+ All Categories
Home > Documents > Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M....

Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: truonghanh
View: 220 times
Download: 4 times
Share this document with a friend
4
Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M. Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteri Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 325/326-329/330 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156039 . Accessed: 28/06/2014 09:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 09:42:54 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M. Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteri

Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M.Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteriSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 325/326-329/330Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156039 .

Accessed: 28/06/2014 09:42

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 09:42:54 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M. Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteri

325 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 326

La Corte, ecc. — Con l'unico motivo si deduce che la sentenza impugnata è inficiata da falsa applicazione dell'art. 136 Cost, e da difetto di motivazione, per aver dichiarato inammissibile l'azione esercitata dal Cornioli, attribuendo decisiva rilevanza, ai sensi del citato art. 136 Cost., alla

pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 78 del 30

dicembre 1958, Foro it., 1959, I, 9) che ha dichiarato l'il

legittimità costituzionale del decreto legisl. n. 929 del

1947, sul massimo impiego della mano d'opera in agricol tura, laddove avrebbe dovuto invece tener conto che l'azione non era fondata sulle disposizioni di tale decreto, bensì

sulle clausole del contratto collettivo 10 novembre 1953

e dell'accordo integrativo ad esso allegato. La censura è pienamente fondata.

Come si è già rilevato nella esposizione delle vicende del

processo, la sentenza di primo grado, nell'accogliere in gran

parte la domanda del Cornioli, non aveva affatto richia

mato ed applicato le norme del cit. decreto del 1947, ma

aveva invece ritenuto che la pretesa dedotta in giudizio trovasse il suo fondamento nelle clausole del menzionato

contratto collettivo relative alla occupazione della mano

d'opera, che determinavano per l'annata agraria 1953-54

l'imponibile tecnico cui erano soggette le aziende agrarie in funzione della natura, dell'ubicazione e dell'estensione

dei terreni coltivati, nonché nelle clausole dell'accordo

integrativo concernente il cosiddetto « superimponibile ».

Ora è evidente che, trattandosi di un contratto collettivo

postcorporativo, le dette clausole hanno natura convenzio

nale e privatistica : per modo che gli obblighi che da esse

derivano a carico dei soggetti iscritti alle associazioni sin

dacali stipulanti e da esse rappresentate, o di coloro che

abbiano prestato adesione al contratto collettivo, espri mendo espressamente o implicitamente la volontà di uni

formarvisi, trovano la loro fonte diretta ed immediata

ed il loro titolo giuridico in una libera manifestazione di

autonomia privata, e non già nelle norme legislative dichia

rate incostituzionali o in un provvedimento coercitivo

emanato dalla pubblica amministrazione in conformità delle

norme stesse. E sotto questo profilo, che non è stato affatto

considerato dalla sentenza di appello, l'accertata invalidità

di esse e la conseguente loro inapplicabilità (art. 136 Cost., art. 30, 3° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87) costituisce

una ragione non idonea, o per lo meno non sufficiente, a

giustificare la reiezione della domanda.

D'altra parte, in questa sede non è consentito vagliare se le pattuizioni collettive di cui si discute trovino la loro

ragion d'essere proprio nelle esigenze sancite dalle norme

imperative di quel decreto e si coordinino intimamente a

corporativi facenti obbligo ai datori di lavoro associati di assu

mere un determinato contingente di lavoratori, purché le asso

ciazioni sindacali avessero agito nei limiti del mandato loro con

ferito dai soci (sent. 7 giugno 1963, n. 1517, id., 1963, I, 2176, con nota di richiami). Con ciò la menzionata sentenza non aveva

risolto il problema, pur in essa rettamente impostato e discusso, dei limiti istituzionali del contratto collettivo, ma aveva consi

derato come una quaestio facti, da risolversi ili base alla valuta

zione del contegno degli interessati (i quali, nella specie, avevano

dato pacificamente e per lungo periodo esecuzione all'obbligo sindacalmente concordato), lo stabilire se il c. d. mandato asso

ciativo conferito all'associazione sindacale comportasse il potere di vincolare gli iscritti alla stipulazione di contratti di lavoro. La

sentenza in epigrafe si differenzia dalla precedente, perchè, mentre

ha completamente omesso di considerare il problema ora accen

nato, ha però avvertito, almeno implicitamente, che la presenza di un collegamento oggettivo e funzionale tra la disciplina legis lativa, poi dichiarata costituzionalmente illegittima ma intanto

vigente, e la disciplina collettiva in questione, non avrebbe con

sentito di risolvere la disputa sulla base del rilievo del contegno osservante dei datori di lavoro iscritti al sindacato (contegno

osservante, che poteva essere stato determinato, per l'appunto, da quel collegamento con la disciplina legislativa allora vigente).

Per ulteriori riferimenti, consulta Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 1960, n. 51 (id,., 1961, III, 190), e la sentenza n. 78

del 30 dicembre 1958 della Corte costituzionale (id., 1959, I,

9), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decreto

legisl. 16 settembre 1947 n. 929. A. L,

queste, in quanto destinate a disciplinarne consensualmente le concrete modalità di esecuzione, e se in conseguenza debbano considerarsi anch'esse travolte per effetto della

menzionata pronuncia della Corte costituzionale. In realtà,

per risolvere tale questione è pur sempre necessaria una

indagine ermeneutica circa le finalità e la portata delle

predette pattuizioni collettive ; e questa indagine, che è

stata pure del tutto omessa dalla Corte di Brescia, non può esser compiuta da questo Supremo collegio, giacché, ap

punto in considerazione della natura negoziale e privati stica delle pattuizioni stesse, involge la necessità di apprez zamenti di mero fatto, devoluti in via esclusiva ai giudici del merito.

Pertanto, la sentenza impugnata deve esser senz'altro

cassata ; e la causa va, quindi, rinviata ad altra corte,

affinchè, in riferimento all'appello a suo tempo proposto dallo Spinelli, riesamini la controversia, adeguandosi ai

criteri giuridici testé enunciati.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392 ; Pres.

Celentano P., Est. Stella Eichtee, P. M. Cutru

pia (conci, parz. diff.) ; Lomani (Avv. Supino) c.

Min. esteri.

(Conferma App. Roma 2 agosto 1960)

Console — Depositi volontari — llesponsabilità dello Stato italiano (R. d. 7 giugno 1866 n. 2996,

regolamento della legge consolare, art. 114). Console — Depositi ili moneta estera — Oggetto

dell'obbligo di restituzione (R. d. 7 giugno 1866

n. 2996, art. 114).

Lo Stato italiano è responsabile dei depositi eseguiti presso i

consoli ai sensi dell'art. 114 del regolamento consolare. (1) Non essendo ammesso il deposito irregolare presso il console,

questi è tenuto a restituire la somma in moneta estera

ricevuta in deposito, e non Vequivalente in lire ita

liane. (2)

La Corte, ecc. — Deve preliminarmente disporsi la

riunione del ricorso principale e di quello incidentale, clie sono iscritti sotto distinti numeri di ruolo.

Deve esaminarsi poi il ricorso incidentale, che, con il

suo unico motivo, censura la sentenza per avere ritenuto

la legittimazione passiva del ministero degli affari esteri.

L'amministrazione, denunciando la violazione e la falsa

applicazione degli art. 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119

del regolamento per l'esecuzione della legge consolare

approvato con r. decreto 7 giugno 1866 n. 2996, in rela

zione all'art. 28 della Costituzione e al r. decreto legge 5

dicembre 1938 n. 1928, il tutto in relazione agli art. 100

e 360, nn. 1, 3 e 5, cod. proc. civ., sostiene che il deposito in questione erroneamente è stato considerato riferibile

ad essa. In vero i consoli, quando accettano « sotto la loro

responsabilità », ai sensi dell'art. 114 del detto regola

mento, depositi da parte di connazionali, adempiono una

funzione che non rientra tra quelle proprie dell'ammini

strazione degli esteri, ma che li riguarda personalmente. Il contratto di deposito, per essere riferibile all'ammini

strazione, deve essere stipulato con le rigorose e inderoga bili formalità stabilite dalla legge e dal regolamento sulla

contabilità generale dello Stato, mentre il deposito presso

(1-2) Sulla prima massima v., in senso conforme, Cass. 15

maggio 1959, n. 1445 (Foro it., Rep. 1959, voce Console, n. 1, citata nella motivazione della presente), che ha riformato App. Trento 13 settembre 1957 (id., Rep. 1958, voce cit., n. 13 ; rip. in extenso in Foro pad., 1958,1, 04, con nota critica di Biscottini).

Sulla seconda massima, non risultano precedenti editi.

This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 09:42:54 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M. Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteri

327 PARTE PRIMA 328

il console avviene mediante il rilascio di una semplice ricevuta. In particolare, poi, nella specie, sarebbe stata omessa ogni formalità ed i funzionari si sarebbero assunto

l'obbligo di trasferire i rubli in Italia, il che era vietato

dalle leggi russe, ovvero di negoziare la conversione dei

rubli in lire, il che era vietato dalle leggi italiane (r. de creto legge del 1938 citato e successive modificazioni).

Il ricorso è infondato.

Come questo Supremo collegio ha già avuto occasione

di statuire (sent. 15 maggio 1959, n. 1445, Foro it., Rep. 1959, voce Console, n. 1), lo Stato italiano è responsabile dei depositi eseguiti presso i consoli, a norma dell'art. 114

del regolamento consolare 7 giugno 1866 n. 2996. In

vero gli art. 113 e segg. di tale regolamento prevedono

depositi volontari o necessari, la cui differenza consiste

soltanto nell'obbligatorietà di questi ultimi, tutti regolati dalla stessa disciplina : essi sono accertati mediante ver

bali da iscriversi in apposito registro, in cui sono indicate

le monete e i valori od oggetti depositati (o ritirati), la

provenienza e la causa del deposito (art. 115) ; le somme,

gli oggetti preziosi o valori depositati sono custoditi sotto

chiave, dopo essere stati chiusi e suggellati in appositi sacchi ed involti, con un'etichetta indicante il numero

del deposito, il nome del deponente, la natura degli og

getti e l'ammontare della somma depositata (art. 116) ; nel concorso di determinate circostanze i consoli possono ordinare la vendita delle merci od effetti depositati (art. 117) ; i consoli alla fine di ogni semestre devono

inviare al ministero degli affari esteri un elenco dei de

positi eseguiti (art. 119) ; inoltre devono spedire al mini stero gli oggetti e valori depositati, se nel corso di un biennio

non ne sia domandata la restituzione dagli aventi diritto

(art. 118). È da ricordare poi che, a norma dell'art. 2 della ta

riffa consolare approvata con r. decreto 10 agosto 1890 n. 7087, i depositi non sono gratuiti, ma retribuiti con una percentuale del 2%, che si devolve in parte a profitto dello Stato.

Da questa disciplina risulta in modo univoco che i

depositi sono fatti ai consoli a causa e nell'esercizio delle

loro funzioni e che quindi il contratto interviene tra il

deponente e lo Stato, il quale risponde della perdita della cosa depositata. Naturalmente una qualsiasi colpa o negli genza da parte del console rende questo responsabile verso lo Stato, oltre che verso il deponente, ma ciò non

esclude la responsabilità diretta dello Stato, per conto del quale il console agisce. Questo è il significato della

espressione dell'art. 114 «sotto la loro responsabilità», riferita ai consoli. La responsabilità dei consoli è affer

mata anche dall'art. 113, che riguarda i depositi fatti di

ufficio, il che conferma l'insussistenza di una diversa

regolamentazione dei depositi volontari e di quelli ne cessari.

Quanto alle forme da osservarsi, esse sono quelle in dicate dal regolamento e non altre. Che nella specie siano state osservate si deve presumere, dato che il ministero

degli affari esteri ha restituito ai Lomani la valigetta dei

preziosi ed ha dichiarato con la lettera 1° aprile 1948 di tenere a disposizione i rubli, sia pure nella misura ridotta di 1.000 per effetto dell'intervenuto cambio della moneta.

Le promesse che sarebbero state fatte dai funzionari di trasferire i rubli in Italia, convertendoli in lire, non sono state accertate dai giudici del merito. Comunque esse non potevano impegnare l'amministrazione, la quale, in base al contratto di deposito, è tenuta a restituire le medesime come depositate nello stesso luogo, e cioè a

Mosca, non già in Italia. Il ministero, senza esservi te

nuto, ha consegnato la valigetta in Italia e si è interes sato presso il ministero del tesoro per ottenere la conver sione dei rubli, ma ciò in via di mera agevolazione, e non

per un obbligo legale. Le promesse del personale consolare, se intervenute,

devono essere interpretate nello stesso senso, e cioè quello di adoperarsi, in quanto possibile, per consentire ai Lo

mani, non solo di salvare i loro beni, ma anche di poterli ritirare in Italia.

Il ricorso incidentale deve pertanto essere respinto. I primi sei mezzi del ricorso principale denunciano,

sotto vari aspetti, la violazione degli stessi articoli del

regolamento consolare, degli art. 1766, 1768, 1770, 1771,

1774, 1782, 1219, 1277, 1278 cod. civ., nonché dell'art. 7

del decreto 6 giugno 1956 n. 1476, per avere la corte ri

tenuto che si trattasse di un deposito regolare, anziché di un deposito irregolare, che importava l'obbligo di re

stituire l'equivalente in lire italiane della somma deposi tata al cambio al giorno dell'effettuato deposito. Si so

stiene che questa era l'essenza del contratto concluso ; che il cambio si sarebbe dovuto compiere mediante la

commutazione in dollari americani, i quali mantennero fermo il loro valore, rispetto al rublo, dopo l'emissione

dei nuovi rubli ; che il ministero fu posto in mora con la

ripetuta richiesta fatta dai Lomani, prima della detta

operazione monetaria russa ; che la corte non poteva con

dannare il ministero al pagamento di rubli diversi da

quelli depositati, né ad eseguire il pagamento in Italia

di una somma di danaro in una moneta estera non avente

corso nello Stato italiano, emanando così una pronuncia insuscettibile di esecuzione.

Questo assunto, illustrato con dovizia di particolari, è contrastato alla radice dalla considerazione che il rego lamento consolare sopra esaminato prevede esclusivamente

un deposito regolare, posto che impone allo Stato, che

opera attraverso, il console, di custodire le somme, gli oggetti preziosi e i valori depositati sotto chiave, dopo essere stati chiusi e suggellati in appositi sacchi od invo lucri. Ciò esclude nel modo più certo che il console possa servirsi delle somme, per poi accreditare al deponente l'equivalente. Il console, in rappresentanza dell'ammini

strazione, deve conservare e restituire le stesse somme, nel

luogo in cui sono state depositate, e cioè, nella specie, a Mosca e non in Italia. L'interessamento del ministero per l'utilizzo da parte della nostra rappresentanza a Mosca della somma in rubli, interessamento rimasto infruttuoso

per l'opposizione del ministero del tesoro (lettera del 23

gennaio 1948), non può ritenersi fatto che in via di gra ziosa agevolazione, non già per un obbligo legale. Il mi

nistero, del resto, non ha riconosciuto di dover effettuare una restituzione in Italia, ma ha dichiarato solo, nella lettera del 1° aprile 1948, che l'ambasciata a Mosca aveva comunicato che la somma si era ridotta a 1.000 rubli,

per effetto del cambio della moneta, il che dimostra che la somma si trovava ancora a Mosca.

Quindi esattamente la corte di appello ha dichiarato che il ministero è tenuto alla restituzione della eadem

res, vale a dire degli stessi rubli depositati. La circostanza che si siano convertiti i rubli vecchi nei nuovi non costi tuisce violazione del detto principio, poiché l'autorità

consolare, se non poteva disporre della somma, bene po teva e doveva anzi provvedere, usando la normale dili

genza, a cambiare la moneta vecchia nella nuova, per evitare di conservarne una che, decorso il tempo stabilito

per la conversione, sarebbe stata priva di ogni valore. Nessun dovere aveva, invece, di effettuare il cambio in

dollari, ed anzi non ne aveva neppure il potere, perchè, ripetesi, doveva restituire ai deponenti rubli e non altre valute.

La sentenza non ha pronunciato condanna al paga mento dei rubli, condanna che non era stata neppure richiesta ; la domanda era di declaratoria dell'effettuato

deposito e del diritto dei Lomani di ricevere l'equivalente della conversione dei 10.000 rubli in lire italiane ; la sen tenza ha dichiarato che è stato compiuto il deposito e che, trattandosi di deposito regolare, i deponenti hanno diritto di ottenere in restituzione 1.000 nuovi rubli, in sostituzione dei vecchi 10.000. La sentenza cioè non è di condanna, ma di mero accertamento, conformemente alla domanda. Non hanno ragion d'essere quindi le censure sulla inam missibilità di una condanna a pagare una somma non avente corso nello Stato e sulla ineseguibilità della sen tenza.

La insussistenza di un obbligo dell'amministrazione di effettuare la restituzione in Italia rende ultronea ogni

This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 09:42:54 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sezione I civile; sentenza 29 agosto 1963, n. 2392; Pres. Celentano P., Est. Stella Richter, P. M. Cutrupia (concl. parz. diff.); Lomani (Avv. Supino) c. Min. esteri

329 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 330

questione sulla pretesa mora della amministrazione me desima.

I primi sei motivi del ricorso principale devono perciò essere respinti. (Omissis)

Per questi motivi, rigetta, ecc.

I

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 10 agosto 1963, n. 2278 ; Pres.

Civiletti P., Est. G. Rossi, P. M. Pisano (conci, oonf.) ; Caneo (Avv. Cattaneo) c. E.c.a. Roma (Avv. Santoro

Passarelli, Bianco).

(Gassa App. Roma 31 marzo 1960)

Appello iu materia civile — Domanda nuova Ammis

sibilità — Umili (Cod. proc. civ., art. 345). Proprietà — Limitazioni temporali del diritto —

Ammissibilità — Limiti (Cod. civ., art. 832). Sostituzione e fedecominesso — Disposizione te

stamentaria « cum onere » — Validità (Cod. civ., art. 647, 671, 692).

Successione — « Mandatimi post mortem » — Fatti

specie — Insussistenza (Cod. civ., art. 647, 1722).

Non costituisce domanda nuova, come tale improponibile in appello, la contropretesa dell'appellante intimamente

ed imprescindibilmente connessa con la negazione della

situazione giuridica dedotta dall'altra parte a sostegno della propria domandaci)

Sono incompatibili con il diritto di proprietà le limitazioni

temporali che determinano ipso iure il venir meno del

diritto alla scadenza del periodo di tempo prestabilito e

non anche l'onere che comporti solo l'obbligo di procedere alla vendita della cosa. (2)

Non implica sostituzione fedecommissaria la disposizione che

impone all'istituito l'onere di vendere, dopo un certo tempo, la cosa legata e di versarne il ricavato ad un terzo. (3)

L'onere imposto al legatario di vendere l'immobile attribuitogli in proprietà e di consegnarne il ricavato ad un terzo non

configura un'ipotesi di mandatum post mortem. (4)

II

CORTE D'APPELLO DI LECCE.

Sentenza 16 luglio 1963 ; Pres. Piazzalunga P., Est. Mas

sarelli ; Giberna (Avv. Lecciso, Abbatescianni) c.

Traversa (Avv. Tondo, D'Addario, Serra).

Successione — Esecutore testamentario Distin

zione dal « mandatum post mortem » — Fatti

specie (Cod. civ., art. 700, 1722).

La clausola testamentaria, con la quale viene affidato all'unico

erede e a due legatari l'incarico di vendere un bene ere

ditario per provvedere, con il prezzo ricavato, alla costru

zione di una tomba per la famiglia e all'estinzione di

passività aziendali, dà luogo a un mandatum post mor

tem nullo e non alla nomina di esecutori testamentari

valida. (5),

(1) La massima è espressione del prevalente indirizzo della

Suprema corte, ispirato al principio dell'assorbimento, per cui

non si lia domanda nuova quando la situazione processuale determinatasi, per effetto del quid novi, in grado di appello,

mantenga l'oggetto sostanziale della controversia entro limiti

tali che l'emananda pronuncia varrebbe ad assorbire e quindi a rendere improponibile l'originaria pretesa. Corollario di tale

orientamento è clie si lia domanda nuova, come tale improponibile,

quando la parte faccia valere in appello una pretesa diversa o

più ampia che alteri i presupposti e la natura della domanda

I

La Corte, eco. — I due ricorsi vanno riuniti, giacché in

vestono la stessa sentenza, e nell'ordine logico va esaminato

anzitutto il primo motivo del ricorso proposto dall'E.c.a.

in via incidentale. Con esso si denuncia la violazione degli

formulata in prime cure, ili guisa da introdurre nel processo un

nuovo, diverso e più ampio petitum la cui decisione, postulando la necessità di nuove indagini su elementi diversi da quelli dedotti a fondamento della istanza originaria, verrebbe a privase le parti della garanzia del doppio grado di giurisdizione ; cosi Cass. 6 giugno 1963, n. 1507, e 20 luglio 1963, n. 1984, Foro

it., Mass., 439, 578 ; 22 luglio 1963, n. 2031, id., 1963, I, 2348, con nota di richiami. Ugualmente si ha domanda nuova quando, fermo restando il petitum, si deduce una diversa causa petendi che implichi mutamento dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema di inda

gine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia ; mentre non è tale la domanda che, pur modificando la causa petendi, sia impostata su una situazione di fatti identica a quella prospettata in primo grado e per la

quale non sia necessario procedere a nuove indagini : Cass. 19

aprile 1963, n. 953, 30 maggio 1963, n. 1456 e 18 luglio 1963, n. 1970, id., Mass., 277, 426, 572 ; 14 marzo 1962, n. 1456, 12

gennaio 1962, n. 35 e 27 luglio 1962, n. 2167, id., Rep. 1962, voce Appello civ., nn. 120-122, 125 ; 23 marzo 1961, n. 654 e 6 aprile 1961, n. 720, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 73, 75 ; 10 marzo 1960, n. 457, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 126, 127 ; 17 aprile 1959, n. 1156 e 21 ottobre 1959, n. 3015, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 85, 93, nonché, in motivazione, Cass. 12

luglio 1962, n. 1862, id., 1962, I, 1445. In dottrina, cons. Andrioli, Commento, 1956, II3, pag. 456

e seg. con ampi richiami di giurisprudenza ; Giudiceandrea, Le impugnazioni civili, 1952, pag. 130.

(2) Non risultano precedenti in termini. In dottrina, sulla proprietà temporanea, cons. Pescatore,

Considerazioni sul diritto di proprietà, in Studi in memoria di F.

Vassalli, 1960, I, 2, pag. 170 e segg. ; De Martino, Della

proprietà, in Commentario del codice civile, a cura di A. Sci alo j a e G. Branca, 1957, pag. 124, anche per ulteriori richiami in dottrina ; Messineo, Man. dir. civ. e comm., II, pag. 243 e 244 ; Barassi, La proprietà, pag. 85 e segg.

(3) In ordine agli elementi costitutivi della sostituzione

fedecommissaria, vedi Cass. 10 luglio 1957, n. 2743, Foro it., 1958, I, 62, con nota di richiami, cui adde, Giannattasio, Delle

successioni, 1961, II, 2, pag. 387 ed ivi ulteriori richiami giuris prudenziali.

Nel senso che le norme sull'interpretazione dei contratti sono, in massima parte, applicabili in materia testamentaria, come

implicitamente affermato dalla sentenza in esame, che, oltre al principio dell'individuazione dell'intento pratico del de cuius, fa richiamo al criterio ermeneutico della conservazione del

negozio, sancito dall'art. 1367 cod. civ., vedi Cass. 5 marzo

1959, n. 629, Foro it., 1960, I, 824.

(4-5) Sui limiti entro i quali l'istituto del mandatum post mortem può trovare applicazione nel nostro ordinamento giu ridico, vedi Cass. 4 ottobre 1962, n. 2804, Foro it., 1963, 1,49, con nota di richiami, cui adde, Giannattasio, Delle successioni, cit., pag. 25 ; MlRABEIXI, Dei singoli contratti, 1960, IV, 3, pag. 522 ; Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, 1957, pag. 23 e segg.

In particolare, sulla natura giuridica dell'esecutore testa

mentario, nel senso che si tratti di un ufficio (pubblico o pri vato), in giurisprudenza : App. Lecce 15 febbraio 1960, Foro it.,

Rep. 1961, voce Successione, n. 109 ; App. Napoli 15 giugno 1957.

id., Rep. 1957, voce cit., n. 249 ; Trib. Roma 10 maggio 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 178 ; Cass. 5 agosto 1940, n. 2774, 14 febbraio 1940, n. 552, id., Rep. 1940, voce cit., nn. 236, 237.

In dottrina : Barbero, Sistema del dir. priv. it., 1962, II,

pag. 1100 ; Candian, Del c. d. ufficio privato e in particolare dell' esecutore testamentario, in Temi, 1952, 379 ; Messineo, Man. dir. civ. e comm., 1947, III, pag. 397 ; Manca, Libro delle success,

e donaz., in Commentario D'Amelio, 1941, pag. 620. Nel senso invece che si tratti di mandato post mortem, in dottrina : Fer

rara, Diritto privato attuale, 1945, II, pag. 551 ; Coviello L., Il

« mandatum post mortemi, in Riv. dir. civ., 1930, 49; Venzi, Note al Pacifici-Mazzoni, Istituz. di dir. civ. it., 1921-29, VI,

1, pag. 602 ; o, comunque, di mandato sui generis, Gangi, La

successione testamentaria, 1952, II, pag. 535. La sentenza 19 febbraio 1962, n. 331, con la quale la Cas

sazione, annullando la sentenza della corte territoriale, ha rin

viato la causa alla Corte d'appello di Lecce, è riassunta in Foro it., Rep. 1962. voce Testamento, n. 37,

This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 09:42:54 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended