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Sezione I civile; sentenza 27 luglio 1982, n. 4327; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P.M. La Valva...

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Page 1: Sezione I civile; sentenza 27 luglio 1982, n. 4327; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P.M. La Valva (concl. conf.); Barsanti (Avv. Starace) c. Min. finanze. Conferma App. Bari 29 gennaio

Sezione I civile; sentenza 27 luglio 1982, n. 4327; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P.M. La Valva(concl. conf.); Barsanti (Avv. Starace) c. Min. finanze. Conferma App. Bari 29 gennaio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1357/1358-1359/1360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175519 .

Accessed: 25/06/2014 02:57

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

volta sulla scena processuale, quando non siano intervenuti nelle

precedenti fasi di merito.

Pertanto, il ricorso — proposto dai coniugi Musetti e Tesconi,

quali affidatari temporanei, ai sensi dell'art. 3146 c. c., non

intervenuti ne! giudizio di primo grado (nel corso del quale furono designati) né in quello di appello — va dichiarato i

nammissibile. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 27 luglio

Ì982, n. 4327; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P.M. La

Valva (conci, conf.); Barsanti (Avv. Starace) c. Min. finan

ze. Conferma App. Bari 29 gennaio 1979.

Registro (imposta di) — Usufrutto — Imposta di consolidazione — Aliquota applicabile (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, legge del registro, art. 21).

Nell'ipotesi di consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà,

l'aliquota da applicare è quella fissata dalle norme in vigore al

momento del passaggio della nuda proprietà e non quella vi

gente al momento della riunione. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto per notaio De Pinto di

Bari del 12 luglio 1943 Barsanti Gino acquistò a titolo oneroso

una quota pro indiviso pari alla quarta parte di alcuni immobili

in piena proprietà e l'usufrutto sui restanti tre quarti, mentre i

suoi figli germani Mario, Nicola Vito e Pia acquistarono a titolo

oneroso la nuda proprietà su detti tre quarti. Le imposte di

registro su tali trasferimenti vennero soddisfatte in base al

complessivo prezzo di acquisto di lire 250.000. Deceduto, in data

6 settembre 1966, Barsanti Gino, gli altri acquirenti denunciava

no all'ufficio del registro di Bari, in data 7 gennaio 1967, il

consolidamento dell'usufrutto alla nuda proprietà, indicando il

valore della piena proprietà della quota pro indiviso, pari ai tre

quarti degli immobili acquistati, in complessive lire 70.000.

L'ufficio del registro accertava un maggior valore di lire

105.000.000 ed i contribuenti proponevano opposizione alla com

petente commissione distrettuale delle imposte, offrendo di eleva

re il valore a lire 58.000.000 sul quale l'ufficio liquidava e

percepiva un'imposta complementare di lire 21.478.300, in base

all'aliquota del 30% vigente al tempo della registrazione del

rogito. De Pinto, in virtù dell'art. 1, lett. e), r. d. 1. 12 aprile 1943 n. 234. I contribuenti proponevano separato ricorso alla

commissione provinciale, sezione di diritto, denunciando l'erronea

applicazione della legge tributaria ed il ricorso era accolto con

decisione del 4 maggio 1970, riformata — su appello dell'ufficio — dalla Commissione centrale, che con decisione del 28 marzo

1972 riteneva applicabile l'aliquota del 30% al valore della piena

proprietà degli immobili, rapportato al momento della riunione

dell'usufrutto alla nuda proprietà e cioè alla data della morte

dell'usufruttuario Gino Barsanti con deduzione di quanto già tassato per la trasmissione della nuda proprietà.

(1) Applicazione costante della giurisprudenza, « in considerazione del fatto che l'imposta di consolidazione .. . colpisce gli effetti poten ziali dell'originario atto di scissione della proprietà e dell'usufrutto, che sono differiti al momento della consolidazione » (in questi termini — divenuti ormai tralatici — cfr., da ultimo, Cass. 26 giugno 1980, n. 4007, Foro it., Rep, 1981, voce Registro, n. 131): v., tra le tante, Comm. trib. I grado Palermo 24 febbraio 1981, ibid., n. 142; Comm.

trib. II grado Piacenza 28 luglio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n.

155; Comm. trib. centrale 15 maggio 1978, n. 1477, id., Rep. 1978, voce cit., n. 133; 7 gennaio 1972, n. 61, id., Rep. 1972, voce cit., n.

166; 11 ottobre 1971, n. 13269, ibid., n. 171; 2 febbraio 1972, n.

1645/7441, ibid., n. 175; Cass. 7 luglio 1971, n. 2119, id., 1972, I,

442, nella motivazione. In dottrina, sui presupposti e le condizioni di applicabilità dell'im

posta di consolidazione, cfr., per tutti, Uckmar, Registro (imposta di), voce del Novissimo digesto, Torino, 1968, XV, 39, 60 ss., 97 ss.;

nonché, più di recente, Schiavon, La controversa « tassa di consoli

dazione », in Comm. trib. centr., 1973, II, 240; Puma, Imposta di

registro sulla consolidazione dell'usufrutto alla nuda proprietà - Be

nefìci effetti di una potatura, id., 1975, II, 600.

Comm. trib. II grado Firenze 27 maggio 1978, Foro it., 1979, III,

302, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 21

r. d. 3269/23 « nella parte in cui dispone che un'imposta di consoli

dazione sia dovuta anche quando nudo proprietario ed usufruttuario

trasferiscano i propri diritti ad un medesimo terzo ».

In tema di consolidazione della nuda proprietà con l'usufrutto e

della determinazione del valore iniziale ai fini dell'applicazione del

l'i.n.v.i.m., v. Cass. 11 maggio 1982, n. 2927, id., 1982, I, 2218.

I Barsanti proponevano azione giudiziaria dinanzi al Tribunale

di Bari che con sentenza del 31 luglio 1975 riteneva che il calcolo

delle aliquote andava rapportato a quella vigente al tempo del

consolidamento dell'usufrutto e non a quella del momento della

stipula dell'atto, per cui dichiarava illegittima la pretesa fiscale e

condannava l'amministrazione finanziaria dello Stato alla restitu

zione di quanto riscosso, con gli interessi legali, nonché alle

spese del giudizio.

L'amministrazione proponeva appello, al quale resistevano i

Barsanti, insistendo nella tesi secondo cui non poteva applicarsi

l'aliquota del 30% prevista dal r. d. 1. 12 aprile 1943 n. 234, sia

perché l'imposta di consolidazione deve liquidarsi in base all'ali

quota vigente al tempo dell'estinzione dell'usufrutto e non a

quella vigente al tempo del trasferimento della nuda proprietà, sia perché il suddetto r. d. 1. n. 234 del 1943 non era vigente al

tempo del rogito Del Pinto, per mancata conversione in legge, sia perché lo stesso r. d. 1. non sarebbe applicabile senza il

contestuale accertamento di valore dei beni trasferiti.

Con appello incidentale i Barsanti chiedevano inoltre che fosse dichiarato inapplicabile il r. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, con

conseguente illegittimità della pretesa fiscale.

La Corte d'appello di Bari con sentenza 29 gennaio 1979, in

accoglimento dell'appello dell'amministrazione, rigettava la do manda proposta dai Barsanti con citazione del 22 marzo 1973 ed il loro appello incidentale e li condannava alle spese dei due

gradi del giudizio. Avverso detta sentenza Pia Barsanti ha proposto ricorso per

cassazione, al quale ha resistito l'amministrazione finanziaria del lo Stato con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo la Barsanti deduce la violazione ed erronea applicazione dell'art. 21 r. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, in relazione all'art. 1 r. d. 1. 12 aprile 1943 n. 234, sostenendo che la corte di Bari ha erroneamente

affermato che l'obbligazione tributaria di cui discute sorgerebbe, non solo quanto all'esistenza, ma anche quanto alla misura, nel

momento dell'atto di trasferimento che genera la separazione dell'usufrutto dalla piena proprietà e che la relativa aliquota da

applicare sarebbe quella del momento della registrazione dell'atto

di trasferimento e non quella del momento del consolidamento

dell'usufrutto. Secondo la ricorrente, tale assunto è in contrasto con l'art. 21 r. d. n. 3269 del 1923, il quale usa l'espressione « tassa » che deve intendersi comprensiva della misura di essa e

della relativa aliquota e contiene un unico riferimento temporale con riguardo al valore della piena proprietà al momento della

riunione dell'usufrutto alla nuda proprietà, di modo che è arbi

trario scindere l'aliquota dal valore imponibile, nel senso di

applicare l'aliquota in vigore al tempo della separazione dell'u

sufrutto dalla nuda proprietà al valore della piena proprietà al

momento della riunione. La tassa prevista dall'art. 21 cit. —

conclude la ricorrente — deve intendersi quella determinata, sia

quanto all'aliquota sia quanto al valore imponibile, con riferi

mento al momento della riunione dell'usufrutto alla nuda pro

prietà.

II motivo è infondato. Il trattamento fiscale del trasferimento

della nuda proprietà ha per oggetto una fattispecie complessa, articolata nel tempo, nella quale il momento iniziale è costituito

dal trasferimento a titolo oneroso della nuda proprietà e quello finale dall'avvenuta consolidazione, evento questo che non può non verificarsi, attesa la durata temporanea del diritto di usu

frutto (art. 979 c. c.). La riunione dell'usufrutto alla nuda pro

prietà non comportava — secondo il sistema risultante dalla

legge di registro del 1923 — alcun nuovo atto autonomamente

tassabile (cfr. Cass. 13 giugno 1972, n. 1860, Foro it., Rep. 1972, voce Registro, n. 160, in motivazione) perché l'imposta di conso

lidazione sorge al momento in cui si trasferisce la nuda proprie tà e solo l'esazione di parte di essa è rimandata al momento

successivo nel quale l'usufrutto si riunirà alla nuda proprietà, a

norma dell'art. 21 dell'abrogata legge di registro del 1923. L'im

posta di consolidazione colpisce gli effetti potenziali dell'atto

originario, differiti fino al momento della consolidazione, e costi

tuisce il residuo di quella dovuta per il trasferimento della piena

proprietà (Cass. 26 maggio 1980, n. 3440, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 152). L'accertamento del valore imponibile della piena

proprietà, stabilito dall'art. 21 cit., riguarda l'atto originario in

forza del quale l'usufrutto e la nuda proprietà si erano scissi,

con riferimento al momento della riunione, palesato dalla denun

cia. Se l'atto da tassare è sempre quello originario, l'aliquota da

applicare è quella fissata dalle norme in vigore al momento del

passaggio della nuda proprietà e non quella vigente al mo

mento della riunione, anche se la tassa viene liquidata col

descritto meccanismo differito. Non si tratta, infatti, di atto

Il Foro Italiano — /985 — Parte 7-87.

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1354 PARTE PRIMA 1360

sottoposto a condizione (art. 17 dell'abrogata legge di registro)

perché la tassa non dipende solo dalla consolidazione, ma è

dovuta fin dal momento in cui sorge il diritto al futuro usufrut

to ed è soggetta a termine; l'imposta si riferisce all'atto origina

rio e deve applicarsi con gli stessi criteri previsti per il detto

atto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 17

giugno 1982, n. 3674; Pres. Mirabelli, Rei. Schermi, Est.

Caturani, P. M. Sgroi V. (conci, parz. difT.); Comune di

Savona (Avv. Angelini, Folco, Ratti) c. Conti e Palmieri

(Avv. E. Romanelli, Moretti); Soc. Edildomus (Avv. E.

Romanelli, Moretti) c. Comune di Savona; Comune di Savo

na e. Soc. Edildomus. Cassa App. Genova 2 febbraio 1978.

Edilizia e urbanistica — Cessione di aree al comune a scomputo

del contributo di miglioria — Nullità della cessione — Obbli

go del comune di restituire le aree — Impossibilità per desti

nazione ad opera pubblica — Conseguenze (Cod. civ., art.

1418, 2037, 2043; 1. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanisti

ca, art. 24).

La dichiarazione di nullità della cessione di aree, effettuata in at

tuazione dell'art. 24 l. urbanistica, a scomputo del contributo di

miglioria, comporta l'obbligo, per il comune, di restituire il

bene ricevuto secondo le regole della ripetizione dell'indebito;

pertanto, ove la restituzione sia impossibile, per esser stato l'im

mobile definitivamente destinato alla realizzazione di un'opera

pubblica, il comune, quale possessore di buona fede, non rispon de che nei limiti del suo arricchimento, senza perciò che sia

addebitabile alla p. a. alcun fatto illecito per essersi trovata nel

la detenzione di un bene privato sine titulo e non aver dato

inizio alla procedura espropriativa. (1)

(1) Le sezioni unite intervengono a comporre il contrasto di giu

risprudenza sorto fra la prima sezione, con le sentenze 22 gennaio 1980, n. 490, Foro it., Rep. 1980, voce Comune, n. 190 e 19 gennaio 1981, n. 445, id., 1982, I, 1394, e la seconda sezione con la decisione 9 luglio 1980, n. 4374, id., Rep. 1980, voce Edilizia e urbanistica, n.

288 (per le necessarie indicazioni sullo stato della questione v. la

nota di richiami a Cass. 445/81, la quale, dal canto suo, aveva ritenuto opportuno ribadire, sulla scia di Cass. 490/80, la configurabi lità di un'occupazione illegittima dell'area, divenuta definitiva ed irre

versibile in seguito alla costruzione dell'opera pubblica, ed il conse

guente diritto dei privati al risarcimento del danno ex art. 2043 c. c., pure senza disconoscere l'acume delle argomentazioni poste a fonda

mento della soluzione offerta da Cass. 4374/80 e ora riaffermata dalle sezioni unite).

La ricostruzione della singolare fattispecie della cessione di aree a

scomputo del contributo di miglioria, cui le sezioni unite aderiscono,

si fonda sullo schema privatistico del contratto a prestazioni corrispet tive (nella specie, compravendita) concluso secondo la concorde volontà

delle parti, la quale si manifesta al di fuori del procedimento amministrativo, ancorché in attuazione di una determinazione autorita

tiva del comune (la soluzione è condivisa in dottrina da Zuddas, Brevi note in tema di ripetizione di indebito derivante da nullità di

un contratto stipulato ex art. 24 I. urbanistica, in Giust. civ.,

1980, I, 2429; ma per un'analisi della fattispecie più attenta a

verificare gli elementi privatistici e quelli pubblicistici presenti, v.

Oro Nobili, Obbligo a contrarre determinato dalla p.a. a norma del

l'art. 24 l. urbanistica e azione di ripetizione conseguente alla nullità

del contratto, in Giur. it., 1981, I, 1, 1309, spec. 1312). Di qui al riferi

mento alla categoria dei c.d. contratti sostitutivi di procedimenti il pas so è breve; e il collegio non perde l'occasione per rilevare come non vi

sia difficoltà ad ammettere che un rapporto di diritto pubblico possa

essere regolato da un comune contratto privato (di compravendita) (sul

problema degli accordi sostitutivi v. M. S. Giannini, Istituzioni di di

ritto amministrativo, Milano, 1981, § 169; ma in senso critico verso

l'inclusione delle convenzioni in questione nella categoria dei contratti

sostitutivi o ausiliari di provvedimenti, cfr. Oro Nobili, cit., 1311).

Conseguenza della ben congegnata operazione ermeneutica che le

sezioni unite riprendono da Cass. 4374/80 è la riconduzione della

fattispecie di detenzione del bene sine titulo da parte della p. a.

nell'ambito dell'indebito oggettivo susseguente alla nullità della con

venzione fra il privato e il comune. Non si può, tuttavia, far a meno

di notare come l'obbligo di restituzione del bene e, in ipotesi di

perimento — come nella specie —, l'obbligo di corrisponderne il

valore al privato, non si adattino con molta facilità al caso in cui

uno dei soggetti del rapporto sia la p.a., ancorché agente iure

privatorum (e una prova in tal senso potrebbe essere costituita

dall'affermazione secondo la quale « il profitto del comune risiede

nell'importo dell'indennità di espropriazione che avrebbe dovuto cor

rispondere ove avesse fatto ricorso al procedimento ablatorio » calco

Svolgimento del processo. — Con citazione del 3 aprile 1973

Stirner Palmieri, Giovanni Conti e la s.n.c. Edildomus di Conti

e Palmieri esponevano: che con convenzione in data 10 marzo

1960, n. 1500 del repertorio comunale, il Conti ed il Palmieri

avevano ceduto al comune di Savona, a scomputo del contributo

di miglioria di cui all'art. 24 1. urbanistica 17 agosto 1942 n.

1150, un appezzamento di terreno interessato dalle future reti

stradali, previste dal piano regolatore allora vigente, di via Baz

zino e di via Lichene; che con una precedente convenzione in

data 9 dicembre 1958, n. 521 del repertorio comunale, il Conti,

il Palmieri, Alberto Maddaleno, e la s.n.c. Edildomus avevano

ceduto altro appezzamento di terreno al comune di Savona,

sempre a scomputo del contributo di miglioria di cui al citato

art. 24 1. n. 1150 del 1942; che con rogito notar Marchese in

data 24 giugno 1959 il Maddaleno aveva ceduto, venduto, trasfe

rito alla s.n.c. Edildomus « tutti gli annessi e connessi, adiacen

ze, pertinenze, diritti, azioni e ragioni relativi al terreno di sua

proprietà che il sig. Maddaleno aveva ceduto con la convenzione

n. 521 del 19 dicembre 1959 al comune di Savona»; che tale

comune, non avendo istituito il contributo di miglioria e non

potendolo più istituire a norma dell'art. 52 1. 5 marzo 1963 n.

246, il quale aveva abrogato il contributo di miglioria previsto dall'art. 24 della legge urbanistica, era debitore, quanto meno, di

una somma di danaro pari al valore dei terreni ceduti dal Conti, dal Palmieri, dalla s.n.c. Edildomus e dal Maddaleno, al quale ultimo era subentrata la s.n.c. Edildomus per ogni diritto, ragio ne ed azione. Premesso ciò, convenivano davanti al Tribunale di Savona il comune della stessa città, « per sentirsi condannare a

rifondere agli attori le somme che a qualsiasi titolo risulteranno

loro dovute dal comune in conseguenza delle convenzioni ri chiamate in premessa, e dalla mancata istituzione del contributo e della impossibilità di istituirlo, inclusi gli interessi legali dal

momento della stipulazione delle relative convenzioni ».

11 comune di Savona, costituitosi, contestava la fondatezza della proposta domanda, chiedendone il rigetto; eccepiva il di fetto di legittimazione attiva della s.n.c. Edildomus in relazione alle cessioni effettuate dal Maddaleno ed eccepiva la prescri zione di ogni pretesa recuperatoria formulata dagli attori.

Riguardo a quest'ultima eccezione — premesso che esso comune non aveva mai istituito il contributo di miglioria generica e, quindi, le convenzioni richiamate dagli attori erano nulle per mancanza di causa e/o per mancanza di oggetto; che, spogliata di ogni causa giustificatrice, la situazione si risolveva in una

mera ed indebita occupazione di aree da parte di esso comune; che le conseguenze in diritto erano che il privato ha diritto di

ottenere la restituzione (retrocessione) delle aree, ove queste non siano state ancora destinate in modo permanente ad opera

pubblica, e, in caso contrario, ha diritto al risarcimento dei

danni, costituiti dal controvalore delle aree — deduceva che,

essendo le aree in questione destinate in modo permanente da

oltre un quinquennio a sede stradale pubblica, gli attori avreb

bero potuto richiedere soltanto il risarcimento del danno, ma

lato con riferimento all'epoca della cessione e non già commisurato al valore venale del bene).

Cass. 445/81, con soluzione senz'altro più elastica e soprattutto meno penalizzante per il privato, ammetteva quest'ultimo ad agire alternativamente per la restituzione della cosa secondo la regola prevista dall'art. 2037 c.c. ovvero per il risarcimento del danno

conseguente al fatto illecito della p. a., colpevole di non aver avviato la procedura espropriativa, una volta resasi conto che l'occupazione del bene era, oltre che irreversibile, priva di titolo (a causa della dichiarazione di nullità della convenzione). Escamotage efficace per i

privati interessati, i quali non vedevano prescritto il proprio diritto al risarcimento del danno a causa del carattere permanente dell'illecito

(come aveva ritenuto anche la corte d'appello nel presente giudizio), ma che si fondava sull'affermazione, tutta da dimostrare, dell'illiceità

del comportamento della p.a. la quale non si attivi per dar luogo all'e

spropriazione quando sia in possesso del bene in seguito ad un

contratto del quale, in un secondo tempo, si scopra la nullità, in una forma peraltro assai discutibile (tant'è vero che la Cassazione nega che la mancata istituzione del contributo di miglioria possa aver

determinato la nullità della convenzione per un vizio genetico o

funzionale della causa). Si può dire in sintesi che la sentenza, pur definendo una volta per

tutte la singolarissima e ormai datata fattispecie di cessione di aree a

scomputo del contributo di miglioria, lascia sussistere qualche perples sità ed offre lo stimolo per considerare in chiave più generale il

problema della compatibilità delle qualificazioni giuridiche in termini

privatistici relativamente ad ipotesi che presentano elementi pubblici stici prevalenti, se non addirittura assorbenti, e che pertanto offrono una certa resistenza ad esser ricondotti entro gli schemi utilizzati per disciplinare i rapporti fra privati.

F. Macario

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