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sezione I civile; sentenza 28 giugno 1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo Della...

Date post: 27-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 28 giugno 1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. parz. diff.); Pfitscher (Avv. Fresa, Pichler, Ziernhöld) c. Prantner (Avv. Pacifici, Vescoli). Conferma App. Trento 11 aprile 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 251/252-259/260 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190610 . Accessed: 28/06/2014 09:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 78.24.220.173 on Sat, 28 Jun 2014 09:26:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 28 giugno 1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo DellaRocca (concl. parz. diff.); Pfitscher (Avv. Fresa, Pichler, Ziernhöld) c. Prantner (Avv. Pacifici,Vescoli). Conferma App. Trento 11 aprile 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 251/252-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190610 .

Accessed: 28/06/2014 09:26

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PARTE PRIMA

voci sommariamente indicate e cifre a volte sommate, a volte

detratte, a volte segnate con asterischi», ed ha manifestato un

coerente apprezzamento di merito sulla inidoneità della docu

mentazione stessa a costituire rendiconto, per mancanza di una

esposizione chiara e dettagliata di tutti i rapporti di dare e avere

esistenti in capo alla società, con indicazione delle singole partite. Né appare censurabile il rilievo conseguenziale secondo cui,

in presenza di una documentazione siffatta, l'attore non era

onerato di specifiche contestazioni.

5. - Con il ricorso incidentale il Visconti, denunciando insuf

ficiente motivazione e violazione degli art. 2041 e 2043 c.c.,

si duole del mancato accoglimento della domanda di danni. De

duce, al riguardo, che il danno personale è costituito dal fatto

che, a causa della condotta colpevole del Bordogna, che non

ha reso il conto, egli non ha percepito o ha percepito in parte

gli utili di gestione, per cui lo stesso Bordogna è tenuto ad in

dennizzarlo, a norma dell'art. 2041 c.c., nei limiti dell'indebito

arricchimento.

Osserva il collegio che il ricorrente incidentale tende al conse

guimento di un danno residuale — in quanto diverso ed ulterio

re rispetto a quello subito dalla società — che è stato escluso

dalla sentenza impugnata per mancanza di prova sulla sua esi

stenza.

Posto che la percezione di eventuali maggiori utili dipende dall'esito definitivo del presente giudizio (del quale la corte d'ap

pello ha disposto la prosecuzione), il solo danno configurabile,

alla stregua di quanto dedotto dal ricorrente, si ricollega al ri

tardo nella percezione degli utili medesimi.

Ma, in difetto di altri elementi offerti dalla parte interessata,

un tale danno risulta già risarcibile attraverso la corresponsione di (eventuali) rivalutazione ed interessi, per l'accertamento dei

quali il giudizio, anche, prosegue.

Consegue il rigetto pure del ricorso incidentale.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 28 giugno

1994, n. 6217; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo

Della Rocca (conci, parz. diff.); Pfitscher (Aw. Fresa, Pich

ler, Ziernhold) c. Prantner (Avv. Pacifici, Vescoli). Con

ferma App. Trento 11 aprile 1992.

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Prove ema

tologiche — Rifiuto — Valutazione del giudice di merito (Cod.

civ., art. 269). Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Consenso

del minore ultrasedicenne — Sopravvenienza — Ammissibili tà (Cod. civ., art. 273).

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Manteni

mento del figlio — Obblighi — Decorrenza (Cod. civ., art.

147, 261).

Nel giudizio di dichiarazione di paternità naturale, il rifiuto in giustificato della parte di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento rilevante che può concorrere

alla formazione del convincimento del giudice. (1)

(1) In senso conforme, Cass. 27 aprile 1985, n. 2739, Foro it., Rep. 1985, voce Filiazione, n. 75; 11 dicembre 1980, n. 6400, id., 1981, I, 22, con nota di richiami.

In tema di prove della filiazione l'art. 269, 2° comma, c.c. (modifica to dall'art. 113 1. 19 maggio 1975 n. 151, recante la riforma del diritto di famiglia), sancisce la possibilità di fornire la prova della paternità «con ogni mezzo», con la ulteriore precisazione che «la sola dichiara zione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paterni tà naturale».

Il Foro Italiano — 1996.

Il consenso del minore ultrasedicenne, richiesto, ex art. 273,

2° comma, c.c., per promuovere o proseguire l'azione di di

chiarazione giudiziale di paternità naturale, costituisce un re

quisito del diritto di azione, la cui sussistenza deve essere ac

certata dal giudice al momento della decisione (e può dunque

Nonostante la varietà dei mezzi di prova astrattamente utilizzabili

(cfr. Majello, Filiazione naturale e legittimazione2, in Commentario

Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, 178 ss.), compreso un largo uso

di presunzioni (v. Cass. 18 giugno 1991, n. 6858, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 58: «la prova prevista dall'art. 269 c.c. può essere fornita

con ogni mezzo ed anche mediante valorizzazione di elementi presuntivi che presentino i requisiti di cui all'art. 2729, 1° comma, c.c.», e App.

Cagliari 23 aprile 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 66) l'apporto forni

to dalla scienza assume sempre maggior rilievo e peso nella formazione del convincimento del giudice, sia nel senso di escludere che in quello di attribuire con una notevole percentuale di probabilità (cfr. Cass. 20

febbraio 1992, n. 2098, id., Rep. 1992, voce cit., n. 26). Ciò si può rilevare soprattutto dopo il superamento (avvenuto solo

a partire dagli anni '80 ad opera di Cass. 11 dicembre 1980, n. 6400, cit.: «nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale

le indagini ematologiche ed immunogenetiche possono fornire elementi di valutazione (non solo per escludere ma) anche per affermare il rap

porto biologico di paternità; pertanto, sono ammissibili anche quando siano già state acquisite altre risultanze processuali») dello scetticismo

e della diffidenza verso le prove ematologiche testimoniato (anche dopo la legittimazione delle indagini ematologiche e genetiche operata dal le

gislatore con l'art. 93 1. 151/75) da alcune pronunce della Suprema corte le quali, assimilando la prova ematologica ad una ispezione cor

porale, ritenevano che questa dovesse essere consentita non solo se am

missibile e rilevante (come accade per ogni altro mezzo di prova), ma

addirittura indispensabile, nel senso che il giudice poteva disporla solo

se si trovava nella impossibilità di attingere aliunde il proprio convinci

mento (in questo senso, v., tra le altre, Cass. 2 marzo 1976, n. 695,

id., Rep. 1976, voce cit., n. 39; 30 giugno 1971, n. 2063, id., Rep.

1971, voce cit., n. 37; in dottrina, v. Finocchiaro, Ispezione (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1972, XII, 951 ss.).

Ma, prima di procedere oltre, è opportuno ricordare brevemente quali sono i metodi che attualmente la scienza mette a disposizione per indi

viduare la paternità di un soggetto. Il primo, classico ma ancora usato (in talune circostanze favorevoli),

è rappresentato dalle perizie somatiche «dirette ad indagare, al di là

degli esami del sangue, sulla somiglianza dei contrassegni o connotati

morfologici tra soggetti aventi un patrimonio genetico comune in forza

della legge della ereditarietà» (Comporti, Filiazione e prove biologiche, in Quadrimestre, 1985 , 254). In passato anche questo tipo di indagine era considerato di scarsa utilità (v. App. Napoli 12 gennaio 1957, Foro

it., Rep. 1957, voce cit., n. 42: «La prova del sangue può convincere

della responsabilità di una determinata paternità, mentre non può di

mostrare mai la paternità stessa; altrettanto fallace è l'esame somatico: tali mezzi istruttori sono da considerare inammissibili per la ricerca del

la paternità»), ma il mutamento di indirizzo in relazione alle prove ema

tologiche ha portato alla rivalutazione di questo tipo di esame, tanto

che di recente sono stati positivamente valutati «in via probatoria indi

ziaria, unitamente alle altre emergenze processuali, la comunanza evi

dente e nettissima, tra il preteso padre e la pretesa figlia, di specifici caratteri somatofacciali, quali la sporgenza degli zigomi, la forma della

fronte, il disegno del naso e della bocca, la miopia, la forma e l'espres sione del viso» (Trib. Bergamo 8 marzo 1989, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 60). Il secondo metodo è quello che utilizza il c.d. teorema di Bayes, ba

sato sull'esistenza di «marcatori genetici», cioè di «caratteri (. . .) che

abbiano costanza di manifestazione e di intensità di espressione per l'in

tero arco della vita e che non siano quindi modificabili da fattori am bientali naturali od artificiali» (Morganti, L'accertamento biologico della paternità, in Quadrimestre, 1985, 239 ss.). Rispetto all'esame di

tali marcatori genetici, si possono avere diverse ipotesi di incompatibili tà genetica, che portano alla sicura esclusione della paternità di un sog

getto, ed altre, di compatibilità, che aprono la via ad una valutazione, in termini di verosimiglianza e di probabilità, della possibilità positiva della paternità. È necessario a questo punto che il genetista valuti la

verosimiglianza della ipotesi che il risultato sia dovuto alla vera paterni tà del preteso padre e non alla fortuita concomitanza di una serie di

eventi puramente casuali. Traducendo tali dati in percentuali, relative

alla probabilità che non si tratti di caso fortuito, si possono verificare

degli equivoci, soprattutto nei soggetti non esperti di statistica (cfr. dif

fusamente sull'argomento, Morganti, op. cit., 238 ss.). Infine, il terzo ed ultimo metodo giunge dall'Inghilterra, dove è stata

scoperta l'«impronta cellulare». «Ogni uomo ed ogni essere vivente, in ciascuna delle sue innumerevoli cellule, porta non solo il proprio codice genetico, ma attraverso la disposizione di questo, una impronta individuale inconfondibile (. . .) diversa da ogni altra. Vi è meno di una probabilità su un miliardo di trovarne due eguali. (. . .) L'impron ta cellulare, infinitamente più semplice delle impronte digitali, (. . .)

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sopravvenire, prima di tale momento, nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto). (2)

L'obbligo di provvedere al mantenimento, istruzione ed educa

zione del figlio, sorge non dal momento della proposizione della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità natura

le, ma dalla sua nascita; ne consegue che colui che è stato

dichiarato genitore deve rimborsare all'altro genitore le spese sostenute in passato, mentre, per il futuro, è tenuto a contri

buire al mantenimento del figlio versando le somme dovute

all'altro genitore, in qualità di esercente la potestà sul figlio. (3)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 otto bre 1993, n. 10171; Pres. Montanari Visco, Est. Berruti,

P.M. Nicita (conci, conf.); Miranda (Aw. Boschi) c. Paga

no (Avv. Gaglione); Granata (Aw. Martucelli) c. Pagano, Miranda. Conferma App. Napoli 3 febbraio 1992.

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Legittima zione passiva (Cod. civ., art. 276).

Nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità,

la legittimazione passiva spetta esclusivamente agli eredi del

presunto padre defunto e non ai loro aventi causa o ad altri

soggetti che abbiano un interesse contrario all'accoglimento

della domanda, cui è riconosciuto soltanto il potere di inter

venire a tutela di detto interesse. (4)

è il risultato di un processo ereditario, cioè combina insieme la succes

sione delle sequenze Dna dei genitori, onde, se si fa il confronto d'una

impronta con quelle del padre e della madre si vede benissimo come

queste si siano trasmesse, poiché si trovano nelle stesse posizioni linee

caratteristiche dell'uno e dell'altra» (Manera, Dichiarazione giudiziale di paternità e decorrenza del'obbligo di mantenimento. Nuova metodi

ca per l'accertamento della paternità, in Giur. merito, 1989, 642 ss.). Tornando al nostro discorso, possiamo osservare come nel giro di

pochi anni si sia passati da un giudizio totalmente negativo nei confron ti delle prove ematologiche al riconoscimento della facoltà del giudice di disporre a sua discrezione l'espletamento di tali indagini, indipenden

temente dalla loro riconduzione all'ispezione personale, e di valutarle

liberamente ad integrazione delle altre risultanze probatorie (cfr. Cass.

23 gennaio 1993, n. 791, Foro it.. Rep. 1993, voce cit., n. 67; 20 feb

braio 1992, n. 2098, id., Rep. 1992, voce cit., 26; 19 marzo 1992, n.

3416, ibid., n. 71; 2 febbraio 1989, n. 654, id., 1989, I, 2849; 16 feb

braio 1989, n. 917, id., Rep. 1989, voce cit., n. 69; 10 gennaio 1981,

n. 218, id., 1981, I, 699).

(2, 6) In senso conforme: Cass. 6 maggio 1995, n. 4982, Foro it.,

Mass., 611; 8 novembre 1994, n. 9277, id., Rep. 1994, voce Filiazione,

n. 75; 2 marzo 1993, n. 2576 e 11 marzo 1993, n. 2970, id.. Rep. 1993,

voce cit., nn. 37, 38; 9 aprile 1992, n. 4358, id., 1994, I, 1556; 16

aprile 1991, n. 4034, id., Rep. 1991, voce cit., n. 51; 2 agosto 1990, n. 7761, id., Rep. 1990, voce cit., n. 57. Contra, Cass. 8 febbraio 1960,

n. 176, id., 1960, I, 377. Sulla rilevabilità d'ufficio del difetto di con

senso del minore ultrasedicenne, v. Cass. 20 febbraio 1988, n. 1771,

id.. Rep. 1988, voce cit., n. 68, e Giust. civ., 1988, I, 1492; circa la

insensibilità del giudizio di cassazione alle vicende attinenti la capacità

processuale (tra cui quella del minore ultrasedicenne) e quindi per la

proseguibilità del giudizio, cfr. Cass. 5 ottobre 1990, n. 9829, Foro

it., Rep. 1990, voce cit., n. 69; sulla necessità che anche la fase della

ammissibilità dell'azione sia sorretta dal consenso del minore infrasedi

cenne, cfr. Cass. 20 settembre 1984, n. 4804, id., Rep. 1985, voce cit.,

n. 52.

(3) In senso conforme: Cass. 24 marzo 1994, n. 2907 e 2 marzo 1994,

n. 2065 Foro it., Rep. 1994, voce Filiazione, nn. 96, 95; 23 gennaio

1993, n. 791, id., Rep. 1993, voce cit., n. 78; 26 settembre 1987, n.

7285 e 26 giugno 1987, n. 5619, id., Rep. 1987, voce cit., nn. 89, 90.

(4) Nello stesso senso: Cass. 30 marzo 1994, n. 3143, Foro it., Rep.

1994, voce Filiazione, n. 78; 24 agosto 1993, n. 8915, id., Rep. 1993,

voce cit., n. 43; 5 ottobre 1990, n. 9829, id., Rep. 1990, voce cit.,

n. 70; Trib. S. Maria Capua Vetere 28 ottobre 1989, ibid., n. 71, e

Giust. civ., 1990, I, 2992; Cass. 17 febbraio 1987, n. 1693, Foro it.,

1987, I, 1438, con nota di richiami.

Come risulta dalla nota di quest'ultimo precedente, dottrina e giuri

sprudenza non hanno dubbi sulla questione qui affrontata, e ciò pro

prio grazie alla lettera dell'art. 276 c.c. Infatti, a differenza degli art.

247, 248 e 249 c.c. che prescrivono il litisconsorzio necessario di padre,

madre e figlio nel caso di disconoscimento della paternità legittima,

di contestazione e di reclamo della legittimità, l'art. 276 c.c. limita inve

li, Foro Italiano — 1996.

Ill

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 marzo 1993, n. 2576; Pres. Scanzano, Est. Luccioli, P.M. Golia

(conci, conf.); Finocchio (Aw. Natoli, Paleologo) c. Casa

lino ed altra (Aw. Sperati, Sotgiu). Conferma App. Geno va 10 settembre 1988.

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Legittima zione processuale (Cod. civ., art. 273).

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Consenso del minore ultrasedicenne — Sopravvenienza — Ammissibili

tà (Cod. civ., art. 273).

Ove il soggetto legittimato a promuovere l'azione per la dichia

razione giudiziale di paternità e maternità naturale sia legal mente incapace, l'esercizio dell'azione compete unicamente al

genitore che esercita la potestà o al tutore, non anche al cura

tore speciale, la cui eventuale nomina non determina il sorge re di una legittimazione concorrente né escludente. (5)

Il consenso del minore ultrasedicenne alla promozione od alla

prosecuzione del giudizio per la dichiarazione giudiziale di pa ternità e maternità naturale può intervenire, quale elemento

integratore della capacità processuale, anche dopo che sia stato

eccepito il suo difetto e fino al momento della decisione. (6)

I

Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 116 e 118 c.p.c.,

ce la legittimazione passiva nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, ai soli eredi del presunto genitore defunto, escludendo cosi la qualità di litisconsorti necessari agli aventi

causa di detti eredi o ad altri soggetti portatori di un interesse contrario

all'accoglimento della domanda, ai quali ultimi attribuisce espressamente soltanto il potere di proporre intervento volontario per la tutela dei

loro interessi.

Ma andando anche oltre la lettera della legge, parte della dottrina

ritiene che la differenza di disciplina tra i giudizi relativi alla filiazione

legittima e quelli relativi alla filiazione naturale trova una precisa spie

gazione logica proprio nella diversa natura dei due istituti. In questo

senso, v. G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio ne

cessario, Napoli, 1979, 399-403, il quale osserva che l'azione di disco

noscimento, quella di contestazione e quella di reclamo «tendono ad

incidere sullo status di filiazione legittima ...» e quindi mirano ad ot

tenere pronunce costitutive che, come tali, non sono in grado di pro durre gli effetti costitutivi previsti dalla legge, se alcuni dei soggetti coinvolti nella situazione giuridica oggetto della sentenza, non hanno

partecipato al relativo giudizio. Diverso è invece il caso della dichiara

zione giudiziale di paternità o maternità naturale, perché qui la senten

za non comporta «la modificazione dello status di entrambi i genitori» e quindi è in grado di produrre tutti gli effetti previsti dalla legge anche

se viene pronunciata nei confronti di uno soltanto dei due genitori (Co stantino, op. cit., 403).

(5) I. - Conformi Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, Foro it., Rep. 1993,

voce Filiazione, n. 36; 11 marzo 1993, n. 2970, ibid., n. 38; 29 aprile

1992, n. 5141, id., Rep. 1992, voce cit., n. 49; App. Palermo 1° marzo

1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 54; 21 marzo 1990, n. 2350, id.,

Rep. 1990, voce cit., n. 59, e Riv. dir. proc., 1990, 1160, con nota

di B. Sassani; Corte cost. 20 luglio 1990, n. 341, Foro it., 1992, I, 25, con nota di Formica, e Giust. civ., 1990, I, 2485, con nota di Sas

sani, la quale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costitu

zionale relativa all'art. 273, 1° comma, c.c., per contrasto con l'art.

3 Cost., nella parte in cui limita al tutore, non anche al genitore, l'ob

bligo di richiedere l'autorizzazione all'esercizio dell'azione nell'interesse

del minore infrasedicenne; Cass. 7 novembre 1985, n. 5411, Foro it.,

Rep. 1985, voce cit., n. 51; 3 marzo 1983, n. 1571, id., 1983, I, 2825, con nota di M. G. Civinini e di Padova, in Giur. it., 1983, I, 1, 1857.

Sul punto specifico del se la nomina del curatore speciale determini

nuova ed antitetica legittimazione processuale rispetto a quella del geni

tore o del tutore, escludendolo, cfr. Cass. 25 ottobre 1973, n. 2745,

Foro it., 1974, I, 744. In punto di legittimazione, v. anche Cass. 4

dicembre 1989, n. 5340, id., Rep. 1989, voce cit., n. 62, che esclude

ricorrere l'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i genitori, allorché la

legittimazione spetti al figlio. In dottrina, cfr. F. Morozzo Della Rocca, voce Paternità e mater

nità (accertamento giudiziale della), voce dell' Enciclopedia giuridica Trec

cani, Roma, XXII, 5, il quale accenna alla norma in esame come su

scettibile di essere risolta sul versante della legittimazione processuale

ovvero (all'opposto) della sostituzione processuale; in quest'ultimo sen

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PARTE PRIMA

in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. in base alla considera

zione che, in buona sostanza, la domanda di dichiarazione di

paternità è stata accolta a causa del solo rifiuto di esso conve

nuto di sottoporsi all'esame ematologico, erratamente assimila

to, in ogni caso, all'ispezione personale. La censura non ha fondamento poiché il giudice di appello,

diversamente da quanto asserisce il ricorrente, ha confermato

la pronuncia di accoglimento sulla base di un puntuale riesame

di tutte le prove testimoniali, desumendo ulteriori argomenti di

prova sia dalle risposte rese dal convenuto in sede di interroga torio formale, sia dal suo comportamento processuale.

Nessuna censura può muoversi perciò all'impugnata sentenza

per aver desunto argomenti di prova del rifiuto opposto dal

convenuto a sottoporsi agli esami ematologici, poiché, indipen dentemente dalla assimilabilità di tale mezzo di prova all'ordine

di ispezione personale di cui all'art. 118 c.p.c., il giudice può desumere argomenti di prova, in generale, dal contegno delle

parti stesse nel processo, ai sensi dell'ultima parte del 2° com

ma dell'art. 116 c.p.c., e non può dubitarsi che nell'azione di

dichiarazione giudiziale di paternità il comportamento della parte che si rifiuta ingiustificatamente di sottoporsi agli esami emato

logici costituisce un comportamento rilevante che può concorre

re alla formazione del convincimento del giudice unitamente a

tutte le altre risultanze istruttorie, delle quali costituisce rilevan

te elemento integrativo. (Omissis)

so, con la precisazione che la sostituzione processuale costituisce una

species della legittimazione straordinaria, cfr. E. Fazzalari, Sostituzio ne (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1990,

XLIII, 159 ss. II. - Con la decisione in rassegna la Suprema corte conferma un indi

rizzo giurisprudenziale il quale, al di là delle definizioni usate, conduce ormai da anni alle medesime conclusioni. La ricostruzione della posi zione processuale del minore nel giudizio di dichiarazione giudiziale di

paternità-maternità naturale viene effettuata in termini di sostituzione

processuale, non anche in termini di rappresentanza legale. La teoria della sostitutizione processuale implica, tra l'altro, che il sostituto fac cia valere anche un interesse personale, ché proprio in virtù di ciò sa rebbe ammessa dall'ordinamento la sostituzione. Riguardo all'azione di dichiarazione giudiziale di paternità-maternità è stato affermato (cfr. Sassani, L'interesse del minore nell'art. 273 c.c. (aproposito di dichia

razione giudiziale di paternità e di ordine pubblico), in Riv. dir. proc., 1990, 1170), che l'interesse del minore all'accertamento del proprio sta tus di figlio non costituisce un valore in sé e quindi andrebbe accertato caso per caso. D'altro canto anche il genitore può avere interesse all'ac certamento della «co-generazione», non solo per il rispetto della dignità di genitore ma anche per ragioni squisitamente patrimoniali. In questo senso il sostituto non perde mai la legittimazione processuale, e quindi la (eventuale) nomina del curatore speciale, servendo ad impedire il con sumarsi di conflitti, non può determinare esclusione della legittimazio ne. Valorizzando il ruolo del curatore (il quale il più delle volte viene nominato «per sicurezza», non perché sussista reale occasione di con

trasto) si può continuare a sussumere la fattispecie in esame sotto il reticolo della sostituzione processuale (salvo ad approfondire la distin zione affacciata da Fazzalari, op. cit., 160, secondo cui l'area della sostituzione processuale non coinciderebbe con quella, più ampia, della legittimazione straordinaria; rimarrebbero escluse dalla prima rientran do più genericamente nella seconda tutte quelle ipotesi in cui non risul tasse escluso dalla partecipazione al processo «... il soggetto titolare di quella posizione e destinatario degli effetti»).

Dal punto di vista pratico tuttavia la discussione non sembra avere

conseguenze. È con riguardo all'interesse del minore che viene autoriz zato ormai il promuovimento dell'azione, e ciò a seguito della pronun cia di illegittimità costituzionale dell'art. 274 c.c. (Corte cost. 20 luglio 1990, n. 341, cit.). Gli atti processuali appartengono al rappresentante (o sostituto) e gli effetti della decisione ricadono sul rappresentato (o sostituito). Quanto al momento di avvicendamento in giudizio tra geni tore e figlio, indipendentemente dalle argomentazioni tratte dall'una o dall'altra tesi, resterebbe la considerazione che, ex positivo iure, il con senso del titolare (sostanziale) dell'azione, una volta compiuto il sedice simo anno di età, costituisce un requisito di improponibilità improcedibilità. La manifestazione di volontà non può essere implicita e, quand'anche fosse assimilabile ad una autorizzazione, secondo la ri costruzione di Cass. 176/60, cit. non sarebbe esatto inferirne la regola del silenzio-assenso. Rimarrebbe la questione della rilevabilità d'ufficio del difetto di consenso, tematica destinata ad assumere importanza con l'entrata in vigore delle disposizioni di cui alla 1. 353/90, in relazione al formarsi delle preclusioni: ma tale questione, a ben vedere, non è suscettibile di essere risolta dall'inquadramento dell'azione in termini di rappresentanza legale ovvero di legittimazione straordinaria. [P. Porcari]

li Foro Italiano — 1996.

Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e la falsa

applicazione degli art. 273 e 274 c.c. in relazione all'art. 360,

nn. 3 e 5, c.p.c. in quanto la sentenza impugnata non avrebbe

tratto le debite conseguenze del mancato consenso del minore

ultrasedicenne.

La censura non ha fondamento ed è smentita dallo svolgi mento del processo in quanto lo stesso ricorrente afferma che

il consenso del minore è stato raccolto nel corso del giudizio di primo grado.

Orbene, secondo l'interpretazione reiterata della giurisprudenza di questa corte il consenso del minore che abbia compiuto i

sedici anni per promuovere o proseguire l'azione di dichiarazio

ne giudiziale di paternità naturale può validamente sopravveni re nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto, integrando esso un requisito del diritto di azione del

quale il giudice deve verificare la sussistenza al momento della

decisione (da ultimo: Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, Foro it.,

Rep. 1993, voce Filiazione, n. 36). È, poiché nella specie il minore Andreas, che ha raggiunto

l'età di sedici anni nel corso del giudizio di primo grado, ha

tempestivamente manifestato il proprio consenso, l'azione è va

lidamente proseguita, a nulla rilevando la circostanza che la con

dizione di proseguibilità dell'azione si sia verificata dopo che il convenuto ne aveva eccepito l'improseguibilità.

Con il quarto ed ultimo motivo viene dedotta la violazione

e la falsa applicazione degli art. 261, 277 e 2031 c.c. in relazio

ne all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., e si sostiene che nella specie, essendo stata esclusa la legittimazione attiva della Prantner in

proprio, non poteva essere riconosciuto in suo favore il recupe ro delle somme che il padre naturale avrebbe dovuto versare a titolo di concorso nel mantenimento del figlio naturale rico

nosciuto.

Anche quest'ultimo motivo di censura è destituito di fonda

mento poiché il nuovo testo dell'art. 38 disp. att. c.c. (sub art.

68 1. n. 184 del 1983), il quale attribuisce al tribunale per i

minorenni la cognizione dell'azione di dichiarazione di paterni tà naturale nei confronti di figli minori, comporta che il mede

simo tribunale è competente pure per i provvedimenti in mate

ria di mantenimento, istruzione e educazione del figlio, ancor

ché essi abbiano natura patrimoniale e riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell'ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per intero, in considerazione del carattere strettamen

te conseguenziale di tali provvedimenti rispetto alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione (Cass. 25 febbraio 1993, n. 2364, id., Rep. 1993, voce cit., n. 79).

Né rileva che il diritto al rimborso di tali somme integri un

credito di cui è titolare iure proprio, il genitore che abbia soste nuto per intero l'onere del mantenimento del figlio dalla nascita

(Cass. 8 agosto 1989, n. 3635, id., Rep. 1989, voce cit., n. 73), in relazione alla circostanza — evidenziata dal ricorrente — che

il primo giudice, con statuizione definitiva per difetto di impu

gnazione, abbia escluso la legittimazione attiva della Prantner

in proprio, poiché, come risulta dalla motivazione della senten za del tribunale, la legittimazione in proprio della attrice è stata

negata con esclusivo riferimento alla domanda di dichiarazione

giudiziale di paternità naturale, in adesione all'insegnamento se

condo cui l'azione ha carattere personalissimo e il suo esercizio

compete esclusivamente al figlio e, se egli è legalmente incapa

ce, può essere promossa, nel suo interesse, unicamente dal geni tore che esercita la potestà o dal tutore, ai sensi dell'art. 273

c.c. (Cass. 2 marzo 1993, n. 2576, cit.). Nessuna pronuncia — né esplicita, né implicita — contiene

invece la sentenza impugnata circa la legittimazione attiva in

ordine alla domanda accessoria di provvedimenti di carattere

patrimoniale, poiché il giudice di appello si è limitato unica mente a ribadire la sentenza del tribunale sul punto relativo

alla decorrenza dell'obbligo al mantenimento che incombe al

genitore la cui paternità sia dichiarata giudizialmente e ha escluso

ogni possibilità di applicazione in malam partem del disposto dell'art. 445 c.c.

La statuizione merita conferma in considerazione della evi dente differenza esistente tra l'obbligazione alimentare e quella di mantenimento.

Il principio generale in praeteritum non alitur, codificato dal

l'art. 445 c.c. con riferimento alla decorrenza dell'obbligazione

alimentare, trova infatti la sua giustificazione nel rilievo che

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

solo con la proposizione della domanda (o con la costituzione

in mora dell'obbligato) l'alimentando manifesta lo stato di bi sogno deducendo l'incapacità a provvedere al proprio manteni

mento, e ciò vale a precludere la ipotizzabilità di un obbligo alimentare nei confronti di un soggetto che non abbia ancora

richiesto la prestazione degli alimenti.

Lo stesso non può dirsi per l'obbligazione di mantenimento

nei confronti dei figli, poiché il suo adempimento prescinde da qualsivoglia domanda e la legge pone a carico dei genitori l'ob

bligo di mantenere i figli per il solo fatto di averli generati (art. 147 c.c.), disciplinando il concorso negli oneri relativi (art. 148 c.c.).

Ne consegue che nell'ipotesi in cui al momento della nascita

il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno

l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pro nuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio na

turale ad essere mantenuto, istruito e educato nei confronti di

entrambi i genitori. Da ciò consegue che il genitore naturale, dichiarato tale con

provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla sua obbliga zione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico,

ma è tenuto a provvedere, sin dal momento della nascita, attesa

la natura dichiarativa della pronuncia che accerta la paternità

naturale, con la sola differenza che sino al momento della pro

posizione della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità egli deve corrispondere all'altro genitore, in proprio, le somme

che questi ha anticipato per far fronte, da solo, al mantenimen

to del figlio, mentre, per il periodo successivo, è tenuto a prov vedere al mantenimento del figlio minore versando all'altro ge

nitore, quale esercente la potestà sul figlio minore (art. 317 bis

c.c.) l'assegno mensile posto a suo carico.

Cosi chiarita la portata effettiva della sentenza impugnata,

dev'essere anche respinta la censura — mossa in via subordina

ta — di omessa motivazione con riferimento alla determinazio

ne dell'assegno di mantenimento, poiché, non avendo formato

oggetto di impugnazione l'importo dell'assegno fissato dal pri

mo giudice (in misura, peraltro, largamente inferiore rispetto

alle richieste della Prantner), nessun obbligo di motivazione in

combeva sul giudice di appello con riferimento alla statuizione

di mera conferma della pronuncia di primo grado al riguardo. In conclusione, il ricorso è infondato in ciascuna delle sue

molteplici articolazioni e deve essere respinto.

II

Svolgimento del processo. — Mario Pagano si rivolgeva al

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con atti del 30 luglio

e del 13 agosto 1981. Narrava che il tribunale medesimo, con

sentenza passata in cosa giudicata, aveva accolto la sua doman

da di disconoscimento della propria paternità proposta nei con

fronti della madre Lidia Giaquinto e degli eredi del marito di

costei, Secondino Pagano. Precisava quindi che intendeva far

dichiarare suo padre naturale tal Pasquale Granata, deceduto

il 23 febbraio 1956, e che a tale scopo aveva già ottenuto la

dichiarazione di ammissibilità della sua domanda.

Chiariva che il defunto Pasquale Granata, con testamento olo

grafo, aveva disposto per il proprio patrimonio a favore dei

suoi germani Domenico e Giuseppe, e che egli pertanto intende

va far caducare tali disposizioni e rivendicare, conseguentemen

te alla riconosciuta paternità naturale, i propri diritti di erede.

Conveniva quindi Domenico Granata, nonché gli eredi del de

funto Giuseppe Granata, nonché, ancora, gli eredi di due ger

mane di Pasquale Granata, richiedendo la dichiarazione di pa ternità naturale e la attribuzione della quota di eredità.

Si costituivano solo Domenico Granata, germano superstiste

del de cuius, e Angela Miranda, vedova di Giuseppe Granata,

che contestavano la pretesa. Veniva istruita la causa anche con

10 espletamento di una istruzione preventiva in corso di causa,

quindi il tribunale accoglieva la domanda. Domenico Granata ed Angela Miranda proponevano appello,

lamentando preliminarmente la mancata integrazione del con

traddittorio ad Anna Granata, altra sorella del defunto Pasqua

le, e censurando nel merito la decisione del tribunale. La corte

di merito lo rigettava. Riteneva tale giudice che legittimati pas

11 Foro Italiano — 1996 — Parte 1-5.

sivi nell'azione in parola fossero, in assenza del presunto padre

naturale, gli eredi di questi soltanto e non anche gli aventi cau

sa da tali eredi. Quindi, bene aveva fatto il tribunale a non

ritenere di estendere il contraddittorio a tutti gli eredi di uno

dei due germani del de cuius, giacché addirittura la citazione

di Angela Miranda era stato atto eccedente la necessità del con traddittorio. (Omissis)

Motivi della decisione. — (Omissis). 4. - Con il terzo motivo Angela Miranda censura la violazione dell'art. 276 c.c. Afferma

che erroneamente la corte di merito ha ritenuto insussistente

una situazione di litisconsorzio necessario tra tutti i successibili

di Pasquale Granata, e dunque che non fosse necessaria la cita

zione di Anna Granata, sorella di Pasquale. Osserva la corte che la norma dell'art. 276 c.c. stabilisce che

nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità), la legittimazione passiva spetta, in mancanza del ge nitore presunto, esclusivamente ai suoi eredi. Dovendosi nega

re, senza con ciò compromettere le eventuali finalità patrimo niali dell'azione, che possano assumere la qualità di litisconsorti

necessari gli aventi causa da detti eredi, ovvero altri soggetti

portatori di un interesse contrario all'accoglimento della doman

da, cui è riconosciuto di poter intervenire a tutela di detto inte

resse (Cass. 1693/87, Foro it., 1987, I, 1438). Nella specie si

lamenta la mancata estensione del contraddittorio ad Anna Gra

nata, sorella di Pasquale, nei confronti della quale non vi è

chiamata ereditaria testamentaria, né vi è quella legittima, es

sendovi quella testamentaria a favore di altri germani del de

cuius. Neppure, peraltro, la stessa Anna Granata ha manifesta

to intento di volere partecipare al giudizio per far valere un

qualche interesse. Non vi è dunque alcuna lesione, a seguito della sua mancata citazione da parte dell'attore, del contraddit

torio. (Omissis)

III

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 273 ss.

c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si deduce che

la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare la mancanza di

legittimazione ad processum di Bruna Casalino, per essere stato

nominato alla minore un curatore speciale con il decreto di am

missibilità dell'azione emesso dal tribunale ai sensi dell'art. 274

c.c.

Il motivo è infondato. Ed invero, l'azione per la dichiarazio

ne della paternità e maternità naturale, cosi secondo la discipli

na dettata nel testo originale del codice civile, vigente al mo

mento della proposizione dell'azione, come secondo la legge di

riforma del diritto di famiglia, ha carattere personalissimo e

la legittimazione al suo esercizio compete soltanto al figlio e,

dopo la sua morte, ai suoi discendenti; ove il soggetto legittima

to sia legalmente incapace, essa può essere promossa nel suo

interesse, ai sensi dell'art. 273 c.c., unicamente dal genitore che

esercita la potestà o dal tutore. L'elencazione tassativa dei soggetti cui è conferito il potere

di sostituire l'incapace non consente certamente di ricompren

dere tra questi il curatore speciale eventualmente nominato dal

tribunale ai sensi dell'art. 274, ultimo comma, c.c.: ed invero

tale nomina comporta la necessità della presenza del soggetto

designato nel giudizio, a tutela della posizione dell'incapace da

possibili conflitti di interessi con colui che ha proposto l'azione,

ma non determina un'ulteriore legittimazione attiva, concorren

te od escludente rispetto a quella del genitore o del tutore (v.,

sul punto, Cass. 2745/73, Foro it., Rep. 1973, voce Filiazione,

n. 41). Con il secondo motivo, denunciando violazione degli art. 273

ss. c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si sostiene

che la corte di appello ha erroneamente omesso di considerare

che la mancanza del consenso alla proposizione dell'azione da

parte di Giorgetta Casalino — all'epoca ultrasedicenne — ri

guardando una condizione di proponibilità della domanda, ave

va determinato la nullità assoluta ed insanabile dell'atto intro

duttivo del giudizio e degli atti conseguenti. Il motivo è infondato. Ai sensi del richiamato art. 273 c.c.

la sostituzione processuale (secondo la qualificazione general

mente adottata nella giurisprudenza di questa Suprema corte:

v. sent. 5411/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 51; 1571/83, id.,

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PARTE PRIMA

1983, I, 2826) del minore che abbia compiuto i sedici anni, ma non ancora i diciotto, spetta pur sempre al genitore esercente

la potestà o al tutore, i quali tuttavia necessitano del consenso

del minore stesso quale elemento integratore della loro capacità

processuale. Il riferimento al concetto di integrazione della ca

pacità processuale consente di risolvere in modo coerente le que stioni connesse alla mancata prestazione del consenso, ritenen

do da un lato che il difetto di tale necessario elemento integra tore comporta l'emanazione di una pronuncia meramente

processuale di improponibilità o improseguibilità dell'azione (a seconda che il raggiungimento del sedicesimo anno di età sia

avvenuto prima o nel corso del giudizio), affermando dall'altro

lato che la prestazione del consenso sopravvenuta nel corso del

giudizio ha effetti sananti, determinando il venir meno dell'im

pedimento all'esame della domanda ed alla pronuncia sul merito.

In applicazione di tali principi questa Suprema corte con le

pronunce n. 4804 del 1984 (id., Rep. 1985, voce cit., n. 52) e n. 7761 del 1990 (id., Rep. 1990, voce cit., n. 57) ha precisato che il consenso del minore ultrasedicenne, appunto in quanto attinente alle legitimatio ad processum, può validamente inter

venire nel corso del giudizio, anche dopo che sia stato eccepito il suo difetto, purché sussista al momento della decisione.

Tale indirizzo non è affatto smentito dalla sentenza n. 1771

del 1988 (id., Rep. 1988, voce cit., n. 68) invocata dal ricorren

te, la quale ha anzi riaffermato che il difetto di consenso del

minore si risolve nella mancata integrazione della capacità pro cessuale del genitore o del tutore, riconducibile alla categoria della legitimatio ad processum e comportante una situazione og

gettiva di improponibilità - improseguibilità della domanda, di scostandosi dal precedente orientamento soltanto in ordine alla

questione — della quale qui non si controverte — della rilevabi

lità di ufficio o della deducibilità con lo strumento dell'impu gnazione da parte di ogni interessato del vizio della sentenza

che non abbia rilevato la mancanza del consenso.

Correttamente, pertanto, la corte di appello ha ritenuto che

la costituzione in giudizio di Giorgetta Casalino, dopo il conse

guimento della maggiore età, e la sua assunzione come propria della domanda proposta dalla madre avesse spiegato effetti sa

nanti della precedente omissione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 giugno 1994, n. 6203; Pres. Corda, Est. Vitrone, P.M. Morozzo

Della Rocca (conci, diff.); Alfonzetti e altri (Aw. Tapuri) c. Alfonzetti (Aw. Scalia). Cassa App. Messina 12 febbraio 1993.

Interdizione e inabilitazione — Malattia psichica — Capacità di compiere atti della vita quotidiana —

Rigetto della doman

da di interdizione — Insufficienza di motivazione — Fatti

specie (Cod. civ., art. 414, 415; 418; cod. proc. civ., art. 360,

384).

Accertata la limitazione della capacità di discernimento dipen dente da ipoevolutismo psichico, è contraddittoria e insuffi ciente la motivazione con la quale il giudice del merito rigetta la domanda di interdizione (e dichiara l'inabilitazione) basan dosi esclusivamente sulla capacità dell'interdicendo di prov vedere alla cura della propria persona, di svolgere i propri

rapporti personali e di compiere atti di modesto contenuto

patrimoniale e trascurando altre circostanze ancor più rile

vanti, come l'aver celebrato il matrimonio in circostanze in

quietanti (nella specie, l'interdicendo aveva contratto matri

monio con la propria governante — vedova di media età con

figli adulti — dopo otto giorni dalle dimissioni dall'ospedale e dopo che il p.m. aveva impedito una prima celebrazione

per la pendenza di Indagini preliminari relative all'eventuale

Il Foro Italiano — 1996.

consumazione del reato di circonvenzione di incapace e i pa renti si erano opposti a un'altra celebrazione in articulo

mortis^. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 6 settembre 1983

Alfonzetti Fortunato chiedeva al Tribunale di Catania la dichia

razione di interdizione del proprio fratello Gaetano Evaristo Teo

doro, deducendo che questi si trovava sin dalla nascita in uno

stato di alterazione mentale che gli aveva provocato la totale

incapacità di provvedere ai propri interessi, e che, di recente,

persone estranee lo avevano convinto a rifiutare qualsiasi ap

proccio con la famiglia e a revocare la procura rilascita ad esso

istante. Nel processo intervenivano alcuni parenti, nelle persone di Musumeci Angela, Alfonzetti Beatrice Giovanna, Alfonzetti

(1) La pronuncia, che dispone un secondo rinvio alla corte d'appel lo, trova ovvio precedente in Cass. 21 ottobre 1991, n. 11131, Foro

it., Rep. 1991, voce Interdizione e inabilitazione, n. 8, la cui massima

recita: «Al fine dell'interdizione dell'infermo di mente l'incapacità di

provvedere ai propri interessi, contemplata dall'art. 414 c.c., va valuta

ta con riguardo non solo agli affari di indole patrimoniale ma anche a tutti gli atti della vita civile, sempre che si tratti di interessi suscettibili di essere pregiudicati attraverso atti giuridici e, per la cui difesa, pertan to, sia configurabile una supplenza del tutore; pertanto, qualora risulti in causa una situazione di incapacità del soggetto di provvedere alla

cura dei propri interessi non patrimoniali, è viziata non solo per viola

zione di legge, ma anche ex art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., la senten za del giudice di merito la quale si limiti ad affermare l'esistenza di

una sola incapacità di compiere atti di straordinaria amministrazione, e per l'effetto, pronunci l'inabilitazione, senza adeguatamente indicare le ragioni per le quali non ha ritenuto di pronunciare l'interdizione, pure in presenza di una serie di elementi, dallo stesso giudice di merito

ritenuti sussistenti, che imponevano tale secondo provvedimento». In precedenza, la Suprema corte aveva comunque affermato — al

fine dell'interdizione dell'infermo di mente — l'importanza dell'incapa cità di provvedere ad interessi di natura anche non patrimoniale (v. sent. 18 dicembre 1989, n. 5652, id., Rep. 1990, voce cit., n. 7, e Nuo va giur. civ., 1990, I, 512, con nota di Mazzoni), sempre che si fosse trattato di interessi che avrebbero potuto subire pregiudizio da atti giu ridici, e per la cui difesa, pertanto, fosse configurabile una supplenza del tutore.

Questo, nonostante la giurisprudenza abbia in generale affermato la necessità dell'interdizione nei confronti del soggetto incapace di tutelare i propri interessi patrimoniali: cfr. Trib. min. Cagliari 28 novembre

1986, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 12, e Riv. giur. sarda, 1988, 738, con nota di Bardanzeilu; Trib. Catania 7 ottobre 1983, Foro

it., Rep. 1984, voce cit., n. 3, e Riv. not., 1984, 625, per cui, in parti colare, «... la circostanza di non riconoscere il valore delle banconote incide negativamente in maniera determinante sulla possibilità di prov vedere ai propri interessi, posto che nell'attuale economia gli scambi

avvengono quasi esclusivamente tra beni e denaro». La capacità (o incapacità) di apprezzare il valore del denaro emerge,

d'altro canto, nell'apprezzamento della prodigalità, di cui Cass. 19 no vembre 1986, n. 6805, Foro it., 1987, I, 823, con nota di Manacorda, La prodigalità ed i suoi possibili rapporti con l'infermità psichica. Un concetto che muta con l'evoluzione storica, ha riconosciuto la natura autonoma ai fini dell'inabilitazione, aldilà di ogni legame con l'infermi tà mentale (v. anche Cass. 3 dicembre 1988, n. 6549, id., Rep. 1988, voce cit., n. 8; Trib. min. Cagliari 11 dicembre 1986, id., Rep. 1989, voce cit., n. 14).

Quanto, poi, alle condizioni del soggetto al momento della pronun cia, v. Cass. 13 marzo 1990, n. 2031, id., Rep. 1990, voce cit., n. 8, secondo cui occorrerebbe ricollegarsi alle condizioni di salute psichica in atto al momento della pronuncia di interdizione o di inabilitazione, dovendo quindi prescindersi «tanto da precorsi episodi di infermità, quanto dall'eventualità di ricadute, ove prospettabile in termini di mera possibilità e non di alta probabilità».

Quanto alle condizioni in presenza delle quali deve essere pronuncia ta l'interdizione, v. Cass. 20 novembre 1985, n. 5709, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2, e Nuova giur. civ., 1986, I, 288, con nota di Venchia

rutti, per cui «l'interdizione e l'inabilitazione postulano un'infermità di mente che presenti carattere di abitualità, cioè di durata nel tempo tale da qualificarla come habitus mentale del soggetto, ancorché in pre senza di lucidi intervalli, e che inoltre incida sulla capacità del soggetto medesimo di provvedere alla cura dei propri interessi».

Le condizioni di salute psichica devono peraltro essere accertate at traverso l'esame del soggetto interdicendo o inabilitando: cfr. Cass. 20

giugno 1991, n. 6975, id., Rep. 1991, voce cit., n. 9, secondo cui l'ob

bligo (del giudice di valutare le risultanze dell'interrogatorio dell'inter dicendo o dell'inabilitando) verrebbe meno quando, per essere seguita a distanza di anni una consulenza tecnica in sede di gravame, sia da ritenersi non più attuale l'esito dell'interrogatorio effettuato in primo grado: in questo senso non violerebbe l'art. 419 c.c. il giudice d'appello

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