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sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1986, n. 718; Pres. Scanzano, Est. F. E. Rossi, P. M. Leo...

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sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1986, n. 718; Pres. Scanzano, Est. F. E. Rossi, P. M. Leo (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Jorio) c. Soc. A. T. Kearney Inc. (Avv. Cavalieri, Randi). Conferma App. Milano 16 ottobre 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 3 (MARZO 1986), pp. 665/666-667/668 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180208 . Accessed: 25/06/2014 02:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.20 on Wed, 25 Jun 2014 02:34:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1986, n. 718; Pres. Scanzano, Est. F. E. Rossi, P. M. Leo(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Jorio) c. Soc. A. T. Kearney Inc. (Avv. Cavalieri,Randi). Conferma App. Milano 16 ottobre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 3 (MARZO 1986), pp. 665/666-667/668Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180208 .

Accessed: 25/06/2014 02:34

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Essa, dunque, erra doppiamente: nel muovere dal presupposto che i concetti di trasferimento e di unità produttiva abbiano

portata diversa negli art. 22 e 13, 1° comma, dello statuto (e qui torna acconcio ricordare come esattamente in dottrina si sia evidenziato che la prima norma costituisce eccezione alla seconda, e quindi non può non avere lo stesso significato che in quest'ul tima ricorre); e nel ritenere che trasferimento rilevante ai sensi dell'art. 22 possa essere anche quello meramente interno all'unità

produttiva. Con la conseguenza che, partendo da questi erronei presuppo

sti, inevitabilmente giunge ad erronee conseguenze nel decidere, in riguardo alla specie, se il reparto costituisca una struttura

autonoma, e conclusivamente abbandonando del tutto, ai fini

dell'applicabilità delle garanzie di cui all'art. 22, il riferimento all'unità produttiva pur in esso posta a base di detta applicabili tà, e fondandosi, all'uopo, esclusivamente nella tutela del rappor to di rappresentanza sindacale: concetto, questo, che se pur rintracciabile nella ratio della norma, non può peraltro consentire di obliterare in maniera totale quello cui, invece, la norma stessa ha riguardo.

Ma anche a voler fare riferimento al criterio invocato dagli intimati, non poteva trascurarsi di esaminare il decisivo punto, se, come sosteneva la società datrice di lavoro, quel rapporto di

rappresentanza fosse riferito all'intera azienda e non al singolo reparto, attesa l'appartenenza del sindacalista Baldacci al consiglio di fabbrica, unico per tutta l'azienda e rappresentativo di tutti i lavoratori di essa, e non di particolari interessi settoriali o di

reparto, oltretutto venuti meno, col venir meno del reparto ricerca cui il Baldacci era addetto.

Il ricorso va dunque accolto, con rinvio della causa ad altro

giudice, che farà applicazione del seguente principio di diritto: « il trasferimento di dirigente sindacale tutelato dall'art. 22 dello statuto dei lavoratori è quello da un'unità produttiva ad altra, e non all'interno della stessa, il cui concetto, unitariamente ricava bile dalle disposizioni dello statuto dei lavoratori che ad essa fanno riferimento, è quello di articolazione autonoma dell'impresa o azienda avente, sotto il profilo funzionale, idoneità ad esplicare in tutto o in parte l'attività di produzione di beni e servizi

dell'impresa della quale è una componente organizzativa {da indivi

duarsi, se del caso, anche tenendo conto di quanto dispone al

riguardo la disciplina collettiva del settore»). (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 febbraio

1986, n. 718; Pres. Scanzano, Est. F. E. Rossi, P. M. Leo

(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Jorio) c. Soc. A. T. Kearney Inc. (Avv. Cavalieri, Randi). Conferma App. Milano 16 ottobre 1981.

Tributi in genere — Imposte dirette — Società ed enti non

residenti senza stabile organizzazione — « Royalties » percepite in Italia fino al 31 dicembre 1981 — Assoggettabili —

Esclusione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e

disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 19; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, istituzione e disciplina dell'im

posta sul reddito delle persone giuridiche, art. 22; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi, art. 3).

Le royalties percepite fino al 31 dicembre 1981 da società ed enti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione non sono assoggettabili ad imposte diret te in Italia. (1)

(1) La Cassazione conferma, sia nelle conclusioni che nelle motiva zioni, l'orientamento già assunto dalle proprie sezioni unite con la sent. 30 novembre 1983, n. 7184 (Foro it., 1984, I, 64, con nota di

richiami) e successivamente confermato anche da Comm. trib. centrale, sez. riun., 21 agosto 1984, n. 7866 (id., Rep. 1984, voce Tributi locali, n. 196) circa la dibattuta questione dell'assoggettabilità ad imposte dirette delle royalties percepite da società ed enti non residenti in Italia fino al 31 dicembre 1981 (è noto che dal 1° gennaio 1982, ai sensi dell'art. 31 d.p.r. 30 dicembre 1980 n. 897, tale questione è stata invece risolta nel senso della tassabilità mediante l'introduzione di un autonomo presupposto impositivo delle suddette royalties).

Il ministero delle finanze, con la circolare 16 ottobre 1984 n.

36/9/748 (riportata in Foro it., 1985, I, 950), aveva preso atto dell'orien tamento assunto dalle sezioni unite della Cassazione ed aveva disposto l'abbandono di tutte le controversie ancora pendenti.

In senso conforme, oltre alle decisioni citate in motivazione, da

Il Foro Italiano — 1986.

Svolgimento del processo. — La A. T. Kearney, con sede in

Chicago, quale società senza stabile organizzazione economica in

Italia, avendo qui percepito nel 1974 compensi derivanti da contratto per l'utilizzazione economica di marchi di fabbrica ed invenzioni industriali (c.d. royalties), stipulato con la s.p.a. A. T.

Kearney, presentava il 30 giugno 1975, a mezzo di rappresentante per i rapporti tributari, nominato ai sensi dell'art. 4 d.p.r. 600/73, cautelare dichiarazione dei redditi ai soli fini dell'imposta locale (i.l.o.r.) sui medesimi, istituita con d.p.r. n. 599/73, con

espressa riserva in ordine alla assoggettabilità a tributo dei detti

compensi. L'ufficio provvedeva all'iscrizione nei ruoli della società dichia

rante per un imponibile di lire 9.613.000, corrispondente al l'imposta di lie 1.365.046; e la medesima ricorreva alla com missione tributaria di I grado, che annullava l'iscrizione e dispo neva il rimborso della somma intanto pagata.

La commissione di II secondo grado confermava tale pronuncia e contro la decisione di quest'ultima, resa il 17 aprile 1979, l'amministrazione delle finanze dello Stato proponeva l'impugna zione prevista dall'art. 40 d.p.r. n. 636/72.

L'adita Corte d'appello di Milano con sentenza 9 giugno/16 otto bre 1981 confermava la pronuncia impugnata, affermando la non

assoggettabilità a tassazione dei compensi in questione non aven do la società alcuna stabile organizzazione produttiva in Italia e qui operando infatti attraverso una società « sussidiaria », assog gettata peraltro ad imposizione fiscale.

Avverso tale sentenza l'amministrazione propone ricorso sulla base di un motivo, ciu la soc. A. T. Kearney resiste con controri corso e memoria.

Motivi della decisione. — Il ricorrente lamenta la violazione e la erronea applicazione dell'art. 4, n. 2, 1. 9 ottobre 1971 n. 825, degli art. 1 e 3 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, degli art. 19, 1° comma, nn. 5 e 6, e 2° comma, lett. b), 49, 3° comma, lett. b), 77, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, dell'art. 25 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 (in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.).

Sostiene cioè l'art. 31 d.p.r. 30 dicembre 1980 n. 897, aggiungendo un n. 9 al 1° comma dell'art. 19 d.p.r. 597/73, ha chiarito la tassabilità dei redditi in questione, con normativa non innovativa rispetto a quella precedente in quanto emanata in base a legge delega concessa allo scopo di integrare, non già di mutare, la disciplina vigente; che l'errore della corte di merito è consistito nell'aver ritenuto assimilabili i redditi in questione, che sono redditi di impresa, ai redditi da lavoro autonomi, mentre nella specie deve farsi riferimento all'art. 77, 2° comma, d.p.r. n. 597/73, che comprende tra i redditi diversi i redditi costituiti da corrispettivi per la concessione in uso di qualunque bene (anche immateriale) diverso dagli immobili; che il criterio di localizzazione territoriale, applicabile alle redevances percepite da

soggetti diversi dalle persone fisiche (solo per le quali vale il testo originario dell'art. 19, 2° comma, lett. b, d.p.r. 597/73), è

quello di cui all'art. 19, n. 6, d.p.r. 597/73, per il quale si considerano prodotti in Italia i « redditi diversi » derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato o relative a beni che si trovano nel territorio stesso; che nella specie, trattandosi di beni

immateriali, devono ritenersi situati in Italia tutti i beni (inven zioni, opere dell'ingegno, ecc.) che ricevono tutela dal nostro ordinamento attraverso il riconoscimento al titolare del diritto esclusivo al loro sfruttamento.

Il ricorso va rigettato. La tesi della ricorrente contrasta senza convincenti ragioni con la giurisprudenza di questa Suprema corte, che, a partire dalla sent. n. 7184 del 30 novembre 1983 (Foro it., 1984, I, 64) delle sue sezioni unite, ha ripetutamente escluso, senza incertezze, la tassabilità dei compensi, derivanti dalla utiliz zazione in Italia di marchi di fabbrica, di opere dell'ingegno o di invenzioni industriali o simili (cosiddette royalties), corrisposti ad un'impresa straniera priva di stabile organizzazione in Italia, prima della entrata in vigore del d.p.r. 30 dicembre 1980 n. 897 (cfr. Cass. nn. 3178 e 4829/84, id., Rep. 1984, voce Reddito delle

persone fisiche (imposta), nn. 231, 429; n. 1626/85, id., Mass., 312).

ultimo v. Cass. 16 dicembre 1985, n. 6374, inedita; 24 maggio 1984, n. 3179, id., Rep. 1984, voce Reddito delle persone fisiche (imposta), n. 232; 24 maggio 1984, n. 3180, ibid., n. 230; Comm. trib. centrale 8 ottobre 1985, n. 8297, Comm. trib. centrale, 1985, I, 725; 4 luglio 1985, n. 6534, ibid., 602; 28 giugno 1985, n. 6403, ibid., 754; 18 giugno 1985, n. 5841, ibid., 515; 4 giugno 1985, n. 5486, ibid., 486; 19 febbraio 1985, n. 1667, ibid., 157; 20 dicembre 1984, n. 11016, id., 1984, I, 850; 10 luglio 1984, n. 7284, Foro it., Rep. 1984, voce Tributi locali, n. 198; 30 giugno 1984, n. 6959, ibid., n. 199; 20 gennaio 1984, n. 545, ibid., n. 200.

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PARTE PRIMA

Il citato d.p.r. n. 897/80 ha espressamente dichiarato tassabili

tali royalties (art. 31), ma con portata innovativa rispetto alla

previgente normativa, della quale la nuova legge non ha un dichiarato carattere interpretativo, che deve anzi escludersi in base alla disposizione dell'art. 45 del decreto stesso, la quale espressamente limita l'applicabilità delle disposizioni dettate dal l'art. 31, nella parte relativa al n. 9 aggiunto all'art. 19, 1° comma

d.p.r. 597/73, ai redditi prodotti dal 1° gennaio 1982 e fissa cosi l'ambito di applicazione della nuova disciplina.

Ciò posto, non vi è dubbio che i compensi in questione, percepiti da imprese commerciali (italiane o straniere, con o senza

stabile organizzazione in Italia), siano, per definizione legislativa, « reddito di impresa ».

Il che è stabilito espressamente dall'art. 51 d.p.r. n. 597, che, definendo il reddito di impresa, prescrive che vanno considerate esercizio di attività commerciale, quando siano svolte in forma

imprenditoriale, le « prestazioni di servizi a terzi ».

Del resto, lo stesso art. 49 d.p.r. n. 597/73, inquadrando nella

categoria del reddito di lavoro autonomo « i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commer cio e dalla utilizzazione economica di opere di ingegno, invenzio

ni industriali e simili », esclude l'inquadrabilità degli stessi in

quella categoria quando siano « conseguiti nell'esercizio di impre se commerciali »: il che significa ovviamente che i redditi in

questione, prodotti in modo « abituale », sono stati considerati, con riferimento alla diversa « professionalità »: o come redditi di

lavoro autonomo (se conseguiti da soggetto non organizzato in

forma imprenditoriale), ovvero come redditi di impresa (quando siano conseguiti da soggetto imprenditoriale organizzato).

Quali componenti del reddito di impresa, percepito da un'im

presa straniera priva di stabile organizzazione in Italia, deve per tanto escludersene la tassabilità ex art. 19, n. 5, del ripetuto

d.p.r. 597 del 1973.

Non merita adesione la pretesa che vada individuata nella

disposizione contenuta nel 2° comma dell'art. 77 d.p.r. 597/73 la

norma che il legislatore avrebbe dettato per sottoporre a tassazio

ne le royalties corrisposte ad una impresa commerciale straniera

non avente in Italia una stabile organizzazione. Tale norma (compresa nel titolo VI che disciplina i « redditi

diversi») correlata al disposto dell'art. 19 dello stesso decreto,

per quanto interessa, considera prodotti in Italia i redditi deri

vanti da concessione in uso di beni mobili.

Secondo quella pretesa, nella previsione di detta norma, essen

do beni mobili anche i beni immateriali, dovrebbe ricomprendersi anche la fattispecie del reddito derivante dalla concessione in uso

di brevetti per invenzioni industriali e simili, poiché la previsione non fa riferimento a quella « occasionalità » di produzione del

reddito che invece risulta menzionata nella « rubrica » e sicura

mente presupposta nel 1° comma.

Ma una siffatta conclusione non ha tenuto conto, tra l'altro,

che la legge del 1980, allorché ha aggiunto all'art. 19 d.p.r.

597/73 la disposizione che considera prodotti in Italia, ai fini

dell'applicazione dell'imposta nei confronti dei non residenti, i

compensi corrisposti a soggetti non residenti per l'utilizzazione di

marchi di fabbrica e di commercio, di opere dell'ingegno e simili,

ha ritenuto, evidentemente non a caso, di comprendere nella

nuova previsione anche i compensi « per l'uso di veicoli, macchi

ne ed altri beni mobili ».

Ha ritenuto cioè che quei compensi di analoga natura erano

stati dal legislatore del 1973 considerati solo in quanto prodotti « occasionalmente », cosi come del resto chiaramente lasciava

intendere la « rubrica ».

Dopo tale innovazione la disposizione contenuta nel 2° comma

del cit. art. 77 deve sicuramente essere intesa in conformità alla

« rubrica », cioè come norma disciplinante il regime dei « redditi

diversi » derivanti da un'attività (« concessione di beni mobili »)

esercitata in modo occasionale.

E non c'è ragione o motivo di sorta, non avendo la stessa

norma subito alcuna modificazione, per cui debba ritenersi che

non vada allo stesso modo interpretata anche per il passato. Meno ancora può poi ammettersi che il legislatore abbia

previsto la tassabilità delle royalties in questione nell'art. 80 d.p.r.

n. 597/73. Tale norma, compresa sempre nel titolo VI, concernente i

« redditi diversi », e rubricata come « altri redditi », dispone che

« alla formazione del reddito complessivo per il periodo di

imposta e nella misura in cui è stato percepito, concorre ogni

altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalle

disposizioni del presente decreto ».

Ma nel decreto proprio i redditi « derivanti dalla utilizzazione

economica di marchi di fabbrica e di commercio e dalla utilizza

li, Foro Italiano — 1986.

zione economica di opere dell'ingegno, invenzioni industriali e

simili » risultano già espressamente considerati, sia (con quella

stessa denominazione) come redditi di lavoro autonomo, sia (con

la denominazione di « prestazioni di servizi a terzi ») come

redditi di impresa. E ciò obbliga ad escludere che gli stessi possano considerarsi

contemplati in quella previsione di chiusura, avente riguardo

unicamente ai « redditi non espressamente considerati ».

Il ricorso va pertanto rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 25 gennaio

1986, n. 498; Pres. Granata, Est. Sensale, P.M. Valente

(conci, conf.); Ciminelli <Avv. Lipari, Jannarelli) c. Vocino

(Avv. Di Mattia, Tozzi). Cassa App. Bari 21 giugno 1981.

Filiazione — Azione di disconoscimento di paternità — Coabita

zione — Mancanza — Prova (Cod. civ., art. 235).

Ai fini dell'azione di disconoscimento di paternità ai sensi del

l'art. 235, n. 1, c.c., il marito deve provare la mancata

coabitazione con la moglie durante il periodo legale del conce

pimento; spetta alla moglie, invece, dimostrare o il ripristino

anche temporaneo della coabitazione oppure che si sia verificato

un incontro occasionale il quale abbia, con ragionevole probabili

tà fondata su circostanze oggettive o soggettive, potuto costituire

occasione per un amplesso. (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione del 14 marzo 1972

Antonio Ciminelli, assumendo di vivere separato di fatto dalla

moglie Concetta Vocino sin dal 1965 e di dimorare costantemente

in Cermania per motivi di lavoro, mentre la moglie viveva in

San Nicandro Garganico presso i genitori, proponeva dinanzi al

Tribunale di Lucerà azione di disconoscimento di paternità nei

confronti di Anna Maria Ciminelli, nata a San Nicandro Garga

nico il 31 dicembre 1971 e indicata negli atti dello stato civile

come sua figlia. Costituitasi in giudizio, la Vocino contestava il fondamento

della domanda, negando che il marito vivesse separato dal 1965,

(1) Sulla base del favor veritatis (che consente di assicurare, quanto

più è possibile, la corrispondenza tra verità reale e verità legale ed è

stato, pertanto, ritenuto, dal legislatore della riforma, più consono alle

azioni di stato del vecchio principio del favor legitimitatis), si è

formato un orientamento giurisprudenziale meno rigoroso di quello determinatosi precedentemente alla legge di riforma del 1975 (Cass. 23

gennaio 1984, n. 541, Foro it., Rep. 1984, voce Filiazione, n. 36; 11

marzo 1976, n. 852, id., 1976, I, 951). Non richiedendo più la legge, ai fini dell'ammissibilità dell'azione di disconoscimento di paternità, la

dimostrazione della « fisica impossibilità di coabitare », bensì quella della mancata coabitazione dei coniugi nel periodo legale del conce

pimento, non si reputa più necessaria la prova da parte del marito

dell'impossibilità materiale in senso assoluto ed obiettivo di rapporti sessuali tra coniugi e, quindi, della lontananza della moglie per tutto il

periodo legale del concepimento, senza possibilità di un'unione momen

tanea. Va, invece, provata soltanto la mancata coabitazione tra i

coniugi nel periodo legale; ciò al fine di eliminare le presunzioni che

si fanno derivare dalla coabitazione: l'esistenza di rapporti sessuali tra

i coniugi e, di conseguenza, il concepimento. Spetterà all'altro coniuge l'onere di provare « il ripristino, anche temporaneo, della coabitazione

(e della correlata presunzione di rapporti) o [...] un incontro occasio

nale, dal quale possa però desumersi in via presuntiva la probabilità di quei rapporti » (come testualmente afferma la sentenza riportata).

Si discostano lievemente da questa impostazione Cass. 23 dicembre

1977, n. 5227, id., 1978, I, 893, e 14 gennaio 1982, n. 232, id., Riep.

1982, voce cit., n. 41, in quanto sostengono che, « promossa l'azione di

disconoscimento di paternità e dedotta dall'attore l'esistenza della

separazione legale, chi si oppone all'accoglimento della domanda deve

fornire la prova che durante la separazione si è verificata la riunione

anche temporanea fra i coniugi e vi è stata la possibilità della copula fecondatrice attesa l'effettività di incontri intimi ». In dottrina, sul

punto, cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984, II,

1478, a cui dire vi sarebbe identità tra la vecchia e la nuova

formulazione dell'art. 235, n. 1, sia nell'ipotesi sia nella ratio: «il

legislatore vuole raggiungere la prova che durante l'anzidetto periodo non sia stato possibile ai coniugi avere rapporti sessuali»; Tamburini

no, La filiazione, Torino, 1984, 57, in linea quasi testuale con la

decisione in epigrafe; Sesta, Le azioni di disconoscimento, di conte

stazione e di reclamo di legittimità, in Trattato, diretto da Re

scigno, Torino, 1982, III, 66, cui adde Violante, I rapporti di

filiazione e le azioni di stato, Napoli, 1984, 97; Azzariti, Discono

scimento (azione di), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino,

1982, III, 22.

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