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Sezione I civile; sentenza 7 febbraio 1984, n. 936; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P. M. Paolucci...

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Sezione I civile; sentenza 7 febbraio 1984, n. 936; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P. M. Paolucci (concl. conf.); Robatto (Avv. Grande Stevens, Jorio) c. Mastrazzo e Passerino (Avv. Dodero, Lojacono). Conferma App. Torino 16 ottobre 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1287/1288-1291/1292 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175691 . Accessed: 24/06/2014 22:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.40 on Tue, 24 Jun 2014 22:42:42 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 7 febbraio 1984, n. 936; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P. M. Paolucci(concl. conf.); Robatto (Avv. Grande Stevens, Jorio) c. Mastrazzo e Passerino (Avv. Dodero,Lojacono). Conferma App. Torino 16 ottobre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1287/1288-1291/1292Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175691 .

Accessed: 24/06/2014 22:42

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1287 PARTE PRIMA 1288

4. - Con il terzo motivo, denunziando la violazione dell'art.

1284 c.c., il ricorrente sostiene, ai fini della debenza degli interessi bancari, che erroneamente la sentenza impugnata ha

attribuito rilievo alla mancata contestazione degli estratti conto, la

quale, invece, non è sufficiente a realizzare la forma scritta

richiesta da detta norma per la pattuizione di interessi superiori al saggio legale.

La censura è infondata. In tema di pattuizione di interessi

eccedenti la misura legale, questa corte ha già avuto modo di

precisare che l'obbligo della forma scritta ad substantiam, impo sto dall'art. 1284, ult. comma, c.c., non comporta che il documen

to negoziale debba necessariamente indicare in cifre il tasso di

interesse, ma, in coerenza con il principio generale secondo cui

l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile

(art. 1346 c.c.), può essere assolto attraverso il riferimento a

criteri, sicuramente e obiettivamente rilevanti, che consentono la

concreta quantificazione del tasso medesimo: l'esigenza formale è

rispettata, cioè, quando nel documento contrattuale le parti indi cano criteri certi ed oggettivi per il calcolo degli interessi, ancorché ciò avvenga per relationem, mediante il richiamo di elementi estranei al documento stesso (v. sent. n. 3028 del 1978,

id., Rep. 1978, voce Interessi, n. 10, in ipotesi di interessi relativi ad un mutuo bancario).

Le norme bancarie uniformi sui conti correnti di corrisponden za stabiliscono che gli interessi dovuti dal correntista si intendono

determinati, salvo patto diverso, « alle condizioni praticate usual mente dalle aziende di credito sulla piazza »; e l'accettazione da

parte del oliente della clausola che, nel modulo contrattuale

predisposto dalla banca, riproduce questa regola, soddisfa il

precetto di pattuizione scritta degli interessi, giacché il riferimento alle condizioni usuali costituisce un criterio di determinabilità

oggettivo, certo e di agevole riscontro: i tassi attivi e passivi che

gli istituti di credito sono tenuti a praticare vengono fissati su scala nazionale con accordi di cartello, per modo che il rinvio al tasso usuale vale ad ancorare la determinazione della misura degli interessi a fatti oggettivi non influenzabili dal singolo istituto

bancario; e il correntista, al momento della stipulazione del

contratto, sa (o dovrebbe sapere, secondo l'ordinaria diligenza) che gli interessi sono suscettibili di variare in relazione .alle dette determinazioni del cartello interbancario ed è in grado, nel corso del rapporto, di verificare l'andamento degli stessi, adeguando corrispondentemente il proprio comportamento.

Ciò posto, è nel vero il ricorrente quando sostiene che l'appro vazione dell'estratto conto che conteggi interessi superiori al tasso

legale non è idonea a documentare la pattuizione: tale approva zione, per la sua natura confessoria, può valere come dichiara zione ricognitrice di una manifestazione negoziale precedente, ma non come espresssione diretta di tale volontà; e tanto meno può supplire alla mancanza dello scritto o essere utilizzata quale elemento presuntivo dell'avvenuta osservanza dei requisiti formali richiesti dalla legge ad substantiam (v., fra altre, sent. n. 1107 del

1975, id., Rep. 1975, voce Contratti bancari, n. 9 e n. 2055 del

1972, id., Rep. 1972, voce Interessi, n. 1). Nella sentenza in esame, però, la c.d. approvazione tacita del

conto non è stata valorizzata in tal senso, bensì in funzione della corretta applicazione, da parte della banca, dei tassi di interesse

vigenti nei periodi cui si riferivano gli estratti conto periodici e

quello finale, laddove l'esistenza del patto di interessi extralegali è stata affermata in base alla sottoscrizione del modulo contrat

tuale, che conteneva la clausola suddetta. E l'argomentazione deve essere condivisa, giacché, una volta accertata l'esistenza di

patto scritto circa la corresponsione degli interessi bancari, la mancata contestazione nei termini degli estratti conto impedisce al correntista di muovere eccezioni in ordine al concreto ammon tare degli interessi computati dalla banca, e, dunque, anche di dedurre la loro pretesa difformità rispetto al criterio dettato in via preventiva con la clausola; la contestazione non riguarda, infatti il titolo negoziale, ma si risolve in una mera questione di fatto relativa alla consistenza pecuniaria di appostazioni del

conto, sicché rientra tra quelle per le quali opera l'efficacia

preclusiva dell'approvazione tacita del conto. {Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 7 febbraio

1984, n. 936; Pres. Mazzacane, Est. R. Sgroi, P. M. Paolucci

(conci, conf.); Robatto (Avv. Grande Stevens, Jorio) c. Ma strazzo e Passerino (Avv. Dodero, Lojacono). Conferma App. Torino 16 ottobre 1981.

Rappresentanza nei contratti — « Contemplatio domini» espressa — Mancanza — Trasferimento immobiliare dell'intero da parte del comproprietario — Efficacia del trasferimento « pro quota ».

La promessa di vendita da parte di uno dei comproprietari di un

bene immobile è inefficace nei confronti dell'altro ove la

spendita del nome (anche) di quest'ultimo non risulti dallo

stesso documento contrattuale (nella specie, è stato ritenuto

irrilevante, ai fini del trasferimento dell'intero immobile,

l'affidamento del compratore circa l'esistenza di una società di

fatto fra venditore e terzo sorta in epoca successiva alla

vendita). (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione del 21 aprile 1964

l'avvocato Aldo Robatto conveniva dinanzi al Tribunale di -Impe ria il sig. Pietro Mastrazzo e, premesso che costui con scrittura 23 maggio 1960 gli aveva venduto un alloggio ed una autorimes

sa, oltre ad un locale sotterraneo, compresi nell'edificio in corso di costruzione in Diano Marina, via degli Oleandri (immobile di

cui aveva preso possesso nel settembre 1961); che tuttavia il

Mastrazzo non aveva aderito al suo invito di redigere l'atto

pubblico, chiedeva che venisse dichiarato il trasferimento a suo

favore dell'immobile in questione. Pietro Mastrazzo, costituitosi,

(1) Fattispecie singolare e piuttosto articolata — stando a quanto ri sulta dallo svolgimento del processo — a dispetto della massima, formu lata, come si sa, nel tentativo di estrarre un principio di diritto, senza peraltro « forzare » la specialità del decisum sostanziale (sarà sufficien te rammentare come l'elegante problema relativo alla necessità della risultanza scritta della contemplatio domini nei trasferimenti immobilia ri sia sorto da una sospetta truffa del compratore, sia pur assolto nel giudizio penale per insufficienza di prove, ai danni del venditore).

Pur nella sostanziale diversità dei casi di specie all'origine delle relative controversie, possono richiamarsi in argomento Cass. 5 maggio 1980, n. 2935, Foro it., 1981, I, 2025, con nota di richiami, sulla mancanza della contemplatio domini, da parte del socio amministratore di una società in nome collettivo irregolare, che non esclude la riferibilità dell'acquisto di beni mobili alla società ex art. 1706 c.c.; Cass. 24 febbraio 1975, n. 691, id., 1976, I, 206, che ha applicato l'art. 1706, 2° comma, c.c. all'acquisto immobiliare compiuto dal socio di una società semplice in nome proprio ma per conto della società.

In dottrina, ai riferimenti citati in nota a Cass. 2935/80, adde G. Ferri, Delle società, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 406, sub art. 2298.

In tema di requisiti formali della contemplatio domini è tutt'altro che agevole orientarsi all'interno dei più recenti sviluppi giurispruden ziali, soprattutto per la scarsa aderenza delle massime alle fattispecie decise. Cass. 20 ottobre 1982, n. 5471, Foro it., Rep. 1982, voce Rappresentanza nei contratti, n. 7, afferma che il principio secondo cui la contemplatio domini non richiede necessariamente formule sacramen tali deve intendersi nel senso che, indipendentemente dall'uso di espressioni dirette a rendere noto il rapporto rappresentativo, questo può essere manifestato da univoci elementi che, vertendosi in tema di trasferimenti immobiliari, devono risultare ad substantiam dallo stesso documento contrattuale (in epoca più risalente v. Cass. 25 gennaio 1975, n. 299, id., Rep. 1975, voce cit., n. 11). Analogamente, a dire di Cass. 14 febbraio 1980, n. 1117 e 4 dicembre 1980, n. 6320, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 3, 4, la spendita del nome deve risultare dal contratto e consistere in una dichiarazione espressa ed univoca ma non necessariamente solenne o legata a formule rituali. E così Cass. 7 apri le 1979, n. 1999, id., Rep. 1979, voce cit., n. 5, asserisce che, in mancanza di un'espressa spendita del nome del rappresentato, gli effetti del negozio ricadono direttamente sul rappresentante anche se l'altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato e dell'interesse del mandante nell'affare, con la conseguenza che la contemplatio domini non può essere desunta da elementi presuntivi (ma v. Cass. 28 giugno 1979, n. 3634, ibid., n. 2). Nello stesso senso Cass. 6 novembre 1978, n. 5057, id., Rep. 1978, voce cit., n. 3; 21 gennaio 1978, n. 270, 25 gennaio 1978, n. 337, 6 dicembre 1978, n. 5777, ibid., voce Mandato, nn. 4-7.

Secondo Cass. 11 gennaio 1980, n. 239, id., Rep. 1980, voce Rappresentanza nei contratti, n. 5, invece, quando non sia richiesta la forma scritta, l'esistenza dei poteri di rappresentanza può dedursi anche da fatti univoci e concludenti, in relazione al comportamento tenuto dalle parti, fra loro e di fronte ai terzi. Più in generale v. Cass. 20 gennaio 1979, n. 459, id., Rep. 1979, voce Mandato, n. 6; 20 gennaio 1980, n. 287, id., Rep. 1980, voce cit., n. 2; 6 luglio 1977, n. 2973 e 2 aprile 1977, n. 1248, id., Rep. 1977, voce Rappresentanza nei contratti, nn. 5, 6.

Per una rapida ricognizione dei diversi orientamenti giurisprudenzia li, cfr. Distaso, l contratti in generale, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, III, 1832 ss.

Nella dottrina più recente in argomento, cfr. U. Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977, 6-8, il quale sembra propendere per l'indispensabilità della « spendita del nome », mai sostituibile con il comportamento concludente dell'agente ove il contratto richieda la forma solenne; G. Mirabelli, Dei contratti in generale2, in Commen tario Utet, Torino, 1980, 360, nota 37, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali indicativi della situazione di incertezza in cui versa la corte di legittimità; (R. Sacco e) G. Denova, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 10, 1982, 391; A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato, già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, 1984, 7 s., nota 14, e 18, nota 30.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

contestava la domanda; e poiché, su sua denuncia, pendeva procedimento penale a carico del Robatto, per truffa e falso, il

procedimento veniva sospeso e -riassunto dal Mastrazzo con ricorso del 18 aprile 1972, dopo che la Corte d'appello di Genova aveva assolto il Robatto, per insufficienza di prove, dai suddetti reati. Nel ricorso il Mastrazzo assumeva che, in dipendenza di tale pronuncia penale, era escluso che egli avesse mai stipulato col Robatto la compravendita in discorso; conseguentemente, chiedeva che venisse rigettata la domanda del Robatto e che

costui fosse condannato a restituirgli l'immobile. Il Robatto si

costituiva ed osservava che la pronuncia penale di assoluzione

per insufficienza di prove sui fatti materiali costituenti il reato

addebitato precludeva ogni ulteriore discussione sui fatti stessi, ai

sensi dell'art. 28 c.p.p.; insisteva pertanto per l'accoglimento delle

domande.

Con ordinanza 10 novembre 1973 il tribunale disponeva la

chiamata in causa ex art. 107 c.p.c. di Albino Passerino, quale

comproprietario dell'immobile in questione; il Robatto vi provve deva, estendendo le sue domande nei confronti del Passerino.

Quest'ultimo si costituiva ed eccepiva che la scrittura privata, intesa a vendere cosa altrui e futura, non gli era opponibile; chiedeva il rigetto delle domande del Robatto e, riconvenzional

mente, la di lui condanna alla restituzione dell'immobile ed al

risarcimento dei danni.

Con sentenza non definitiva del 30 ottobre 1974 il tribunale

rigettava la domanda del Robatto e lo condannava a restituire

l'immobile; provvedeva con separata ordinanza per la prosecuzio ne del giudizio in ordine alle altre domande dei convenuti.

Su appello di tutte le parti, la Corte d'appello di Genova con

sentenza 16 ottobre 1976 confermava nel dispositivo, ma con

diversa motivazione, la sentenza di primo grado, osservando che

l'assoluzione del Robatto per insufficienza di prove si rifletteva

sul documento, inficiandone la validità.

Su ricorso del Robatto, questa corte con sentenza 4 aprile 1978, n. 1525 (Foro it., Rep. 1978, voce Giudizio (rapporto), n.

41), cassava la sentenza della corte genovese e rimetteva la causa

alla Corte d'appello di Torino, anche per le spese di quel

giudizio, affermando il seguente principio di diritto: « La nega

zione, da parte del giudice penale, sia pure per insufficienza di

prove, della sussistenza di un fatto o della sua commissione da

parte dell'imputato, esclude che in sede civile possa disporsi alcun'altra indagine in merito o emettersi diversa statuizione. Di

conseguenza, se il giudice penale esolude, anche per insufficienza

di prove, che una scrittura sia falsa o sia stata carpita con

inganno, tale statuizione fa stato in sede civile in ordine all'au

tenticità del documento e alla sua regolare formazione ».

Il Robatto riassumeva il processo dinanzi alla Corte d'appello di Torino esponendo che della validità della scrittura del 23

maggio 1960 non era più dato dubitare dopo la pronuncia della

Suprema corte; che l'esistenza di una società di fatto fra il

Mastrazzo ed il Passerino (documentalmente provata) comportava l'efficacia anche nei confronti del Passerino della vendita effettua

ta dal Mastrarzo; che, comunque, tale vendita sarebbe stata in

ogni caso valida ed efficace per la metà indivisa dell'immobile;

che ai sensi dell'art. 389 c.p.c. il Robatto doveva essere rimesso

nel possesso dell'immobile, in riforma dell'ordine di rilascio impar tito dal primo giudice e da lui eseguito e precisando le seguenti conclusioni: a) accertare e dichiarare il trasferimento della pro

prietà delle unità immobiliari oggetto della scrittura 23 maggio 1960 da Pietri Mastrazzo ed Albino Passerino all'avv. Robatto; b) in subordine, accertare e dichiarare il trasferimento all'avv. Ro

batto della proprietà della metà indivisa delle unità immobiliari

sopra indicate; c) in ogni caso, dichiarare tenuti e condannare

Pietro Mastrazzo e Albino Passerino all'immediato rilascio, in

favore del Robatto, delle unità immobiliari sopra indicate, nonché

condannare gli stessi al pagamento dei frutti ed al risarcimento

di tutti i danni conseguenti, da liquidarsi in separato giudizio. Quest'ultima domanda, sub c), non era contenuta nella citazione

d'appello dinanzi alla Corte d'appello di Genova.

Il Mastrazzo ed il Passerino si costituivano, sostenendo che

dalla sentenza della corte genovese in sede penale risultava chiaro

che il Mastrazzo non aveva avuto coscienza di sottoscrivere la

cessione dell'immobile in questione, ed allegando altresì che

nessuna società di fatto poteva essere esistita fra il Mastrazzo ed

il Passerino, all'epoca della scrittura, in quanto perfino l'acquisto del terreno era intervenuto in data successiva, e chiedevano la

conferma della sentenza della Corte d'appello di Genova, nel

dispositivo; in subordine, e per quanto riguardava il Passerino,

chiedevano la sua assoluzione, dando atto che la società fra lui

ed il Mastrazzo era stata costituita in epoca successiva all'impe

gno assunto in proprio dal Mastrazzo, nei confronti dell'avv.

Robatto, e che tale impegno non era mai stato assunto dalla

società.

Con sentenza 16 ottobre 1981 la Corte d'appello di Torino —

in riforma della sentenza non definitiva del 30 ottobre 1974 del Tribunale di Imperia — cosi pronunciava: 1) dichiara intervenu to in forza della scrittura 23 maggio 1960 da Mastrazzo Pietro e Robatto Aldo il trasferimento di metà pro indiviso della proprietà dell'immobile meglio descritto in dispositivo; 2) condanna Ma trazzo Pietro e Passerino Albino a rilasciare l'immobile occupato libero di persone e cose a favore di Robatto Aldo, e Mastrazzo Pietro a restituire a Robatto Aldo i frutti percepiti dal giorno dell'uscita di Robatto Aldo, nell'importo che sarà liquidato in

separato giudizio; 3) assolve Mastrazzo Pietro e Passerino Albino dalla domanda di risarcimento danni contro di loro proposta; 4) condanna Mastrazzo Pietro e Passerino Albino a restituire a Robatto Aldo, con gli interessi legali, le somme incassate a titolo di spese di giudizio relativamente alla cassata sentenza della Corte d'appello di Genova; 5) dichiara interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi vertiti avanti la Corte d'appello di

Genova, la Corte di cassazione, nonché le spese del giudizio di

rinvio.

Avverso la suddetta sentenza il Robatto ha proposto ricorso

per cassazione, illustrato con memorie; il Mastrazzo ed il Passe rino hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso inci

dentale, ed hanno depositato memoria e note di udienza.

Motivi della decisione. — I due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

Con il primo motivo del ricorso principale il Robatto deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 2247 ss., 2297, 2257, 2266 ss., 2702 ss., 2730 ss. c.c., nonché difetto di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., osservando che egli aveva

sottoposto alla corte d'appello il problema della sussistenza della società di fatto fra il Mastrazzo ed il Passerino, nei suoi

confronti, per cui non era necessaria quell'indagine — che la corte d'appello aveva compiuto — sull'effettiva esistenza di un fondo sociale, dell'oggetto della società e dell'affectio societatis, essendo sufficiente, invece, l'accertamento di manifestazioni este riori del vincolo sociale, ossia l'accertamento che due o più persone operano nel mondo esterno si da ingenerare nei terzi la

ragionevole convinzione che essi agiscano come soci. La corte

d'appello, secondo il Robatto, aveva trascurato gli elementi forniti da lui a prova del suo assunto, e cioè la confessione del Passerino contenuta nelle lettere del 7 e 27 dicembre 1961.

Con il secondo motivo, il Robatto deduce la violazione e falsa

applicazione, sotto un diverso profilo, degli art. 2297, 2257, 2266 ss. c.c., nonché difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censurando quell'affermazione della corte d'appello secondo cui, anche a voler ammettere l'esistenza di una società di

fatto fra il Mastrazzo ed il Passerino, il Robatto non avrebbe

acquistato la proprietà deH'(intero) appartamento in quanto nel

patrimonio della società non era mai entrato il terreno, poi edificato dal Mastrazzo e dal 'Passerino. In punto di fatto, l'affermazione contraddiceva la prova contenuta nella confessione

già citata; sotto il profilo giuridico, non si trattava di stabilire la

posizione giuridica del terreno rispetto alla società, e perciò gli obblighi dei soci che hanno contrattato senza spendere il nome della società, ma piuttosto di valutare l'affidamento dei terzi. L'avere il Mastrazzo ed il Passerino creato l'affidamento del Robatto circa l'esistenza di una società e della proprietà di

quest'ultima di un terreno, superava il problema della definizione dei rapporti fra il bene e i soci della società di fatto.

Quello che contava era che, una volta venuto in essere

l'appartamento, oggetto della compravendita fra il Mastrazzo ed il

Robatto, esso si trovava nel patrimonio della società, o, quanto meno, tale era la situazione apparente ed efficace nei confronti del Robatto. Pertanto — conclude il ricorrente — il Mastrazzo, a norma degli art. 2297, 2257, 2266 ss. c.c., poteva validamente, cioè con efficacia rispetto alla società e all'altro socio, trasferire la

proprietà dell'intero appartamento.

I motivi, per la loro stretta connessione, si devono esaminare

congiuntamente; e essi sono infondati. La sentenza della corte di

Torino, in sede di rinvio, si' regge su due ordini di motivazioni, ciascuna indipendente dall'altra. La prima motivazione è contenu

ta in questi passi della sentenza in cui si afferma: « Dal tenore

dell'atto (compravendita Mastrazzo-iRobatto del 23 maggio 1960)

appare evidente che venditore è Mastrazzo in proprio, posto che

nessun accenno viene fatto né al Passerino, né ad una società con quest'ultimo. (omissis)

« Queste risultanze non consentono di sostenere che alla data del 23 maggio 1960 il Mastrazzo abbia agito a nome e per conto di una società col Passerino. Ogni diversa soluzione urterebbe con tro il tenore degli atti scritti ove risulta che Mastrazzo, vendendo

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1291 PARTE PRIMA 1292

l'appartamento, non ha speso il nome della società. La scrittura 23 maggio 1960 obbliga dunque il solo Mastrazzo, il quale ha

venduto una cosa futura (l'appartamento da costruire) ed altrui

(il terreno su cui doveva sorgere la costruzione era di proprietà Negro). Del bene cosi venduto, Mastrazzo, dopo venuta ad

esistenza la cosa, ha acquistato in proprietà la metà soltanto ».

La seconda motivazione consiste nella affermazione che non

v'era alcuna prova che alla data della scrittura fra il Mastrazzo

ed il Passerino vi fosse una società di fatto, e che il terreno

successivamente da loro comprato in comunione fosse stato co

munque conferito nella società fra di loro. Si omettono i partico lari di questa motivazione, data la loro irrilevanza in forza di

quanto subito si dirà. Invero, la prima motivazione è da sola sufficiente a sorreggere la decisione impugnata, e ciò anche accedendo alla tesi, sostenuta nei due motivi del ricorso, secondo cui — indipendentemente dall'esistenza o meno di una reale

società — l'apparenza di una società era stata esteriorizzata nei confronti del Robatto da una serie di elementi, fra cui principal mente le dichiarazioni confessorie del Passerino. Invero, il colle

gio osserva che nella specie si trattava della vendita di un bene

immobile, per cui era necessario ad substantiam l'atto scritto, da cui devono risultare gli elementi essenziali del contratto, tra i

quali, in primo luogo, le parti. Soltanto dallo scritto poteva risultare se il Robatto avesse stipulato la scrittura in nome

proprio ovvero anche in nome della società (e, quindi, impegnan do anche l'altro socio). La corte di Torino ha espressamente e

reiteratamente escluso che il Robatto avesse speso il nome o

dell'altro socio Passerino o della società, traendone la conseguen za che il contratto fosse impegnativo soltanto per il Robatto.

Avverso questa parte della motivazione, il ricorrente solleva

espressamente una sola censura: che nonostante la mancata

spendita del nome (ripetutamente ammessa sia nel ricorso, sia nelle memorie), tuttavia soccorreva a suo favore l'affidamento creato dal Robatto e dal Passerino circa l'esistenza della società e

circa la proprietà di quest'ultima di un terreno. Ha chiarito

questa censura nelle memorie, osservando che la contemplatio domini è richiesta in materia di rappresentanza negoziale, non in

tema di rappresentanza organica, in quanto il socio-amministrato

re di una società collettiva irregolare è investito ipso iure dei

poteri della rappresentanza sociale e non li riceve in virtù di un

mandato degli altri soci. E conclude affermando che il socio

Mastrazzo, se pure non ha speso il nome del socio Passerino, aveva validamente impegnato la società fra i due costituita, con

l'atto di disposizione dell'appartamento a favore dell'avv. Robatto.

La censura non ha fondamento. In primo luogo, il problema della contemplatio domini è diverso da quello dell'esistenza del

potere rappresentativo e non può pertanto dedursi, dai poteri di

rappresentanza sociale (appartenenti senza dubbio a ciascun socio

di società di fatto) la non necessità della contemplatio domini in

materia societaria. Un orientamento giurisprudenziale minoritario

(cfr. Cass. 25 luglio 1967, n. 1934, id., Rep. 1967, voce

Obbligazioni e contratti, n. 28, ed altre più recenti, come Cass. 28 settembre 1977, n. 4133, id., Rep. 1977, voce Società, n. 206) ha affermato che la rappresentanza può essere dedotta, oltre che

da un'espressa dichiarazione del soggetto agente, da ogni altro

elemento dal quale risulti che l'attività di questo si svolge in

attuazione del potere di rappresentanza a lui conferito; e la

circostanza che un ente (anche non persona giuridica ma semplice

organizzazione dotata di autonomia patrimoniale) esplica la pro

pria attività esclusivamente attraverso persone fisiche, induce a

presumere che è stato posto in essere per suo conto l'atto

compiuto dalla persona fisica che per esso è abilitata ad agire e

attinente alla specifica attività dell'ente medesimo. È stato

esattamente opposto che tale circostanza è di per sé irrilevante, in quanto il rappresentante può avere una propria sfera di

attività contrattuale, autonoma e distinta da quella del rappresen tato (Cass. 24 gennaio 1966, n. 299, id., Rep. 1966, voce

Mandato, n. 12; fra le altre) per cui, anche in materia di società, è necessaria l'espressa contemplatio domini e se il rappresentante della società non ne spenda il nome (o non spenda il nome degli altri soci, quando si tratta di società di fatto) il negozio concluso

spiega effetto solo nei confronti del rappresentante, ancorché esso

riguardi interessi o beni comuni (Cass. 24 febbraio 1975, n. 691,

id., 1976, I, 213; 16 novembre 1970, n. 2417, id., Rep. 1971, voce

Società, n. 241).

Ugualmente nessun pregio ha l'argomento basato sull'apparenza o sull'affidamento. Poiché, in tema di trasferimento immobiliare, la contemplatio domini, pur non richiedendo l'uso di formule

sacramentali, deve risultare ad substantiam dallo stesso documen

to contrattuale (Cass. 20 ottobre 1982, n. 5471, id., Rep. 1982, voce Rappresentanza nei contratti, n. 7), l'affidamento creato da

elementi extratestuali, quali sono quelli indicati dal ricorrente,

non ha alcun valore. Infine, non ha attinenza con il problema in

esame l'affermazione, che — sempre in forza di tale affidamento — la società rispondeva verso il ricorrente con tutti i suoi beni, ivi compresi gli immobili, perché il problema suddetto riguarda il

trasferimento immobiliare e non la responsabilità patrimoniale per

l'adempimento delle obbligazioni contratte dalla società.

Concludendo, anche ammesso che esistesse (o, comunque, appa risse) una società fra il Mastrazzo ed il Passerino, con conseguen te potere del primo di impegnare anche il secondo, senza alcuna

necessità di procura scritta, stante la fonte legale ex art. 2297, 2°

comma, c.c. del potere di rappresentanza in ordine alla disposi zione dei beni comuni immobiliari, tuttavia la necessità della forma scritta sussisteva per il contratto con il Robatto e pertanto soltanto da esso doveva risultare documentalmente il concreto

esercizio del potere di rappresentanza (contemplatio domini), sen za del quale, per giurisprudenza costante il contratto poteva avere effetto soltanto per il Mastrazzo che dichiarava di agire in

proprio, indipendentemente dalla circostanza che il Robatto sa

pesse (o potesse contare sull'affidamento) dell'esistenza del rap porto sociale interno e dei poteri di rappresentanza reciproca che esso comporta (Cass. 17 novembre 1969, n. 3735, id., Rep. 1970, voce Obbligazioni e contratti, n. 315; 29 aprile 1976, n. 1532, id.,

Rep. 1976, voce Mandato, n. 5). Infatti, l'art. 2297, 2° comma è basato sull'agire per la società, come fondamento della rappresen tanza sociale. {Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 23

gennaio 1984, n. 555; Pres. Cusani, Est. Losurdo, P. M. Della

Rocca (conci, conf.); Soc. Le Assicurazioni d'Italia (Avv.

Iannotta) c. Soc. S.i.p. (Aw. Sartorelli). Conferma Trib. Bo

logna 24 luglio 1980.

Responsabilità civile — Infortunio del dipendente per fatto

illecito del terzo — Danno del datore di lavoro — Risarcibilità

(Cod. civ., art. 2043).

Il datore di lavoro, che abbia continuato a retribuire il proprio dipendente durante il periodo di assenza dal lavoro per infor tunio colpevolmente causato da un terzo, subisce un danno

risarcibile anche se il lavoratore infortunato può essere sostitui to senza difficoltà. (1)

II

PRETURA DI MIRANDOLA; sentenza 19 marzo 1983; Giud.

Giorgio; Bedini (Avv. Pacchioni) c. Negrelli (Avv. T. Sil

vestri).

Responsabilità civile — Infortunio del dipendente per fatto

illecito del terzo — Danno del datore di lavoro — Risarcibilità

(Cod. civ., art. 2043).

Responsabilità civile — Infortunio del dipendente per fatto illecito del terzo — Pagamento dei contributi assicurativi obbli

gatori da parte del datore di lavoro — Risarcibilità (Cod. civ., art. 2043).

Il datore di lavoro, che abbia continuato a retribuire il proprio dipendente durante il periodo di assenza dal lavoro per infor tunio colpevolmente causato da un terzo, subisce un danno risarcibile anche se il lavoratore infortunato può essere sostitui to senza difficoltà. (2)

Il datore di lavoro ha diritto al risarcimento delle somme versate

agli istituti previdenziali, a titolo di contributi assicurativi ob

bligatori, nel periodo di assenza del lavoratore per infortunio colpevolmente causato da terzi. (3)

(1-3) (Problema tra i più dibattuti, il diritto del datore di lavoro al risarcimento del danno per le somme erogate, a titolo di retribuzione e senza godimento della prestazione corrispettiva, al dipendente infortu nato per atto illecito di un terzo, ha ricevuto, negli ultimi anni, consacrazione in numerose decisioni: cfr. Cass. 28 febbraio 1983, n. 1504, Foro it., Mass., 310; 27 maggio 1982, n. 3284, id., Rep. 1982, voce Responsabilità civile, n. 55; 9 febbraio 1982, n. 763, ibid., n. 56; 8 novembre 1980, n. 6008, id., 1981, I, 388, con osservazioni di C. Sciso; App. Milano 22 marzo 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 58; Trib. Milano 14 gennaio 1982, ibid., n. 51; Trib. Firenze 17 settembre 1981, ibid., voce Danni civili, n. 30; Pret. Vittorio Veneto 14 aprile 1982, ibid., voce Responsabilità civile, n. 52; Pret. Brescia 18 luglio 1981, ibid., n. 53; Pret. Milano 11 luglio 1981, ibid., n. 54; Pret. Modena 14 maggio 1981, ibid., n. 61; contra, Trib. Varese 21 settembre 1982, Giur. it., 1984, I, 2, 65, con nota adesiva di Martano, Tutela aquiliana del diritto di credito del datore di lavoro: un

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