Sezione I civile; sentenza 26 marzo 1980, n. 2006; Pres. V. D'Orsi, Est. Borruso, P. M. Cantagalli(concl. diff.); Pascariello (Avv. Vergine, Donzelli) c. Rossi Berarducci, Proc. gen. App. Lecce.Cassa App. min. Lecce 29 giugno 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 209/210-211/212Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171248 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tuazione parificabile alla custodia preventiva, attesi i tempi bre
vissimi cui è sottoposta la decisione sul ricorso alla corte d'ap
pello (art. 4 legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e succ. mod.) avverso
il decreto del tribunale. Se si ritenesse il contrario, bisognerebbe arrivare alla conclusione assurda che, nel caso di specie, in pre senza di termini brevissimi, il licenziamento sarebbe legittimo,
mentre, nel caso di custodia preventiva ed in presenza di tempi ben più lunghi, il licenziamento di un lavoratore addetto a
mansioni fungibili sarebbe illegittimo se intimato prima di un
apprezzabile lasso di tempo; coerentemente a tale ultimo prin
cipio il Tribunale di Milano infatti (7 aprile 1976, id., Rep.
1976, voce cit., n. 787) ha ritenuto non potersi ravvisare il giu stificato motivo obiettivo nell'assenza di un lavoratore addetto
a mansioni fungibili, per un periodo di^teen quattro mesi, in un
grande complesso industriale ed il Tribunale di Taranto (18 ot
tobre 1977, id., 1978, I, 1310) ha ritenuto, invece, giustificato il
licenziamento intimato dopo sei mesi dall'arresto, verificatosi
dopo sei mesi dall'assunzione.
Ciò posto, per applicare tali principi al caso di specie, biso
gnerà verificare se le predette condizioni (durata prevedibile dell'assenza e fungibilità delle mansioni del lavoratore in rela
zione alla struttura aziendale), che vanno tenute presenti al fine
di valutare la legittimità o meno del licenziamento, sussistono.
Ad avviso di questo pretore, entrambe le condizioni sussistono.
Ed invero, sotto il profilo della durata prevedibile dell'assenza,
il ricorso alla corte d'appello doveva essere esaminato, per
legge, entro brevissimi tempi (ed in effetti la corte d'appello si
riunì il 9 gennaio 1979, mentre il decreto venne depositato il
19 gennaio 1979), per cui ben può dirsi che, valutando il rap
porto di lavoro nella sua interezza e considerato che il ricor
rente era dipendente dell'A.n.i.c. da circa tre anni, l'interesse del
datore di lavoro a ricevere la prestazione di lavoro poteva per manere per un periodo inferiore a tre mesi.
Sotto il profilo dei riflessi dell'assenza sulla organizzazione del
l'azienda deve, invece, osservarsi che l'impresa resistente (su cui
grava, ai sensi dell'art. 3 legge n. 604/1966, l'onere della prova della sussistenza del giustificato motivo) non ha provato che il
lavoratore Condorelli (che, a suo dire, sostituì il ricorrente sul
posto di lavoro) venne trasferito all'officina elettrica proprio per sostituire il Fiandaca, in conseguenza del suo licenziamento, e
la particolare incidenza della sua assenza sulla organizzazione del lavoro. La prova per testi ha, infatti, dimostrato che le man
sioni svolte dal ricorrente erano facilmente fungibili: il mede
simo Condorelli ha, in proposito, dichiarato (supposto, per un
attimo, che quest'ultimo abbia sostituito il Fiandaca) che la sua
attività consisteva « nel togliere il coperchio del trasformatore e
nello avvitare e svitare bulloni » e che — e questo è ciò che
più conta — in caso di assenza di un lavoratore della squadra della quale lo stesso fa parte, non si procedeva a sostituzione
dell'assente.
Deve, pertanto, ritenersi che l'assenza del ricorrente non ha
inciso sulla struttura organizzativa dell'azienda e che le sue man
sioni erano facilmente fungibili.
2) Resta da esaminare la questione se l'assenza del lavoratore
possa concretare quel notevole inadempimento degli obblighi stabiliti contrattualmente che costituisce il c. d. giustificato mo
tivo soggettivo di licenziamento.
Ad avviso di questo pretore un'attenta lettura della norma
tiva contrattuale non consente di ritenere che il licenziamento
intimato al ricorrente sia legittimo: a tale conclusione deve,
infatti, pervenirsi sulla base di una interpretazione globale della
volontà delle parti stipulanti il c.c.n.l. del 1976; ed invero, poi
ché, per l'art. 59, lett. d), di detto c.c.n.l., ricade sotto il prov vedimento del licenziamento per giusta causa la condanna per
pena detentiva comunicata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa non in connessione con lo svol
gimento del rapporto di lavoro, la volontà delle parti stipulanti il predetto c.c.n.l. è orientata nel senso di: a) escludere che la
commissione di un reato da parte del lavoratore possa legitti mare il recesso del datore di lavoro qualora la responsabilità pe
nale non sia ancora stata accertata con sentenza passata in giu
dicato; b) ritenere che tale recesso sia legittimo solo quando la
responsabilità rimanga definitivamente accertata con sentenza
passata in giudicato; c) qualificare l'accertamento definitivo del
reato commesso dal lavoratore come fatto che giustifica il recesso
per giusta causa.
Conseguentemente, poiché la commissione di un reato, che
non sia connesso con il rapporto di lavoro, da parte del lavora
tore, costituisce un fatto che — a determinate condizioni: sen
tenza passata in giudicato — scuote la fiducia che sta a base
del rapporto di lavoro, deve ritenersi che la volontà contrat
tuale sia nel senso di escludere che tale situazione possa sor
reggere un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, e ciò
perché le parti hanno inteso evitare che la sottoposizione a pro cedimento penale e la condanna non irrevocabile possano pre
giudicare il lavoratore e che, ovviamente, l'assenza per effetto
di una condanna non passata in giudicato possa considerarsi
come inadempimento. Il recesso è, quindi, giustificato, in caso
di condanna per sentenza non passata in giudicato, solamente, ìlei caso che l'assenza del lavoratore, per effetto di detta con
danna, possa incidere negativamente sulle strutture organizza tive e sul regolare funzionamento dell'impresa.
Tali conclusioni possono certamente applicarsi al caso di spe
cie, poiché sarebbe assurdo ritenere che le parti abbiano voluto
adottare, nel caso di sottoposizione di un lavoratore a misura
di prevenzione, una soluzione diversa da quella adottata per il
caso di condanna per un reato; si dovrebbe allora ritenere che
un lavoratore condannato per omicidio volontario con sentenza
non passata in giudicato non possa essere licenziato, qualora la sua assenza non incida, per un certo periodo, sull'organizza zione del lavoro all'interno dell'azienda, mentre possa esserlo un
lavoratore sottoposto, con decreto del tribunale, a misura di
prevenzione sul cui ricorso deve giudicarsi in secondo grado entro brevissimo tempo.
Il licenziamento intimato dall'A.n.i.c. s.p.a. al ricorrente, non
potendosi, pertanto, per le superiori considerazioni, ritenersi sor retto da giustificato motivo, va annullato.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 26 mar zo 1980, n. 2006; Pres. V. D'Orsi, Est. Borruso, P. M. Canta galli (conci, difl.); Pascariello (Avv. Vergine, Donzelli) c.
Rossi Berarducci, Proc. gen. App. Lecce. Cassa App. min.
Lecce 29 giugno 1978.
Adozione — Adozione speciale — Parenti tenuti agli alimenti —
Conoscenza della residenza — Esistenza dei genitori — Con vocazione istruttoria — Necessità — Omissione — Conseguen ze (Cod. civ., art. 314/8; cod. proc. civ., art. 383).
La mancata convocazione dei parenti tenuti agli alimenti di cui
sia nota la residenza nel corso dell'istruttoria per la dichia razione di stato di adottabilità, anche se sono stati regolar mente sentiti i genitori, produce la nullità del giudizio di op posizione e impone la cassazione della sentenza d'appello con
fermativa di quella di primo grado con rinvio allo stesso tri
bunale per i minorenni. (1)
La Corte, ecc. — Col primo motivo di ricorso, la Pascariello, denunciando la violazione degli art. 314/8 e 314/11 cod. civ.,
eccepisce che, prima di dichiarare lo stato di adottabilità di suo
figlio, il tribunale per i minorenni avrebbe dovuto convocare e
sentire anche i parenti tenuti agli alimenti, in particolare i nonni
materni, di cui era ben nota la residenza in quanto conviventi
(1) In senso conforme: Cass. 22 dicembre n. 6153 e 3 maggio n. 2047 del 1978, Foro it., Rep. 1978, voce Adozione, nn. 69, 71; 4 agosto 1977, n. 3464, id., 1978, I, 114, in motivazione; 3 settembre
1976, n. 3074, id., Rep. 1976, voce cit., n. 36; App. min. Milano 6 ottobre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 68; Trib. min. Milano 15 marzo 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 47; Cass. 8 novembre 1974, n. 3425, id., Rep. 1974, voce cit., n. 31; 8 novembre 1974, n. 3420, id., 1975, I, 1707, con nota di richiami. In dottrina Besso ne-Ferrando, Adozione speciale, voce del Novissimo digesto, Tori
no, 1979, (aggiornamento) I, 120; Moro, L'adozione speciale, Mi
lano, 1976, 189; Ziino, in Dir. famiglia, 1974, 661. In senso contrario: Cass. 18 novembre 1977, n. 5051, Foro it.,
Rep. 1977, voce cit., n. 36 e gli altri citati nella nota di richiami a Cass. 3425/1974, cit. Per la dottrina Baviera, L'adozione speciale, Mi
lano, 1968, 85. Come espressioni dell'orientamento prevalènte e più recente si
può tenere presente: Cass. 10 luglio 1978, n. 3436, Foro it., 1979,
I, 97, con nota di richiami, sulla legittimazione a proporre l'oppo .sizione alla dichiarazione di stato di adottabilità dei parenti tenuti
agli alimenti anche se impossibilitati o non disposti ad assistere il
minore. Sulla qualificazione dell'attività di convocazione e audizione delle
persone indicate nell'art. 314/8 cod. civ. come attività diretta a rea
lizzare la garanzia del contraddittorio, la cui omissione comporta la
nullità assoluta e rilevabile d'ufficio del decreto dichiarativo di adot
tabilità e dell'eventuale giudizio di opposizione successivo, v. Cass.
9 agosto 1977, n. 3651, id., 1978, I, 114, con nota di richiami, cui
adde in senso contrario per la deducibilità della nullità solo da parte delle persone non convocate: Cass. 10 gennaio 1979, n. 164, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 43. Entrambe le decisioni riguardavano la
omessa convocazione delle persone alle quali in via temporanea il
minore era stato affidato.
il Foro Italiano — 1981 — Parte 1-14.
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PARTE PRIMA
con la ricorrente. Da ciò deduce la nullità del decreto di adotta
bilità e di tutto il procedimento successivo e la sua rilevabilità
anche d'ufficio.
Il motivo è fondato. Questa corte ha già ripetutamente avuto
occasione di affermare (cfr. sent. nn. 3425 del 1974, Foro it., Rep. 1974, voce Adozione, n. 31; 3074 del 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 36; 2047 e 6153 del 1978, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 71, 69) che
per la regolarità della procedura di adozione speciale — anche nel
caso in cui esistano i genitori che abbiano abbandonato il mi
nore — la convocazione, l'attività istruttoria e la notifica del
decreto di adottabilità debbono essere estese ai parenti di cui è
nota la residenza e che sono tenuti all'assistenza morale e mate
riale del minore. Tale orientamento giurisprudenziale anche se
non costante (cfr. in senso contrario Cass. n. 5051 del 1977, id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 36) ha trovato autorevoli adesioni in
dottrina e questo collegio ritiene ora di doverlo confermare per le seguenti ragioni:
1) '£ ben vero che gli art. 314/4 e 314/8 cod. civ., nell'indi
care rispettivamente le persone che abbiano abbandonato i mi
nori e delle quali il tribunale debba ordinare la comparizione
per essere sentite prima della dichiarazione di adottabilità, usa
no la disgiuntiva « o » anziché la copulativa « e » quando si ri
feriscono, da un lato, ai genitori dei minori abbandonati e, dal
l'altro lato, ai parenti tenuti agli alimenti nei loro confronti, ma
tale elemento testuale è quanto meno neutralizzato dal fatto che
nell'art. 314/11 una delle condizioni per la dichiarazione di adot
tabilità è individuata nel fatto che « i genitori e i parenti con
vocati ai sensi degli art. 314/8 e 314/9 non si sono presentati senza giustificato motivo ».
Egualmente in senso opposto alla attribuzione di un valore er
meneutico decisivo alla congiunzione « o » negli art. 314/4 e 314/8 sembra porsi anche il testo dell'art. 314/9 là ove dispone che « nel
caso in cui i genitori e i parenti tenuti agli alimenti sono irrepe ribili, il tribunale per i minorenni provvede alla loro convoca
zione ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civile ».
Dal punto di vista puramente testuale non può pertanto affer
marsi con certezza che la legge sull'adozione speciale prevede una procedura alternativa e disgiuntiva che inizia coi genitori del minore e, solo in mancanza di questi, involge anche i parenti tenuti agli alimenti. E tale incertezza aumenta se si considera
che nell'uso corrente della lingua italiana alla congiunzione « o »
non si deve attribuire sempre valore necessariamente alternativo
dei due termini in discorso, sicché non può escludersi che nella
specie la congiunzione « o » possa essere stata usata dal legisla tore per sottolineare che l'indagine per accertare la possibilità di assistenza del minore debba essere condotta prima nei con
fronti dei genitori e, soltanto nel caso in cui nei confronti di
questi abbia avuto effetto negativo per aver essi dimostrato di
non volere o di non potere assistere loro figlio, si debba esten
dere agli altri parenti tenuti agli alimenti.
2) L'art. 314/7 prevede la dichiarazione dello stato di adotta
bilità quando non risulta l'esistenza dei genitori « né l'esistenza
di parenti tenuti agli alimenti... ». Orbene, ammettere l'inter
pello dei parenti quando i genitori siano morti o sconosciuti e
non ammettere tale audizione quando i genitori, pur essendo
vivi, dichiarino di non voler o di non potere accudire diretta
mente il minore, significherebbe sostanzialmente ridurre in tal
caso — contro la espressa e chiara volontà della legge — ai soli
genitori l'obbligo di assistenza che l'ordinamento ha voluto esten
dere a tutto il nucleo familiare. La giurisprudenza, invero, in
sede di interpretazione dell'art. 433, n. 3, relativo alle persone
obbligate agli alimenti (« ... genitori e, in mancanza di essi, gli ascendenti prossimi... ») ha sempre riconosciuto che l'obbligazio ne alimentare dell'avo sussiste anche quando il genitore sia in vita,
purché questi si trovi nell'impossibilità di fornire gli alimenti.
Appare di elementare buon senso e innegabilmente equo rite
nere che se l'avo, in tale situazione, ha dei doveri nei confronti
del nipote per il vincolo di sangue che a lui lo lega, avrà pure il diritto di essere interpellato prima che, con l'adozione spe ciale, tale vincolo sul piano giuridico e sociale sia totalmente
e per sempre obliterato e ciò senza negare la finalità primaria dell'istituto dell'adozione speciale di assicurare al bambino la
possibilità di crescere e svilupparsi nel seno di una famiglia sana e affettuosa.
3) Che la posizione processuale dei parenti tenuti agli alimenti sia parificata a quella dei genitori del minore del cui stato di
adottabilità si tratta trova esplicita conferma sia nel 3° comma
dell'art. 314/11, ove è specificato che il decreto con il quale venga
pronunciata la dichiarazione di adottabilità « è notificato per esteso al pubblico ministero, ai genitori, ai parenti tenuti agli alimenti, e al tutore...» sia nell'ultimo comma dell'art. 314/12, ove è previsto che l'opposizione avverso detto decreto « può es
sere proposta dalle persone indicate nel terzo comma dell'articolo
precedente ».
Se, dunque, in ordine alla notifica del decreto e alla legitti mazione ad opporvisi il legislatore innegabilmente considera alla stessa stregua i genitori del minore e i parenti tenuti agli ali
menti, ponendo gli uni a fianco degli altri senza interporre tra di essi alcuna congiunzione o altra espressione suscettibile d'es sere interpretata in senso alternativo, non sarebbe ragionevole propendere a ritenere che, ai soli effetti della audizione, una differenza di trattamento sia stata invece posta tra gli uni e gli altri, nel senso che soltanto l'interrogatorio dei genitori e non anche quello dei parenti tenuti agli alimenti sia necessariamente richiesto dall'art. 314/8 cod. civile.
4) L'art. 314/6 cod. civ. impone al tribunale per i minorenni di procedere, non appena abbia ricevuto denunzia di una si tuazione di abbandono prevista nell'art. 314/4 cod. civ., ad « ap profonditi accertamenti sui precedenti dei minori, sulle loro con dizioni giuridiche e, di fatto, sull'ambiente in cui hanno vissuto e vivono ».
Se esistesse, quindi, ancora un dubbio sulla necessità che il
tribunale, prima ancora di chiarire lo stato di adottabilità, senta oltre ai genitori — quando questi non vogliano o non possano assistere i loro figli — anche i parenti tenuti agli alimenti (e in
primo luogo i nonni), certamente contribuirebbe alla risoluzione in senso affermativo di tale dubbio la lettura del passo dell'art.
314/6 sopra riportato, essendo di tutta evidenza che specie quan do — come nel caso in esame — tali parenti vivano insieme ai
genitori e risulti siano intervenuti nelle vicende del minore, dif ficilmente gli approfonditi accertamenti richiesti dalla legge pos sano essere correttamente compiuti dal tribunale senza interro
gare i predetti congiunti. Deve, pertanto, concludersi, per ragioni d'ordine sistematico
e sostanziale certamente preminenti rispetto a ragioni meramente testuali e peraltro ambigue, che, se i genitori siano esistenti ma non in grado per qualunque causa di eliminare la situazione di
abbandono, il giudice deve sentire tutti i parenti tenuti agli alimenti dei quali consti l'esistenza e che siano reperibili, al fine di rinvenire quella che può essere la sistemazione ottimale per il minore innanzi tutto nell'ambito della sua famiglia naturale.
Né alcun rilievo può avere il fatto che nel corso del giudizio di primo e di secondo grado la Pascariello non abbia risollevato l'eccezione relativa alla mancata convocazione dei parenti già proposta con l'opposizione iniziale (parenti che non risulta, pe raltro, essere stati mai sentiti in tutto il corso del giudizio sia di primo che di secondo grado), in quanto tutto il processo di adozione speciale è chiaramente dominato dall'impulso di ufficio
per la tutela di interessi che trascendono i diritti dispositivi delle
parti in giudizio. Conseguentemente, in ordine agli accertamenti e agli adempimenti che in tale speciale processo la legge pre scrive di compiere, la loro omissione non può mai trovare giu stificazione in rinunce di parte esplicite o implicite.
Ricorrendo una nullità del giudizio di primo grado per la
quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere le parti al
primo giudice, gli atti debbono essere rimessi, ai sensi dell'ul timo comma dell'art. 383 cod. proc. civ., al Tribunale per i mi norenni di Lecce perché — sentiti i parenti tenuti agli alimenti nei confronti del piccolo Salvatore dei quali consti la esistenza e la reperibilità (tra i quali certamente in primo luogo i nonni materni conviventi con la Pascariello) — riesamini, a conclu sione delle indagini e degli accertamenti indicati negli art. 314/6 e segg. cod. civ., se sussistano le condizioni specificate nell'art.
314/11 stesso codice per la dichiarazione dello stato di adotta
bilità, provvedendo ovviamente, in caso affermativo, a notificare il relativo decreto anche ai predetti congiunti.
Gli altri tre motivi del ricorso proposti dalla Pascariello ri
mangono assorbiti concernendo tutti pretesi vizi di un giudizio che, rimasto completamente travolto per effetto dell'accoglimento del primo motivo, dovrà essere totalmente rinnovato. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 25 marzo
1980, n. 1995; Pres. Tamburrino, Est. D'Avino, P. M. La Valva (conci, conf.); Spinelli (Avv. Viparelli) c. Russo (Avv. L. De Luca) e Soc. i.n.a.l.c.i.t.e. (Avv. Zevola). Conferma Trib. Napoli 14 gennaio 1978.
Opposizione di terzo — Conduttore avente causa mediato dal
promittente-venditore dopo la risoluzione della promessa di
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