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sezione I civile; sentenza 28 giugno 1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo DellaRocca (concl. parz. diff.); Pfitscher (Avv. Fresa, Pichler, Ziernhöld) c. Prantner (Avv. Pacifici,Vescoli). Conferma App. Trento 11 aprile 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 251/252-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190610 .
Accessed: 28/06/2014 09:26
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PARTE PRIMA
voci sommariamente indicate e cifre a volte sommate, a volte
detratte, a volte segnate con asterischi», ed ha manifestato un
coerente apprezzamento di merito sulla inidoneità della docu
mentazione stessa a costituire rendiconto, per mancanza di una
esposizione chiara e dettagliata di tutti i rapporti di dare e avere
esistenti in capo alla società, con indicazione delle singole partite. Né appare censurabile il rilievo conseguenziale secondo cui,
in presenza di una documentazione siffatta, l'attore non era
onerato di specifiche contestazioni.
5. - Con il ricorso incidentale il Visconti, denunciando insuf
ficiente motivazione e violazione degli art. 2041 e 2043 c.c.,
si duole del mancato accoglimento della domanda di danni. De
duce, al riguardo, che il danno personale è costituito dal fatto
che, a causa della condotta colpevole del Bordogna, che non
ha reso il conto, egli non ha percepito o ha percepito in parte
gli utili di gestione, per cui lo stesso Bordogna è tenuto ad in
dennizzarlo, a norma dell'art. 2041 c.c., nei limiti dell'indebito
arricchimento.
Osserva il collegio che il ricorrente incidentale tende al conse
guimento di un danno residuale — in quanto diverso ed ulterio
re rispetto a quello subito dalla società — che è stato escluso
dalla sentenza impugnata per mancanza di prova sulla sua esi
stenza.
Posto che la percezione di eventuali maggiori utili dipende dall'esito definitivo del presente giudizio (del quale la corte d'ap
pello ha disposto la prosecuzione), il solo danno configurabile,
alla stregua di quanto dedotto dal ricorrente, si ricollega al ri
tardo nella percezione degli utili medesimi.
Ma, in difetto di altri elementi offerti dalla parte interessata,
un tale danno risulta già risarcibile attraverso la corresponsione di (eventuali) rivalutazione ed interessi, per l'accertamento dei
quali il giudizio, anche, prosegue.
Consegue il rigetto pure del ricorso incidentale.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 28 giugno
1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo
Della Rocca (conci, parz. diff.); Pfitscher (Aw. Fresa, Pich
ler, Ziernhold) c. Prantner (Avv. Pacifici, Vescoli). Con
ferma App. Trento 11 aprile 1992.
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Prove ema
tologiche — Rifiuto — Valutazione del giudice di merito (Cod.
civ., art. 269). Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Consenso
del minore ultrasedicenne — Sopravvenienza — Ammissibili tà (Cod. civ., art. 273).
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Manteni
mento del figlio — Obblighi — Decorrenza (Cod. civ., art.
147, 261).
Nel giudizio di dichiarazione di paternità naturale, il rifiuto in giustificato della parte di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento rilevante che può concorrere
alla formazione del convincimento del giudice. (1)
(1) In senso conforme, Cass. 27 aprile 1985, n. 2739, Foro it., Rep. 1985, voce Filiazione, n. 75; 11 dicembre 1980, n. 6400, id., 1981, I, 22, con nota di richiami.
In tema di prove della filiazione l'art. 269, 2° comma, c.c. (modifica to dall'art. 113 1. 19 maggio 1975 n. 151, recante la riforma del diritto di famiglia), sancisce la possibilità di fornire la prova della paternità «con ogni mezzo», con la ulteriore precisazione che «la sola dichiara zione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paterni tà naturale».
Il Foro Italiano — 1996.
Il consenso del minore ultrasedicenne, richiesto, ex art. 273,
2° comma, c.c., per promuovere o proseguire l'azione di di
chiarazione giudiziale di paternità naturale, costituisce un re
quisito del diritto di azione, la cui sussistenza deve essere ac
certata dal giudice al momento della decisione (e può dunque
Nonostante la varietà dei mezzi di prova astrattamente utilizzabili
(cfr. Majello, Filiazione naturale e legittimazione2, in Commentario
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, 178 ss.), compreso un largo uso
di presunzioni (v. Cass. 18 giugno 1991, n. 6858, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 58: «la prova prevista dall'art. 269 c.c. può essere fornita
con ogni mezzo ed anche mediante valorizzazione di elementi presuntivi che presentino i requisiti di cui all'art. 2729, 1° comma, c.c.», e App.
Cagliari 23 aprile 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 66) l'apporto forni
to dalla scienza assume sempre maggior rilievo e peso nella formazione del convincimento del giudice, sia nel senso di escludere che in quello di attribuire con una notevole percentuale di probabilità (cfr. Cass. 20
febbraio 1992, n. 2098, id., Rep. 1992, voce cit., n. 26). Ciò si può rilevare soprattutto dopo il superamento (avvenuto solo
a partire dagli anni '80 ad opera di Cass. 11 dicembre 1980, n. 6400, cit.: «nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale
le indagini ematologiche ed immunogenetiche possono fornire elementi di valutazione (non solo per escludere ma) anche per affermare il rap
porto biologico di paternità; pertanto, sono ammissibili anche quando siano già state acquisite altre risultanze processuali») dello scetticismo
e della diffidenza verso le prove ematologiche testimoniato (anche dopo la legittimazione delle indagini ematologiche e genetiche operata dal le
gislatore con l'art. 93 1. 151/75) da alcune pronunce della Suprema corte le quali, assimilando la prova ematologica ad una ispezione cor
porale, ritenevano che questa dovesse essere consentita non solo se am
missibile e rilevante (come accade per ogni altro mezzo di prova), ma
addirittura indispensabile, nel senso che il giudice poteva disporla solo
se si trovava nella impossibilità di attingere aliunde il proprio convinci
mento (in questo senso, v., tra le altre, Cass. 2 marzo 1976, n. 695,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 39; 30 giugno 1971, n. 2063, id., Rep.
1971, voce cit., n. 37; in dottrina, v. Finocchiaro, Ispezione (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1972, XII, 951 ss.).
Ma, prima di procedere oltre, è opportuno ricordare brevemente quali sono i metodi che attualmente la scienza mette a disposizione per indi
viduare la paternità di un soggetto. Il primo, classico ma ancora usato (in talune circostanze favorevoli),
è rappresentato dalle perizie somatiche «dirette ad indagare, al di là
degli esami del sangue, sulla somiglianza dei contrassegni o connotati
morfologici tra soggetti aventi un patrimonio genetico comune in forza
della legge della ereditarietà» (Comporti, Filiazione e prove biologiche, in Quadrimestre, 1985 , 254). In passato anche questo tipo di indagine era considerato di scarsa utilità (v. App. Napoli 12 gennaio 1957, Foro
it., Rep. 1957, voce cit., n. 42: «La prova del sangue può convincere
della responsabilità di una determinata paternità, mentre non può di
mostrare mai la paternità stessa; altrettanto fallace è l'esame somatico: tali mezzi istruttori sono da considerare inammissibili per la ricerca del
la paternità»), ma il mutamento di indirizzo in relazione alle prove ema
tologiche ha portato alla rivalutazione di questo tipo di esame, tanto
che di recente sono stati positivamente valutati «in via probatoria indi
ziaria, unitamente alle altre emergenze processuali, la comunanza evi
dente e nettissima, tra il preteso padre e la pretesa figlia, di specifici caratteri somatofacciali, quali la sporgenza degli zigomi, la forma della
fronte, il disegno del naso e della bocca, la miopia, la forma e l'espres sione del viso» (Trib. Bergamo 8 marzo 1989, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 60). Il secondo metodo è quello che utilizza il c.d. teorema di Bayes, ba
sato sull'esistenza di «marcatori genetici», cioè di «caratteri (. . .) che
abbiano costanza di manifestazione e di intensità di espressione per l'in
tero arco della vita e che non siano quindi modificabili da fattori am bientali naturali od artificiali» (Morganti, L'accertamento biologico della paternità, in Quadrimestre, 1985, 239 ss.). Rispetto all'esame di
tali marcatori genetici, si possono avere diverse ipotesi di incompatibili tà genetica, che portano alla sicura esclusione della paternità di un sog
getto, ed altre, di compatibilità, che aprono la via ad una valutazione, in termini di verosimiglianza e di probabilità, della possibilità positiva della paternità. È necessario a questo punto che il genetista valuti la
verosimiglianza della ipotesi che il risultato sia dovuto alla vera paterni tà del preteso padre e non alla fortuita concomitanza di una serie di
eventi puramente casuali. Traducendo tali dati in percentuali, relative
alla probabilità che non si tratti di caso fortuito, si possono verificare
degli equivoci, soprattutto nei soggetti non esperti di statistica (cfr. dif
fusamente sull'argomento, Morganti, op. cit., 238 ss.). Infine, il terzo ed ultimo metodo giunge dall'Inghilterra, dove è stata
scoperta l'«impronta cellulare». «Ogni uomo ed ogni essere vivente, in ciascuna delle sue innumerevoli cellule, porta non solo il proprio codice genetico, ma attraverso la disposizione di questo, una impronta individuale inconfondibile (. . .) diversa da ogni altra. Vi è meno di una probabilità su un miliardo di trovarne due eguali. (. . .) L'impron ta cellulare, infinitamente più semplice delle impronte digitali, (. . .)
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sopravvenire, prima di tale momento, nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto). (2)
L'obbligo di provvedere al mantenimento, istruzione ed educa
zione del figlio, sorge non dal momento della proposizione della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità natura
le, ma dalla sua nascita; ne consegue che colui che è stato
dichiarato genitore deve rimborsare all'altro genitore le spese sostenute in passato, mentre, per il futuro, è tenuto a contri
buire al mantenimento del figlio versando le somme dovute
all'altro genitore, in qualità di esercente la potestà sul figlio. (3)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 otto bre 1993, n. 10171; Pres. Montanari Visco, Est. Berruti,
P.M. Nicita (conci, conf.); Miranda (Aw. Boschi) c. Paga
no (Avv. Gaglione); Granata (Aw. Martucelli) c. Pagano, Miranda. Conferma App. Napoli 3 febbraio 1992.
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Legittima zione passiva (Cod. civ., art. 276).
Nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità,
la legittimazione passiva spetta esclusivamente agli eredi del
presunto padre defunto e non ai loro aventi causa o ad altri
soggetti che abbiano un interesse contrario all'accoglimento
della domanda, cui è riconosciuto soltanto il potere di inter
venire a tutela di detto interesse. (4)
è il risultato di un processo ereditario, cioè combina insieme la succes
sione delle sequenze Dna dei genitori, onde, se si fa il confronto d'una
impronta con quelle del padre e della madre si vede benissimo come
queste si siano trasmesse, poiché si trovano nelle stesse posizioni linee
caratteristiche dell'uno e dell'altra» (Manera, Dichiarazione giudiziale di paternità e decorrenza del'obbligo di mantenimento. Nuova metodi
ca per l'accertamento della paternità, in Giur. merito, 1989, 642 ss.). Tornando al nostro discorso, possiamo osservare come nel giro di
pochi anni si sia passati da un giudizio totalmente negativo nei confron ti delle prove ematologiche al riconoscimento della facoltà del giudice di disporre a sua discrezione l'espletamento di tali indagini, indipenden
temente dalla loro riconduzione all'ispezione personale, e di valutarle
liberamente ad integrazione delle altre risultanze probatorie (cfr. Cass.
23 gennaio 1993, n. 791, Foro it.. Rep. 1993, voce cit., n. 67; 20 feb
braio 1992, n. 2098, id., Rep. 1992, voce cit., 26; 19 marzo 1992, n.
3416, ibid., n. 71; 2 febbraio 1989, n. 654, id., 1989, I, 2849; 16 feb
braio 1989, n. 917, id., Rep. 1989, voce cit., n. 69; 10 gennaio 1981,
n. 218, id., 1981, I, 699).
(2, 6) In senso conforme: Cass. 6 maggio 1995, n. 4982, Foro it.,
Mass., 611; 8 novembre 1994, n. 9277, id., Rep. 1994, voce Filiazione,
n. 75; 2 marzo 1993, n. 2576 e 11 marzo 1993, n. 2970, id.. Rep. 1993,
voce cit., nn. 37, 38; 9 aprile 1992, n. 4358, id., 1994, I, 1556; 16
aprile 1991, n. 4034, id., Rep. 1991, voce cit., n. 51; 2 agosto 1990, n. 7761, id., Rep. 1990, voce cit., n. 57. Contra, Cass. 8 febbraio 1960,
n. 176, id., 1960, I, 377. Sulla rilevabilità d'ufficio del difetto di con
senso del minore ultrasedicenne, v. Cass. 20 febbraio 1988, n. 1771,
id.. Rep. 1988, voce cit., n. 68, e Giust. civ., 1988, I, 1492; circa la
insensibilità del giudizio di cassazione alle vicende attinenti la capacità
processuale (tra cui quella del minore ultrasedicenne) e quindi per la
proseguibilità del giudizio, cfr. Cass. 5 ottobre 1990, n. 9829, Foro
it., Rep. 1990, voce cit., n. 69; sulla necessità che anche la fase della
ammissibilità dell'azione sia sorretta dal consenso del minore infrasedi
cenne, cfr. Cass. 20 settembre 1984, n. 4804, id., Rep. 1985, voce cit.,
n. 52.
(3) In senso conforme: Cass. 24 marzo 1994, n. 2907 e 2 marzo 1994,
n. 2065 Foro it., Rep. 1994, voce Filiazione, nn. 96, 95; 23 gennaio
1993, n. 791, id., Rep. 1993, voce cit., n. 78; 26 settembre 1987, n.
7285 e 26 giugno 1987, n. 5619, id., Rep. 1987, voce cit., nn. 89, 90.
(4) Nello stesso senso: Cass. 30 marzo 1994, n. 3143, Foro it., Rep.
1994, voce Filiazione, n. 78; 24 agosto 1993, n. 8915, id., Rep. 1993,
voce cit., n. 43; 5 ottobre 1990, n. 9829, id., Rep. 1990, voce cit.,
n. 70; Trib. S. Maria Capua Vetere 28 ottobre 1989, ibid., n. 71, e
Giust. civ., 1990, I, 2992; Cass. 17 febbraio 1987, n. 1693, Foro it.,
1987, I, 1438, con nota di richiami.
Come risulta dalla nota di quest'ultimo precedente, dottrina e giuri
sprudenza non hanno dubbi sulla questione qui affrontata, e ciò pro
prio grazie alla lettera dell'art. 276 c.c. Infatti, a differenza degli art.
247, 248 e 249 c.c. che prescrivono il litisconsorzio necessario di padre,
madre e figlio nel caso di disconoscimento della paternità legittima,
di contestazione e di reclamo della legittimità, l'art. 276 c.c. limita inve
li, Foro Italiano — 1996.
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 marzo 1993, n. 2576; Pres. Scanzano, Est. Luccioli, P.M. Golia
(conci, conf.); Finocchio (Aw. Natoli, Paleologo) c. Casa
lino ed altra (Aw. Sperati, Sotgiu). Conferma App. Geno va 10 settembre 1988.
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Legittima zione processuale (Cod. civ., art. 273).
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Consenso del minore ultrasedicenne — Sopravvenienza — Ammissibili
tà (Cod. civ., art. 273).
Ove il soggetto legittimato a promuovere l'azione per la dichia
razione giudiziale di paternità e maternità naturale sia legal mente incapace, l'esercizio dell'azione compete unicamente al
genitore che esercita la potestà o al tutore, non anche al cura
tore speciale, la cui eventuale nomina non determina il sorge re di una legittimazione concorrente né escludente. (5)
Il consenso del minore ultrasedicenne alla promozione od alla
prosecuzione del giudizio per la dichiarazione giudiziale di pa ternità e maternità naturale può intervenire, quale elemento
integratore della capacità processuale, anche dopo che sia stato
eccepito il suo difetto e fino al momento della decisione. (6)
I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 116 e 118 c.p.c.,
ce la legittimazione passiva nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, ai soli eredi del presunto genitore defunto, escludendo cosi la qualità di litisconsorti necessari agli aventi
causa di detti eredi o ad altri soggetti portatori di un interesse contrario
all'accoglimento della domanda, ai quali ultimi attribuisce espressamente soltanto il potere di proporre intervento volontario per la tutela dei
loro interessi.
Ma andando anche oltre la lettera della legge, parte della dottrina
ritiene che la differenza di disciplina tra i giudizi relativi alla filiazione
legittima e quelli relativi alla filiazione naturale trova una precisa spie
gazione logica proprio nella diversa natura dei due istituti. In questo
senso, v. G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio ne
cessario, Napoli, 1979, 399-403, il quale osserva che l'azione di disco
noscimento, quella di contestazione e quella di reclamo «tendono ad
incidere sullo status di filiazione legittima ...» e quindi mirano ad ot
tenere pronunce costitutive che, come tali, non sono in grado di pro durre gli effetti costitutivi previsti dalla legge, se alcuni dei soggetti coinvolti nella situazione giuridica oggetto della sentenza, non hanno
partecipato al relativo giudizio. Diverso è invece il caso della dichiara
zione giudiziale di paternità o maternità naturale, perché qui la senten
za non comporta «la modificazione dello status di entrambi i genitori» e quindi è in grado di produrre tutti gli effetti previsti dalla legge anche
se viene pronunciata nei confronti di uno soltanto dei due genitori (Co stantino, op. cit., 403).
(5) I. - Conformi Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, Foro it., Rep. 1993,
voce Filiazione, n. 36; 11 marzo 1993, n. 2970, ibid., n. 38; 29 aprile
1992, n. 5141, id., Rep. 1992, voce cit., n. 49; App. Palermo 1° marzo
1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 54; 21 marzo 1990, n. 2350, id.,
Rep. 1990, voce cit., n. 59, e Riv. dir. proc., 1990, 1160, con nota
di B. Sassani; Corte cost. 20 luglio 1990, n. 341, Foro it., 1992, I, 25, con nota di Formica, e Giust. civ., 1990, I, 2485, con nota di Sas
sani, la quale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costitu
zionale relativa all'art. 273, 1° comma, c.c., per contrasto con l'art.
3 Cost., nella parte in cui limita al tutore, non anche al genitore, l'ob
bligo di richiedere l'autorizzazione all'esercizio dell'azione nell'interesse
del minore infrasedicenne; Cass. 7 novembre 1985, n. 5411, Foro it.,
Rep. 1985, voce cit., n. 51; 3 marzo 1983, n. 1571, id., 1983, I, 2825, con nota di M. G. Civinini e di Padova, in Giur. it., 1983, I, 1, 1857.
Sul punto specifico del se la nomina del curatore speciale determini
nuova ed antitetica legittimazione processuale rispetto a quella del geni
tore o del tutore, escludendolo, cfr. Cass. 25 ottobre 1973, n. 2745,
Foro it., 1974, I, 744. In punto di legittimazione, v. anche Cass. 4
dicembre 1989, n. 5340, id., Rep. 1989, voce cit., n. 62, che esclude
ricorrere l'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i genitori, allorché la
legittimazione spetti al figlio. In dottrina, cfr. F. Morozzo Della Rocca, voce Paternità e mater
nità (accertamento giudiziale della), voce dell' Enciclopedia giuridica Trec
cani, Roma, XXII, 5, il quale accenna alla norma in esame come su
scettibile di essere risolta sul versante della legittimazione processuale
ovvero (all'opposto) della sostituzione processuale; in quest'ultimo sen
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PARTE PRIMA
in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. in base alla considera
zione che, in buona sostanza, la domanda di dichiarazione di
paternità è stata accolta a causa del solo rifiuto di esso conve
nuto di sottoporsi all'esame ematologico, erratamente assimila
to, in ogni caso, all'ispezione personale. La censura non ha fondamento poiché il giudice di appello,
diversamente da quanto asserisce il ricorrente, ha confermato
la pronuncia di accoglimento sulla base di un puntuale riesame
di tutte le prove testimoniali, desumendo ulteriori argomenti di
prova sia dalle risposte rese dal convenuto in sede di interroga torio formale, sia dal suo comportamento processuale.
Nessuna censura può muoversi perciò all'impugnata sentenza
per aver desunto argomenti di prova del rifiuto opposto dal
convenuto a sottoporsi agli esami ematologici, poiché, indipen dentemente dalla assimilabilità di tale mezzo di prova all'ordine
di ispezione personale di cui all'art. 118 c.p.c., il giudice può desumere argomenti di prova, in generale, dal contegno delle
parti stesse nel processo, ai sensi dell'ultima parte del 2° com
ma dell'art. 116 c.p.c., e non può dubitarsi che nell'azione di
dichiarazione giudiziale di paternità il comportamento della parte che si rifiuta ingiustificatamente di sottoporsi agli esami emato
logici costituisce un comportamento rilevante che può concorre
re alla formazione del convincimento del giudice unitamente a
tutte le altre risultanze istruttorie, delle quali costituisce rilevan
te elemento integrativo. (Omissis)
so, con la precisazione che la sostituzione processuale costituisce una
species della legittimazione straordinaria, cfr. E. Fazzalari, Sostituzio ne (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1990,
XLIII, 159 ss. II. - Con la decisione in rassegna la Suprema corte conferma un indi
rizzo giurisprudenziale il quale, al di là delle definizioni usate, conduce ormai da anni alle medesime conclusioni. La ricostruzione della posi zione processuale del minore nel giudizio di dichiarazione giudiziale di
paternità-maternità naturale viene effettuata in termini di sostituzione
processuale, non anche in termini di rappresentanza legale. La teoria della sostitutizione processuale implica, tra l'altro, che il sostituto fac cia valere anche un interesse personale, ché proprio in virtù di ciò sa rebbe ammessa dall'ordinamento la sostituzione. Riguardo all'azione di dichiarazione giudiziale di paternità-maternità è stato affermato (cfr. Sassani, L'interesse del minore nell'art. 273 c.c. (aproposito di dichia
razione giudiziale di paternità e di ordine pubblico), in Riv. dir. proc., 1990, 1170), che l'interesse del minore all'accertamento del proprio sta tus di figlio non costituisce un valore in sé e quindi andrebbe accertato caso per caso. D'altro canto anche il genitore può avere interesse all'ac certamento della «co-generazione», non solo per il rispetto della dignità di genitore ma anche per ragioni squisitamente patrimoniali. In questo senso il sostituto non perde mai la legittimazione processuale, e quindi la (eventuale) nomina del curatore speciale, servendo ad impedire il con sumarsi di conflitti, non può determinare esclusione della legittimazio ne. Valorizzando il ruolo del curatore (il quale il più delle volte viene nominato «per sicurezza», non perché sussista reale occasione di con
trasto) si può continuare a sussumere la fattispecie in esame sotto il reticolo della sostituzione processuale (salvo ad approfondire la distin zione affacciata da Fazzalari, op. cit., 160, secondo cui l'area della sostituzione processuale non coinciderebbe con quella, più ampia, della legittimazione straordinaria; rimarrebbero escluse dalla prima rientran do più genericamente nella seconda tutte quelle ipotesi in cui non risul tasse escluso dalla partecipazione al processo «... il soggetto titolare di quella posizione e destinatario degli effetti»).
Dal punto di vista pratico tuttavia la discussione non sembra avere
conseguenze. È con riguardo all'interesse del minore che viene autoriz zato ormai il promuovimento dell'azione, e ciò a seguito della pronun cia di illegittimità costituzionale dell'art. 274 c.c. (Corte cost. 20 luglio 1990, n. 341, cit.). Gli atti processuali appartengono al rappresentante (o sostituto) e gli effetti della decisione ricadono sul rappresentato (o sostituito). Quanto al momento di avvicendamento in giudizio tra geni tore e figlio, indipendentemente dalle argomentazioni tratte dall'una o dall'altra tesi, resterebbe la considerazione che, ex positivo iure, il con senso del titolare (sostanziale) dell'azione, una volta compiuto il sedice simo anno di età, costituisce un requisito di improponibilità improcedibilità. La manifestazione di volontà non può essere implicita e, quand'anche fosse assimilabile ad una autorizzazione, secondo la ri costruzione di Cass. 176/60, cit. non sarebbe esatto inferirne la regola del silenzio-assenso. Rimarrebbe la questione della rilevabilità d'ufficio del difetto di consenso, tematica destinata ad assumere importanza con l'entrata in vigore delle disposizioni di cui alla 1. 353/90, in relazione al formarsi delle preclusioni: ma tale questione, a ben vedere, non è suscettibile di essere risolta dall'inquadramento dell'azione in termini di rappresentanza legale ovvero di legittimazione straordinaria. [P. Porcari]
li Foro Italiano — 1996.
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e la falsa
applicazione degli art. 273 e 274 c.c. in relazione all'art. 360,
nn. 3 e 5, c.p.c. in quanto la sentenza impugnata non avrebbe
tratto le debite conseguenze del mancato consenso del minore
ultrasedicenne.
La censura non ha fondamento ed è smentita dallo svolgi mento del processo in quanto lo stesso ricorrente afferma che
il consenso del minore è stato raccolto nel corso del giudizio di primo grado.
Orbene, secondo l'interpretazione reiterata della giurisprudenza di questa corte il consenso del minore che abbia compiuto i
sedici anni per promuovere o proseguire l'azione di dichiarazio
ne giudiziale di paternità naturale può validamente sopravveni re nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto, integrando esso un requisito del diritto di azione del
quale il giudice deve verificare la sussistenza al momento della
decisione (da ultimo: Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, Foro it.,
Rep. 1993, voce Filiazione, n. 36). È, poiché nella specie il minore Andreas, che ha raggiunto
l'età di sedici anni nel corso del giudizio di primo grado, ha
tempestivamente manifestato il proprio consenso, l'azione è va
lidamente proseguita, a nulla rilevando la circostanza che la con
dizione di proseguibilità dell'azione si sia verificata dopo che il convenuto ne aveva eccepito l'improseguibilità.
Con il quarto ed ultimo motivo viene dedotta la violazione
e la falsa applicazione degli art. 261, 277 e 2031 c.c. in relazio
ne all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., e si sostiene che nella specie, essendo stata esclusa la legittimazione attiva della Prantner in
proprio, non poteva essere riconosciuto in suo favore il recupe ro delle somme che il padre naturale avrebbe dovuto versare a titolo di concorso nel mantenimento del figlio naturale rico
nosciuto.
Anche quest'ultimo motivo di censura è destituito di fonda
mento poiché il nuovo testo dell'art. 38 disp. att. c.c. (sub art.
68 1. n. 184 del 1983), il quale attribuisce al tribunale per i
minorenni la cognizione dell'azione di dichiarazione di paterni tà naturale nei confronti di figli minori, comporta che il mede
simo tribunale è competente pure per i provvedimenti in mate
ria di mantenimento, istruzione e educazione del figlio, ancor
ché essi abbiano natura patrimoniale e riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell'ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per intero, in considerazione del carattere strettamen
te conseguenziale di tali provvedimenti rispetto alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione (Cass. 25 febbraio 1993, n. 2364, id., Rep. 1993, voce cit., n. 79).
Né rileva che il diritto al rimborso di tali somme integri un
credito di cui è titolare iure proprio, il genitore che abbia soste nuto per intero l'onere del mantenimento del figlio dalla nascita
(Cass. 8 agosto 1989, n. 3635, id., Rep. 1989, voce cit., n. 73), in relazione alla circostanza — evidenziata dal ricorrente — che
il primo giudice, con statuizione definitiva per difetto di impu
gnazione, abbia escluso la legittimazione attiva della Prantner
in proprio, poiché, come risulta dalla motivazione della senten za del tribunale, la legittimazione in proprio della attrice è stata
negata con esclusivo riferimento alla domanda di dichiarazione
giudiziale di paternità naturale, in adesione all'insegnamento se
condo cui l'azione ha carattere personalissimo e il suo esercizio
compete esclusivamente al figlio e, se egli è legalmente incapa
ce, può essere promossa, nel suo interesse, unicamente dal geni tore che esercita la potestà o dal tutore, ai sensi dell'art. 273
c.c. (Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, cit.). Nessuna pronuncia — né esplicita, né implicita — contiene
invece la sentenza impugnata circa la legittimazione attiva in
ordine alla domanda accessoria di provvedimenti di carattere
patrimoniale, poiché il giudice di appello si è limitato unica mente a ribadire la sentenza del tribunale sul punto relativo
alla decorrenza dell'obbligo al mantenimento che incombe al
genitore la cui paternità sia dichiarata giudizialmente e ha escluso
ogni possibilità di applicazione in malam partem del disposto dell'art. 445 c.c.
La statuizione merita conferma in considerazione della evi dente differenza esistente tra l'obbligazione alimentare e quella di mantenimento.
Il principio generale in praeteritum non alitur, codificato dal
l'art. 445 c.c. con riferimento alla decorrenza dell'obbligazione
alimentare, trova infatti la sua giustificazione nel rilievo che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
solo con la proposizione della domanda (o con la costituzione
in mora dell'obbligato) l'alimentando manifesta lo stato di bi sogno deducendo l'incapacità a provvedere al proprio manteni
mento, e ciò vale a precludere la ipotizzabilità di un obbligo alimentare nei confronti di un soggetto che non abbia ancora
richiesto la prestazione degli alimenti.
Lo stesso non può dirsi per l'obbligazione di mantenimento
nei confronti dei figli, poiché il suo adempimento prescinde da qualsivoglia domanda e la legge pone a carico dei genitori l'ob
bligo di mantenere i figli per il solo fatto di averli generati (art. 147 c.c.), disciplinando il concorso negli oneri relativi (art. 148 c.c.).
Ne consegue che nell'ipotesi in cui al momento della nascita
il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno
l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pro nuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio na
turale ad essere mantenuto, istruito e educato nei confronti di
entrambi i genitori. Da ciò consegue che il genitore naturale, dichiarato tale con
provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla sua obbliga zione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico,
ma è tenuto a provvedere, sin dal momento della nascita, attesa
la natura dichiarativa della pronuncia che accerta la paternità
naturale, con la sola differenza che sino al momento della pro
posizione della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità egli deve corrispondere all'altro genitore, in proprio, le somme
che questi ha anticipato per far fronte, da solo, al mantenimen
to del figlio, mentre, per il periodo successivo, è tenuto a prov vedere al mantenimento del figlio minore versando all'altro ge
nitore, quale esercente la potestà sul figlio minore (art. 317 bis
c.c.) l'assegno mensile posto a suo carico.
Cosi chiarita la portata effettiva della sentenza impugnata,
dev'essere anche respinta la censura — mossa in via subordina
ta — di omessa motivazione con riferimento alla determinazio
ne dell'assegno di mantenimento, poiché, non avendo formato
oggetto di impugnazione l'importo dell'assegno fissato dal pri
mo giudice (in misura, peraltro, largamente inferiore rispetto
alle richieste della Prantner), nessun obbligo di motivazione in
combeva sul giudice di appello con riferimento alla statuizione
di mera conferma della pronuncia di primo grado al riguardo. In conclusione, il ricorso è infondato in ciascuna delle sue
molteplici articolazioni e deve essere respinto.
II
Svolgimento del processo. — Mario Pagano si rivolgeva al
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con atti del 30 luglio
e del 13 agosto 1981. Narrava che il tribunale medesimo, con
sentenza passata in cosa giudicata, aveva accolto la sua doman
da di disconoscimento della propria paternità proposta nei con
fronti della madre Lidia Giaquinto e degli eredi del marito di
costei, Secondino Pagano. Precisava quindi che intendeva far
dichiarare suo padre naturale tal Pasquale Granata, deceduto
il 23 febbraio 1956, e che a tale scopo aveva già ottenuto la
dichiarazione di ammissibilità della sua domanda.
Chiariva che il defunto Pasquale Granata, con testamento olo
grafo, aveva disposto per il proprio patrimonio a favore dei
suoi germani Domenico e Giuseppe, e che egli pertanto intende
va far caducare tali disposizioni e rivendicare, conseguentemen
te alla riconosciuta paternità naturale, i propri diritti di erede.
Conveniva quindi Domenico Granata, nonché gli eredi del de
funto Giuseppe Granata, nonché, ancora, gli eredi di due ger
mane di Pasquale Granata, richiedendo la dichiarazione di pa ternità naturale e la attribuzione della quota di eredità.
Si costituivano solo Domenico Granata, germano superstiste
del de cuius, e Angela Miranda, vedova di Giuseppe Granata,
che contestavano la pretesa. Veniva istruita la causa anche con
10 espletamento di una istruzione preventiva in corso di causa,
quindi il tribunale accoglieva la domanda. Domenico Granata ed Angela Miranda proponevano appello,
lamentando preliminarmente la mancata integrazione del con
traddittorio ad Anna Granata, altra sorella del defunto Pasqua
le, e censurando nel merito la decisione del tribunale. La corte
di merito lo rigettava. Riteneva tale giudice che legittimati pas
11 Foro Italiano — 1996 — Parte 1-5.
sivi nell'azione in parola fossero, in assenza del presunto padre
naturale, gli eredi di questi soltanto e non anche gli aventi cau
sa da tali eredi. Quindi, bene aveva fatto il tribunale a non
ritenere di estendere il contraddittorio a tutti gli eredi di uno
dei due germani del de cuius, giacché addirittura la citazione
di Angela Miranda era stato atto eccedente la necessità del con traddittorio. (Omissis)
Motivi della decisione. — (Omissis). 4. - Con il terzo motivo Angela Miranda censura la violazione dell'art. 276 c.c. Afferma
che erroneamente la corte di merito ha ritenuto insussistente
una situazione di litisconsorzio necessario tra tutti i successibili
di Pasquale Granata, e dunque che non fosse necessaria la cita
zione di Anna Granata, sorella di Pasquale. Osserva la corte che la norma dell'art. 276 c.c. stabilisce che
nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità), la legittimazione passiva spetta, in mancanza del ge nitore presunto, esclusivamente ai suoi eredi. Dovendosi nega
re, senza con ciò compromettere le eventuali finalità patrimo niali dell'azione, che possano assumere la qualità di litisconsorti
necessari gli aventi causa da detti eredi, ovvero altri soggetti
portatori di un interesse contrario all'accoglimento della doman
da, cui è riconosciuto di poter intervenire a tutela di detto inte
resse (Cass. 1693/87, Foro it., 1987, I, 1438). Nella specie si
lamenta la mancata estensione del contraddittorio ad Anna Gra
nata, sorella di Pasquale, nei confronti della quale non vi è
chiamata ereditaria testamentaria, né vi è quella legittima, es
sendovi quella testamentaria a favore di altri germani del de
cuius. Neppure, peraltro, la stessa Anna Granata ha manifesta
to intento di volere partecipare al giudizio per far valere un
qualche interesse. Non vi è dunque alcuna lesione, a seguito della sua mancata citazione da parte dell'attore, del contraddit
torio. (Omissis)
III
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 273 ss.
c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si deduce che
la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare la mancanza di
legittimazione ad processum di Bruna Casalino, per essere stato
nominato alla minore un curatore speciale con il decreto di am
missibilità dell'azione emesso dal tribunale ai sensi dell'art. 274
c.c.
Il motivo è infondato. Ed invero, l'azione per la dichiarazio
ne della paternità e maternità naturale, cosi secondo la discipli
na dettata nel testo originale del codice civile, vigente al mo
mento della proposizione dell'azione, come secondo la legge di
riforma del diritto di famiglia, ha carattere personalissimo e
la legittimazione al suo esercizio compete soltanto al figlio e,
dopo la sua morte, ai suoi discendenti; ove il soggetto legittima
to sia legalmente incapace, essa può essere promossa nel suo
interesse, ai sensi dell'art. 273 c.c., unicamente dal genitore che
esercita la potestà o dal tutore. L'elencazione tassativa dei soggetti cui è conferito il potere
di sostituire l'incapace non consente certamente di ricompren
dere tra questi il curatore speciale eventualmente nominato dal
tribunale ai sensi dell'art. 274, ultimo comma, c.c.: ed invero
tale nomina comporta la necessità della presenza del soggetto
designato nel giudizio, a tutela della posizione dell'incapace da
possibili conflitti di interessi con colui che ha proposto l'azione,
ma non determina un'ulteriore legittimazione attiva, concorren
te od escludente rispetto a quella del genitore o del tutore (v.,
sul punto, Cass. 2745/73, Foro it., Rep. 1973, voce Filiazione,
n. 41). Con il secondo motivo, denunciando violazione degli art. 273
ss. c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si sostiene
che la corte di appello ha erroneamente omesso di considerare
che la mancanza del consenso alla proposizione dell'azione da
parte di Giorgetta Casalino — all'epoca ultrasedicenne — ri
guardando una condizione di proponibilità della domanda, ave
va determinato la nullità assoluta ed insanabile dell'atto intro
duttivo del giudizio e degli atti conseguenti. Il motivo è infondato. Ai sensi del richiamato art. 273 c.c.
la sostituzione processuale (secondo la qualificazione general
mente adottata nella giurisprudenza di questa Suprema corte:
v. sent. 5411/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 51; 1571/83, id.,
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PARTE PRIMA
1983, I, 2826) del minore che abbia compiuto i sedici anni, ma non ancora i diciotto, spetta pur sempre al genitore esercente
la potestà o al tutore, i quali tuttavia necessitano del consenso
del minore stesso quale elemento integratore della loro capacità
processuale. Il riferimento al concetto di integrazione della ca
pacità processuale consente di risolvere in modo coerente le que stioni connesse alla mancata prestazione del consenso, ritenen
do da un lato che il difetto di tale necessario elemento integra tore comporta l'emanazione di una pronuncia meramente
processuale di improponibilità o improseguibilità dell'azione (a seconda che il raggiungimento del sedicesimo anno di età sia
avvenuto prima o nel corso del giudizio), affermando dall'altro
lato che la prestazione del consenso sopravvenuta nel corso del
giudizio ha effetti sananti, determinando il venir meno dell'im
pedimento all'esame della domanda ed alla pronuncia sul merito.
In applicazione di tali principi questa Suprema corte con le
pronunce n. 4804 del 1984 (id., Rep. 1985, voce cit., n. 52) e n. 7761 del 1990 (id., Rep. 1990, voce cit., n. 57) ha precisato che il consenso del minore ultrasedicenne, appunto in quanto attinente alle legitimatio ad processum, può validamente inter
venire nel corso del giudizio, anche dopo che sia stato eccepito il suo difetto, purché sussista al momento della decisione.
Tale indirizzo non è affatto smentito dalla sentenza n. 1771
del 1988 (id., Rep. 1988, voce cit., n. 68) invocata dal ricorren
te, la quale ha anzi riaffermato che il difetto di consenso del
minore si risolve nella mancata integrazione della capacità pro cessuale del genitore o del tutore, riconducibile alla categoria della legitimatio ad processum e comportante una situazione og
gettiva di improponibilità - improseguibilità della domanda, di scostandosi dal precedente orientamento soltanto in ordine alla
questione — della quale qui non si controverte — della rilevabi
lità di ufficio o della deducibilità con lo strumento dell'impu gnazione da parte di ogni interessato del vizio della sentenza
che non abbia rilevato la mancanza del consenso.
Correttamente, pertanto, la corte di appello ha ritenuto che
la costituzione in giudizio di Giorgetta Casalino, dopo il conse
guimento della maggiore età, e la sua assunzione come propria della domanda proposta dalla madre avesse spiegato effetti sa
nanti della precedente omissione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 giugno 1994, n. 6203; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo
Della Rocca (conci, diff.); Alfonzetti e altri (Aw. Tapuri) c. Alfonzetti (Aw. Scalia). Cassa App. Messina 12 febbraio 1993.
Interdizione e inabilitazione — Malattia psichica — Capacità di compiere atti della vita quotidiana —
Rigetto della doman
da di interdizione — Insufficienza di motivazione — Fatti
specie (Cod. civ., art. 414, 415; 418; cod. proc. civ., art. 360,
384).
Accertata la limitazione della capacità di discernimento dipen dente da ipoevolutismo psichico, è contraddittoria e insuffi ciente la motivazione con la quale il giudice del merito rigetta la domanda di interdizione (e dichiara l'inabilitazione) basan dosi esclusivamente sulla capacità dell'interdicendo di prov vedere alla cura della propria persona, di svolgere i propri
rapporti personali e di compiere atti di modesto contenuto
patrimoniale e trascurando altre circostanze ancor più rile
vanti, come l'aver celebrato il matrimonio in circostanze in
quietanti (nella specie, l'interdicendo aveva contratto matri
monio con la propria governante — vedova di media età con
figli adulti — dopo otto giorni dalle dimissioni dall'ospedale e dopo che il p.m. aveva impedito una prima celebrazione
per la pendenza di Indagini preliminari relative all'eventuale
Il Foro Italiano — 1996.
consumazione del reato di circonvenzione di incapace e i pa renti si erano opposti a un'altra celebrazione in articulo
mortis^. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 6 settembre 1983
Alfonzetti Fortunato chiedeva al Tribunale di Catania la dichia
razione di interdizione del proprio fratello Gaetano Evaristo Teo
doro, deducendo che questi si trovava sin dalla nascita in uno
stato di alterazione mentale che gli aveva provocato la totale
incapacità di provvedere ai propri interessi, e che, di recente,
persone estranee lo avevano convinto a rifiutare qualsiasi ap
proccio con la famiglia e a revocare la procura rilascita ad esso
istante. Nel processo intervenivano alcuni parenti, nelle persone di Musumeci Angela, Alfonzetti Beatrice Giovanna, Alfonzetti
(1) La pronuncia, che dispone un secondo rinvio alla corte d'appel lo, trova ovvio precedente in Cass. 21 ottobre 1991, n. 11131, Foro
it., Rep. 1991, voce Interdizione e inabilitazione, n. 8, la cui massima
recita: «Al fine dell'interdizione dell'infermo di mente l'incapacità di
provvedere ai propri interessi, contemplata dall'art. 414 c.c., va valuta
ta con riguardo non solo agli affari di indole patrimoniale ma anche a tutti gli atti della vita civile, sempre che si tratti di interessi suscettibili di essere pregiudicati attraverso atti giuridici e, per la cui difesa, pertan to, sia configurabile una supplenza del tutore; pertanto, qualora risulti in causa una situazione di incapacità del soggetto di provvedere alla
cura dei propri interessi non patrimoniali, è viziata non solo per viola
zione di legge, ma anche ex art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., la senten za del giudice di merito la quale si limiti ad affermare l'esistenza di
una sola incapacità di compiere atti di straordinaria amministrazione, e per l'effetto, pronunci l'inabilitazione, senza adeguatamente indicare le ragioni per le quali non ha ritenuto di pronunciare l'interdizione, pure in presenza di una serie di elementi, dallo stesso giudice di merito
ritenuti sussistenti, che imponevano tale secondo provvedimento». In precedenza, la Suprema corte aveva comunque affermato — al
fine dell'interdizione dell'infermo di mente — l'importanza dell'incapa cità di provvedere ad interessi di natura anche non patrimoniale (v. sent. 18 dicembre 1989, n. 5652, id., Rep. 1990, voce cit., n. 7, e Nuo va giur. civ., 1990, I, 512, con nota di Mazzoni), sempre che si fosse trattato di interessi che avrebbero potuto subire pregiudizio da atti giu ridici, e per la cui difesa, pertanto, fosse configurabile una supplenza del tutore.
Questo, nonostante la giurisprudenza abbia in generale affermato la necessità dell'interdizione nei confronti del soggetto incapace di tutelare i propri interessi patrimoniali: cfr. Trib. min. Cagliari 28 novembre
1986, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 12, e Riv. giur. sarda, 1988, 738, con nota di Bardanzeilu; Trib. Catania 7 ottobre 1983, Foro
it., Rep. 1984, voce cit., n. 3, e Riv. not., 1984, 625, per cui, in parti colare, «... la circostanza di non riconoscere il valore delle banconote incide negativamente in maniera determinante sulla possibilità di prov vedere ai propri interessi, posto che nell'attuale economia gli scambi
avvengono quasi esclusivamente tra beni e denaro». La capacità (o incapacità) di apprezzare il valore del denaro emerge,
d'altro canto, nell'apprezzamento della prodigalità, di cui Cass. 19 no vembre 1986, n. 6805, Foro it., 1987, I, 823, con nota di Manacorda, La prodigalità ed i suoi possibili rapporti con l'infermità psichica. Un concetto che muta con l'evoluzione storica, ha riconosciuto la natura autonoma ai fini dell'inabilitazione, aldilà di ogni legame con l'infermi tà mentale (v. anche Cass. 3 dicembre 1988, n. 6549, id., Rep. 1988, voce cit., n. 8; Trib. min. Cagliari 11 dicembre 1986, id., Rep. 1989, voce cit., n. 14).
Quanto, poi, alle condizioni del soggetto al momento della pronun cia, v. Cass. 13 marzo 1990, n. 2031, id., Rep. 1990, voce cit., n. 8, secondo cui occorrerebbe ricollegarsi alle condizioni di salute psichica in atto al momento della pronuncia di interdizione o di inabilitazione, dovendo quindi prescindersi «tanto da precorsi episodi di infermità, quanto dall'eventualità di ricadute, ove prospettabile in termini di mera possibilità e non di alta probabilità».
Quanto alle condizioni in presenza delle quali deve essere pronuncia ta l'interdizione, v. Cass. 20 novembre 1985, n. 5709, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2, e Nuova giur. civ., 1986, I, 288, con nota di Venchia
rutti, per cui «l'interdizione e l'inabilitazione postulano un'infermità di mente che presenti carattere di abitualità, cioè di durata nel tempo tale da qualificarla come habitus mentale del soggetto, ancorché in pre senza di lucidi intervalli, e che inoltre incida sulla capacità del soggetto medesimo di provvedere alla cura dei propri interessi».
Le condizioni di salute psichica devono peraltro essere accertate at traverso l'esame del soggetto interdicendo o inabilitando: cfr. Cass. 20
giugno 1991, n. 6975, id., Rep. 1991, voce cit., n. 9, secondo cui l'ob
bligo (del giudice di valutare le risultanze dell'interrogatorio dell'inter dicendo o dell'inabilitando) verrebbe meno quando, per essere seguita a distanza di anni una consulenza tecnica in sede di gravame, sia da ritenersi non più attuale l'esito dell'interrogatorio effettuato in primo grado: in questo senso non violerebbe l'art. 419 c.c. il giudice d'appello
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