Sezione I civile; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805; Pres. Fibbi P., Est. D'Armiento, P. M.Trotta (concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. De Villa) c. Poloni (Avv. Moschella,Trombettoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 11 (1964), pp. 2073/2074-2081/2082Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155126 .
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2073 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 20^4
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 7 dicembre 1964, n. 2856 ; Pres.
Pece P., Est. Malfitano, P. M. Silocchi (conci,
conf.) ; Fall, società di fatto Marcacci e Tozzi (Avv.
Ronco, Satta) c. Marcacci (Avv. De Geegoei).
(Cassa senza rinvio App. Genova 24 novembre 1962)
Fallimento — Provvedimento di chiusura — Reclamo
alla corte d'appello — Accoglimento — Ricorso
per cassazione —• Ammissibilità (Costituzione, art". 111).
Fallimento — Conto del curatore — Approvazione irregolare — Effetti — Reclamo alla corte d'ap
pello avverso il decreto di chiusura — Inammissi
bilità (E. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fal
limento, art. 26).
Può impugnarsi per cassazione il provvedimento con cui la
corte d'appello, su reclamo del fallito, annulla il decreto
del tribunale di chiusura del fallimento per irregolare
approvazione, da parte del giudice delegato (e non del
tribunale), del conto del curatore contestato dal fallito. (1) È inammissibile il reclamo alla corte d'appello contro il
decreto di chiusura del fallimento per irregolare approva zione del conto del curatore, quando il relativo provvedi mento del giudice delegato non sia stato impugnato nei
termini dinanzi il tribunale. (2)
La Corte, ecc. — Preliminare è l'esame della eccezione
con la quale il resistente sostiene l'inammissibilità del ri
corso perchè il provvedimento impugnato non avrebbe
natura decisoria avendo la corte sostanzialmente disposto la riapertura del fallimento con il rinvio degli atti al tri
bunale per decidere sulle contestazioni mosse dal fallito
contro il rendiconto presentato dal curatore.
L'eccezione è infondata. Questa Corte suprema ha co
(1-2) Nel senso dell'impugnabilità, con ricorso per cassa
zione, del provvedimento, con cui la corte d'appello conferma il decreto di chiusura del fallimento, pronunciato dal tribunale anche ai sensi dei nn. 3 e 4 dell'art. 118 della legge fallimentare, Oass. 10 agosto 1962, n. 2544, Foro it., Rep. 1962, voce Falli
mento, n. 630. Con questa sentenza, pronunciata sull'ipotesi prevista nel n. 4 (chiusura per insufficienza di attivo), la t'a-sa zione aveva dichiarato di modificare il precedente suo orienta mento giurisprudenziale, espresso nella sentenza 11 giugno 1958, n. 1930 (id., 1959, I, 1843, con nota di richiami, cui adde Bianchi
d'Espinosa, in Giust. civ., 1958, I, 1206), in cui si legge che deve ritenersi decisorio ed irrevocabile « il solo provvedimento di con ferma della chiusura del fallimento per una delle cause previste ai nn. 1 e 2 dell'art. 118, e non anche il provvedimento di conferma di chiusura per il verificarsi delle cause di cui ai nn. 3 e 4 del me desimo articolo e tanto meno il provvedimento che, in accogli mento del reclamo avverso la chiusura, revochi la chiusura del fallimento ».
Il contrasto della sentenza, che si riporta, con l'ultima pro posizione, contenuta nella motivazione della sentenza il. 1930 del 1958, sembra giustificato dalle peculiarità della specie, riassunta nella massima (impugnazione del decreto di chiusura
per irregolarità dell'approvazione del conto del curatore). Sull'ammissibilità del reclamo al tribunale avverso i provve
dimenti del giudice delegato sul piano di riparto, v. Cass. 4 aprile 1962, n. 703 Foro it., 1962, I, 926, con nota di richiami, cui adde Bianchi d'Espinosa, in Giust. civ., 1962, I, 829 ; Satta, in JUv. dir. comm., 1963, II, 339.
Sull'ammissibilità del ricorso per cassazione del decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedi mento del giudice delegato che aveva revocato la precedente ammissione con riserva di un credito al passivo fallimentare, v.
Cass. 13 aprile 1964, n. 868, retro, 1161, con ampia nota reda zionale di L. Magbone Ftjklotti.
Sui limiti d'applicabilità, dell'art. Ili, 2° comma, della Costi
tuzione, su cui s'indugia la Cassazione, v., da ultimo, Cass. 2
ottobre 1964, n. 2493 (retro, 1761, con nota di richiami), a pro posito del provvedimento di liquidazione degli onorari di avvo
cato a carico del cliente, e Cass. 24 luglio 1964, n. 2028 (retro, 1941, Con nota di richiami), a proposito dell'ordinanza del ri
getto dell'istanza di ricusazione del giudice.
Il Foro Italiano — Volume LXXXVII — Parte 1-13
stantemente affermato ohe, a seguito della entrata in vi
gore dell'art. Ili della Costituzione, tutti i provvedimenti decisori e definitivi, ancorché non aventi la forma di sen tenza o dichiarati sentenze non impugnabili ovvero defi
niti ordinanze o decreti dalle leggi anteriori, sono impu
gnabili in Cassazione per violazione di 'egge, in quanto tale
articolo si riferisce alla sentenza in senso materiale, con
riguardo, cioè, al suo contennto sostanziale.
Nella specie il provvedimento impugnato, pur avendo
la forma del decreto, è impugnabile in Cassazione a norma
dell'art. Ili della Costituzione perchè ha carattere defi
nitivo e contenuto decisorio. Invero, tale provvedimento ha carattere definitivo perchè non è impugnabile con alcun
altro rimedio giurisdizionale e ha contenuto decisorio
perchè con esso la corte di appello ha risolto una contro versia concernente il diritto del fallito a muovere conte
stazioni contro il rendiconto presentato dal curatore del
fallimento. La corte, infatti, esaminato, in contraddittorio
del curatore, il reclamo con il quale il Marcacci lamentava
che il suo diritto a contestare il rendiconto presentato dal
curatore era stato pregiudicato da irregolarità verificatesi
nello svolgimento della procedura di approvazione del
conto medesimo, ha ritenuto fondata tale doglianza, rile
vando che il decreto di approvazione del conto emesso dal
giudice delegato era inficiato di nullità assoluta perchè, a
seguito delle contestazioni del fallito, la decisione sull'ap
provazione spettava al tribunale.
È vero che la corte ha dichiarato anche la nullità del
decreto di chiusura del fallimento e ha ordinato la resti
tuzione degli atti al tribunale per decidere le contestazioni
mosse dal fallito contro il conto in conformità delle dispo sizioni di cui agli art. 116 della legge fall, e 189 cod. proc. civ., disponendo così la riapertura del fallimento, ma questa
pronunzia, conseguenziale all'accoglimento della doglianza
proposta dal Marcacci, non vale ad escludere il carattere
sostanzialmente decisorio del provvedimento impugnato. La eccezione di inammissibilità del ricorso per cassa
zione deve essere quindi disattesa.
Con l'unico motivo del ricorso predetto si sostiene, tra l'altro, che la doglianza concernente la irregolarità della procedura di approvazione del conto presentato dal
curatore non poteva essere proposta con reclamo alla corte
di appello contro il decreto di chiusura del fallimento, essendo tale approvazione divenuta definitiva per mancanza
di impugnazione nel termine di legge. La censura è fondata.
Invero, poiché il reclamo proposto dal Marcacci contro
il decreto di chiusura del fallimento aveva per oggetto soltanto la doglianza contro la irregolarità della procedura di approvazione del conto, la corte di appello avrebbe
dovuto dichiarare inammissibile tale reclamo, essendo
preclusa ogni questione relativa all'approvazione del conto,
per non essere stato impugnato, nel termine di cui all'art.
26 della legge fallimentare, il relativo decreto del giudice
delegato. Il riconoscimento dell'inammissibilità del reclamo alla
corte di appello importa che il provvedimento impugnato va cassato senza rinvio (art. 382, 3° comma, cod. proc.
civ.), ordinandosi la restituzione del deposito al ricorrente.
Per questi motivi, cassa senza rinvio, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
I
Sezione I civile ; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805 ; Pres. Fibbi P., Est. D'Akmiento, P. M. Tkotta (conci,
conf.) ; Monte dei Pascili di Siena (Avv. De Villa) c.
Poloni (Avv. Moschella, Trombettoni).
(Cassa App. Firenze 17 aprile 1962)
Ranca e contratti bancari — Procedimento civile —
Succursali — Capacità di stare in giudizio — Fat
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20?5 f>ARTE PRIMA 2076
tispecie (Cod. civ., art. 2204 ; cori. proc. civ., art;. 75 ; d. 22 ottobre 1936, statuto del Monte dei l'ascili di
Siena, art. 28).
Poiché le succursali, pur non essendo munite di personalità
giuridica, sono organi delle banche, di cui fan parte, il
direttore della succursale (nella specie, del Monte dei
Paschi di Siena) rappresenta in giudizio la banca nei
limiti delle attribuzioni della succursale. (1)
II
Sezione I civile ; sentenza 27 luglio 1964, n. 2093 ; Pres.
Celentano P., Est. Giannattasio, P. M. Criscttoli
(conci, conf.) ; Banca naz. lavoro (Avv. Molle) c. Fo
canti (Avv. Pietrantoni, Pazzaglia).
(Cassa App. Roma 14 giugno 1963)
Guerra (provvedimeliti per la) — Trattato di paee italo
albanese— Confisca di beni di italiani in Albania
disposta con legge albanese—Indennizzo del citta
dino da parte dello Stato italiano — Effetti in Italia — Fattispecie (D. pres. 14 settembre 1957 n. 941, ac
cordo tra l'Italia e l'Albania per il regolamento di alcune
questioni derivanti dal trattato di pace, art. 11 ; d. 1.
28 novembre 1947 n. 1430, esecuzionè del trattato di
pace fra l'Italia e le potenze alleate ed associate, art. 79). Italica e contratti bancari — Deposito presso filiale
di lianca italiana ili Albania -— Confisca — Am
missibilità (D. 1. 28 novembre 1957 n. 1430, art. 79 ; cod. civ., art. 1834).
A seguito dell'accordo concluso tra VItalia e l'Albania il 22 giugno 1957, reso esecutivo in Italia con decreto pres. 14 settembre 1957 n. 941, per il regolamento delle questioni derivanti dal trattato di pace 10 febbraio 1947, non può essere più contestata, in un giudizio vertente in Italia, la
legittimità della legge albanese 1° giugno 1948 n. 627, che
sottopose a confisca tutti i beni di cittadini italiani situati nel territorio della Repubblica popolare albanese. (2)
Il deposito effettuato presso la filiale di una banca italiana in Albania può, sotto il profilo della localizzazione ma
teriale, formare oggetto di confisca"da parte dello Stato albanese. (3)
I
La Corte, ecc. — Col secondo mezzo, di carattere de cisivo ed assorbente, denunziandosi la violazione e falsa
applicazione degli art. 2204 cod. civ., 75 cod. proc. civ., 18 e 28 delle norme statutarie del Monte dei Paschi di Siena (approvate con decreto del Capo del governo 22 ot tobre 1936 e 5 gennaio 1939) si deduce che le succursali del Monte dei Paschi di Siena sono organi autonomi periferici di tale istituto, non aventi una propria personalità giuri dica. Ma, a norma dell'art. 28 dello statuto, da coordinarsi col 2° comma dell'art. 2204 cod. civ., i direttori delle suc
(1, 3) Le due massime profilano, sotto il duplice aspetto (processuale e sostanziale), il rapporto tra banche e succursali, sul quale può rinviarsi alla nota redazionale alla sentenza 17 aprile 1962 della Corte d'appello di Firenze (est. Gahbogi), ora cassata, in Foro it., 1962, I, 1779, cui adde Pbatis, in Banca, borsa, ecc., 1959, II, 363; Falaschi, id., 1962, II, 523 (nota adesiva alla sentenza ora cassata).
L'altra sentenza, del pari cassata, 14 giugno 1963 della Corte d'appello di Roma (est. Pascalino), leggesi in Temi romana, 1964, 167 ; la sentenza 12 dicembre 1961, pronunciata in causa dal Tribunale di Roma, è riassunta in Foro it., Rep. 1962, voce Banca, nn. 17,18.
(2) Sull'accordo italo-albanese 22 giugno 1957 (reso esecutivo con decreto pres. 14 settembre 1957 n. 941), il cui art. 11, 2° comma, era sfuggito alla Corte d'appello di Roma nella sentenza ora cassata, non risultano precedenti editi.
cursali hanno la rappresentanza in giudizio del Monte dei
Paschi nei limiti della competenza delle succursali stesse.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte
di merito, il Rosini, Del presentare domanda di ammissione al passivo e nel proporre poi opposizione allo stato passivo, dichiarandosi direttore della succursale di Montevarchi, non aveva inteso attribuire a questa la personalità giuri dica, ma aveva agito quale rappresentante del Monte dei Paschi nei limiti della competenza organica della succur
sale. Il ricorso è fondato. Ha ritenuto la corte di merito che
la succursale di Montevarchi del Monte dei Paschi di Siena non fosse legittimata a proporre la domanda di opposizione allo stato passivo, diretta a far riconoscere la natura ipo tecaria del credito, ammesso dal giudice delegato al falli mento solo in via chirografaria, sul presupposto che la per sonalità giuridica del Monte dei Paschi di Siena (come quella di qualsiasi altra banca) spetta solo all'istituto Monte dei Paschi di Siena inteso unitariamente e nel suo complesso ed è esercitata, in nome e per conto di esso, solo dal presi dente del consiglio di amministrazione, nei modi e nelle forme previste dall'atto costitutivo e dallo statuto. Le filiali e succursali, invece, non sono soggetti di diritto e, sfornite di capacità giuridica e di agire, non possono eser citare e fare valere i diritti della banca a mezzo dei loro
direttori, nemmenoJneH'àmbito territoriale assegnato alle loro incombenze. Conseguentemente la corte di merito ha ritenuto e dichiarato il difetto di legittimazione attiva ad causarti e ad processum della succursale di Montevarchi, e la inammissibilità dell'intervento, proposto in grado di
appello dal Monte dei Paschi, fuori dei casi previsti dall'art. 404 cod. proc. civile.
Siffatta decisione non può approvarsi e presta il fianco alle censure mosse dai ricorrenti col mezzo ora in esame. Ed invero, anzitutto non può disconoscersi che il credito insinuato nella procedura fallimentare si appartiene al Monte dei Paschi di Siena e che il Cesare Rosini, nel pre sentare la domanda di ammissione al passivo, agì e volle
agire nella dichiarata qualità di direttore della succursale della banca, e non in nome proprio, siccome finisce per con cludere la sentenza impugnata (tanto che lo ha condannato in proprio alle spese processuali).
In secondo luogo, va detto che davanti al giudice dele
gato al fallimento non sorsero questioni circa la legitimatio ad causam o ad prooessum di parte attrice, e il Monte dei Paschi di Siena, succursale di Montevarchi, fu ammesso al passivo per la somma richiesta, con la sola variante, rispetto alla domanda, che il credito riceveva collocazione in via chirografaria anziché ipotecaria.
L'opposizione allo stato passivo fu, quindi, proposta dal Monte dei Paschi di Siena, succursale di Montevarchi, per ottenere che il tribunale, contrariamente a quanto deciso dal giudice delegato, riconoscesse il diritto di prela zione costituito dall'ipoteca ; e pertanto, essendo così limi tati il petitum e la causa petendi del giudizio di opposizione, è quanto mai dubbio che in prosieguo potesse pure discu tersi sulla legittimazione dell'attrice, già scontata dal prov vedimento di ammissione al passivo, sia pure in via chiro
grafaria, provvedimento non impugnato dal curatore del fallimento.
Ma l'argomento principale e decisivo contro la pro nunzia della corte di merito è costituito dall'orientamento della giurisprudenza di questa Suprema corte. La quale ha
ritenuto, in conformità della prevalente e più autorevole dottrina sia sotto il governo dell'abrogato codice di commer cio, sia in sede di applicazione dei vigenti codici, che le suc cursali di banche non sono munite di personalità giuridiche, ma si profilano come organi delle banche di cui sono parte. Il concetto unitario dell'azienda bancaria, infatti, va con
temperato con la relativa autonomia dei diversi stabili menti di ima stessa banca, autonomia che ha radice nella stessa organizzazione bancaria e trova un riconoscimento indiretto nel capoverso dell'art. 1834 cod. civ. (sent. n. 392 del 1949, Foro it., Rep. 1949, voce Banca, n. 19). Tale auto nomia dovendo, però, essere contenuta nei limiti della sostanziale unitarietà dell'azienda bancaria nel suo com
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2077 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2078
plesso, conferisce ai dirigenti le diverse filiali qualità insti
torie, donde la normale legittimazione attiva e passiva di essi dirigenti a stare in giudizio in nome della banca,
per i rapporti dipendenti dagli atti da essi intrapresi nel
l'esercizio delle filiali (sent. n. 1951 del 1956, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 19, 20 ; n. 2363 del 1936, id., Rep. 1936, voce
cit., n. 16 ; art. 375 abrog. cod. comm. e art. 2204 cod. civ.
vigente). Tale indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi sono
ragioni per discostarsi, attesa la sua piena rispondenza alle esigenze pratiche della vita bancaria e commerciale, oltre clie ai principi di diritto clic regolano i rapporti insti
tori e di rappresentanza in genere, trova riscontro, per altro, nel caso di specie, nell'art. 28 dello statuto del Monte dei
Paschi, in allora vigente, il quale dispone che « i direttori
rappresentano verso i terzi la succursale, cui sono preposti, e le agenzie che da questa dipendono ».
Norma, questa, che conferisce ai direttori di succursale, nella sfera delle attribuzioni delle succursali stesse cui sono
preposti, ogni potere di rappresentanza dell'istituto ban
cario.
È ovvio che al presidente del consiglio di amministra
zione del Monte dei Paschi, cui spetta la rappresentanza
generale, sostanziale e formale, dell'istituto per i rapporti che riguardano quest'ultimo quale soggetto unitario di di
ritto, spetta anche la rappresentanza della banca per gli affari delle filiali o succursali, che, come si è detto, sono
organi della banca medesima e non hanno personalità giu ridica. Ma ciò significa solo che il presidente può stare in
giudizio per il Monte dei Paschi anche per gli affari delle
succursali, non già che i direttori di queste ultime siano
privi di capacità processuale. Pertanto, il ricorso va accolto, e restano assorbiti gli
altri due mezzi (primo e terzo) che riguardano la declara
toria d'inammissibilità dell'intervento proposto in appello ; tali mezzi, invero, per il carattere di censure subordinate
che rivestono, avrebbero potuto prendersi in considera
zione solo ove fosse stato disatteso il motivo principale ed assorbente ch'è stato invece accolto.
Cassandosi la sentenza impugnata, la causa va rimessa
ad altra corte di merito per la decisione, ed il giudice di
rinvio dovrà uniformarsi al principio di diritto precisato in precedenza circa i poteri institori e di rappresentanza del direttore di succursale del Monte dei Paschi di Siena
anche in relazione alla norma statutaria.
Per questi motivi, cassa, ecc.
II
La Corte, ecc. — Con il primo motivo, la ricorrente
denuncia ! a violazione dell'art. 11 decreto pres. 14 settem
bre 1957 n. 941 in relazione all'art. 79 del trattato di pace tra l'Italia e le potenze alleate e associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo con decreto legisl. 28 no
vembre 1947 n. 1430, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ. Con esso si censura la sentenza perchè questa, nel ritenere che l'art. 79 del trattato di pace non contem
plava il diritto della potenza ex nemica di sequestrare indis
criminatamente tutti i beni, diritti e interessi dell'Italia e
dei cittadini italiani e che bisognava distinguere caso per caso concludendo che, in quello di specie essendo mancata
qualsiasi iniziativa della Repubblica popolare albanese
di sostituirsi al correntista nel diritto da. questo ultimo
vantato verso la banca, il Pocanti doveva essere conside
rato ancora titolare del diritto medesimo, non ha conside
rato l'articolo dell'accordo per il regolamento delle que stioni derivanti dal detto trattato (art. 11, 2° comma, de
creto pres. 14 settembre 1957 n. 941), secondo il quale le
alte parti contraenti non possono più avanzare alcuna pre tesa relativa all'applicazione dell'art. 79 del trattato di
pace, in quanto tutte le questioni relative erano da consi
derarsi regolate in base all'accordo medesimo. Non potendo,
perciò, l'Italia avanzare più alcuna pretesa relativamente
ad eventuali eccessi compiuti dall'Albania, la sentenza che
ha dichiarato l'illegittimità rispetto al trattato di pace
della legge albanese 1° giugno 1948 ha errato perchè ha di menticato l'esistenza del successivo accordo del 1957 che, con efficacia vincolante verso i cittadini degli Stati mede
simi, ha superato tale pretesa illegittimità. Con il secondo
motivo, che si esamina congiuntamente, per il nesso indis
solubile delle censure, la ricorrente, denunciando nuovamente violazione dell'art. 79 del trattato di pace e dell'art. 1834,
capov., cod. civ., lamenta che la corte di merito abbia escluso
che il credito del Focanti potesse essere oggetto di confisca,
perchè non localizzato in Albania, stante la sua immateria
lità e la non perseguibilità in Italia da parte dello Stato
albanese.
Senonchè, afferma la ricorrente, non è esatto che un
diritto di credito non possa essere localizzato per la sua
immaterialità e neppure è esatto che il trattato abbia par lato dei crediti come situati nel territorio dei paesi ex ne
mici, impiegando un concetto di localizzazione materiale :
il trattato si riferisce a « beni, diritti e interessi » che si tro
vino nel territorio, ed indubbiamente il credito de quo si
trovava in Albania, perchè la filiale della banca in Tirana
costituiva uno stabilimento bancario separato, perchè ope rava in altro Stato, ed era soggetto alle leggi del luogo, parti colarmente a quelle valutarie. Tutte le operazioni, attive
o passive, poste in essere con la filiale di Tirana della banca, erano necessariamente localizzate presso la filiale stessa, e
il credito del Focanti si trovava pertanto in Albania ; ciò
anche a norma dell'art. 1834, capov., cod. civile.
Le censure sono fondate. Nella comparsa di costitu
zione in appello 1° aprile 19C2 la Banca nazionale del lavoro,
per contrastare la tesi del Focanti, secondo la quale la
legge albanese 1° giugno 1948 n. 627, che sottoponeva a
confisca « tutti i beni, i diritti e gli interessi dell'Italia
e dei cittadini italiani » situati nel territorio della Re
pubblica popolare albanese (art. 1), non poteva avere ef
fetto in Italia oltre a far richiamo all'art. 79 del trat
tato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso ese
cutivo con decreto pres. 28 novembre 1947 n. 1430, invocava
l'art. 10 dell'accordo- concluso tra l'Italia e l'Albania il
22 giugno 1957, reso esecutivo con l'Italia con decreto 14
settembre 1957 n. 941. Nella comparsa conclusionale, sem
pre in grado di appello, 2 novembre 1962, la Banca nazio
nale del lavoro faceva nuovamente riferimento al citato
accordo 1957.
La corte di merito ha assolutamente ignorato questo accordo e il provvedimento presidenziale che lo ha reso
esecutivo in Italia, del quale, come sarà precisato, acqui stava particolare rilevanza, ai fini della presente contro
versia, l'art. 11, 2° comma, per cui « Aucune pretention ne
pourra plus ètre avancée de la part de deux hautes parties contractantes au sujet de l'application de l'art. 79 du traitó
de paix, ótant donne que toutes les questions relatives à
l'application dudit article sont considerées comme défi
nitivement reglées par le présent accord ».
Il preciso e ripetuto richiamo a quell'accordo da parte della Banca nazionale del lavoro esclude che possa eccepirsi la novità della questione proposta con il primo mezzo, ma
l'eccezione di inammissibilità, sollevata dal Focanti, a
parte il principio turo novit curia, sarebbe comunque infon
data perchè l'ammissibilità di nuove questioni, nel giudizio di cassazione, è subordinata alla condizione che, per poter stabilire se siano o meno applicabili le norme che si assu
mono pretermesse, violate o falsamente applicate dai giu dici di merito, non sia necessario accertare elementi di fatto
non dedotti dinanzi a loro, e cioè che l'applicazione di norme
diverse non richiede indagini od apprezzamenti di merito
non compiuti nei precorsi gradi del giudizio, perchè estranei
alla precedente impostazione oggettiva della controversia.
Ove, quindi, vi è bisogno dell'accertamento di nuovi ele
menti di fatto, i rilievi che importano un profilo oggettivo non prospettato o non esaminato nel giudizio di merito,
non sono preclusi nel giudizio di cassazione (Cass. 12 febbraio
1964, n. 343, Foro it., Mass., 82 ; 29 gennaio 1964, n. 234,
ibid., 59; 4 dicembre 1963, n. 3081, id., Rep. 1963, voce
Cassazione civ., -n. 50). Nè vale sostenere che quell'accordo internazionale vin
cola le alte parti contraenti e non i singoli cittadini. I trat
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2079 PARTE PRIMA 2080
tati internazionali, come è noto, vincolano gli Stati con
traenti fra loro, perchè i cittadini possono essere obbligati ed
acquistano diritti soltanto da atto interno dello Stato, ma
quando è intervenuto un atto dell'organo statale compe tente a dar vigore al contenuto del trattato nei rapporti interni, e ciò in adempimento dell'obbligo giuridico dello
Stato, nella sua unità, verso l'altro Stato, nascente dal
trattato, le norme e i patti in esso contenuti obbligano tutti i cittadini, come vincolano gli organi dello Stato,
giurisdizionali e amministrativi. Da quanto è stato sin ora osservato, le disposizioni da
tenere particolarmente presenti per la risoluzione della
presente controversia sono :
а) l'art. 79 del citato trattato di pace con il quale si
stabilisce che « ciascuna delle potenze alleate ed associate
(e tra queste l'Albania) avrà il diritto di requisire, detenere,
liquidare o prendere ogni altra azione nei confronti di tutti
i beni, diritti e interessi che alla data di entrata in vigore del presente trattato si trovino entro il suo territorio e che
appartengano all'Italia o a cittadini italiani, e avrà inoltre
il diritto di utilizzare i beni o i proventi della loro liquida zione per quei fini che riterrà opportuni, entro il limite
dell'ammontare delle sue domande o di quelle dei suoi cit
tadini contro l'Italia o cittadini italiani, ivi compresi i crediti che non siano stati interamente regolati in base ad altri articoli del presente trattato. Tutti i beni italiani 0 i proventi della loro liquidazione, che eccedano l'am
montare di dette domande, saranno restituiti ». Il § 3 dello
stesso articolo, precisa poi che « il governo italiano si im
pegna di indennizzare i cittadini italiani i cui beni saranno confiscati ai sensi del presente articolo e non saranno loro restituiti » ;
б) la legge albanese 1° giugno 1948 n. 627 la quale, sebbene non recepita nel nostro ordinamento, viene ad inserirsi tra due provvedimenti legislativi efficaci in Italia e serve a lumeggiare il susseguirsi degli avvenimenti. L'art. 1 di tale legge stabilisce che « tutti i beni, diritti e interessi dell'Italia e dei cittadini italiani situati nel territorio della
Repubblica popolare albanese passano in proprietà dello Stato albanese » ;
c) l'accordo per il regolamento delle questioni deri vanti dal trattato di pace tra l'Italia e l'Albania del 1957, dianzi ricordato, del quale è già stato riprodotto il 2° comma dell'art. 11.
Dall'esame combinato di queste disposizioni emerge che le potenze alleate ed associate, tra le quali la Repub blica popolare albanese, avevano il potere di dispone di tutti i beni, diritti ed interessi dell'Italia e cittadini italiani
che, alla data di entrata in vigore del trattato di pace, si trovavano nel loro territorio, sia pure nei limiti dell'ammon tare delle domande della potenza alleata e associata e di
quelle dei suoi cittadini contro l'Italia e i cittadini italiani, e con l'obbligo di restituzione del supero. La Repubblica popolare albanese con la citata legge interna del 1948
dispose il passaggio in proprietà dello Stato di tutti i beni, diritti ed interessi dell'Italia e dei cittadini italiani situati nel proprio territorio. Così operando, l'Albania ha inteso
applicare internamente il trattato di pace senza il rispetto delle limitazioni in esso contenute, donde motivi di attrito tra la Repubblica italiana e quella albanese. A dirimere
ogni contrasto è intervenuto l'accordo 22 giugno 1957, nel
quale, senza alcuna riserva da parte italiana per le violazioni dell'art. 79 del trattato o per avere l'Albania provveduto ad una confisca generale anziché (ammesso che vi fosse tenuta per il trattato) all'emanazione di singoli provvedi menti di confisca, si esclude che, in avvenire, da una o dall'altra delle alte parti contraenti potessero essere avan zate ulteriori pretese. E che con quell'accordo, di natura
transattiva, si intese porre termine, una volta per sempre, a tutte le eventuali irregolarità e a tutti gli abusi commessi dalla Repubblica albanese e si vollero includere nella con venzione anche gli avanzi di liquidazione, da restituire even tualmente alla Repubblica italiana a norma del più volte citato art. 79, si desume chiaramente dal fatto che vi fu
rono concessioni reciproche, e la stessa Albania, a cui favore il trattato di pace aveva posto un indennizzo di 5 milioni
di dollari, da corrispondersi dall'Italia, acconsentì che
l'importo venisse ridotto a dollari 2.600.000, e che questi fossero pagati, anziché in valuta, mediante merci. Ulteriore
conferma è fornita dall'art. 10 dell'accordo del 1957 per il quale il governo albanese si impegnava a collaborare
con quello italiano per raccogliere gli elementi necessari
alla stima dei beni da indennizzarsi dal governo italiano
ai cittadini italiani ai sensi del § 3 dell'art. 79 del trattato
di pace e a fornire la documentazione relativa.
Per lo Stato italiano, nessun rilievo è più possibile sulla
legittimità della legge albanese del 1948 ed ogni viola
zione del trattato di pace, da parte della Repubblica popo lare albanese, è stata rimossa con l'accordo. Dopo di questo, il cittadino italiano, che sia stato leso da una confisca even
tualmente illegale da parte del governo albanese, e che
non può fare affidamento su quelle restituzioni che erano
previste dal § 3 dell'art. 79 del trattato di pace, non può che avvalersi (o avrebbe potuto avvalersi, se ha lasciato
decorrere inutilmente i termini di legge) delle disposizioni che pongono a carico dello Stato italiano l'obbligo dell'in
dennizzo.
Fondata è anche la censura, contenuta nel secondo mezzo, e che attiene alla localizzazione, negata dalla corte di merito, del credito de quo in Albania.
In linea generale può dirsi che la circostanza che un
istituto bancario sia amministrativamente diviso in sedi, succursali e simili, non toglie che l'istituto stesso realizzi
una unica persona giuridica, con la conseguenza che le di
pendenze devono essere riguardate quali organi della per sona giuridica e i loro atti, nei confronti di altri soggetti di diritto, vanno considerati come atti della persona giu ridica istituto bancario. Il problema dell'autonomia delle
filiali sorge in relazione al 2° comma dell'art. 1834 cod.
civ., per il quale nel deposito bancario (e la disposizione vale anche se l'operazione è regolata in conto corrente, a
norma dell'art. 1852 e segg. cod. civ.), i versamenti e i
prelevamenti si eseguono, salvo patto contrario, alla sede
della banca presso la quale si è costituito il rapporto. Tale
norma, che trova la sua origine in una prassi bancaria
sempre seguita, si ricollega ad un dato di fatto imprescin dibile, che i depositi, come i rimborsi, vanno e non possono non essere annotati negli appositi registri di quella sola
filiale dell'istituto depositario presso il quale si costituisce
l'originario rapporto ed è conseguentemente disponibile la somma depositata. Un istituto di credito non può fare
a meno senza pregiudizio del suo funzionamento, che involge un interesse pubblico oltre che privato, degli esami e dei
controlli dei propri registri, che soltanto esistono presso la sede óve il rapporto è sorto.
Ispirandosi a tali ragioni di ordine pratico, ma anche di ordine giuridico, questo Supremo collegio ha già avuto occasione di affermare il principio, secondo il quale le banche,
per quanto complessa sia la loro organizzazione, costitui scono soggetto unico di diritto ; tuttavia, le loro filiali hanno una propria competenza e autonomia, per modo che un rapporto di deposito rimane presso la sede ove esso
sorse, fino a che non viene estinto (Cass. 2 marzo 1949, n. 392, Foro it., Rep. 1949, voce Banca, n. 19). L'unità della banca non esclude, ma anzi esige che ogni ufficio,
ogni filiale, ogni dipendenza abbia una propria autonomia, che ha radice nell'organizzazione bancaria e riconoscimento
indiretto nel citato art. 1834, 2° comma.
Autonomia non significa, naturalmente, personalità
giuridica, ma localizzazione dei rapporti ; sede agli effetti dell'art. 1834 non è tanto il domicilio legale dell'ente,
quanto la singola succursale, o filiale dell'istituto. Ma non soltanto nell'art. 1834, capo v., poggia la tesi
dell'autonomia delle filiali della banca sibbene anche su altre disposizioni di legge. Gli art. 54 e 55 della legge 7 marzo 1938 n. 141, sulle aziende di credito, prevedono la sostituzione di un'azienda di credito ad un'altra nell'esercizio di una sede o di una filiale ; il r. decreto 21 dicembre 1933 n. 1736, sull'assegno bancario e circolare, contiene varie
disposizioni che riconoscono esplicitamente l'autonomia delle varie dipendenze della banca (art. 3, 18, ult. parte, 98, 102).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Una volta riconosciuto il principio dell'autonomia della
filiale della banca e la localizzazione dei rapporti presso di essa, e non potendosi contestare, come non è contestato
dalla denunciata sentenza, che il trattato di pace aveva
conferito alle potenze ex nemiche anche il potere di con
fiscare i diritti di credito, non rispondono ad esatto criterio
giuridico le argomentazioni addotte dalla corte di merito
per disconoscere che il credito del Focanli, per saldo di
conto corrente, si fosse localizzato presso la filiale di Tirana
della Banca nazionale del lavoro e per negare che esso po tesse formare oggetto di confisca da parte del governo albanese. Non ha pregio, infatti, l'argomento secondo il
quale il trattato di pace prevedeva varie eccezioni al diritto
della Repubblica popolare albanese di appropriazione dei
beni italiani situati nel suo territorio, che avrebbero im
portato la necessità di distinguere, caso per caso, al fine
di stabilire in quali ipotesi il diritto dovesse ritenersi am
messo ed in quali escluso, per le ragioni già ampiamente svolte, in precedenza, nell'illustrazione dell'accordo inter
venuto nel 1957 tra l'Italia e l'Albania, che esclude ogni ulteriore disputa sulla regolarità del provvedimento di
confisca adottato in via generale dall'Albania con la citata
legge del 1948. Nè ha maggior fondamento l'altra argomen
tazione, contenuta nella denunciata sentenza, secondo la
quale il credito del Focanti non avrebbe potuto cadere
sotto la confisca della legge albanese, perchè il governo
popolare si sarebbe impadronito di fatto, dopo l'8 settembre
1913, di tutto il patrimonio dalla filiale della b-.nca, sicché, alla data del trattato di pace, quel eredito non avrebbe
potuto essere realizzato in terra albanese, essendo venuta
meno la presenza del debitore, oltre che il suo patrimonio. Trattasi di affermazione inficiata da gravi errori di diritto,
perchè la materiale chiusura della filiale della banca per l'abbandono del personale o per atto iure belli del governo rivoluzionario non elimina la filiale stessa, della quale si
è dimostrata dianzi l'autonomia e la relativa localizzazione
dei rapporti, che è posta soltanto in condizione di tem
poranea inattività, nè fa scomparire i crediti verso detta
filiale ; e perchè, come ha insegnato questa Corte suprema nella ricordata sentenza n. 382 del 1949, una volta costi
tuito il rapporto presso una filiale di una banca, non è
possibile il trasferimento ad altra, cioè non possono ese
guirsi versamenti e prelevamenti presso altra filiale, si
tuata nella stessa o in diversa {iazza, senza la necessità
dell'estinzione dell'originario rapporto presso la sede ove
era stato costituito e la creazione di un nuovo rapporto nella nuova sede.
Con ciò è data anche risposta all'obiezione contenuta
nella nota d'udienza del resistente, e diretta a negare la
localizzazione del credito in Albania al momento dell'en
trata in vigore del trattato di pace (1947) e dell'emanazione
della legge albanese (1948) per mancanza di una norma di
collegamento tra credito e territorio, perchè tale norma
può rinvenirsi tanto nella nascita del credito per la residenza
extranazionale delle parti in quel momento, quanto nel
locum solutionis che, per quanto si è detto, sarebbe stato
Tirana, ove non fosse intervenuto il procedimento generale di confisca.
Accogliendosi il primo e secondo motivo del ricorso, ri
mane assorbito il terzo, con il quale si muovono censure
subordinate. La denunciata sentenza va cassata e la causa
va rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della stessa
Corte d'appello di Roma, che dovrà uniformarsi ai criteri
di diritto sopra enunciati.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 6 novembre 1964, n. 2690 ;
Pres. Civiletti P., Est. De Palma, P. M. Gentile
(conci, conf.) ; Istituto delle suore degli angeli (Avv.
Ciamarelli, Petroncelli) c. Lapisa e Proc. gen. corte App. Napoli ; Lapisa (Avv. Gaglione) c. Istituto
delle suore degli angeli.
(Cassa App. Napoli 8 ottobre 1963)
Ente ed asse ecclesiastico — Disposizione fiduciaria — Accertamento dell'interposizione — Ammissi
bilità (Cod. civ., art. 627 ; legge 27 maggio 1929 n. 848,
disposizioni sugli enti ecclesiastici e sull'amministrazione
civile dei patrimoni destinati a fini di culto, art. 9, 10). Ente ed asse ecclesiastico — Disposizione fiduciaria
— Successivo riconoscimento dell'ente — Conva
lida — Fattispecie (Cod. civ., art. 627, 1414 ; legge 27 maggio 1929 n. 848, art. 10).
È ammissibile l'accertamento dell'interposizione di persona nella disposizione testamentaria allo scopo di far dichia
rare la nullità dell'acquisto da parte di un ente ecclesia
stico che non abbia conseguito le prescritte autorizzazioni. ( 1 )
Istituito erede con testamento, per interposta persona, un ente
ecclesiastico, poi riconosciuto, l'autorizzazione ad accettare
l'eredità, nella quale l'ente, in esecuzione del primo te
stamento, è stato istituito dalla persona interposta, vieta di
dichiarare la nullità della disposizione fiduciaria a favore dell'ente. (2)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo del ricorso prin
cipale l'istituto denuncia la violazione e falsa applicazione
degli art. 10 legge 27 maggio 1929 n. 848, 829 cod. civ. 1865,
627 e 1418, ult. comma, cod. civ. 1942, 15 delle preleggi, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e lamenta
clie l'impugnata sentenza, esclusa così la vocazione diretta
dell'istituto come l'interposizione fittizia della persona istituita erede, abbia ritenuto ammissibile la prova che
fosse stato fiduciariamente commesso, dalla testatrice
alla erede, l'obbligo del trasferimento all'istituto ; invece,
tale indagine sul carattere fiduciario della disposizione te
stamentaria era vietata sia dall'art. 829 cod. civ. del 1865
sia dall'art. 627 cod. civ. vigente, che, a differenza del
primo, addirittura esclude l'azione, per accertare che le
disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testa
mento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta.
Nè all'accertamento dell'interposizione potevasi far luogo ai sensi dell'art. 10 della legge 27 maggio 1929 n. 848,
disciplinando questa norma l'istituto della autorizzazione
per gli acquisti da parte degli enti di culto, e non già l'inter
posizione di persona (fiduciaria o non) nelle disposizioni
testamentarie. La doglianza è meritevole di accoglimento nei limiti che
saranno precisati. La corte di merito, dopo avere dato atto che il divieto
d'indagine sul carattere fiduciario della disposizione testa
mentaria, enunciato dall'abrogato art. 829 e tenuto fermo
dall'art. 627 del codice vigente, subiva eccezione nell'ipotesi che la disposizione fosse stata fatta a favore di incapaci
a ricevere (art. 627, 3° comma, cod. civ.), risolse in senso
affermativo il quesito se il detto divieto ricevesse dall'ordi
namento positivo altra eccezione all'infuori di quella san
cita dalla norma testé ricordata.
Tale soluzione è indubbiamente corretta. Infatti, la
legge 27 maggio 1929 n. 848, recante disposizioni sugli enti
(1-2) La sentenza della Corte napoletana 8 ottobre 1963,
confermata relativamente alla questione riassunta nella prima delle massime qui formulate, ma cassata circa la seconda, leg
gesi retro, 1060, con amplissima nota di richiami ed è stata
commentata da Labiccia, In tema di acquisti degli enti eccle
siastici per interposta persona, in Giust. civ., 1964, I, 1865.
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