sezione I civile; sentenza 28 agosto 2004, n. 17210; Pres. Saggio, Est. Gilardi, P.M. Ceniccola(concl. parz. diff.0; Consob (Avv. Libonati) c. Soc. Gildemeister italiana (Avv. Corain, Zonca,Felli). Cassa App. Brescia 18 dicembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 11 (NOVEMBRE 2004), pp. 2985/2986-2991/2992Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200285 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il tenore della norma esclude infatti che la partecipazione al
comitato di indirizzo sia rimessa alla libera volontà dei titolari
degli uffici giudiziari indicati, come nelle ipotesi in cui è previ sta la semplice possibilità di partecipare a riunioni di altri organi
(v. ad esempio quanto disposto dall'art. 20 1. 1° aprile 1981 n.
121, modificato, da ultimo, dal d.leg. 28 dicembre 2001 n. 472,
per gli appartenenti all'ordine giudiziario, che possono essere
invitati dal prefetto, d'intesa con il procuratore della repubblica
competente, a partecipare alle riunioni del comitato provinciale
per l'ordine e la sicurezza pubblica). In tal modo la norma invade però la potestà legislativa esclu
siva dello Stato stabilita dall'art. 117, 2° comma, lett. g), Cost,
in tema di ordinamento degli organi e degli uffici dello Stato, e
viola la riserva di legge statale prevista dall'art. 108, 1° comma,
Cost, in tema di ordinamento giudiziario (v. sentenza n. 43 del
1982, id., 1982,1,609). Per le medesime ragioni, anche l'aver previsto la partecipa
zione dei prefetti al comitato di indirizzo, contemplata dall'art.
3, 3° comma, lett. d), della legge impugnata, lede la competenza statale di cui all'art. 117, 2° comma, lett. g), Cost. Al riguardo, non rileva che in questo caso la legge stabilisca che i prefetti della regione possono farsi sostituire da loro delegati: anzi, tale
circostanza suona come conferma che la norma attribuisce un
nuovo compito all'ufficio statale, specificando che esso può es
ser svolto sia dal capo dell'ufficio, sia da un suo delegato. Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 3, 3° comma, lett. d), é),f), g), 1. reg. Marche n. 11 del
2002, nella parte in cui prevede che del comitato di indirizzo
dell'osservatorio regionale per le politiche integrate di sicurezza
facciano parte i prefetti della regione o loro delegati, il procu ratore generale della repubblica presso la Corte d'appello di
Ancona, il procuratore della repubblica presso il Tribunale di
Ancona, il procuratore della repubblica presso il Tribunale per i
minorenni di Ancona.
4. - Quanto ora rilevato ovviamente non esclude che si svi
luppino auspicabili forme di collaborazione tra apparati statali,
regionali e degli enti locali volti a migliorare le condizioni di si curezza dei cittadini e del territorio, sulla falsariga di quanto ad
esempio prevede il d.p.c.m. 12 settembre 2000, il cui art. 7, 3°
comma, in relazione al 1° comma, dispone che il ministro del
l'interno promuove «le iniziative occorrenti per incrementare la
reciproca collaborazione» tra organi dello Stato e regioni in te
ma di «sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tu
tela dei diritti di sicurezza dei cittadini». Ma le forme di colla borazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attri
buzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nel
l'esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il
loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le pre
vedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati.
Per questi motivi, la Corte costituzionale:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, 3° comma,
lett. d), e), f), g), 1. reg. Marche 24 luglio 2002 n. 11 (sistema
integrato per le politiche di sicurezza e di educazione alla lega
lità); b) dichiara inammissibili le altre questioni di legittimità co
stituzionale della predetta 1. reg. Marche 24 luglio 2002 n. 11,
sollevate, in riferimento agli art. 117, 2° comma, lett./), g), h),
/), 81 e 119, 4° comma, Cost., dal presidente del consiglio dei
ministri, con il ricorso in epigrafe.
Il Foro Italiano — 2004 — Parte I-54.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 ago sto 2004, n. 17210; Pres. Saggio, Est. Gilardi, P.M. Cenic
cola (conci, parz. diff.); Consob (Avv. Libonati) c. Soc. Gil
demeister italiana (Avv. Corain, Zonca, Felli). Cassa App. Brescia 18 dicembre 2000.
CORTE DI CASSAZIONE; :
Società — Società per azioni — Bilancio — Criteri di reda zione — Immobilizzazioni immateriali — Costi di impian to ed ampliamento di utilità pluriennale — Iscrizione al l'attivo ed ammortamento quinquennale
— Condizioni
(Cod. civ., art. 2423, 2423 bis, 2426).
Nel bilancio d'esercizio di una società per azioni i costi di im
pianto e di ampliamento possono essere iscritti nell'attivo
dello stato patrimoniale dell'anno in cui sono stati sostenuti,
per essere poi soggetti ad ammortamento in un periodo non
superiore ai cinque anni, se sia configurabile una loro utilità
pluriennale, consistente in ricavi d'impresa destinati a ma
nifestarsi anche in esercizi successivi ma pur sempre a quei costi direttamente collegati (nella specie, la Suprema corte ha
negato che possano essere a tale scopo ricondotti nella no
zione di costi di ampliamento di utilità pluriennale gli esborsi
sostenuti dalla società per risolvere anticipatamente un pre
gresso contratto di commercializzazione esclusiva in vista
della realizzazione di una nuova rete di vendita ritenuta più
efficiente, qualora siffatti esborsi, pur costituendone il pre
supposto condizionante, non si configurino come causa di
retta dei futuri vantaggi procurati alla società dalla nuova
rete di vendita per la cui realizzazione siano occorse spese ulteriori e successive). (1)
(1) Due sono le principali ragioni d'interesse che desta la decisione
qui riportata: 1) si tratta di uno dei pochi casi in cui la giurisprudenza ha avuto occasione di occuparsi di deliberati approvativi di bilanci so
cietari impugnati non già da singoli azionisti, titolari di partecipazioni
più o meno cospicue del capitale sociale, bensì dalla Consob, organo
pubblico di vigilanza sui mercati finanziari; 2) non constano precedenti della Suprema corte sullo specifico tema dell'iscrizione in bilancio
delle spese sostenute dalla società per finalità d'impianto o di amplia mento.
Il primo profilo (su cui v. R. Rordorf, Impugnazione di atti societari
da parte della Consob, in Giur. comm., 2002, I, 31 ss.), merita solo di
essere segnalato, perché il giudice di legittimità non ha avuto in questo caso ragione alcuna di approfondirlo. Quanto invece al secondo, è ap
pena il caso di avvertire coloro i quali non abbiano speciale dimesti
chezza con le tecniche di bilancio che l'iscrizione (con segno positivo) nella colonna dell'attivo dello stato patrimoniale di importi cui non cor
risponde alcuna acquisizione materiale di beni da parte della società,
importi costituenti nell'immediato degli esborsi (che si sarebbe perciò naturalmente portati a contabilizzare con segno negativo), non è, di per sé, un fatto sorprendente. Lo consentono espressamente le disposizioni dell'art. 2426, 1° comma, nn. 5 e 6, c.c., rimaste immutate anche dopo la recente riforma del diritto societario, e lo prevedono i principi conta
bili italiani ed internazionali, che individuano appunto la categoria delle c.d. immobilizzazioni immateriali, sul presupposto che la ricchez
za e la potenzialità produttiva di un'impresa non è solo composta da
beni materialmente tangibili (terreni, fabbricati, macchinari, ecc.) ma
anche da ogni altro elemento in grado di creare reddito in avvenire
(brevetti, concessioni, licenze, avviamento e simili). I costi necessari
per acquisire siffatti beni, per un verso, ne costituiscono il naturale me
tro di valutazione e, per altro verso, rendono necessario procedere al lo
ro ammortamento nel tempo, giacché il bilancio è retto dal principio di
competenza (art. 2423 bis, n. 3, c.c.), in ossequio al quale se una deter
minata spesa è destinata a produrre utilità in un arco di tempo ecce
dente i limiti dell'esercizio in cui è stata sostenuta il relativo onere de
v'essere possibilmente imputato anche agli esercizi successivi in misu
ra proporzionale ai benefici che in tali esercizi detta spesa ha generato. Ben s'intende, peraltro, come l'inevitabile tasso di aleatorietà di siffatte
valutazioni abbia suggerito al legislatore di circondare l'iscrizione in
bilancio delle immobilizzazioni immateriali, nonché l'ammortamento
dei relativi cesti, con le particolari cautele indicate nelle citate disposi zioni dell'art. 2426 (circa i modi in cui può esprimersi il consenso del
collegio sindacale, necessario per l'iscrizione all'attivo delle spese di
impianto ed ampliamento, v. Trib. Napoli 24 febbraio 2000, Foro it.,
Rep. 2000, voce Società, n. 816, e Società, 2000, 1474, con nota di C.
Sottoriva, e Trib. Milano 30 settembre 1985, Foro it., 1986,1, 2300).
In quest'ambito si rivela particolarmente delicata l'eventuale iscri
zione nell'attivo (c.d. capitalizzazione) tanto dei costi di ricerca, svi
luppo e pubblicità quanto dei costi di impianto e dei costi di amplia mento aventi utilità pluriennale (definiti, questi ultimi, come «quelli so
stenuti da un'impresa in modo non ricorrente al fine di accrescere la
propria capacità operativa»: E. Guffanti, Le immobilizzazioni immate
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2987 PARTE PRIMA 2988
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 2 dicembre 1998 la Commissione nazionale per le società e la
borsa - Consob conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di
Bergamo la Gildemeister italiana s.p.a. per sentir dichiarare la
nullità della delibera con la quale l'assemblea della società, in
data 15 maggio 1998, aveva approvato il bilancio dell'esercizio al 31 dicembre 1997. A fondamento della domanda l'attrice de
duceva l'illegittimità dell'iscrizione, nell'attivo dello stato pa trimoniale del bilancio, di «costi di ampliamento» per lire
11.908.000.000 e la correlativa imputazione, nel conto econo
mico dell'esercizio, del solo costo di ammortamento, distribuito
in cinque anni. Trattandosi di costi sostenuti dalla convenuta in
forza di un accordo transattivo che prevedeva l'anticipata riso
luzione del contratto di distribuzione intercorso con la società
tedesca DMG-VGD MAHO Gildemeister, ed essendo diretti ad
evitare perdite future, piuttosto che a creare utilità pluriennali, essi avrebbero dovuto essere imputati per intero all'esercizio
1997 nel corso del quale era avvenuto il relativo esborso. La ca
pitalizzazione del costo, con correlativa distribuzione della spe sa nel conto economico dei cinque esercizi, era dunque avve
nuta, secondo l'attrice, in violazione dell'art. 2426, 1° comma, n. 5, c.c. e si risolveva nell'indicazione di informazioni non cor
rette al mercato, con pregiudizio per le determinazioni degli in
vestitori.
Costituitosi il contraddittorio, la convenuta, rilevando che le
previsioni di maggior redditività sottostanti alla risoluzione del
contratto con la società distributrice estera avevano trovato po sitiva conferma nell'esercizio 1998, osservava che la capitaliz zazione, quale costo di ampliamento, della spesa sostenuta per quell'operazione costituiva corretta applicazione della regola
posta dall'art. 2426 c.c., essendo la spesa diretta a creare le
condizioni di maggiore redditività dell'impresa negli esercizi
riali, in La disciplina giuridica del bilancio d'esercizio a cura di L.A. Bianchi, Milano 2001, 533; in argomento, cfr. anche Trib. Milano 2 di cembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 392, e Banca, borsa, ecc., 1983, II, 331). Posto che l'iscrizione all'attivo dello stato patri moniale di queste spese è consentita, oltre che dalla loro utilità plurien nale, dalla circostanza che esse non abbiano avuto, come contropartita, l'incremento di valore di specifici beni o diritti anch'essi iscritti all'at tivo (cfr. Trib. Milano 27 luglio 1987, Foro it., 1988,1, 2709), risultano talvolta problematiche la valutazione della loro idoneità a produrre uti lità pluriennale e la corretta graduazione di una simile utilità nell'arco di non più di cinque esercizi successivi (su cui v. Trib. Milano 2 marzo 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 659, e Società, 1989, 823, con nota di R. Rordorf). Ma non minori difficoltà si manifestano nell'individua zione stessa delle spese riconducibili a questa categoria di costi, in
quanto tali suscettibili del trattamento contabile in discorso. Proprio quest'ultimo aspetto è stato investito dalla Suprema corte con la deci sione in epigrafe, che, disattendendo le diverse conclusioni cui nella medesima fattispecie erano pervenuti Trib. Bergamo 8 luglio 1999, Fo ro it., Rep. 1999, voce cit., n. 948 (per esteso, Società, 2000, 245, con nota di M. Mazzuoccolo e S. Campanella) e Trib. Brescia 18 dicembre 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 605 (per esteso, Dir. e pratica socie tà, 2001, fase. 8, 71, con nota di S. D'Andrea), ha posto in particolare l'accento sulla necessità di un legame immediato e diretto tra le spese sostenute in un determinato esercizio dalla società e l'utilità pluriennale che la società medesima da quelle spese possa ritrarre. Legame imme diato e diretto ad identificare il quale non è sufficiente, secondo il giu dice di legittimità, che dette spese costituiscano un mero presupposto per il compimento delle successive operazioni di ampliamento dell'at tività dell'impresa. Non basta, cioè, che si tratti di spese occorse per rimuovere un ostacolo (una preesistente, ma inefficace, rete di vendita) che si frapponga alla realizzazione del vero e proprio programma di
ampliamento (la creazione di una nuova e più efficace rete di vendita), giacché solo i costi successivamente sostenuti per realizzare un siffatto
programma possono essere considerati come la causa immediata e di retta dei vantaggi pluriennali in seguito ricavati dalla società e, come tali, essi soli sono suscettibili di capitalizzazione nell'attivo e di conse
guente ammortamento quinquennale. In dottrina, G.E. Colombo, Il bilancio d'esercizio, in Trattato delle
società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1994, 7, I, 255, pur riconoscendo che non si tratta di costi di ampliamento in senso
proprio, si è invece espresso in favore della capitalizzazione delle spese straordinarie di riduzione del personale finalizzate al recupero dì com
petitività dell'impresa sul mercato, sul presupposto che si tratta co
munque di spese idonee a proiettare i propri effetti sugli esercizi suc cessivi; nel medesimo senso, v. anche E. Guffanti, op. cit., 535; con tra, G. Olivieri, / conferimenti in natura nella società per azioni, Pa dova, 1989, 379. [R. Rordorf]
Il Foro Italiano — 2004.
futuri grazie all'eliminazione di una struttura di vendita che si
era rivelata inadeguata e che doveva quindi essere sostituita con
altra più efficiente. Né poteva in alcun modo parlarsi di viola
zione dei principi di verità e di chiarezza nella redazione del
bilancio, dal momento che nella relazione dell'organo ammini
strativo che accompagnava il bilancio dell'esercizio al 31 di
cembre 1997 erano esaurientemente spiegati i presupposti e le
ragioni dell'operazione. Con sentenza del 29 giugno
- 8 luglio 1999 (Foro it., Rep. 1999, voce Società, n. 948) il Tribunale di Bergamo rigettava la
domanda della Consob, e la decisione veniva confermata dalla
Corte d'appello di Brescia con sentenza dell'8 novembre - 18
dicembre 2000 contro la quale la Consob ha proposto ricorso
sulla base di quattro motivi.
Ha resistito la Gildemeister italiana s.p.a. notificando contro
ricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo la ricor
rente ha dedotto contraddittorietà e carenza di motivazione circa
un punto decisivo della controversia (art. 360, 1° comma, n. 5,
c.p.c. in relazione all'art. 2426, 1° comma, n. 5, c.c.) dal mo
mento che, costituendo il costo sostenuto dalla Gildemeister per la risoluzione del contratto con DMG un onere straordinario in
teso ad eliminare un contratto svantaggioso, in applicazione del
principio di competenza esso avrebbe dovuto essere imputato interamente al conto economico del 1997; né tale costo poteva essere inserito tra quelli d'impianto e di esercizio per i quali l'art. 2426 c.c. consente l'iscrizione nell'attivo e la possibilità di ammortamento entro un periodo non superiore a cinque anni.
Il principio della correlazione tra costi e ricavi comporta infatti — come correttamente rilevato nella motivazione della sentenza
impugnata — che debbano essere allocati tra le immobilizza
zioni i valori che trovano le corrispondenti utilità in esercizi
successivi a quello in cui i costi si sono verificati, per costi plu riennali dovendosi intendere le spese sostenute in un determi
nato esercizio la cui influenza positiva non si esaurisca in que st'ultimo, ma si espanda verosimilmente ad una pluralità di
esercizi successivi. Da tale corretta premessa, tuttavia, la Corte
d'appello di Brescia avrebbe dovuto desumere la conseguenza che i costi sostenuti dalla Gildemeister italiana per la risoluzio
ne del contratto non sono ascrivibili a spesa di «ampliamento», essendo serviti non a conseguire un'utilità suscettibile di riper cuotersi nei futuri esercizi, ma ad eliminare una diseconomia
pregressa. Di qui, secondo la ricorrente, una palese contraddi
zione tra le premesse interpretative enunciate nella motivazione
della sentenza e le conclusioni che ne sono state tratte nel caso
concreto, contraddizione ancor più evidente ove si consideri che
la Corte d'appello di Brescia, dopo aver rilevato che l'anticipata risoluzione del contratto di esclusiva con la DMG era stato con siderato dalla dirigenza della Gildemeister italiana come il ri
medio alla insoddisfacente espansione delle vendite, non si è
avveduta che il costo di tale anticipata risoluzione serviva per ciò stesso ad evitare perdite future, non già a creare utilità plu riennali; e nell'affermare che l'anticipato scioglimento del con tratto costituiva la premessa necessaria per la costituzione da
parte della Gildemeister italiana di una nuova rete commerciale ovvero per l'ampliamento quantitativo e qualitativo di quella esistente, non ha considerato che costo d'ampliamento avrebbe
potuto essere (non quello relativo alla risoluzione del contratto,
bensì) quanto speso dalla società per organizzare e creare la «nuova» rete. In definitiva la corte territoriale pervenendo ad una conclusione da ritenere erronea anche dal punto di vista della dottrina aziendalistica, ha trascurato di considerare che ai fini del prospettato ampliamento il costo della risoluzione di un cattivo affare era da considerare sicuramente prodromico, ma non tale da porsi in rapporto di causa ad effetto, altrimenti tutte le spese d'esercizio sarebbero capitalizzabili in quanto tutte in distintamente prodromiche di risultati positivi futuri.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto falsa applica zione degli art. 2423, 2423 bis, 1° comma, n. 3, 2426, 1° com
ma, n. 5, c.c., in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c. Poiché, infatti, la richiamata norma dell'art. 2426 costituisce una deroga al principio secondo cui, dovendo il bilancio rappre sentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società, occorre tener conto (dei proventi e) de
gli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla
data (dell'incasso o) del pagamento, l'utilità pluriennale cui fa riferimento l'art. 2426, 1° comma, n. 5, c.c. non può non coin
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cidere con il concetto di utilità economica o di ricavo d'impre sa. Tutte le operazioni buone sotto il profilo economico possono dimostrarsi utili anche per il futuro, ma non tutte possono essere
considerate come produttive di ricavi anche per gli esercizi suc
cessivi. Se il costo sopportato per la risoluzione di un contratto
si trasformasse, tramite la capitalizzazione di esso, in elemento
costitutivo dell'attivo, l'utile dell'esercizio risulterebbe formato
dalle spese patite per risolvere cattivi affari pregressi: ciò che
costituirebbe non solo un falso, ma anche un assurdo. Allo stes
so modo, se il costo sopportato per eliminare cattivi affari pre
gressi si trasformasse, tramite la sua capitalizzazione, in ele
mento dell'attivo, si toglierebbe spazio ad eventuali azioni di
responsabilità dal momento che (anche) gli errori degli ammini
stratori potrebbero essere qualificati, per assurdo, quali «pre messe» per ricavi futuri.
Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto falsa applicazione dell'art. 2426, 1° comma, n. 5, c.c., contraddittorietà e carenza
di motivazione circa un punto decisivo della controversia (art.
360, 1° comma, n. 5, c.p.c. in relazione all'art. 2426, 1° comma,
n. 5, c.c.) per avere la corte d'appello trascurato di considerare
che il criterio seguito dalla Gildemeister italiana per la capita lizzazione dell'importo di lire 11.098 milioni, illegittimamente
spesato in bilancio in cinque anni, contrastava con il criterio se
guito per l'imputazione dell'esborso di lire 2.800 milioni, pa
gato dalla società — nell'ambito dei complessi accordi del 1997 —
per risolvere anticipatamente il contratto di agenzia con Gil
demeister AG, esborso interamente e correttamente appostato in
bilancio tra i ricavi del conto economico 1997.
Con il quarto motivo, infine, la ricorrente ha dedotto falsa ap
plicazione degli art. 158 e 161 c.p.c. in relazione all'art. 48 r.d.
30 gennaio 1941 n. 12 come modificato dall'art. 88 1. 353/90,
nonché omessa motivazione su una questione di rito per avere la
Corte d'appello di Brescia qualificato come nullità relativa, e
non assoluta, la circostanza che la sentenza di primo grado ven
ne pronunciata dal Tribunale di Bergamo in composizione mo
nocratica, anziché collegiale e, in relazione a ciò, per aver con
siderato tardiva l'eccezione al riguardo sollevata dall'attuale ri
corrente nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio di
secondo grado. (Omissis) 2. - Sono invece fondati il primo ed il secondo motivo di ri
corso. — Com'è noto, dalle norme relative ai principi ed ai criteri di
redazione del bilancio si desume che quest'ultimo deve essere
redatto con chiarezza e che deve rappresentare in modo veritiero
è corretto la situazione patrimoniale e finanziaria delle società
_ed il risultato economico dell'esercizio (art. 2423, 2° comma,
c.c.). Poiché, la funzione essenziale del bilancio è quella di for
nire alla pluralità dei destinatari cui è rivolto ed alla molteplicità dei potenziali operatori esterni un'informazione precisa ed og
gettiva dei fatti di gestione della società relativi al periodo di
esercizio, solo i concorrenti requisiti della veridicità e della cor
rettezza e, insieme, della chiarezza espositiva sono ritenuti dal
legislatore idonei a soddisfare le indicate finalità, che in tanto
possono essere conseguite, in quanto il bilancio sia redatto se
condo logiche puramente conoscitive e con funzione di oggetti va informazione, esulando da esso valutazioni e classificazioni
non limitate ad una neutrale rappresentazione dei fatti gestionali verificatisi nell'esercizio, ma rivolte ad orientare i giudizi con
formemente ai fini perseguiti dagli amministratori nella reda
zione del bilancio.
Nell'ambito del generale principio delineato dall'art. 2423
c.c., l'art. 2423 bis, 1° comma, n. 3, stesso codice dispone poi che nella redazione del bilancio, si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento, con la conseguenza che i
costi e i ricavi maturati nell'esercizio debbono essere in esso
interamente contabilizzati. Al criterio di competenza economi
ca, costituente il principale indice di riferimento per determinare
il reddito dell'esercizio, si fa eccezione per quei costi che, es
sendo idonei a produrre utilità pluriennali, possono essere «spe
sati» in più esercizi e, comunque, entro un periodo non superio
re ai cinque anni. Tra tali costi rientrano quelli di impianto e di
ampliamento, da indicare nell'attiva dello stato patrimoniale sotto la voce «immobilizzazioni immateriali» (art. 2424, 1°
comma, lett. b, c.c.) e per i quali — al pari dei costi di ricerca,
di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale — l'art.
Il Foro Italiano — 2004.
2426, 1° comma, n. 5, c.c. prevede la possibilità di iscrizione
nell'attivo con il consenso del collegio sindacale e l'ammortiz
zazione entro un periodo non superiore, per l'appunto, a cinque anni.
Ciò, a ben vedere, solo apparentemente costituisce una deroga al principio di competenza, posto che — ove determinate opera zioni fossero destinate a produrre utili non solo nell'esercizio in
cui è stato sopportato il relativo costo, ma anche in esercizi fu
turi — l'iscrizione dell'intero costo in un unico esercizio a
fronte dell'iscrizione degli utili ripartita in più anni non sarebbe
idonea ad assicurare un corretto equilibrio economico ed una
rappresentazione adeguata della realtà. A fronte di utili che
continuano a prodursi negli anni per effetto dell'operazione, il
costo verrebbe infatti a gravare interamente — penalizzandolo
— su un unico esercizio.
L'utilità pluriennale, costituente il presupposto per la capita lizzazione della spesa e per la sua iscrizione nell'attivo dello
stato patrimoniale, con correlativa imputazione al conto econo
mico del solo costo di ammortamento ripartito in più annualità,
non si identifica, tuttavia, con il mero vantaggio derivante da
un'operazione positiva, da un buon investimento o da un ri
sparmio di spesa, ma deve configurarsi quale ricavo d'impresa che si pone in immediata correlazione con il costo e ad esso ap
pare direttamente riferibile. Poiché il bilancio costituisce la rap
presentazione della situazione patrimoniale della società, redatto
a chiusura di ogni esercizio per rilevarne utili e perdite, la utilità
cui allude l'art. 2426, 1° comma, n. 5, c.c. altro non può essere — come rileva esattamente la ricorrente nelle proprie difese —
che il ricavo d'impresa direttamente collegato al costo sostenuto
in un determinato esercizio e tale da manifestarsi — in termini
di utilità economica generata appunto dal costo — anche in
esercizi successivi. Non si discostano da tali principi le immo
bilizzazioni immateriali le quali — come messo puntualmente
in luce nella sentenza impugnata — nel sistema del codice fan
no riferimento o ai valori di creazioni intellettuali (quali i diritti
di brevetto industriale ed i diritti di utilizzazione delle opere
dell'ingegno, i marchi, le licenze e simili), costituenti veri e
propri beni suscettibili di scambio e come tali idonei a formare
oggetto di rapporti giuridici, ovvero a costi pluriennali che, non
avendo come risultato l'acquisto da parte della società di beni
immateriali singolarmente valutabili (quali, appunto, i brevetti, i
marchi, ecc.) sono nondimeno idonei a produrre effetti positivi anche negli esercizi successivi a quello in cui la società li ha so
stenuti. E poi nozione comune che, mentre tra i costi di «im
pianto» rientrano quelli relativi alla costituzione della società e
dell'azienda, tra i costi di «ampliamento» — da non confondersi
con quelli affrontati per l'ampliamento, l'ammodernamento ed
il miglioramento di una singola immobilizzazione, che vanno
capitalizzati ad incremento del valore di questa ove si traducano
in un aumento significativo e tangibile di capacità o di produtti vità o di sicurezza o di vita utile — rientrano quelli sostenuti
durante la vita della società per incrementare o diversificare la
generale capacità produttiva e di mercato dell'impresa. Né igno ra il collegio che, secondo la dottrina aziendalistica, la nozione
di costi d'ampliamento accoglie, più comprensivamente, tutti i
costi sostenuti per l'estensione della società e dell'azienda in di
rezioni e in attività precedentemente non perseguite oppure per un ampliamento di tipo straordinario costituente vero e proprio
allargamento dell'attività sociale.
Tali condizioni, tuttavia, non si ravvisano sussistenti con ri
guardo agli esborsi effettuati dalla resistente per la risoluzione
anticipata del contratto di commercializzazione esclusiva che la
legava alla DMG. La circostanza che tale contratto costituisse
per la Gildemeister italiana un ostacolo alla realizzazione di una
struttura di vendita che, una volta estesa ai principali mercati
europei e mondiali, le avrebbe consentito di presentarsi alla
clientela con le caratteristiche più idonee per trattare le speciali macchine da essa prodotte, la prospettiva, a ciò connessa, di una
gestione dell'impresa più vantaggiosa e remunerativa, ed il fatto
che tali positivi effetti si siano poi concretamente manifestati
già a partire dall'esercizio successivo a quello in cui è stato
contabilizzato il costo pagato per la risoluzione del contratto,
non valgono di per sé a giustificare l'assunzione del correlativo
esborso nella categoria dei costi di ampliamento di cui agli art.
2424 e 2426 c.c. È la stessa corte d'appello a sottolineare, nella
sentenza impugnata, che l'anticipato scioglimento del contratto
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PARTE PRIMA 2992
costituiva «la premessa necessaria per la costituzione da parte della Gital di una nuova rete commerciale ovvero dell'amplia mento qualitativo e quantitativo di quella esistente»: la premes sa cioè per poter sostenere successivamente — anche se in rap
porto di stretta consecuzione temporale — i costi dai quali sol
tanto sarebbe derivata l'utilità pluriennale cui fanno riferimento
le ricordate norme del codice in tema di immobilizzazioni im
materiali. Il fatto, cioè, che il prezzo pagato per la risoluzione
valesse a rimuovere un ostacolo alla realizzazione del pro
gramma di ampliamento, non è sufficiente a ricondurre quel
prezzo nel novero dei costi di ampliamento che solo dopo la so
cietà avrebbe dovuto affrontare non potendosi logicamente so
stenere — è lo stesso giudice d'appello a rilevarlo — che, una
volta venuta meno la rete della DGM, «la società avrebbe potuto affrontare il mercato mondiale forte solamente della propria
preesistente struttura di vendita, composta di cinque soli addet
ti»: con la conseguenza che l'ampliamento, quale inteso dalle
menzionate norme del codice civile, sarebbe conseguito (non
dalla risoluzione del contratto e dagli esborsi sostenuti in dipen denza di tale risoluzione, ma) da quelli affrontati per organizza re e creare una nuova struttura di vendita, di cui è cenno nella
stessa sentenza della corte d'appello laddove si osserva che
l'attività di ristrutturazione — di cui sarebbe parte anche la ri
soluzione anticipata del contratto con la DMG — «cominciò a
prender forma in quello stesso anno 1997 attraverso la creazione
di una nuova società, la Gildemeister italiana s.r.l. che, con sede
in Francia, era ... destinata a svolgere attività commerciale e di
assistenza tecnica dei prodotti Gital sul mercato francese».
I costi della risoluzione del contratto hanno dunque costituito
non solo la premessa per la realizzazione di una maggiore pro duttività e per l'espansione della rete aziendale da parte della
Gildemeister italiana, ma la condizione per la stessa effettuazio
ne dei costi di ampliamento, da cui soltanto quegli esiti di mag
gior produttività sarebbero derivati.
Ne consegue che il giudice d'appello ha erroneamente inter
pretato le norme del codice civile relative ai principi ed ai criteri
di interpretazione del bilancio e, segnatamente, gli art. 2423,
2423 bis, 1° comma, n. 3, e 2426, 1° comma, n. 5. Né vale os
servare che le ragioni della capitalizzazione fossero state ade
guatamente illustrate dagli amministratori nella relazione al bi
lancio, giacché tale circostanza non fa venir meno il contrasto
del bilancio con i principi di chiarezza, veridicità e correttezza, a meno di non sovrapporre alla funzione di obiettiva rappresen tazione della realtà cui il bilancio deve assolvere le previsioni ed i programmi di politica aziendale elaborati dall'organo am
ministrativo, trascurando tra l'altro di considerare che quei pro
grammi e quelle previsioni non avrebbero potuto avere alcun
esito positivo se ad essi non fosse seguita la realizzazione della
nuova rete di vendita: se — cioè — non fossero stati sostenuti i
costi che attuavano 1'«ampliamento». 3. - Il primo ed il secondo motivo di ricorso debbono pertanto
essere accolti, con assorbimento del terzo motivo. In relazione
ai motivi accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata, con
rinvio anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità ad altra
sezione della Corte d'appello di Brescia, che si atterrà ai princi
pi di diritto enunciati nel paragrafo che precede.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 ago sto 2004, n. 16251; Pres. Prestipino, Est. Stile, P.M. Finoc
chi Ghersi (conci, diff.); Giuliacci (Avv. Bosso) c. Min. teso
ro. Cassa App. Torino 7 agosto 2001.
Invalidi civili e di guerra — Assegno di invalidità — Obesità fuori dai limiti tabellari — Accertamento (L. 30 marzo
1971 n. 118, conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n.
5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art.
13; d.leg. 23 novembre 1988 n. 509, norme per la revisione
delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti, non
ché dei benefici previsti dalla legislazione vigente per le me
desime categorie, ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1. 26 luglio 1988 n. 291, art. 2, 9; d.m. 5 febbraio 1992, approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali d'invalidità,
per le minorazioni e malattie invalidanti).
L'accertamento giudiziale dell'invalidità rilevante ai fini del
l'assegno di cui all'art. 13 l. 30 marzo 1971 n. 118, vincolato
alle percentuali stimate nella tabella approvata con d.m. 5
febbraio 1992, nel caso di obesità che si caratterizzi per l'in
dice di massa corporea (ottenuto dividendo il peso per il qua drato della statura) superiore alla fascia presa in considera
zione dalla tabella per il riconoscimento di un grado di inva
lidità tra il 31 e il 40 per cento, deve essere condotto dal giu dice del merito con indagine svincolata dai limiti specificati in tabella. ( 1 )
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 5 lu
glio 2000, Rita Giuliacci conveniva dinanzi al Tribunale di To
rino il ministero del tesoro per ottenere il riconoscimento della
sussistenza del requisito sanitario necessario ai fini della con
cessione dell'assegno ex art. 13 1. 118/71, richiesto in via am
ministrativa e negatole perché riconosciuta invalida in misura
inferiore al 74 per cento.
Il ministero, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda
perché infondata.
Espletata consulenza tecnica medico-legale, il tribunale, con
sentenza del 12-30 gennaio 2001, rigettava la domanda.
(1) I. - Non si rinvengono precedenti in termini. II. - Nel senso che la tabella indicativa delle percentuali di invalidità
di cui al d.m. 5 febbraio 1992, ai fini dell'assegno di invalidità civile
previsto dall'art. 13 1.30 marzo 1971 n. 118, è vincolante per il giudice di merito, tanto da configurarsi un vizio di legittimità denunciabile in Cassazione nella decisione che se ne discosti, v. Cass. 25 settembre
2002, n. 13938, Foro it., Rep. 2003, voce Invalidi civili e di guerra, n.
22; 9 febbraio 2002, n. 1859, id., Rep. 2002, voce cit., n. 37; 13 aprile 2001, n. 5571, id., Rep. 2001, voce cit., n. 13; 24 aprile 2001, n. 6050, ibid., n. 14; 26 luglio 2000, n. 9824, id., Rep. 2000, voce cit., n. 47.
Cass. 4 agosto 2000, n. 10312, ibid., n. 46, chiarisce che l'applica zione vincolante della tabella, nell'accertamento dell'invalidità, esclu de ogni possibilità di generica valutazione in ordine all'incidenza com
plessiva di patologie plurime, concorrenti o coesistenti. III. - Con riferimento alla pensione di invalidità erogata dall'Inps,
Cass. 24 novembre 2003, n. 17812, id., Rep. 2003, voce Previdenza so
ciale, n. 615, chiarisce l'inapplicabilità della tabella di cui al d.m. 5 febbraio 1992, dovendosi accertare non la riduzione della generica ca
pacità lavorativa, bensì la riduzione della capacità di lavoro in occupa zioni confacenti alle attitudini dell'assicurato.
In tale diversa ottica, Cass. 10 dicembre 1986, n. 7372, id., Rep. 1987, voce cit., n. 971, ha ritenuto che l'obesità di per sé non costitui sce malattia invalidante, ma può assumere tale carattere allorché il suo emendamento richieda l'adozione di determinate terapie, medica e ali mentare.
Richiedono una valutazione complessiva dello stato di invalidità
pensionabile, nel quadro di infermità che si accompagnino all'obesità. Cass. 26 novembre 1988, n. 6392, id., Rep. 1988, voce cit., n. 859; 27
giugno 1988, n. 4357, ibid., n. 889; 12 febbraio 1985, n. 1198, id., Rep. 1985, voce cit., n. 883; 8 novembre 1983, n. 6616, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 797, e 16 settembre 1981, n. 5125, id., Rep. 1981, voce cit.. n. 483.
IV. - Sull'obesità come fattore di rischio che può escludere o non la ricorrenza della causa di servizio in evento lesivo di natura cardiaca, v. Corte conti, sez. giur. reg. Sardegna, 18 marzo 1996, n. 174, id.. Rep. 1996, voce Pensione, n. 462, e sez. IV pens. mil.. 21 marzo 1991, n.
76871, id., Rep. 1992, voce cit., n. 296. Per riferimenti, in generale, sull'esperibilità dell'azione di mero ac
certamento della condizione di invalido civile, cfr., da ultimo, in moti
vazione, Cass. 2 aprile 2004, n. 6565, id., 2004,1, 2407, con nota di ri chiami di G. De Marzo.
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