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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1999, n. 9280; Pres. ed est. Ferro, P.M. Buonajuto (concl....

Date post: 29-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1999, n. 9280; Pres. ed est. Ferro, P.M. Buonajuto (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Stefano) c. Boniciolli. Conferma App. Torino 13 settembre 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 3171/3172-3173/3174 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193544 . Accessed: 24/06/2014 20:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.146 on Tue, 24 Jun 2014 20:22:23 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 3 settembre 1999, n. 9280; Pres. ed est. Ferro, P.M. Buonajuto (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Stefano) c. Boniciolli. Conferma App. Torino 13settembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 3171/3172-3173/3174Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193544 .

Accessed: 24/06/2014 20:22

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3171 PARTE PRIMA 3172

Del resto, e questa è la riprova della non condivisibilità del

riferito orientamento, nella citata sentenza — evidentemente nella

consapevolezza delle considerazioni finora svolte — si è posto l'accento sulle «dimensioni delle opere programmate» e, solo

quale conseguenza delle stesse, su manufatti stabili del cantiere, finendo però in tal modo:

a) con il dare rilevanza ad un elemento esterno allo stabili

mento, quale è la commessa, che il legislatore non ha preso in considerazione;

b) con l'attribuire sostanzialmente l'agevolazione solo alle im

prese edilizie che abbiano «già» avuto in appalto un'opera che

richieda un'attività (pur se non potenzialmente indeterminata

nel tempo) di notevole durata, determinando così una discrimi

nazione — che non trova fondamento normativo — tra le im

prese che abbiano avuto una commessa di notevole dimensione

e tutte le altre nonché tra le prime e quelle che, pur avendo

la stessa potenzialità produttiva, eseguano commesse continua

tive ma di non rilevanti dimensioni;

c) con il precludere l'agevolazione a determinate imprese —

potendo l'assunzione di commesse di notevoli dimensioni essere

correlata alla proprietà di macchinari e strumenti particolari e

costosi più che al numero di operai impiegati — nonostante

le stesse, al pari di quelle che beneficerebbero dell'agevolazione, diano lavoro ad un medesimo numero di operai, mentre, come

si è più sopra sottolineato l'assunzione di manodopera costitui

sce la ratio della norma agevolativa. Va infine rilevato che, quale che sia l'effettiva estensione che

voglia darsi al concetto di attività potenzialmente duratura nel

tempo, non potrebbe prescindersi — stante la durata decennale

dell'agevolazione — da una potenzialità produttiva di egual pe riodo, con la conseguenza di attribuire l'agevolazione ad un ri

stretto (e forse addirittura inesistente) numero di imprese senza

che possa rinvenirsi nella legge una limitazione di siffatta porta ta nell'ambito della stessa categoria.

Relativamente all'Ilor, il ricorso deve essere pertanto accolto.

Non essendo al riguardo necessari ulteriori accertamenti, può provvedersi nel merito ai sensi dell'art. 384, 1° comma, c.p.c.,

rigettando il ricorso avverso il diniego di ammissione all'esen zione concernente l'Ilor.

Per quanto riguarda invece l'Irpeg, il successivo art. 105, nel

prevederne la riduzione a metà per il periodo di dieci anni, si limita a far riferimento alle «imprese che si costituiscono in

forma societaria nei territori indicati nell'art. 1 per la realizza

zione di nuove iniziative produttive». Non è richiesta pertanto la presenza di stabilimenti industria

li, necessaria invece per la diversa ipotesi di cui all'art. 101, non potendosi argomentare diversamente sulla base della locu zione contenuta nell'ultima parte («fermo restando il disposto degli art. 101 e 102»),

Con tale espressione non si è inteso infatti richiamare le con dizioni richieste da tali due norme in tema di Ilor, ma solo

garantire il concorso di entrambe le agevolazioni qualora ne ricorrano le condizioni e cioè la possibilità di applicare la dispo sizione agevolativa riguardante l'Irpeg anche ai soggetti che pos sono fruire delle esenzioni relative all'Ilor.

Del resto una diversa interpretazione non solo renderebbe in

comprensibile il rinvio all'art. 102, il quale contiene disposizio ni che si adattano unicamente all'Ilor e non sono estensibili in vece all'Irpeg, ma non terrebbe conto dell'autonomo contenuto della norma che richiede requisiti propri (costituzione di impre se in forma societaria e realizzazione di nuove iniziative produt tive) e non cumulabili con quelli previsti per l'Ilor.

Né, per altro verso, può essere condiviso l'assunto secondo cui la costituzione in forma societaria di un'impresa già esisten te non prefigura di per sé il requisito della realizzabilità di nuo ve iniziative produttive.

La maggiore stabilità che una tale forma assicura ed il confe rimento di capitale per la costituzione della società sono infatti idonei a preconizzare la realizzabilità di nuove iniziative pro duttive ed a configurare così la condizione prevista per la ridu zione dell'Irpeg.

Sul punto il ricorso deve essere quindi rigettato.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 settem

bre 1999, n. 9280; Pres. ed est. Ferro, P.M. Buonajuto

(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Di Stefano) c. Boniciolli. Conferma App. Torino 13 settembre 1996.

Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto

re — Ingiunzione fiscale — Opposizione del contribuente —

Onere della prova (Cod. civ., art. 2697; r.d. 14 aprile 1910

n. 639, testo unico delle disposizioni di legge relative alla pro cedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici, dei proventi del demanio

pubblico e dei pubblici servizi e delle tasse sugli affari, art. 3).

Nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale di cui al r.d.

14 aprile 1910 n. 639, il contribuente ha l'onere di allegare e dimostrare gli eventuali fatti impeditivi, modificativi ed estin

tivi della pretesa tributaria, restando a carico dell'ammini

strazione finanziaria l'onere di provare i presupposti della pre tesa impositiva. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Il primo motivo dedotto a so

stegno del presente ricorso, con denuncia di «violazione e falsa

applicazione dell'art. 3 1. 14 aprile 1910 n. 639 e di principi

generali in tema di opposizione a ingiunzione fiscale e motiva

zione insufficiente e illogica su punti decisivi della controver

sia», investe in termini generali l'affermazione della corte di

merito secondo cui nella situazione processuale in esame l'am

ministrazione non ha adempiuto l'onere probatorio alla stessa

incombente al fine della determinazione quantitativa del conte

nuto pecuniario del debito del Boniciolli con specifico riferi

mento alle violazioni a suo carico accertate in sede penale. L'am

ministrazione ricorrente sostiene che in sede di opposizione ad

ingiunzione fiscale grava sull'opponente l'onere di provare l'in

fondatezza della pretesa tributaria, e afferma che, pertanto, l'op posizione avrebbe potuto trovare accoglimento solo se ed in quan to l'opponente avesse dimostrato positivamente, in termini pun tuali ed esaurienti, l'erroneità del presupposto della liquidazione

operata dall'ufficio secondo cui i quantitativi di prodotti petro liferi, in relazione ai quali l'evasione fiscale doveva ritenersi ri

conducibile al concorso causale del Boniciolli, si identificavano

con quelli ai punti 1, 2, 5, 6, 7, 8, 12 e 14 del capo A del

procedimento penale di primo grado poi trasformato nel capo 18 del procedimento di appello. La censura per tal modo for mulata nei confronti della ratio decidendi della corte pedemon tana è priva di fondamento, e va disattesa. Devesi riaffermare al riguardo, in linea di principio, il più recente orientamento della giurisprudenza di questa corte (v. Cass. 18 aprile 1998, n. 3937, Foro it., Rep. 1998, voce Giudizio (rapporto), n. 16; 22 giugno 1995, n. 7048, id., 1996, I, 971), nel senso che il

thema probandum del quale deve ritenersi onerato il contribuente è circoscritto ai fatti impeditivi, modificativi o estintivi ai quali debba riconoscersi rilevanza a fronte dell'assolvimento, da par te dell'amministrazione, della prova dei fatti costitutivi dell'ob

bligazione tributaria. Infatti, è ben vero che, costituendo l'in

giunzione fiscale un atto amministrativo di autotutela, la stessa non potrebbe essere considerata alla stregua di domanda intro duttiva di un processo giurisdizionale, a differenza di quanto

(1) La decisione in epigrafe — che trova i suoi più immediati prece denti in Cass. 18 aprile 1998, n. 3937, Foro it.. Rep. 1998, voce Giudi zio (rapporto), n. 16, in motivazione; 13 marzo 1996, n. 2092, id., Rep. 1996, voce Riscossione delle imposte, n. 273, e 22 giugno 1995, n. 7048, id., 1996, I, 971, con nota di richiami — ripudia, sulla scorta di un'i nappuntabile motivazione, quell'orientamento (espresso, tra le altre, da Cass. 30 agosto 1995, n. 9161, ibid., 970) che, nel giudizio di opposi zione all'ingiunzione fiscale ai sensi del r.d. 14 aprile 1910 n. 639, ad dossava al contribuente l'onere di provare la mancanza dei presupposti della pretesa impositiva avanzata dall'amministrazione (sulla posizione processuale del contribuente che propone opposizione all'ingiunzione fiscale, v. anche Cass. 23 ottobre 1996, n. 9230, id., Rep. 1996, voce cit., n. 269; sez. un. 11 marzo 1996, n. 1949, ibid., n. 270).

L'incontestabilità delle argomentazioni su cui l'odierna sentenza si fonda lascia pensare (e sperare) che sia per sempre tramontato il tempo in cui la Suprema corte — per usare le parole del presidente estensore — avallava, sulla base di qualificazioni recepite «in termini generici ed ambigui», ovvero in forza di «vetusti concetti», tralaticiamente ri chiamati, una «discriminazione sul piano probatorio correlata alla pura e semplice peculiarità degli strumenti processuali esperibili». [M. An NECCHINO]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

avviene nel procedimento monitorio previsto e regolato nel co

dice di procedura civile, dalla cui disciplina non potrebbe per ciò essere mutuata la consueta affermazione che nella fase di

piena cognizione conseguente all'opposizione la posizione di at

tore compete al creditore istante pur assumendo egli la qualità formale di convenuto in opposizione; peraltro, la qualificazione del giudizio di opposizione quale accertamento negativo pro mosso dal contribuente in veste di attore, troppo spesso recepi ta in termini generici e ambigui, va precisata nel senso che l'og

getto e la dimensione dell'onere probatorio dell'opponente si

atteggino concretamente in funzione della misura in cui risulti

no certi e noti i presupposti costitutivi dell'obbligazione tributa

ria, dei quali all'opponente spetta elidere la rilevanza dimostrando

eventuali fatti impeditivi, modificativi, o estintivi. Né potrebbe valere in contrario il tralaticio richiamo — pur presente in altre

espressioni della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 30 ago • sto 1995, n. 9161, ibid., 970) — al vetusto concetto di presun

zione di legittimità dell'atto amministrativo, del quale non po trebbe quindi essere invocata l'operatività all'interno del pro cesso al fine di invertire la distribuzione dell'onere probatorio,

quale risultante dalla rispettiva pertinenza delle posizioni sostan

ziali in esso confliggenti, con l'accollo al contribuente della prova

negativa in ordine agli elementi generatori della fattispecie im

positiva. L'affermazione, che qui si ribadisce, dei suddetti crite

ri generali appare, tra l'altro, coerente con i principi costante

mente accolti nella giurisprudenza di legittimità in tema di ri

partizione dell'onere probatorio in sede di contenzioso tributario

davanti alle competenti commissioni, nel senso che l'ammini

strazione non può limitarsi ad allegare ma deve, in presenza di contestazione, provare i fatti posti a fondamento della sua

pretesa, senza che possa risultare in alcun modo giustificata una

discriminazione sul piano probatorio correlata alla pura e sem

plice peculiarità degli strumenti processuali esperibili. Si può

quindi (conclusivamente sul punto) affermare, con le parole della

sentenza n. 7048 del 1995, cit., già recepite nella sentenza n.

3937 del 1998, cit., che nei giudizi di opposizione ad ingiunzio ne fiscale la cognizione del giudice ordinario non è circoscritta

alla verifica della legittimità dell'atto impositivo impugnato (al la quale si era limitato, nella vicenda processuale in esame, il

primo giudice, con esito negativo), ma si estende, nell'ambito

delle deduzioni delle parti, alla cognizione del merito completo della pretesa fiscale, al fine di riconoscerla fondata o non fon

data, e ciò comporta che, sempre nell'ambito delle deduzioni

di parte, si debba procedere all'analisi di tutti gli elementi costi

tutivi dell'obbligazione tributaria, ivi compresa la riferibilità della

medesima in tutte le sue componenti genetiche al soggetto indi

cato come contribuente, elementi che vanno allegati e dimostra

ti secondo i principi generali che governano la distribuzione del

l'onere della prova. E giova ricordare, complementarmente, che

l'onere della prova dell'obbligazione sostanziale non si identifi

ca e non si esaurisce nell'obbligo della motivazione del provve dimento impositivo, ponendosi la motivazione dell'accertamen

to e l'onere della prova su piani diversi in quanto la prima si

risolve nell'enunciazione degli elementi utilizzati dall'ammini

strazione nelle sue determinazioni mentre il secondo attiene alla

dimostrazione di tali elementi fattuali in giudizio, onde «l'onere

della prova dei fatti costitutivi della pretesa incombe sempre all'amministrazione anche quando l'atto sia compiutamente mo

tivato, e il carattere sommario della motivazione può solo com

portare — tenuto conto in ogni caso dei limiti della contestazio

ne — un maggior impegno probatorio e richiedere un'ulteriore

allegazione con le modalità e nei termini stabiliti dalle norme

sul processo» (Cass., sez. un., 3 giugno 1987, n. 4853, id., 1987,

I, 2021). (Omissis)

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 30 ago sto 1999, n. 9140; Pres. Giuliano, Est. Segreto, P.M. Ce

niccola (conci, diff.); Gaiba c. Circolo Anspi. Regolamento di competenza d'ufficio.

Competenza civile — Istituzione del giudice unico di primo gra do — Procedimenti pendenti davanti al pretore alla data del

2 giugno 1999 — Effetti (Cod. proc. civ., art. 5, 8, 9; d.leg. 19 febbraio 1998 n. 51, norme in materia di istituzione del

giudice unico di primo grado; 1. 16 giugno 1998 n. 188, pro

roga del termine di efficacia del d.leg. 19 febbraio 1998 n. 51).

Per effetto dell'istituzione del giudice unico di primo grado, in forza del d.leg. 51/98, i procedimenti pendenti davanti al

pretore, in generale, proseguono davanti al tribunale, con ap

plicazione delle disposizioni proprie di detto giudice, compre se quelle introdotte con il suddetto decreto legislativo, perma nendo in capo al pretore, quale unica eccezione alla regola

precedente, le sole cause che, alla data del 2 giugno 1999,

si trovavano nella fase decisoria. (1)

(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1999, I, 2816, con nota di richiami. Se ne riproduce la massima per pubblicare la nota di R.

Frasca.

Giudice unico civile e diritto transitorio.

1. - Il quadro normativo di riferimento. Queste note intendono esa

minare taluni problemi di diritto transitorio inerenti al processo civile,

posti dal d.leg. 19 febbraio 1998 n. 51 istitutivo del giudice unico (1). Come per ogni problema di diritto transitorio conseguente alla soppres sione di un ufficio giudiziario, l'interprete si aspetterebbe di trovare nel testo legislativo norme che disciplinino in generale non solo la sorte

dei procedimenti pendenti avanti all'ufficio soppresso, ma anche la sor

te dei procedimenti, i quali, non essendo pendenti avanti all'ufficio sop

presso al momento dell'efficacia della soppressione, tuttavia, per vicen

de processuali successive ad esso, dovrebbero essere ricondotti, in base

allo stato legislativo anteriore alla soppressione, proprio alle attribuzio ni dell'ufficio soppresso. Ora, mentre nel d.leg. si rinviene una discipli na che espressamente si occupa solo del primo aspetto del problema, non se ne rinviene una che altrettanto espressamente si occupi del se

condo aspetto e l'intenzione del legislatore quanto al modo di disciplina di quest'ultimo si deve desumere per implicazione, con il rischio inevi

tabile dell'adozione di soluzioni contrastanti e connotate da un certo

grado di opinabilità. Le norme da prendere in considerazione ai fini

della questione che si esamina sono gli art. 1, 42 e 132-136 del suddetto

d.leg. Iniziando dalla disposizione dell'art. 1 si apprende che «l'ufficio

del pretore è soppresso, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimen

to degli affari pendenti secondo quanto previsto dal presente decreto».

Nel secondo inciso si aggiunge che «fuori dei casi in cui è diversamente

disposto dal presente decreto, le relative competenze sono trasferite al

tribunale ordinario». Il dato che colpisce in questa norma è la mancata

precisazione del punto di riferimento della pendenza, o — più esatta

mente — la precisazione in senso pieno di esso. Infatti, se è intuitivo

che il legislatore alluda ad un dato temporale, cioè a processi pendenti all'atto dell'efficacia della soppressione dell'ufficio pretorile, non è al

trettanto chiaro se, con la clausola di esclusione della valenza della sop pressione, espressa con l'inciso «fatta salva l'attività necessaria per l'e saurimento degli affari pendenti, secondo quanto previsto dal presente decreto», intenda riferirsi solo ad affari — nel nostro caso a processi civili — pendenti avanti all'ufficio pretorile ovvero anche ad affari pen denti avanti ad altri uffici, in relazione ai quali, a seguito dello svolgi mento processuale successivo all'entrata in vigore — o meglio all'effi

cacia — della riforma, possa venire in considerazione un'attribuzione

di funzioni riferibile, prima della soppressione, proprio all'ufficio pre torile e riguardo alla quale, quindi, ci si debba porre il problema del

se tali funzioni permangano in capo all'ufficio pretorile «mantenuto»,

oppure si intendano trasferite al tribunale. L'interrogativo è ragionevo le non solo per l'assenza di elementi che in modo certo indichino la

scelta fra l'una e l'altra soluzione, ma soprattutto per la presenza di

un elemento testuale, rappresentato dall'uso del termine «esaurimen

to», che indicando un'azione direttamente riferibile all'ufficio pretorile e correlandola alla pendenza dell'affare, sembrerebbe voler alludere ad

una pendenza avanti a quello stesso ufficio. Di modo che il secondo

inciso dell'art. 1, laddove dice che «fuori dai casi in cui è diversamente

disposto dal presente decreto, le relative competenze sono trasferite al

(1) In generale, sulle questioni di diritto intertemporale della legge

processuale civile, v. B. Capponi, L'applicazione nel tempo del diritto

processuale civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 435 ss.

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