa rivelare l'esistenza, o l'insussistenza, di quel rifiuto, stabilire, infine, se ed in quali limiti la falsità

della dichiarazione contestata sia opponibile alla controparte e

possa determinare l'invalidità degli accordi con questa conclusi.

La qui censurata pronuncia della corte distrettuale, recante

declaratoria della validità della vendita e della donazione in con

testazione, ancorata al solo dato della riscontrabilità nel rogito notarile stilato per documentare detti contratti di tutti i requisiti formali previsti dalla legge per la relativa redazione, e segnata mente dei cennati surrogati della sottoscrizione della donante

e dell'alienante, nell'omissione di ogni ulteriore indagine diretta

a verificare la reale valenza, nel senso precisato, di detti surro

gati, si evidenzia resa in difformità dei più sopra enunciati prin

cipi e, perciò, meritevole di cassazione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 luglio

1997, n. 6899; Pres. ed est. Carbone, P.M. Arena (conci,

conf.); Rossi e Marmarchi (Avv. Spaziani Testa, Mancari) c. Proc. gen. Cass. Cassa App. Milano 5 maggio 1995.

Adozione e affidamento — Dichiarazione di adottabilità — Op

posizione — Audizione del minore infradodicenne — Fatti

specie (L. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozione dei

minori, art. 10, 17).

La sentenza di conferma dello stato di adottabilità di un infra dodicenne deve essere cassata perché sorretta da motivazione

meramente apparente, qualora il giudice si sia limitato a ri

portare la motivazione della sentenza di primo grado, a de

scrivere le indagini svolte dal consulente tecnico d'ufficio e

a riportarne le dichiarazioni, prescindendo dall'audizione del

minore, che abbia manifestato un netto rifiuto ad abbando

nare la famiglia di origine, alla quale sia profondamente

legato. (1)

(1) La sentenza in epigrafe aderisce all'orientamento, ormai consoli

dato in giurisprudenza, secondo il quale, in tema di opposizione al prov vedimento dello stato di adottabilità di un minore, è ammissibile il ri

corso per cassazione ex art. 17 1. 184/83 solo nelle ipotesi di motivazio

ne inesistente, contraddittoria o meramente apparente. In termini, cfr.

Cass. 19 agosto 1996, n. 7622, Foro it., Rep. 1996, voce Adozione, n. 102 (per esteso, Famiglia e dir., 1996, 528); 27 novembre 1996, n.

10549, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 101; 20 settembre 1996, n.

8384, ibid., n. 100; 5 agosto 1996, n. 7139, ibid., n. 99; 19 aprile 1995, n. 4388, id., Rep. 1995, voce cit., n. 126; 27 gennaio 1995, n. 1006,

id., 1996, I, 232, con nota di richiami.

In generale, sui limiti di sindacato della Cassazione ex art. Ill Cost,

v. la nota di richiami a Cass. 21 novembre 1997, n. 11619, id., 1998,

I, 2499. Con riferimento al merito della questione, la Corte suprema ha cas

sato la decisione perché il giudice del merito, a fronte di una complessa e delicata situazione familiare, non si era avvalso della facoltà di ascol

tare il minore infradodicenne, mancando in tal modo di rapportare il

provvedimento da assumere alle reali esigenze del caso concreto.

In giurisprudenza, sulla discrezionalità dell'audizione del minore in

fradodicenne e sull'obbligatorietà dell'ascolto dell'ultradodicenne, cfr.

Cass. 7 luglio 1997, n. 6098, id., Rep. 1997, voce cit., n. 92; 16 luglio

1996, n. 6439, ibid., n. 96 (per esteso, Arch, civ., 1997, 164); 5 dicem

bre 1991, n. 13109, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 72; 6 febbraio

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2059 PARTE PRIMA 2060

Svolgimento del processo. — Con sentenza 1° dicembre 1993, il Tribunale per i minorenni di Milano ha rigettato l'opposizio ne proposta dal padre Anwer Marmarchi e dalla madre Marina

Rossi, avverso il decreto del 29 marzo 1993, con cui era stato

dichiarato lo stato di adottabilità del minore Ramsis Marmar

chi, nato a Voghera il 23 settembre 1985, ordinando l'immedia

to collocamento del minore in famiglia, scelta dallo stesso tri

bunale.

Avverso detta sentenza propongono appello gli opponenti, ma

la corte d'appello, con sentenza del 5 maggio 1995, respinge il gravamela seguito di un ulteriore accertamento peritale. Se

condo l'impugnata decisione, che utilizza per il proprio convin

cimento gli apporti della consulenza tecnica, entrambe le figure

genitoriali non sono idonee a svolgere un ruolo educativo nel

l'interesse del minore, sicché quest'ultimo continua a versare

in uno stato di abbandono, con conseguente conferma del di

chiarato stato di adottabilità.

Ricorrono, ex art. 17 1. 4 maggio 1983 n. 184, Marina Rossi

ed Anwer Marmarchi sulla base di due motivi. Vi è memoria

dei ricorrenti.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo del proposto ricorso si censura l'impugnata sentenza perché sorretta da una

motivazione apparente, inidonea a far percepire le ragioni che

stanno alla base della decisione.

La censura è fondata.

Il dramma umano che è alla base della dichiarazione di adot

tabilità nel caso di specie vede, da un lato, un bambino che

ha idealizzato i propri genitori, dall'altro un padre abbastanza

anziano, di circa settant'anni, che secondo le risultanze proces suali non appare idoneo a svolgere il proprio ruolo. Più delica

ta la figura della madre, che essendo più giovane, non ancora

trentenne, ben potrebbe interessarsi al minore. Dalla dichiara

zione della madre emerge, infatti, l'affetto verso il figlio e il

desiderio di non farlo soffrire, privandolo di quel calore fami

liare la cui mancanza ha fatto soffrire anche lei.

Di fronte a questa complessa situazione, la corte d'appello, da un lato, riporta integralmente la motivazione della sentenza

di primo grado e, dall'altro, dopo aver ribadito il carattere di

eccezionalità della misura dell'adozione, richiamandosi all'in

terpretazione consolidata dell'art. 8 1. 184/83, descrive le inda

gini espletate dal c.t.u. e riproduce le dichiarazioni fatte dallo

stesso in udienza, nonché le dichiarazioni della psicologa, ed

in minima parte dell'assistente sociale, mentre limita a poche

righe l'estrinsecazione del proprio convincimento, in modo da

non consentire il controllo dell'//er logico seguito dal giudice di merito nel decidere per l'adozione.

Infatti, dagli ampi stralci delle dichiarazioni riportate dalla

decisione impugnata non è possibile inferire in modo univoco

che l'adozione, nel caso di specie, rispondesse a quei criteri di

eccezionalità che lo stesso giudice del gravame ritiene alla base

della misura predisposta dal legislatore. A tal proposito, deve rilevarsi che, come già ritiene l'art. 1

1. 4 maggio 1983 n. 184, il minore ha diritto di essere educato

nell'ambito della propria famiglia. Questa prevalenza della fa

miglia di sangue è riconosciuta anche dalla giurisprudenza (da ultimo, Cass. 11 novembre 1996, n. 9861, Foro it., Rep. 1997, voce Adozione, n. 78) e trova riscontro negli art. 8 e 9 1. 27

maggio 1991 n. 176. Secondo queste norme «gli Stati parti si

impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la

propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome

e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla

1993, n. 1502, id., 1995, I, 1925; 5 agosto 1992, n. 9273, id., Rep. 1992, voce cit., n. 73.

In dottrina, sul problema dell'ascolto del minore, cfr. Mollica, in nota alla sentenza riportata, in Dir. famiglia, 1997, 554; Manera, L'a scolto del minore nelle istituzioni, ibid., 1551; Dell'Antonio, La con venzione sui diritti del fanciullo: to stato di sua attuazione, ibid., 247; Pirrone, Consenso - Assenso - Audizione del minore che ha compiuto gli anni dodici o di età inferiore nel procedimento per l'adozione, in Nuovo dir., 1996, 117; Dosi, Dall'interesse ai diritti del minore: alcune

riflessioni, in Dir. famiglia, 1995, 1604; Sacchetti, Diritti del bambino e diritti degli altri, id., 1994, 1347; Dogliotti, I diritti del minore e la convenzione dell'Onu, id., 1992, 301; Longobardo, La convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), id., 1991, 370.

Il Foro Italiano — 1999.

legge, senza ingerenze illegali». Inoltre, secondo il successivo

art. 9, «gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia sepa rato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le auto

rità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudi ziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del

fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria

in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrat

tano o trascurano il fanciullo oppure se vivono separati ed una

decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del

fanciullo».

Come appare evidente dal testo riportato dalla convenzione, il minore ha diritto a non essere separato dai propri genitori, tranne che non sia nel suo stesso interesse. È quanto, in defini

tiva, sancisce l'art. 8 della legge italiana sull'adozione, in rela

zione alle ipotesi di abbandono del minore dalle quali emerge l'interesse dello stesso ad andare incontro a una situazione di

versa da quella che gli può assicurare la famiglia d'origine. In questi sensi si è già espressa questa corte, secondo cui,

l'abbandono del minore da parte dei genitori, giustificativo del

la dichiarazione di adottabilità, si verifica quando entrambi fac

ciano mancare al figlio, non per forza maggiore di carattere

transitorio, l'assistenza morale e materiale indispensabile al nor

male sviluppo della sua personalità, e pertanto, non è ravvisabi

le per il solo fatto dell'allontanamento da casa di uno dei geni tori, né per le carenze culturali e mentali dell'altro, né per l'ina

deguatezza dell'apporto economico, affettivo ed educativo, occorrendo invece accertare se tali circostanze implichino un'ir

reversibile compromissione della crescita del minore, e, quindi, rendano necessaria, per il suo preminente interesse, la rinuncia

alla famiglia di sangue, anche alla luce delle circostanze soprav venute nel corso del giudizio di opposizione avverso detta di

chiarazione (ivi inclusa l'eventuale ritrovata disponibilità dei ge nitori a prendersi cura del figlio), ove idonee ad evidenziare

l'effettiva consistenza della situazione precedente (Cass. 25 giu

gno 1988, n. 4283, id., Rep. 1988, voce cit., n. 86).

Peraltro, a fronte di una così complessa e delicata situazione

familiare, ben avrebbe potuto il giudice avvalersi della facoltà,

prevista dal 5° comma dell'art. 10 1. 184/83, di sentire diretta

mente il minore infradodicenne — facoltà che, per inciso, ai

sensi della stessa disposizione, diviene un obbligo, allorché il

minore abbia superato gli anni dodici — anche in considerazio

ne del fatto che le principali ragioni ostative all'eventuale di

chiarazione di adottabilità sono radicate nella netta opposizione dello stesso ad abbandonare la famiglia di origine, cui si sente

profondamente legato.

L'esigenza di ascoltare il minore — nella duplice previsione, facoltativa per i minori infradodicenni, obbligatoria per gli ul

tradodicenni, in tal modo abbassando la soglia dell'età prevista, per l'audizione in tema di potestà genitoriale, dall'art. 316 c.c.

(così come novellato dell'art. 138 della riforma del diritto di

famiglia) — costituisce un comune denominatore della legge sul

l'adozione (cfr. art. 7, 3° comma, e 25, per la dichiarazione di adozione; 10, 5° comma, e 15, 2° comma, in tema di adotta

bilità; 22, 4° comma, e 23, 3° comma, in tema di affidamento

preadottivo). Questo trend normativo intende attribuire alla per sonalità e alla volontà del minore un ruolo non indifferente in relazione all'adozione di provvedimenti, che nell'interesse del minore trovano la loro ragion d'essere.

Sotto tale profilo, i provvedimenti nell'interesse del minore non vanno stabiliti a priori, sulla base di un criterio generico di adeguatezza, ma vanno rapportati alle reali esigenze della

fattispecie in esame, che non possono non emergere soprattutto da un colloquio diretto con il soggetto interessato.

Il ricorso va pertanto accolto, e la causa rimessa ad altra

sezione della Corte d'appello di Milano, che si atterrà ai suindi cati principi.

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