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Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M.Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteriSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 325/326-329/330Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156039 .
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325 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 326
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo si deduce che la sentenza impugnata è inficiata da falsa applicazione dell'art. 136 Cost, e da difetto di motivazione, per aver dichiarato inammissibile l'azione esercitata dal Cornioli, attribuendo decisiva rilevanza, ai sensi del citato art. 136 Cost., alla
pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 78 del 30
dicembre 1958, Foro it., 1959, I, 9) che ha dichiarato l'il
legittimità costituzionale del decreto legisl. n. 929 del
1947, sul massimo impiego della mano d'opera in agricol tura, laddove avrebbe dovuto invece tener conto che l'azione non era fondata sulle disposizioni di tale decreto, bensì
sulle clausole del contratto collettivo 10 novembre 1953
e dell'accordo integrativo ad esso allegato. La censura è pienamente fondata.
Come si è già rilevato nella esposizione delle vicende del
processo, la sentenza di primo grado, nell'accogliere in gran
parte la domanda del Cornioli, non aveva affatto richia
mato ed applicato le norme del cit. decreto del 1947, ma
aveva invece ritenuto che la pretesa dedotta in giudizio trovasse il suo fondamento nelle clausole del menzionato
contratto collettivo relative alla occupazione della mano
d'opera, che determinavano per l'annata agraria 1953-54
l'imponibile tecnico cui erano soggette le aziende agrarie in funzione della natura, dell'ubicazione e dell'estensione
dei terreni coltivati, nonché nelle clausole dell'accordo
integrativo concernente il cosiddetto « superimponibile ».
Ora è evidente che, trattandosi di un contratto collettivo
postcorporativo, le dette clausole hanno natura convenzio
nale e privatistica : per modo che gli obblighi che da esse
derivano a carico dei soggetti iscritti alle associazioni sin
dacali stipulanti e da esse rappresentate, o di coloro che
abbiano prestato adesione al contratto collettivo, espri mendo espressamente o implicitamente la volontà di uni
formarvisi, trovano la loro fonte diretta ed immediata
ed il loro titolo giuridico in una libera manifestazione di
autonomia privata, e non già nelle norme legislative dichia
rate incostituzionali o in un provvedimento coercitivo
emanato dalla pubblica amministrazione in conformità delle
norme stesse. E sotto questo profilo, che non è stato affatto
considerato dalla sentenza di appello, l'accertata invalidità
di esse e la conseguente loro inapplicabilità (art. 136 Cost., art. 30, 3° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87) costituisce
una ragione non idonea, o per lo meno non sufficiente, a
giustificare la reiezione della domanda.
D'altra parte, in questa sede non è consentito vagliare se le pattuizioni collettive di cui si discute trovino la loro
ragion d'essere proprio nelle esigenze sancite dalle norme
imperative di quel decreto e si coordinino intimamente a
corporativi facenti obbligo ai datori di lavoro associati di assu
mere un determinato contingente di lavoratori, purché le asso
ciazioni sindacali avessero agito nei limiti del mandato loro con
ferito dai soci (sent. 7 giugno 1963, n. 1517, id., 1963, I, 2176, con nota di richiami). Con ciò la menzionata sentenza non aveva
risolto il problema, pur in essa rettamente impostato e discusso, dei limiti istituzionali del contratto collettivo, ma aveva consi
derato come una quaestio facti, da risolversi ili base alla valuta
zione del contegno degli interessati (i quali, nella specie, avevano
dato pacificamente e per lungo periodo esecuzione all'obbligo sindacalmente concordato), lo stabilire se il c. d. mandato asso
ciativo conferito all'associazione sindacale comportasse il potere di vincolare gli iscritti alla stipulazione di contratti di lavoro. La
sentenza in epigrafe si differenzia dalla precedente, perchè, mentre
ha completamente omesso di considerare il problema ora accen
nato, ha però avvertito, almeno implicitamente, che la presenza di un collegamento oggettivo e funzionale tra la disciplina legis lativa, poi dichiarata costituzionalmente illegittima ma intanto
vigente, e la disciplina collettiva in questione, non avrebbe con
sentito di risolvere la disputa sulla base del rilievo del contegno osservante dei datori di lavoro iscritti al sindacato (contegno
osservante, che poteva essere stato determinato, per l'appunto, da quel collegamento con la disciplina legislativa allora vigente).
Per ulteriori riferimenti, consulta Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 1960, n. 51 (id,., 1961, III, 190), e la sentenza n. 78
del 30 dicembre 1958 della Corte costituzionale (id., 1959, I,
9), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decreto
legisl. 16 settembre 1947 n. 929. A. L,
queste, in quanto destinate a disciplinarne consensualmente le concrete modalità di esecuzione, e se in conseguenza debbano considerarsi anch'esse travolte per effetto della
menzionata pronuncia della Corte costituzionale. In realtà,
per risolvere tale questione è pur sempre necessaria una
indagine ermeneutica circa le finalità e la portata delle
predette pattuizioni collettive ; e questa indagine, che è
stata pure del tutto omessa dalla Corte di Brescia, non può esser compiuta da questo Supremo collegio, giacché, ap
punto in considerazione della natura negoziale e privati stica delle pattuizioni stesse, involge la necessità di apprez zamenti di mero fatto, devoluti in via esclusiva ai giudici del merito.
Pertanto, la sentenza impugnata deve esser senz'altro
cassata ; e la causa va, quindi, rinviata ad altra corte,
affinchè, in riferimento all'appello a suo tempo proposto dallo Spinelli, riesamini la controversia, adeguandosi ai
criteri giuridici testé enunciati.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392 ; Pres.
Celentano P., Est. Stella Eichtee, P. M. Cutru
pia (conci, parz. diff.) ; Lomani (Avv. Supino) c.
Min. esteri.
(Conferma App. Roma 2 agosto 1960)
Console — Depositi volontari — llesponsabilità dello Stato italiano (R. d. 7 giugno 1866 n. 2996,
regolamento della legge consolare, art. 114). Console — Depositi ili moneta estera — Oggetto
dell'obbligo di restituzione (R. d. 7 giugno 1866
n. 2996, art. 114).
Lo Stato italiano è responsabile dei depositi eseguiti presso i
consoli ai sensi dell'art. 114 del regolamento consolare. (1) Non essendo ammesso il deposito irregolare presso il console,
questi è tenuto a restituire la somma in moneta estera
ricevuta in deposito, e non Vequivalente in lire ita
liane. (2)
La Corte, ecc. — Deve preliminarmente disporsi la
riunione del ricorso principale e di quello incidentale, clie sono iscritti sotto distinti numeri di ruolo.
Deve esaminarsi poi il ricorso incidentale, che, con il
suo unico motivo, censura la sentenza per avere ritenuto
la legittimazione passiva del ministero degli affari esteri.
L'amministrazione, denunciando la violazione e la falsa
applicazione degli art. 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119
del regolamento per l'esecuzione della legge consolare
approvato con r. decreto 7 giugno 1866 n. 2996, in rela
zione all'art. 28 della Costituzione e al r. decreto legge 5
dicembre 1938 n. 1928, il tutto in relazione agli art. 100
e 360, nn. 1, 3 e 5, cod. proc. civ., sostiene che il deposito in questione erroneamente è stato considerato riferibile
ad essa. In vero i consoli, quando accettano « sotto la loro
responsabilità », ai sensi dell'art. 114 del detto regola
mento, depositi da parte di connazionali, adempiono una
funzione che non rientra tra quelle proprie dell'ammini
strazione degli esteri, ma che li riguarda personalmente. Il contratto di deposito, per essere riferibile all'ammini
strazione, deve essere stipulato con le rigorose e inderoga bili formalità stabilite dalla legge e dal regolamento sulla
contabilità generale dello Stato, mentre il deposito presso
(1-2) Sulla prima massima v., in senso conforme, Cass. 15
maggio 1959, n. 1445 (Foro it., Rep. 1959, voce Console, n. 1, citata nella motivazione della presente), che ha riformato App. Trento 13 settembre 1957 (id., Rep. 1958, voce cit., n. 13 ; rip. in extenso in Foro pad., 1958,1, 04, con nota critica di Biscottini).
Sulla seconda massima, non risultano precedenti editi.
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327 PARTE PRIMA 328
il console avviene mediante il rilascio di una semplice ricevuta. In particolare, poi, nella specie, sarebbe stata omessa ogni formalità ed i funzionari si sarebbero assunto
l'obbligo di trasferire i rubli in Italia, il che era vietato
dalle leggi russe, ovvero di negoziare la conversione dei
rubli in lire, il che era vietato dalle leggi italiane (r. de creto legge del 1938 citato e successive modificazioni).
Il ricorso è infondato.
Come questo Supremo collegio ha già avuto occasione
di statuire (sent. 15 maggio 1959, n. 1445, Foro it., Rep. 1959, voce Console, n. 1), lo Stato italiano è responsabile dei depositi eseguiti presso i consoli, a norma dell'art. 114
del regolamento consolare 7 giugno 1866 n. 2996. In
vero gli art. 113 e segg. di tale regolamento prevedono
depositi volontari o necessari, la cui differenza consiste
soltanto nell'obbligatorietà di questi ultimi, tutti regolati dalla stessa disciplina : essi sono accertati mediante ver
bali da iscriversi in apposito registro, in cui sono indicate
le monete e i valori od oggetti depositati (o ritirati), la
provenienza e la causa del deposito (art. 115) ; le somme,
gli oggetti preziosi o valori depositati sono custoditi sotto
chiave, dopo essere stati chiusi e suggellati in appositi sacchi ed involti, con un'etichetta indicante il numero
del deposito, il nome del deponente, la natura degli og
getti e l'ammontare della somma depositata (art. 116) ; nel concorso di determinate circostanze i consoli possono ordinare la vendita delle merci od effetti depositati (art. 117) ; i consoli alla fine di ogni semestre devono
inviare al ministero degli affari esteri un elenco dei de
positi eseguiti (art. 119) ; inoltre devono spedire al mini stero gli oggetti e valori depositati, se nel corso di un biennio
non ne sia domandata la restituzione dagli aventi diritto
(art. 118). È da ricordare poi che, a norma dell'art. 2 della ta
riffa consolare approvata con r. decreto 10 agosto 1890 n. 7087, i depositi non sono gratuiti, ma retribuiti con una percentuale del 2%, che si devolve in parte a profitto dello Stato.
Da questa disciplina risulta in modo univoco che i
depositi sono fatti ai consoli a causa e nell'esercizio delle
loro funzioni e che quindi il contratto interviene tra il
deponente e lo Stato, il quale risponde della perdita della cosa depositata. Naturalmente una qualsiasi colpa o negli genza da parte del console rende questo responsabile verso lo Stato, oltre che verso il deponente, ma ciò non
esclude la responsabilità diretta dello Stato, per conto del quale il console agisce. Questo è il significato della
espressione dell'art. 114 «sotto la loro responsabilità», riferita ai consoli. La responsabilità dei consoli è affer
mata anche dall'art. 113, che riguarda i depositi fatti di
ufficio, il che conferma l'insussistenza di una diversa
regolamentazione dei depositi volontari e di quelli ne cessari.
Quanto alle forme da osservarsi, esse sono quelle in dicate dal regolamento e non altre. Che nella specie siano state osservate si deve presumere, dato che il ministero
degli affari esteri ha restituito ai Lomani la valigetta dei
preziosi ed ha dichiarato con la lettera 1° aprile 1948 di tenere a disposizione i rubli, sia pure nella misura ridotta di 1.000 per effetto dell'intervenuto cambio della moneta.
Le promesse che sarebbero state fatte dai funzionari di trasferire i rubli in Italia, convertendoli in lire, non sono state accertate dai giudici del merito. Comunque esse non potevano impegnare l'amministrazione, la quale, in base al contratto di deposito, è tenuta a restituire le medesime come depositate nello stesso luogo, e cioè a
Mosca, non già in Italia. Il ministero, senza esservi te
nuto, ha consegnato la valigetta in Italia e si è interes sato presso il ministero del tesoro per ottenere la conver sione dei rubli, ma ciò in via di mera agevolazione, e non
per un obbligo legale. Le promesse del personale consolare, se intervenute,
devono essere interpretate nello stesso senso, e cioè quello di adoperarsi, in quanto possibile, per consentire ai Lo
mani, non solo di salvare i loro beni, ma anche di poterli ritirare in Italia.
Il ricorso incidentale deve pertanto essere respinto. I primi sei mezzi del ricorso principale denunciano,
sotto vari aspetti, la violazione degli stessi articoli del
regolamento consolare, degli art. 1766, 1768, 1770, 1771,
1774, 1782, 1219, 1277, 1278 cod. civ., nonché dell'art. 7
del decreto 6 giugno 1956 n. 1476, per avere la corte ri
tenuto che si trattasse di un deposito regolare, anziché di un deposito irregolare, che importava l'obbligo di re
stituire l'equivalente in lire italiane della somma deposi tata al cambio al giorno dell'effettuato deposito. Si so
stiene che questa era l'essenza del contratto concluso ; che il cambio si sarebbe dovuto compiere mediante la
commutazione in dollari americani, i quali mantennero fermo il loro valore, rispetto al rublo, dopo l'emissione
dei nuovi rubli ; che il ministero fu posto in mora con la
ripetuta richiesta fatta dai Lomani, prima della detta
operazione monetaria russa ; che la corte non poteva con
dannare il ministero al pagamento di rubli diversi da
quelli depositati, né ad eseguire il pagamento in Italia
di una somma di danaro in una moneta estera non avente
corso nello Stato italiano, emanando così una pronuncia insuscettibile di esecuzione.
Questo assunto, illustrato con dovizia di particolari, è contrastato alla radice dalla considerazione che il rego lamento consolare sopra esaminato prevede esclusivamente
un deposito regolare, posto che impone allo Stato, che
opera attraverso, il console, di custodire le somme, gli oggetti preziosi e i valori depositati sotto chiave, dopo essere stati chiusi e suggellati in appositi sacchi od invo lucri. Ciò esclude nel modo più certo che il console possa servirsi delle somme, per poi accreditare al deponente l'equivalente. Il console, in rappresentanza dell'ammini
strazione, deve conservare e restituire le stesse somme, nel
luogo in cui sono state depositate, e cioè, nella specie, a Mosca e non in Italia. L'interessamento del ministero per l'utilizzo da parte della nostra rappresentanza a Mosca della somma in rubli, interessamento rimasto infruttuoso
per l'opposizione del ministero del tesoro (lettera del 23
gennaio 1948), non può ritenersi fatto che in via di gra ziosa agevolazione, non già per un obbligo legale. Il mi
nistero, del resto, non ha riconosciuto di dover effettuare una restituzione in Italia, ma ha dichiarato solo, nella lettera del 1° aprile 1948, che l'ambasciata a Mosca aveva comunicato che la somma si era ridotta a 1.000 rubli,
per effetto del cambio della moneta, il che dimostra che la somma si trovava ancora a Mosca.
Quindi esattamente la corte di appello ha dichiarato che il ministero è tenuto alla restituzione della eadem
res, vale a dire degli stessi rubli depositati. La circostanza che si siano convertiti i rubli vecchi nei nuovi non costi tuisce violazione del detto principio, poiché l'autorità
consolare, se non poteva disporre della somma, bene po teva e doveva anzi provvedere, usando la normale dili
genza, a cambiare la moneta vecchia nella nuova, per evitare di conservarne una che, decorso il tempo stabilito
per la conversione, sarebbe stata priva di ogni valore. Nessun dovere aveva, invece, di effettuare il cambio in
dollari, ed anzi non ne aveva neppure il potere, perchè, ripetesi, doveva restituire ai deponenti rubli e non altre valute.
La sentenza non ha pronunciato condanna al paga mento dei rubli, condanna che non era stata neppure richiesta ; la domanda era di declaratoria dell'effettuato
deposito e del diritto dei Lomani di ricevere l'equivalente della conversione dei 10.000 rubli in lire italiane ; la sen tenza ha dichiarato che è stato compiuto il deposito e che, trattandosi di deposito regolare, i deponenti hanno diritto di ottenere in restituzione 1.000 nuovi rubli, in sostituzione dei vecchi 10.000. La sentenza cioè non è di condanna, ma di mero accertamento, conformemente alla domanda. Non hanno ragion d'essere quindi le censure sulla inam missibilità di una condanna a pagare una somma non avente corso nello Stato e sulla ineseguibilità della sen tenza.
La insussistenza di un obbligo dell'amministrazione di effettuare la restituzione in Italia rende ultronea ogni
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329 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 330
questione sulla pretesa mora della amministrazione me desima.
I primi sei motivi del ricorso principale devono perciò essere respinti. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
I
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 10 agosto 1963, n. 2278 ; Pres.
Civiletti P., Est. G. Rossi, P. M. Pisano (conci, oonf.) ; Caneo (Avv. Cattaneo) c. E.c.a. Roma (Avv. Santoro
Passarelli, Bianco).
(Gassa App. Roma 31 marzo 1960)
Appello iu materia civile — Domanda nuova Ammis
sibilità — Umili (Cod. proc. civ., art. 345). Proprietà — Limitazioni temporali del diritto —
Ammissibilità — Limiti (Cod. civ., art. 832). Sostituzione e fedecominesso — Disposizione te
stamentaria « cum onere » — Validità (Cod. civ., art. 647, 671, 692).
Successione — « Mandatimi post mortem » — Fatti
specie — Insussistenza (Cod. civ., art. 647, 1722).
Non costituisce domanda nuova, come tale improponibile in appello, la contropretesa dell'appellante intimamente
ed imprescindibilmente connessa con la negazione della
situazione giuridica dedotta dall'altra parte a sostegno della propria domandaci)
Sono incompatibili con il diritto di proprietà le limitazioni
temporali che determinano ipso iure il venir meno del
diritto alla scadenza del periodo di tempo prestabilito e
non anche l'onere che comporti solo l'obbligo di procedere alla vendita della cosa. (2)
Non implica sostituzione fedecommissaria la disposizione che
impone all'istituito l'onere di vendere, dopo un certo tempo, la cosa legata e di versarne il ricavato ad un terzo. (3)
L'onere imposto al legatario di vendere l'immobile attribuitogli in proprietà e di consegnarne il ricavato ad un terzo non
configura un'ipotesi di mandatum post mortem. (4)
II
CORTE D'APPELLO DI LECCE.
Sentenza 16 luglio 1963 ; Pres. Piazzalunga P., Est. Mas
sarelli ; Giberna (Avv. Lecciso, Abbatescianni) c.
Traversa (Avv. Tondo, D'Addario, Serra).
Successione — Esecutore testamentario Distin
zione dal « mandatum post mortem » — Fatti
specie (Cod. civ., art. 700, 1722).
La clausola testamentaria, con la quale viene affidato all'unico
erede e a due legatari l'incarico di vendere un bene ere
ditario per provvedere, con il prezzo ricavato, alla costru
zione di una tomba per la famiglia e all'estinzione di
passività aziendali, dà luogo a un mandatum post mor
tem nullo e non alla nomina di esecutori testamentari
valida. (5),
(1) La massima è espressione del prevalente indirizzo della
Suprema corte, ispirato al principio dell'assorbimento, per cui
non si lia domanda nuova quando la situazione processuale determinatasi, per effetto del quid novi, in grado di appello,
mantenga l'oggetto sostanziale della controversia entro limiti
tali che l'emananda pronuncia varrebbe ad assorbire e quindi a rendere improponibile l'originaria pretesa. Corollario di tale
orientamento è clie si lia domanda nuova, come tale improponibile,
quando la parte faccia valere in appello una pretesa diversa o
più ampia che alteri i presupposti e la natura della domanda
I
La Corte, eco. — I due ricorsi vanno riuniti, giacché in
vestono la stessa sentenza, e nell'ordine logico va esaminato
anzitutto il primo motivo del ricorso proposto dall'E.c.a.
in via incidentale. Con esso si denuncia la violazione degli
formulata in prime cure, ili guisa da introdurre nel processo un
nuovo, diverso e più ampio petitum la cui decisione, postulando la necessità di nuove indagini su elementi diversi da quelli dedotti a fondamento della istanza originaria, verrebbe a privase le parti della garanzia del doppio grado di giurisdizione ; cosi Cass. 6 giugno 1963, n. 1507, e 20 luglio 1963, n. 1984, Foro
it., Mass., 439, 578 ; 22 luglio 1963, n. 2031, id., 1963, I, 2348, con nota di richiami. Ugualmente si ha domanda nuova quando, fermo restando il petitum, si deduce una diversa causa petendi che implichi mutamento dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema di inda
gine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia ; mentre non è tale la domanda che, pur modificando la causa petendi, sia impostata su una situazione di fatti identica a quella prospettata in primo grado e per la
quale non sia necessario procedere a nuove indagini : Cass. 19
aprile 1963, n. 953, 30 maggio 1963, n. 1456 e 18 luglio 1963, n. 1970, id., Mass., 277, 426, 572 ; 14 marzo 1962, n. 1456, 12
gennaio 1962, n. 35 e 27 luglio 1962, n. 2167, id., Rep. 1962, voce Appello civ., nn. 120-122, 125 ; 23 marzo 1961, n. 654 e 6 aprile 1961, n. 720, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 73, 75 ; 10 marzo 1960, n. 457, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 126, 127 ; 17 aprile 1959, n. 1156 e 21 ottobre 1959, n. 3015, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 85, 93, nonché, in motivazione, Cass. 12
luglio 1962, n. 1862, id., 1962, I, 1445. In dottrina, cons. Andrioli, Commento, 1956, II3, pag. 456
e seg. con ampi richiami di giurisprudenza ; Giudiceandrea, Le impugnazioni civili, 1952, pag. 130.
(2) Non risultano precedenti in termini. In dottrina, sulla proprietà temporanea, cons. Pescatore,
Considerazioni sul diritto di proprietà, in Studi in memoria di F.
Vassalli, 1960, I, 2, pag. 170 e segg. ; De Martino, Della
proprietà, in Commentario del codice civile, a cura di A. Sci alo j a e G. Branca, 1957, pag. 124, anche per ulteriori richiami in dottrina ; Messineo, Man. dir. civ. e comm., II, pag. 243 e 244 ; Barassi, La proprietà, pag. 85 e segg.
(3) In ordine agli elementi costitutivi della sostituzione
fedecommissaria, vedi Cass. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro it., 1958, I, 62, con nota di richiami, cui adde, Giannattasio, Delle
successioni, 1961, II, 2, pag. 387 ed ivi ulteriori richiami giuris prudenziali.
Nel senso che le norme sull'interpretazione dei contratti sono, in massima parte, applicabili in materia testamentaria, come
implicitamente affermato dalla sentenza in esame, che, oltre al principio dell'individuazione dell'intento pratico del de cuius, fa richiamo al criterio ermeneutico della conservazione del
negozio, sancito dall'art. 1367 cod. civ., vedi Cass. 5 marzo
1959, n. 629, Foro it., 1960, I, 824.
(4-5) Sui limiti entro i quali l'istituto del mandatum post mortem può trovare applicazione nel nostro ordinamento giu ridico, vedi Cass. 4 ottobre 1962, n. 2804, Foro it., 1963, 1,49, con nota di richiami, cui adde, Giannattasio, Delle successioni, cit., pag. 25 ; MlRABEIXI, Dei singoli contratti, 1960, IV, 3, pag. 522 ; Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, 1957, pag. 23 e segg.
In particolare, sulla natura giuridica dell'esecutore testa
mentario, nel senso che si tratti di un ufficio (pubblico o pri vato), in giurisprudenza : App. Lecce 15 febbraio 1960, Foro it.,
Rep. 1961, voce Successione, n. 109 ; App. Napoli 15 giugno 1957.
id., Rep. 1957, voce cit., n. 249 ; Trib. Roma 10 maggio 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 178 ; Cass. 5 agosto 1940, n. 2774, 14 febbraio 1940, n. 552, id., Rep. 1940, voce cit., nn. 236, 237.
In dottrina : Barbero, Sistema del dir. priv. it., 1962, II,
pag. 1100 ; Candian, Del c. d. ufficio privato e in particolare dell' esecutore testamentario, in Temi, 1952, 379 ; Messineo, Man. dir. civ. e comm., 1947, III, pag. 397 ; Manca, Libro delle success,
e donaz., in Commentario D'Amelio, 1941, pag. 620. Nel senso invece che si tratti di mandato post mortem, in dottrina : Fer
rara, Diritto privato attuale, 1945, II, pag. 551 ; Coviello L., Il
« mandatum post mortemi, in Riv. dir. civ., 1930, 49; Venzi, Note al Pacifici-Mazzoni, Istituz. di dir. civ. it., 1921-29, VI,
1, pag. 602 ; o, comunque, di mandato sui generis, Gangi, La
successione testamentaria, 1952, II, pag. 535. La sentenza 19 febbraio 1962, n. 331, con la quale la Cas
sazione, annullando la sentenza della corte territoriale, ha rin
viato la causa alla Corte d'appello di Lecce, è riassunta in Foro it., Rep. 1962. voce Testamento, n. 37,
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