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Sezione I civile; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805; Pres. Fibbi P., Est. D'Armiento, P. M. Trotta...

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Sezione I civile; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805; Pres. Fibbi P., Est. D'Armiento, P. M. Trotta (concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. De Villa) c. Poloni (Avv. Moschella, Trombettoni) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 11 (1964), pp. 2073/2074-2081/2082 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23155126 . Accessed: 28/06/2014 12:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 12:35:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805; Pres. Fibbi P., Est. D'Armiento, P. M.Trotta (concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. De Villa) c. Poloni (Avv. Moschella,Trombettoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 11 (1964), pp. 2073/2074-2081/2082Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155126 .

Accessed: 28/06/2014 12:35

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2073 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 20^4

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 7 dicembre 1964, n. 2856 ; Pres.

Pece P., Est. Malfitano, P. M. Silocchi (conci,

conf.) ; Fall, società di fatto Marcacci e Tozzi (Avv.

Ronco, Satta) c. Marcacci (Avv. De Geegoei).

(Cassa senza rinvio App. Genova 24 novembre 1962)

Fallimento — Provvedimento di chiusura — Reclamo

alla corte d'appello — Accoglimento — Ricorso

per cassazione —• Ammissibilità (Costituzione, art". 111).

Fallimento — Conto del curatore — Approvazione irregolare — Effetti — Reclamo alla corte d'ap

pello avverso il decreto di chiusura — Inammissi

bilità (E. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fal

limento, art. 26).

Può impugnarsi per cassazione il provvedimento con cui la

corte d'appello, su reclamo del fallito, annulla il decreto

del tribunale di chiusura del fallimento per irregolare

approvazione, da parte del giudice delegato (e non del

tribunale), del conto del curatore contestato dal fallito. (1) È inammissibile il reclamo alla corte d'appello contro il

decreto di chiusura del fallimento per irregolare approva zione del conto del curatore, quando il relativo provvedi mento del giudice delegato non sia stato impugnato nei

termini dinanzi il tribunale. (2)

La Corte, ecc. — Preliminare è l'esame della eccezione

con la quale il resistente sostiene l'inammissibilità del ri

corso perchè il provvedimento impugnato non avrebbe

natura decisoria avendo la corte sostanzialmente disposto la riapertura del fallimento con il rinvio degli atti al tri

bunale per decidere sulle contestazioni mosse dal fallito

contro il rendiconto presentato dal curatore.

L'eccezione è infondata. Questa Corte suprema ha co

(1-2) Nel senso dell'impugnabilità, con ricorso per cassa

zione, del provvedimento, con cui la corte d'appello conferma il decreto di chiusura del fallimento, pronunciato dal tribunale anche ai sensi dei nn. 3 e 4 dell'art. 118 della legge fallimentare, Oass. 10 agosto 1962, n. 2544, Foro it., Rep. 1962, voce Falli

mento, n. 630. Con questa sentenza, pronunciata sull'ipotesi prevista nel n. 4 (chiusura per insufficienza di attivo), la t'a-sa zione aveva dichiarato di modificare il precedente suo orienta mento giurisprudenziale, espresso nella sentenza 11 giugno 1958, n. 1930 (id., 1959, I, 1843, con nota di richiami, cui adde Bianchi

d'Espinosa, in Giust. civ., 1958, I, 1206), in cui si legge che deve ritenersi decisorio ed irrevocabile « il solo provvedimento di con ferma della chiusura del fallimento per una delle cause previste ai nn. 1 e 2 dell'art. 118, e non anche il provvedimento di conferma di chiusura per il verificarsi delle cause di cui ai nn. 3 e 4 del me desimo articolo e tanto meno il provvedimento che, in accogli mento del reclamo avverso la chiusura, revochi la chiusura del fallimento ».

Il contrasto della sentenza, che si riporta, con l'ultima pro posizione, contenuta nella motivazione della sentenza il. 1930 del 1958, sembra giustificato dalle peculiarità della specie, riassunta nella massima (impugnazione del decreto di chiusura

per irregolarità dell'approvazione del conto del curatore). Sull'ammissibilità del reclamo al tribunale avverso i provve

dimenti del giudice delegato sul piano di riparto, v. Cass. 4 aprile 1962, n. 703 Foro it., 1962, I, 926, con nota di richiami, cui adde Bianchi d'Espinosa, in Giust. civ., 1962, I, 829 ; Satta, in JUv. dir. comm., 1963, II, 339.

Sull'ammissibilità del ricorso per cassazione del decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedi mento del giudice delegato che aveva revocato la precedente ammissione con riserva di un credito al passivo fallimentare, v.

Cass. 13 aprile 1964, n. 868, retro, 1161, con ampia nota reda zionale di L. Magbone Ftjklotti.

Sui limiti d'applicabilità, dell'art. Ili, 2° comma, della Costi

tuzione, su cui s'indugia la Cassazione, v., da ultimo, Cass. 2

ottobre 1964, n. 2493 (retro, 1761, con nota di richiami), a pro posito del provvedimento di liquidazione degli onorari di avvo

cato a carico del cliente, e Cass. 24 luglio 1964, n. 2028 (retro, 1941, Con nota di richiami), a proposito dell'ordinanza del ri

getto dell'istanza di ricusazione del giudice.

Il Foro Italiano — Volume LXXXVII — Parte 1-13

stantemente affermato ohe, a seguito della entrata in vi

gore dell'art. Ili della Costituzione, tutti i provvedimenti decisori e definitivi, ancorché non aventi la forma di sen tenza o dichiarati sentenze non impugnabili ovvero defi

niti ordinanze o decreti dalle leggi anteriori, sono impu

gnabili in Cassazione per violazione di 'egge, in quanto tale

articolo si riferisce alla sentenza in senso materiale, con

riguardo, cioè, al suo contennto sostanziale.

Nella specie il provvedimento impugnato, pur avendo

la forma del decreto, è impugnabile in Cassazione a norma

dell'art. Ili della Costituzione perchè ha carattere defi

nitivo e contenuto decisorio. Invero, tale provvedimento ha carattere definitivo perchè non è impugnabile con alcun

altro rimedio giurisdizionale e ha contenuto decisorio

perchè con esso la corte di appello ha risolto una contro versia concernente il diritto del fallito a muovere conte

stazioni contro il rendiconto presentato dal curatore del

fallimento. La corte, infatti, esaminato, in contraddittorio

del curatore, il reclamo con il quale il Marcacci lamentava

che il suo diritto a contestare il rendiconto presentato dal

curatore era stato pregiudicato da irregolarità verificatesi

nello svolgimento della procedura di approvazione del

conto medesimo, ha ritenuto fondata tale doglianza, rile

vando che il decreto di approvazione del conto emesso dal

giudice delegato era inficiato di nullità assoluta perchè, a

seguito delle contestazioni del fallito, la decisione sull'ap

provazione spettava al tribunale.

È vero che la corte ha dichiarato anche la nullità del

decreto di chiusura del fallimento e ha ordinato la resti

tuzione degli atti al tribunale per decidere le contestazioni

mosse dal fallito contro il conto in conformità delle dispo sizioni di cui agli art. 116 della legge fall, e 189 cod. proc. civ., disponendo così la riapertura del fallimento, ma questa

pronunzia, conseguenziale all'accoglimento della doglianza

proposta dal Marcacci, non vale ad escludere il carattere

sostanzialmente decisorio del provvedimento impugnato. La eccezione di inammissibilità del ricorso per cassa

zione deve essere quindi disattesa.

Con l'unico motivo del ricorso predetto si sostiene, tra l'altro, che la doglianza concernente la irregolarità della procedura di approvazione del conto presentato dal

curatore non poteva essere proposta con reclamo alla corte

di appello contro il decreto di chiusura del fallimento, essendo tale approvazione divenuta definitiva per mancanza

di impugnazione nel termine di legge. La censura è fondata.

Invero, poiché il reclamo proposto dal Marcacci contro

il decreto di chiusura del fallimento aveva per oggetto soltanto la doglianza contro la irregolarità della procedura di approvazione del conto, la corte di appello avrebbe

dovuto dichiarare inammissibile tale reclamo, essendo

preclusa ogni questione relativa all'approvazione del conto,

per non essere stato impugnato, nel termine di cui all'art.

26 della legge fallimentare, il relativo decreto del giudice

delegato. Il riconoscimento dell'inammissibilità del reclamo alla

corte di appello importa che il provvedimento impugnato va cassato senza rinvio (art. 382, 3° comma, cod. proc.

civ.), ordinandosi la restituzione del deposito al ricorrente.

Per questi motivi, cassa senza rinvio, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

I

Sezione I civile ; sentenza 26 novembre 1964, n. 2805 ; Pres. Fibbi P., Est. D'Akmiento, P. M. Tkotta (conci,

conf.) ; Monte dei Pascili di Siena (Avv. De Villa) c.

Poloni (Avv. Moschella, Trombettoni).

(Cassa App. Firenze 17 aprile 1962)

Ranca e contratti bancari — Procedimento civile —

Succursali — Capacità di stare in giudizio — Fat

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20?5 f>ARTE PRIMA 2076

tispecie (Cod. civ., art. 2204 ; cori. proc. civ., art;. 75 ; d. 22 ottobre 1936, statuto del Monte dei l'ascili di

Siena, art. 28).

Poiché le succursali, pur non essendo munite di personalità

giuridica, sono organi delle banche, di cui fan parte, il

direttore della succursale (nella specie, del Monte dei

Paschi di Siena) rappresenta in giudizio la banca nei

limiti delle attribuzioni della succursale. (1)

II

Sezione I civile ; sentenza 27 luglio 1964, n. 2093 ; Pres.

Celentano P., Est. Giannattasio, P. M. Criscttoli

(conci, conf.) ; Banca naz. lavoro (Avv. Molle) c. Fo

canti (Avv. Pietrantoni, Pazzaglia).

(Cassa App. Roma 14 giugno 1963)

Guerra (provvedimeliti per la) — Trattato di paee italo

albanese— Confisca di beni di italiani in Albania

disposta con legge albanese—Indennizzo del citta

dino da parte dello Stato italiano — Effetti in Italia — Fattispecie (D. pres. 14 settembre 1957 n. 941, ac

cordo tra l'Italia e l'Albania per il regolamento di alcune

questioni derivanti dal trattato di pace, art. 11 ; d. 1.

28 novembre 1947 n. 1430, esecuzionè del trattato di

pace fra l'Italia e le potenze alleate ed associate, art. 79). Italica e contratti bancari — Deposito presso filiale

di lianca italiana ili Albania -— Confisca — Am

missibilità (D. 1. 28 novembre 1957 n. 1430, art. 79 ; cod. civ., art. 1834).

A seguito dell'accordo concluso tra VItalia e l'Albania il 22 giugno 1957, reso esecutivo in Italia con decreto pres. 14 settembre 1957 n. 941, per il regolamento delle questioni derivanti dal trattato di pace 10 febbraio 1947, non può essere più contestata, in un giudizio vertente in Italia, la

legittimità della legge albanese 1° giugno 1948 n. 627, che

sottopose a confisca tutti i beni di cittadini italiani situati nel territorio della Repubblica popolare albanese. (2)

Il deposito effettuato presso la filiale di una banca italiana in Albania può, sotto il profilo della localizzazione ma

teriale, formare oggetto di confisca"da parte dello Stato albanese. (3)

I

La Corte, ecc. — Col secondo mezzo, di carattere de cisivo ed assorbente, denunziandosi la violazione e falsa

applicazione degli art. 2204 cod. civ., 75 cod. proc. civ., 18 e 28 delle norme statutarie del Monte dei Paschi di Siena (approvate con decreto del Capo del governo 22 ot tobre 1936 e 5 gennaio 1939) si deduce che le succursali del Monte dei Paschi di Siena sono organi autonomi periferici di tale istituto, non aventi una propria personalità giuri dica. Ma, a norma dell'art. 28 dello statuto, da coordinarsi col 2° comma dell'art. 2204 cod. civ., i direttori delle suc

(1, 3) Le due massime profilano, sotto il duplice aspetto (processuale e sostanziale), il rapporto tra banche e succursali, sul quale può rinviarsi alla nota redazionale alla sentenza 17 aprile 1962 della Corte d'appello di Firenze (est. Gahbogi), ora cassata, in Foro it., 1962, I, 1779, cui adde Pbatis, in Banca, borsa, ecc., 1959, II, 363; Falaschi, id., 1962, II, 523 (nota adesiva alla sentenza ora cassata).

L'altra sentenza, del pari cassata, 14 giugno 1963 della Corte d'appello di Roma (est. Pascalino), leggesi in Temi romana, 1964, 167 ; la sentenza 12 dicembre 1961, pronunciata in causa dal Tribunale di Roma, è riassunta in Foro it., Rep. 1962, voce Banca, nn. 17,18.

(2) Sull'accordo italo-albanese 22 giugno 1957 (reso esecutivo con decreto pres. 14 settembre 1957 n. 941), il cui art. 11, 2° comma, era sfuggito alla Corte d'appello di Roma nella sentenza ora cassata, non risultano precedenti editi.

cursali hanno la rappresentanza in giudizio del Monte dei

Paschi nei limiti della competenza delle succursali stesse.

Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte

di merito, il Rosini, Del presentare domanda di ammissione al passivo e nel proporre poi opposizione allo stato passivo, dichiarandosi direttore della succursale di Montevarchi, non aveva inteso attribuire a questa la personalità giuri dica, ma aveva agito quale rappresentante del Monte dei Paschi nei limiti della competenza organica della succur

sale. Il ricorso è fondato. Ha ritenuto la corte di merito che

la succursale di Montevarchi del Monte dei Paschi di Siena non fosse legittimata a proporre la domanda di opposizione allo stato passivo, diretta a far riconoscere la natura ipo tecaria del credito, ammesso dal giudice delegato al falli mento solo in via chirografaria, sul presupposto che la per sonalità giuridica del Monte dei Paschi di Siena (come quella di qualsiasi altra banca) spetta solo all'istituto Monte dei Paschi di Siena inteso unitariamente e nel suo complesso ed è esercitata, in nome e per conto di esso, solo dal presi dente del consiglio di amministrazione, nei modi e nelle forme previste dall'atto costitutivo e dallo statuto. Le filiali e succursali, invece, non sono soggetti di diritto e, sfornite di capacità giuridica e di agire, non possono eser citare e fare valere i diritti della banca a mezzo dei loro

direttori, nemmenoJneH'àmbito territoriale assegnato alle loro incombenze. Conseguentemente la corte di merito ha ritenuto e dichiarato il difetto di legittimazione attiva ad causarti e ad processum della succursale di Montevarchi, e la inammissibilità dell'intervento, proposto in grado di

appello dal Monte dei Paschi, fuori dei casi previsti dall'art. 404 cod. proc. civile.

Siffatta decisione non può approvarsi e presta il fianco alle censure mosse dai ricorrenti col mezzo ora in esame. Ed invero, anzitutto non può disconoscersi che il credito insinuato nella procedura fallimentare si appartiene al Monte dei Paschi di Siena e che il Cesare Rosini, nel pre sentare la domanda di ammissione al passivo, agì e volle

agire nella dichiarata qualità di direttore della succursale della banca, e non in nome proprio, siccome finisce per con cludere la sentenza impugnata (tanto che lo ha condannato in proprio alle spese processuali).

In secondo luogo, va detto che davanti al giudice dele

gato al fallimento non sorsero questioni circa la legitimatio ad causam o ad prooessum di parte attrice, e il Monte dei Paschi di Siena, succursale di Montevarchi, fu ammesso al passivo per la somma richiesta, con la sola variante, rispetto alla domanda, che il credito riceveva collocazione in via chirografaria anziché ipotecaria.

L'opposizione allo stato passivo fu, quindi, proposta dal Monte dei Paschi di Siena, succursale di Montevarchi, per ottenere che il tribunale, contrariamente a quanto deciso dal giudice delegato, riconoscesse il diritto di prela zione costituito dall'ipoteca ; e pertanto, essendo così limi tati il petitum e la causa petendi del giudizio di opposizione, è quanto mai dubbio che in prosieguo potesse pure discu tersi sulla legittimazione dell'attrice, già scontata dal prov vedimento di ammissione al passivo, sia pure in via chiro

grafaria, provvedimento non impugnato dal curatore del fallimento.

Ma l'argomento principale e decisivo contro la pro nunzia della corte di merito è costituito dall'orientamento della giurisprudenza di questa Suprema corte. La quale ha

ritenuto, in conformità della prevalente e più autorevole dottrina sia sotto il governo dell'abrogato codice di commer cio, sia in sede di applicazione dei vigenti codici, che le suc cursali di banche non sono munite di personalità giuridiche, ma si profilano come organi delle banche di cui sono parte. Il concetto unitario dell'azienda bancaria, infatti, va con

temperato con la relativa autonomia dei diversi stabili menti di ima stessa banca, autonomia che ha radice nella stessa organizzazione bancaria e trova un riconoscimento indiretto nel capoverso dell'art. 1834 cod. civ. (sent. n. 392 del 1949, Foro it., Rep. 1949, voce Banca, n. 19). Tale auto nomia dovendo, però, essere contenuta nei limiti della sostanziale unitarietà dell'azienda bancaria nel suo com

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2077 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2078

plesso, conferisce ai dirigenti le diverse filiali qualità insti

torie, donde la normale legittimazione attiva e passiva di essi dirigenti a stare in giudizio in nome della banca,

per i rapporti dipendenti dagli atti da essi intrapresi nel

l'esercizio delle filiali (sent. n. 1951 del 1956, id., Rep. 1956, voce cit., nn. 19, 20 ; n. 2363 del 1936, id., Rep. 1936, voce

cit., n. 16 ; art. 375 abrog. cod. comm. e art. 2204 cod. civ.

vigente). Tale indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi sono

ragioni per discostarsi, attesa la sua piena rispondenza alle esigenze pratiche della vita bancaria e commerciale, oltre clie ai principi di diritto clic regolano i rapporti insti

tori e di rappresentanza in genere, trova riscontro, per altro, nel caso di specie, nell'art. 28 dello statuto del Monte dei

Paschi, in allora vigente, il quale dispone che « i direttori

rappresentano verso i terzi la succursale, cui sono preposti, e le agenzie che da questa dipendono ».

Norma, questa, che conferisce ai direttori di succursale, nella sfera delle attribuzioni delle succursali stesse cui sono

preposti, ogni potere di rappresentanza dell'istituto ban

cario.

È ovvio che al presidente del consiglio di amministra

zione del Monte dei Paschi, cui spetta la rappresentanza

generale, sostanziale e formale, dell'istituto per i rapporti che riguardano quest'ultimo quale soggetto unitario di di

ritto, spetta anche la rappresentanza della banca per gli affari delle filiali o succursali, che, come si è detto, sono

organi della banca medesima e non hanno personalità giu ridica. Ma ciò significa solo che il presidente può stare in

giudizio per il Monte dei Paschi anche per gli affari delle

succursali, non già che i direttori di queste ultime siano

privi di capacità processuale. Pertanto, il ricorso va accolto, e restano assorbiti gli

altri due mezzi (primo e terzo) che riguardano la declara

toria d'inammissibilità dell'intervento proposto in appello ; tali mezzi, invero, per il carattere di censure subordinate

che rivestono, avrebbero potuto prendersi in considera

zione solo ove fosse stato disatteso il motivo principale ed assorbente ch'è stato invece accolto.

Cassandosi la sentenza impugnata, la causa va rimessa

ad altra corte di merito per la decisione, ed il giudice di

rinvio dovrà uniformarsi al principio di diritto precisato in precedenza circa i poteri institori e di rappresentanza del direttore di succursale del Monte dei Paschi di Siena

anche in relazione alla norma statutaria.

Per questi motivi, cassa, ecc.

II

La Corte, ecc. — Con il primo motivo, la ricorrente

denuncia ! a violazione dell'art. 11 decreto pres. 14 settem

bre 1957 n. 941 in relazione all'art. 79 del trattato di pace tra l'Italia e le potenze alleate e associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo con decreto legisl. 28 no

vembre 1947 n. 1430, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod.

proc. civ. Con esso si censura la sentenza perchè questa, nel ritenere che l'art. 79 del trattato di pace non contem

plava il diritto della potenza ex nemica di sequestrare indis

criminatamente tutti i beni, diritti e interessi dell'Italia e

dei cittadini italiani e che bisognava distinguere caso per caso concludendo che, in quello di specie essendo mancata

qualsiasi iniziativa della Repubblica popolare albanese

di sostituirsi al correntista nel diritto da. questo ultimo

vantato verso la banca, il Pocanti doveva essere conside

rato ancora titolare del diritto medesimo, non ha conside

rato l'articolo dell'accordo per il regolamento delle que stioni derivanti dal detto trattato (art. 11, 2° comma, de

creto pres. 14 settembre 1957 n. 941), secondo il quale le

alte parti contraenti non possono più avanzare alcuna pre tesa relativa all'applicazione dell'art. 79 del trattato di

pace, in quanto tutte le questioni relative erano da consi

derarsi regolate in base all'accordo medesimo. Non potendo,

perciò, l'Italia avanzare più alcuna pretesa relativamente

ad eventuali eccessi compiuti dall'Albania, la sentenza che

ha dichiarato l'illegittimità rispetto al trattato di pace

della legge albanese 1° giugno 1948 ha errato perchè ha di menticato l'esistenza del successivo accordo del 1957 che, con efficacia vincolante verso i cittadini degli Stati mede

simi, ha superato tale pretesa illegittimità. Con il secondo

motivo, che si esamina congiuntamente, per il nesso indis

solubile delle censure, la ricorrente, denunciando nuovamente violazione dell'art. 79 del trattato di pace e dell'art. 1834,

capov., cod. civ., lamenta che la corte di merito abbia escluso

che il credito del Focanti potesse essere oggetto di confisca,

perchè non localizzato in Albania, stante la sua immateria

lità e la non perseguibilità in Italia da parte dello Stato

albanese.

Senonchè, afferma la ricorrente, non è esatto che un

diritto di credito non possa essere localizzato per la sua

immaterialità e neppure è esatto che il trattato abbia par lato dei crediti come situati nel territorio dei paesi ex ne

mici, impiegando un concetto di localizzazione materiale :

il trattato si riferisce a « beni, diritti e interessi » che si tro

vino nel territorio, ed indubbiamente il credito de quo si

trovava in Albania, perchè la filiale della banca in Tirana

costituiva uno stabilimento bancario separato, perchè ope rava in altro Stato, ed era soggetto alle leggi del luogo, parti colarmente a quelle valutarie. Tutte le operazioni, attive

o passive, poste in essere con la filiale di Tirana della banca, erano necessariamente localizzate presso la filiale stessa, e

il credito del Focanti si trovava pertanto in Albania ; ciò

anche a norma dell'art. 1834, capov., cod. civile.

Le censure sono fondate. Nella comparsa di costitu

zione in appello 1° aprile 19C2 la Banca nazionale del lavoro,

per contrastare la tesi del Focanti, secondo la quale la

legge albanese 1° giugno 1948 n. 627, che sottoponeva a

confisca « tutti i beni, i diritti e gli interessi dell'Italia

e dei cittadini italiani » situati nel territorio della Re

pubblica popolare albanese (art. 1), non poteva avere ef

fetto in Italia oltre a far richiamo all'art. 79 del trat

tato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso ese

cutivo con decreto pres. 28 novembre 1947 n. 1430, invocava

l'art. 10 dell'accordo- concluso tra l'Italia e l'Albania il

22 giugno 1957, reso esecutivo con l'Italia con decreto 14

settembre 1957 n. 941. Nella comparsa conclusionale, sem

pre in grado di appello, 2 novembre 1962, la Banca nazio

nale del lavoro faceva nuovamente riferimento al citato

accordo 1957.

La corte di merito ha assolutamente ignorato questo accordo e il provvedimento presidenziale che lo ha reso

esecutivo in Italia, del quale, come sarà precisato, acqui stava particolare rilevanza, ai fini della presente contro

versia, l'art. 11, 2° comma, per cui « Aucune pretention ne

pourra plus ètre avancée de la part de deux hautes parties contractantes au sujet de l'application de l'art. 79 du traitó

de paix, ótant donne que toutes les questions relatives à

l'application dudit article sont considerées comme défi

nitivement reglées par le présent accord ».

Il preciso e ripetuto richiamo a quell'accordo da parte della Banca nazionale del lavoro esclude che possa eccepirsi la novità della questione proposta con il primo mezzo, ma

l'eccezione di inammissibilità, sollevata dal Focanti, a

parte il principio turo novit curia, sarebbe comunque infon

data perchè l'ammissibilità di nuove questioni, nel giudizio di cassazione, è subordinata alla condizione che, per poter stabilire se siano o meno applicabili le norme che si assu

mono pretermesse, violate o falsamente applicate dai giu dici di merito, non sia necessario accertare elementi di fatto

non dedotti dinanzi a loro, e cioè che l'applicazione di norme

diverse non richiede indagini od apprezzamenti di merito

non compiuti nei precorsi gradi del giudizio, perchè estranei

alla precedente impostazione oggettiva della controversia.

Ove, quindi, vi è bisogno dell'accertamento di nuovi ele

menti di fatto, i rilievi che importano un profilo oggettivo non prospettato o non esaminato nel giudizio di merito,

non sono preclusi nel giudizio di cassazione (Cass. 12 febbraio

1964, n. 343, Foro it., Mass., 82 ; 29 gennaio 1964, n. 234,

ibid., 59; 4 dicembre 1963, n. 3081, id., Rep. 1963, voce

Cassazione civ., -n. 50). Nè vale sostenere che quell'accordo internazionale vin

cola le alte parti contraenti e non i singoli cittadini. I trat

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2079 PARTE PRIMA 2080

tati internazionali, come è noto, vincolano gli Stati con

traenti fra loro, perchè i cittadini possono essere obbligati ed

acquistano diritti soltanto da atto interno dello Stato, ma

quando è intervenuto un atto dell'organo statale compe tente a dar vigore al contenuto del trattato nei rapporti interni, e ciò in adempimento dell'obbligo giuridico dello

Stato, nella sua unità, verso l'altro Stato, nascente dal

trattato, le norme e i patti in esso contenuti obbligano tutti i cittadini, come vincolano gli organi dello Stato,

giurisdizionali e amministrativi. Da quanto è stato sin ora osservato, le disposizioni da

tenere particolarmente presenti per la risoluzione della

presente controversia sono :

а) l'art. 79 del citato trattato di pace con il quale si

stabilisce che « ciascuna delle potenze alleate ed associate

(e tra queste l'Albania) avrà il diritto di requisire, detenere,

liquidare o prendere ogni altra azione nei confronti di tutti

i beni, diritti e interessi che alla data di entrata in vigore del presente trattato si trovino entro il suo territorio e che

appartengano all'Italia o a cittadini italiani, e avrà inoltre

il diritto di utilizzare i beni o i proventi della loro liquida zione per quei fini che riterrà opportuni, entro il limite

dell'ammontare delle sue domande o di quelle dei suoi cit

tadini contro l'Italia o cittadini italiani, ivi compresi i crediti che non siano stati interamente regolati in base ad altri articoli del presente trattato. Tutti i beni italiani 0 i proventi della loro liquidazione, che eccedano l'am

montare di dette domande, saranno restituiti ». Il § 3 dello

stesso articolo, precisa poi che « il governo italiano si im

pegna di indennizzare i cittadini italiani i cui beni saranno confiscati ai sensi del presente articolo e non saranno loro restituiti » ;

б) la legge albanese 1° giugno 1948 n. 627 la quale, sebbene non recepita nel nostro ordinamento, viene ad inserirsi tra due provvedimenti legislativi efficaci in Italia e serve a lumeggiare il susseguirsi degli avvenimenti. L'art. 1 di tale legge stabilisce che « tutti i beni, diritti e interessi dell'Italia e dei cittadini italiani situati nel territorio della

Repubblica popolare albanese passano in proprietà dello Stato albanese » ;

c) l'accordo per il regolamento delle questioni deri vanti dal trattato di pace tra l'Italia e l'Albania del 1957, dianzi ricordato, del quale è già stato riprodotto il 2° comma dell'art. 11.

Dall'esame combinato di queste disposizioni emerge che le potenze alleate ed associate, tra le quali la Repub blica popolare albanese, avevano il potere di dispone di tutti i beni, diritti ed interessi dell'Italia e cittadini italiani

che, alla data di entrata in vigore del trattato di pace, si trovavano nel loro territorio, sia pure nei limiti dell'ammon tare delle domande della potenza alleata e associata e di

quelle dei suoi cittadini contro l'Italia e i cittadini italiani, e con l'obbligo di restituzione del supero. La Repubblica popolare albanese con la citata legge interna del 1948

dispose il passaggio in proprietà dello Stato di tutti i beni, diritti ed interessi dell'Italia e dei cittadini italiani situati nel proprio territorio. Così operando, l'Albania ha inteso

applicare internamente il trattato di pace senza il rispetto delle limitazioni in esso contenute, donde motivi di attrito tra la Repubblica italiana e quella albanese. A dirimere

ogni contrasto è intervenuto l'accordo 22 giugno 1957, nel

quale, senza alcuna riserva da parte italiana per le violazioni dell'art. 79 del trattato o per avere l'Albania provveduto ad una confisca generale anziché (ammesso che vi fosse tenuta per il trattato) all'emanazione di singoli provvedi menti di confisca, si esclude che, in avvenire, da una o dall'altra delle alte parti contraenti potessero essere avan zate ulteriori pretese. E che con quell'accordo, di natura

transattiva, si intese porre termine, una volta per sempre, a tutte le eventuali irregolarità e a tutti gli abusi commessi dalla Repubblica albanese e si vollero includere nella con venzione anche gli avanzi di liquidazione, da restituire even tualmente alla Repubblica italiana a norma del più volte citato art. 79, si desume chiaramente dal fatto che vi fu

rono concessioni reciproche, e la stessa Albania, a cui favore il trattato di pace aveva posto un indennizzo di 5 milioni

di dollari, da corrispondersi dall'Italia, acconsentì che

l'importo venisse ridotto a dollari 2.600.000, e che questi fossero pagati, anziché in valuta, mediante merci. Ulteriore

conferma è fornita dall'art. 10 dell'accordo del 1957 per il quale il governo albanese si impegnava a collaborare

con quello italiano per raccogliere gli elementi necessari

alla stima dei beni da indennizzarsi dal governo italiano

ai cittadini italiani ai sensi del § 3 dell'art. 79 del trattato

di pace e a fornire la documentazione relativa.

Per lo Stato italiano, nessun rilievo è più possibile sulla

legittimità della legge albanese del 1948 ed ogni viola

zione del trattato di pace, da parte della Repubblica popo lare albanese, è stata rimossa con l'accordo. Dopo di questo, il cittadino italiano, che sia stato leso da una confisca even

tualmente illegale da parte del governo albanese, e che

non può fare affidamento su quelle restituzioni che erano

previste dal § 3 dell'art. 79 del trattato di pace, non può che avvalersi (o avrebbe potuto avvalersi, se ha lasciato

decorrere inutilmente i termini di legge) delle disposizioni che pongono a carico dello Stato italiano l'obbligo dell'in

dennizzo.

Fondata è anche la censura, contenuta nel secondo mezzo, e che attiene alla localizzazione, negata dalla corte di merito, del credito de quo in Albania.

In linea generale può dirsi che la circostanza che un

istituto bancario sia amministrativamente diviso in sedi, succursali e simili, non toglie che l'istituto stesso realizzi

una unica persona giuridica, con la conseguenza che le di

pendenze devono essere riguardate quali organi della per sona giuridica e i loro atti, nei confronti di altri soggetti di diritto, vanno considerati come atti della persona giu ridica istituto bancario. Il problema dell'autonomia delle

filiali sorge in relazione al 2° comma dell'art. 1834 cod.

civ., per il quale nel deposito bancario (e la disposizione vale anche se l'operazione è regolata in conto corrente, a

norma dell'art. 1852 e segg. cod. civ.), i versamenti e i

prelevamenti si eseguono, salvo patto contrario, alla sede

della banca presso la quale si è costituito il rapporto. Tale

norma, che trova la sua origine in una prassi bancaria

sempre seguita, si ricollega ad un dato di fatto imprescin dibile, che i depositi, come i rimborsi, vanno e non possono non essere annotati negli appositi registri di quella sola

filiale dell'istituto depositario presso il quale si costituisce

l'originario rapporto ed è conseguentemente disponibile la somma depositata. Un istituto di credito non può fare

a meno senza pregiudizio del suo funzionamento, che involge un interesse pubblico oltre che privato, degli esami e dei

controlli dei propri registri, che soltanto esistono presso la sede óve il rapporto è sorto.

Ispirandosi a tali ragioni di ordine pratico, ma anche di ordine giuridico, questo Supremo collegio ha già avuto occasione di affermare il principio, secondo il quale le banche,

per quanto complessa sia la loro organizzazione, costitui scono soggetto unico di diritto ; tuttavia, le loro filiali hanno una propria competenza e autonomia, per modo che un rapporto di deposito rimane presso la sede ove esso

sorse, fino a che non viene estinto (Cass. 2 marzo 1949, n. 392, Foro it., Rep. 1949, voce Banca, n. 19). L'unità della banca non esclude, ma anzi esige che ogni ufficio,

ogni filiale, ogni dipendenza abbia una propria autonomia, che ha radice nell'organizzazione bancaria e riconoscimento

indiretto nel citato art. 1834, 2° comma.

Autonomia non significa, naturalmente, personalità

giuridica, ma localizzazione dei rapporti ; sede agli effetti dell'art. 1834 non è tanto il domicilio legale dell'ente,

quanto la singola succursale, o filiale dell'istituto. Ma non soltanto nell'art. 1834, capo v., poggia la tesi

dell'autonomia delle filiali della banca sibbene anche su altre disposizioni di legge. Gli art. 54 e 55 della legge 7 marzo 1938 n. 141, sulle aziende di credito, prevedono la sostituzione di un'azienda di credito ad un'altra nell'esercizio di una sede o di una filiale ; il r. decreto 21 dicembre 1933 n. 1736, sull'assegno bancario e circolare, contiene varie

disposizioni che riconoscono esplicitamente l'autonomia delle varie dipendenze della banca (art. 3, 18, ult. parte, 98, 102).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Una volta riconosciuto il principio dell'autonomia della

filiale della banca e la localizzazione dei rapporti presso di essa, e non potendosi contestare, come non è contestato

dalla denunciata sentenza, che il trattato di pace aveva

conferito alle potenze ex nemiche anche il potere di con

fiscare i diritti di credito, non rispondono ad esatto criterio

giuridico le argomentazioni addotte dalla corte di merito

per disconoscere che il credito del Focanli, per saldo di

conto corrente, si fosse localizzato presso la filiale di Tirana

della Banca nazionale del lavoro e per negare che esso po tesse formare oggetto di confisca da parte del governo albanese. Non ha pregio, infatti, l'argomento secondo il

quale il trattato di pace prevedeva varie eccezioni al diritto

della Repubblica popolare albanese di appropriazione dei

beni italiani situati nel suo territorio, che avrebbero im

portato la necessità di distinguere, caso per caso, al fine

di stabilire in quali ipotesi il diritto dovesse ritenersi am

messo ed in quali escluso, per le ragioni già ampiamente svolte, in precedenza, nell'illustrazione dell'accordo inter

venuto nel 1957 tra l'Italia e l'Albania, che esclude ogni ulteriore disputa sulla regolarità del provvedimento di

confisca adottato in via generale dall'Albania con la citata

legge del 1948. Nè ha maggior fondamento l'altra argomen

tazione, contenuta nella denunciata sentenza, secondo la

quale il credito del Focanti non avrebbe potuto cadere

sotto la confisca della legge albanese, perchè il governo

popolare si sarebbe impadronito di fatto, dopo l'8 settembre

1913, di tutto il patrimonio dalla filiale della b-.nca, sicché, alla data del trattato di pace, quel eredito non avrebbe

potuto essere realizzato in terra albanese, essendo venuta

meno la presenza del debitore, oltre che il suo patrimonio. Trattasi di affermazione inficiata da gravi errori di diritto,

perchè la materiale chiusura della filiale della banca per l'abbandono del personale o per atto iure belli del governo rivoluzionario non elimina la filiale stessa, della quale si

è dimostrata dianzi l'autonomia e la relativa localizzazione

dei rapporti, che è posta soltanto in condizione di tem

poranea inattività, nè fa scomparire i crediti verso detta

filiale ; e perchè, come ha insegnato questa Corte suprema nella ricordata sentenza n. 382 del 1949, una volta costi

tuito il rapporto presso una filiale di una banca, non è

possibile il trasferimento ad altra, cioè non possono ese

guirsi versamenti e prelevamenti presso altra filiale, si

tuata nella stessa o in diversa {iazza, senza la necessità

dell'estinzione dell'originario rapporto presso la sede ove

era stato costituito e la creazione di un nuovo rapporto nella nuova sede.

Con ciò è data anche risposta all'obiezione contenuta

nella nota d'udienza del resistente, e diretta a negare la

localizzazione del credito in Albania al momento dell'en

trata in vigore del trattato di pace (1947) e dell'emanazione

della legge albanese (1948) per mancanza di una norma di

collegamento tra credito e territorio, perchè tale norma

può rinvenirsi tanto nella nascita del credito per la residenza

extranazionale delle parti in quel momento, quanto nel

locum solutionis che, per quanto si è detto, sarebbe stato

Tirana, ove non fosse intervenuto il procedimento generale di confisca.

Accogliendosi il primo e secondo motivo del ricorso, ri

mane assorbito il terzo, con il quale si muovono censure

subordinate. La denunciata sentenza va cassata e la causa

va rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della stessa

Corte d'appello di Roma, che dovrà uniformarsi ai criteri

di diritto sopra enunciati.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 6 novembre 1964, n. 2690 ;

Pres. Civiletti P., Est. De Palma, P. M. Gentile

(conci, conf.) ; Istituto delle suore degli angeli (Avv.

Ciamarelli, Petroncelli) c. Lapisa e Proc. gen. corte App. Napoli ; Lapisa (Avv. Gaglione) c. Istituto

delle suore degli angeli.

(Cassa App. Napoli 8 ottobre 1963)

Ente ed asse ecclesiastico — Disposizione fiduciaria — Accertamento dell'interposizione — Ammissi

bilità (Cod. civ., art. 627 ; legge 27 maggio 1929 n. 848,

disposizioni sugli enti ecclesiastici e sull'amministrazione

civile dei patrimoni destinati a fini di culto, art. 9, 10). Ente ed asse ecclesiastico — Disposizione fiduciaria

— Successivo riconoscimento dell'ente — Conva

lida — Fattispecie (Cod. civ., art. 627, 1414 ; legge 27 maggio 1929 n. 848, art. 10).

È ammissibile l'accertamento dell'interposizione di persona nella disposizione testamentaria allo scopo di far dichia

rare la nullità dell'acquisto da parte di un ente ecclesia

stico che non abbia conseguito le prescritte autorizzazioni. ( 1 )

Istituito erede con testamento, per interposta persona, un ente

ecclesiastico, poi riconosciuto, l'autorizzazione ad accettare

l'eredità, nella quale l'ente, in esecuzione del primo te

stamento, è stato istituito dalla persona interposta, vieta di

dichiarare la nullità della disposizione fiduciaria a favore dell'ente. (2)

La Corte, ecc. — Con il primo motivo del ricorso prin

cipale l'istituto denuncia la violazione e falsa applicazione

degli art. 10 legge 27 maggio 1929 n. 848, 829 cod. civ. 1865,

627 e 1418, ult. comma, cod. civ. 1942, 15 delle preleggi, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e lamenta

clie l'impugnata sentenza, esclusa così la vocazione diretta

dell'istituto come l'interposizione fittizia della persona istituita erede, abbia ritenuto ammissibile la prova che

fosse stato fiduciariamente commesso, dalla testatrice

alla erede, l'obbligo del trasferimento all'istituto ; invece,

tale indagine sul carattere fiduciario della disposizione te

stamentaria era vietata sia dall'art. 829 cod. civ. del 1865

sia dall'art. 627 cod. civ. vigente, che, a differenza del

primo, addirittura esclude l'azione, per accertare che le

disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testa

mento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta.

Nè all'accertamento dell'interposizione potevasi far luogo ai sensi dell'art. 10 della legge 27 maggio 1929 n. 848,

disciplinando questa norma l'istituto della autorizzazione

per gli acquisti da parte degli enti di culto, e non già l'inter

posizione di persona (fiduciaria o non) nelle disposizioni

testamentarie. La doglianza è meritevole di accoglimento nei limiti che

saranno precisati. La corte di merito, dopo avere dato atto che il divieto

d'indagine sul carattere fiduciario della disposizione testa

mentaria, enunciato dall'abrogato art. 829 e tenuto fermo

dall'art. 627 del codice vigente, subiva eccezione nell'ipotesi che la disposizione fosse stata fatta a favore di incapaci

a ricevere (art. 627, 3° comma, cod. civ.), risolse in senso

affermativo il quesito se il detto divieto ricevesse dall'ordi

namento positivo altra eccezione all'infuori di quella san

cita dalla norma testé ricordata.

Tale soluzione è indubbiamente corretta. Infatti, la

legge 27 maggio 1929 n. 848, recante disposizioni sugli enti

(1-2) La sentenza della Corte napoletana 8 ottobre 1963,

confermata relativamente alla questione riassunta nella prima delle massime qui formulate, ma cassata circa la seconda, leg

gesi retro, 1060, con amplissima nota di richiami ed è stata

commentata da Labiccia, In tema di acquisti degli enti eccle

siastici per interposta persona, in Giust. civ., 1964, I, 1865.

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