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sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia...

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sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia (concl. diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio) e altri. Conferma App. Salerno 26 marzo 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 9 (SETTEMBRE 2005), pp. 2497/2498-2513/2514 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200873 . Accessed: 28/06/2014 18:48 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.103.2 on Sat, 28 Jun 2014 18:48:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia(concl. diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio) e altri.Conferma App. Salerno 26 marzo 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 9 (SETTEMBRE 2005), pp. 2497/2498-2513/2514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200873 .

Accessed: 28/06/2014 18:48

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

art. 38, 1° comma, d.p.r. n. 602 del 1973, 16, 1° e 7° comma,

d.p.r. n. 636 del 1972 (ora art. 19, 1° comma, lett. g, d.leg. n.

546 del 1992), la richiesta di rimborso è idonea a rettificare in

senso favorevole al contribuente la dichiarazione dei redditi

della quale questo dimostri l'erroneità, dato che non vi sono,

prima del 2002, termini di decadenza (diversi da quelli previsti

per il rimborso) per tale rettifica favorevole.

Va comunque avvertito che i termini in discorso debbono co

ordinarsi con quelli inerenti allo stato del procedimento di ac

certamento e riscossione, che, ad esempio, può aver raggiunto, nelle more, uno stadio ormai insuscettibile di regressione.

4.1.5. - Deve pertanto riconoscersi, in riferimento alla nor

mativa vigente all'epoca, l'esattezza del principio di diritto se

guito dai giudici di merito, mentre esula dall'esame di questa corte ogni questione (del resto non prospettata) sulla tempesti vità in concreto della domanda di rimborso.

4.2. - In secondo luogo, nel negare la sussistenza nella specie della prova dell'errore materiale dell'Enpaf nella dichiarazione

dei redditi (per l'asserita non conclusività dei documenti acqui siti in giudizio), il ricorrente censura inammissibilmente una

valutazione di fatto sull'idoneità delle prove documentali, com

piuta dal giudice di appello (tra l'altro) non con acritico richia

mo alla sentenza di primo grado (come incidentalmente affer

mato nel motivo di ricorso), ma con autonoma valutazione, va

gliando gli elementi probatori a disposizione e tenendo conto, in

replica ai motivi d'appello, anche delle integrazioni probatorie

apportate in secondo grado dal contribuente, in particolare circa

la dimostrazione dell'avvenuta registrazione, nel 1992, del con

tratto di locazione.

La doglianza, inammissibile, non può, pertanto, essere presa in considerazione in questa sede.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia

(conci, diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio) e altri. Conferma App. Salerno

26 marzo 2003.

Elezioni — Comune — Sindaco — Subappaltatore di opera

pubblica di interesse del comune — Incompatibilità

(D.leg. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull'ordina mento degli enti locali, art. 63).

Elezioni — Comune — Sindaco — Subappaltatore di opera

pubblica di interesse del comune — Incompatibilità —

Limiti (D.leg. 18 agosto 2000 n. 267, art. 63).

E incompatibile con la carica di sindaco chi riveste la qualità di

subappaltatore nell'ambito di un appalto di opera pubblica di interesse del comune. (1)

La causa di incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di

subappaltatore di opera pubblica di interesse del comune

sussiste fintantoché non sia intervenuta l'approvazione del

collaudo finale. (2)

(1-2) I. - La Corte di cassazione conferma l'orientamento dei giudici di merito (per la decisione di primo grado, v. Trib. Vallo della Lucania 18 novembre 2002, Foro it., Rep. 2002, voce Elezioni, n. 39), equipa rando, ai fini della sussistenza di una causa di incompatibilità con l'esercizio della carica elettiva, la condizione del subappaltatore a

quella dell'appaltatore. Sulla previsione della causa di incompatibilità di cui all'art. 63, 1°

comma, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267 (ai sensi del quale «non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere

Il Foro Italiano — 2005.

Svolgimento del processo. —1.1. - Con ricorso del 17 luglio 2002 al Tribunale di Vallo della Lucania, Antonio Scuderi —

cittadino elettore del comune di Agropoli, nonché consigliere comunale del medesimo comune — con riferimento alla delibe

razione del comune di Agropoli n. 21 del 27 giugno 2002 —

avente ad oggetto la conyalida degli eletti alla carica di sindaco

e di consigliere comunale, a seguito della consultazione eletto

rale tenutasi nelle date del 26 maggio e 9 giugno 2002 — chiese

comunale, provinciale o circoscrizionale [. ..] colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordina mento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di di

ritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della pro vincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovven zionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione»), v., con

riguardo alla disciplina dettata dall'art. 3, 1° comma, n. 2, 1. 23 aprile 1981 n. 154 (e successivamente trasfusa nel testo unico), Cass. 27 set tembre 1995, n. 10238, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 194, 279, la quale ha stabilito che la causa dì incompatibilità con la carica di consigliere comunale nei confronti dell'eletto che «abbia parte», direttamente o in

direttamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, sussiste quando l'eletto è tenuto ad effettuare prestazioni nei confronti del comune in forza di un contratto la cui esecuzione sia in corso al momento delle elezioni; da tale principio, è stato dedotto che la detta causa di incompatibilità non sussiste allorché la prestazione a carico

dell'appaltatore sia già stata eseguita e sia ancora in corso solo l'obbli

gazione del comune committente, tenuto al pagamento del prezzo con venuto.

Conformemente, v. Trib. Pescara 3 febbraio 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 117, secondo cui la situazione di incompatibilità di coloro che partecipano ad appalti nell'interesse del comune sussiste anche

quando i lavori appaltati siano stati da tempo eseguiti, utilizzati e con

tabilizzati, allorché sussiste una proposta del direttore dei lavori per una

perizia di variante sulla quale il comune non si sia ancora pronunciato; Cass. 8 giugno 1992, n. 7063, id., Rep. 1992, voce cit., n. 148, che ha sottolineato come l'esistenza di un rapporto di appalto con l'ente pub blico, quale causa di incompatibilità con la carica di consigliere comu

nale, permanga fino a quando non sia intervenuto il certificato di col laudo — o di regolare esecuzione delle opere — approvato dal detto ente, non rilevando come motivo della sua estinzione la circostanza che

l'appaltatore non vanti più alcun credito o dichiari di rinunciarvi. II. - Per quel che attiene alla diversa ipotesi di limitazione dell'elet

torato passivo che colpisce chi abbia ascendenti o discendenti ovvero

parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appal tatore di lavori o di servizi comunali, v. Corte cost. 31 ottobre 2000, n. 450, id., 2001, I, 789. con nota di richiami, che ha «degradato» la fatti

specie da causa di ineleggibilità a causa di incompatibilità con la carica di sindaco o di presidente della provincia (la declaratoria di incostitu zionalità. diretta principaliter avverso l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, è stata estesa, in applicazione dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87, all'art. 61, 1° comma, n. 2, d.leg. 267/00; da ultimo, l'art. 7 d.l. 29 marzo 2004 n. 80, convertito con 1. 28 maggio 2004 n. 140, ha intro dotto un 1° comma bis all'art. 61 d.leg. 267/00, che così recita: «non

possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia colo ro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al se condo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di

appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore»).

Per un'applicazione in concreto di siffatta causa di incompatibilità, v. Cass. 7 febbraio 2001, n. 1733, ibid., 2882, con nota di richiami

(nella specie, trattavasi di un sindaco i cui figli erano soci di impresa titolare di appalti comunali).

III. - In generale, sulle cause di incompatibilità con cariche elettive locali, v. Corte cost. 30 dicembre 2003, n. 377, id., 2004, I, 655, con nota di richiami, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma 62, 1. 28 dicembre 2001 n. 448, nella

parte in cui abroga l'art. 145, comma 82, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, il

quale stabiliva che la carica di sindaco, presidente della provincia, con

sigliere comunale, provinciale o circoscrizionale non era incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione di società di capitale a partecipazione mista, costituite, in conformità alla deliberazione Cipe del 21 marzo 1997, come soggetti responsabili dell'attuazione degli interventi previsti dall'art. 2, comma 203,1. 23 dicembre 1996 n. 662.

Cfr., altresì, Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305, ibid., 3156, con nota di

richiami, con specifico riguardo all'incompatibilità per lite pendente con l'ente di appartenenza.

Sulle fattispecie che danno luogo a cause di ineleggibilità, v. Cass. 14 febbraio 2003, n. 2195, ibid., 836, con nota di richiami, che ha sta bilito che è ineleggibile alla carica di sindaco di un comune del territo rio in cui esercita le sue funzioni il giudice onorario presso il tribunale.

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2499 PARTE PRIMA 2500

che Luigi Di Marco, eletto alla carica di sindaco, fosse dichia

rato decaduto dalla carica stessa, nonché da quella di consigliere comunale, ricorrendo la causa di incompatibilità prevista dal

l'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. delle

leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui di spone che «non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscri

zionale: ... 2) colui che, come titolare, amministratore, dipen dente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazione di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune ...».

In particolare, il ricorrente deduceva: a) che il comune di

Agropoli, in data 17 giugno 1999, aveva stipulato con la P.M.C,

di Di Palo Rosario Eutimio s.n.c. contratto di appalto, avente ad

oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento

all'impianto di depurazione, per il corrispettivo di lire

631.981.995; b) che la società appaltatrice aveva successiva

mente subappaltato alla I.D.A. di Di Marco Luigino & C. s.n.c.,

con contratto del 4 aprile 2000, la realizzazione delle opere

elettromagnetiche; c) che, pertanto, il Di Marco, in quanto am

ministratore della società subappaltatrice, versava nella predetta causa di incompatibilità; d) che tale causa di incompatibilità avrebbe dovuto essere rimossa ai sensi dell'art. 68 d.leg. n. 267

del 2000, sicché non aveva alcun valore a tal fine la delibera

zione di convalida degli eletti; e) che i rapporti contrattuali tra il

comune di Agropoli e la società P.M.C, non potevano ritenersi

conclusi sulla base della certificazione prodotta ai sensi della di

sciplina vigente, ed in particolare degli art. 187-210 d.p.r. n. 554

del 1999. Costituitosi, Luigino Di Marco, nel resistere alla domanda,

sottolineava: a) che la fattispecie del subappalto, completamente diversa ed autonoma rispetto all'appalto, esulava dalla previsio ne legislativa d'incompatibilità invocata, da intendersi di stretta

interpretazione, in quanto derogatoria rispetto alla regola del

generale diritto di accedere alle cariche pubbliche; b) che la

causa d'incompatibilità invocata non poteva, in ogni caso, ope rare, perché le obbligazioni nascenti dal contratto di subappalto si erano estinte nell'estate del 2000 con la consegna dell'opera

subappaltata ed il pagamento delle relative fatture; c) che i rap

porti tra il comune e la società appaltatrice erano irrilevanti, avuto riguardo alla diversità ed autonomia dei due contratti.

Si costituì in giudizio anche il comune di Agropoli, che, nel

F associarsi alle difese ed alle conclusioni del Di Marco, preci sava che, in data 25 maggio 2002, era stato emesso il certificato

di collaudo statico dell'opera appaltata alla società P.M.C., con

il quale era stato verificato ed accertato che i lavori erano stati

eseguiti a regola d'arte e secondo le prescrizioni tecniche pre stabilite, conformemente al contratto, alle varianti ed ai conse

guenti atti di sottomissione od aggiuntivi debitamente approvati; e che, conseguentemente, non solo si era concluso il rapporto di

subappalto nell'estate del 2000, come dedotto dal Di Marco, ma

anche il contratto di appalto era stato regolarmente eseguito. Il presidente del consiglio comunale di Agropoli e Salvatore

Coppola — altro consigliere comunale — benché ritualmente

citati in giudizio, rimasero contumaci.

Il tribunale adito, con sentenza n. 677/02 del 18 novembre

2002 (Foro it., Rep. 2002, voce Elezioni, n. 39), accolse il ricor

so e dichiarò la decadenza di Luigino Di Marco dalla carica di

sindaco e di consigliere comunale del comune di Agropoli per

incompatibilità. 1.2. - Avverso tale sentenza il Di Marco propose appello di

nanzi alla Corte d'appello di Salerno, chiedendone l'integrale riforma.

Antonio Scuderi, costituitosi, instò per la conferma della

sentenza impugnata. Il comune di Agropoli, il presidente del consiglio comunale e

Salvatore Coppola rimasero contumaci.

La corte adita, con sentenza n. 260/03 del 26 marzo 2003, ri

gettò l'appello, confermando la decisione impugnata. In particolare, e per quanto in questa sede ancora rileva, la

corte salernitana ha così, testualmente, motivato: A) «Prima di

esaminare la fondatezza o meno della proposta impugnazione,

giova evidenziare che, secondo la migliore dottrina, il subap

palto autorizzato spiega, nei rapporti tra appaltatore e subap

paltatore, l'efficacia di un appalto, essendo i relativi rapporti in

Il Foro Italiano — 2005.

tutto simili a quelli che intercorrono, nell'appalto, tra commit

tente e appaltatore. La nota tipica del subappalto, che è data

dalla 'coincidenza, totale o parziale, dell'oggetto del subappalto con l'oggetto dell'appalto' e dalla coincidenza di uno dei sog

getti dell'appalto (l'appaltatore) con uno dei soggetti del subap

palto, non è tale da influire sull'essenza di questi rapporti. Tut

tavia il subappalto 'non è un negozio, per così dire primario o

autonomo', ma trova ragione della sua esistenza in un altro ne

gozio che ne costituisce il presupposto necessario. E un negozio 'secondario' o 'derivato' o 'dipendente', e ciò nel senso che es

so sorge sul fondamento di un altro negozio similare col quale è

destinato a coesistere e con il quale ha comune lo stesso tipo di

causa. Esso non importa traslazione del rapporto originario

quale sia ha nella cessione, ma determina sovrapposizione di

due rapporti (c.d. successione costitutiva), volendosi con ciò

porre in rilievo che la posizione giuridica del subappaltatore non

deriva da un trasferimento, ma è costituita sulla base della posi zione giuridica dell'appaltatore. Questa situazione, tuttavia, è

destinata a determinare interferenze varie tra l'esecuzione del

subappalto e quella dell'appalto. 11 subappaltatore, infatti, oltre

a subire l'influenza del subappaltante, dovrà, di fatto, sottostare

anche all'ingerenza del committente, ingerenza che è molto in

tensa quando committente è la pubblica amministrazione (come

appunto nella specie concreta). Inoltre le vicende del rapporto

giuridico di appalto sono destinate a ripercuotersi sul subappalto

(così in tema di nullità o annullamento dell'appalto; di risolu

zione; di recesso; di impossibilità sopravvenuta; di esecuzione

di ufficio). Il subappaltatore risponde verso il subappaltante dei

difetti e difformità dell'opera (art. 1667 e 1668 c.c.) nonché

delle evenienze previste dall'art. 1669 c.c. Quando siffatte re

sponsabilità sono fatte valere dal committente verso l'appaltato re, questi deve comunicare la relativa domanda al subappaltato re ... entro sessanta giorni dal ricevimento, ciò a pena di deca

denza (art. 1670 c.c.). Il subappaltatore, per il recupero dei suoi

crediti, può invocare la disposizione di cui all'art. 353 legge sui

lavori pubblici, circa la concessione preferenziale sui sequestri sulle somme dovute all'appaltatore dalla pubblica amministra

zione. L'amministrazione committente, peraltro, avvalendosi

della facoltà prevista dal comma 3 bis dell'art. 18 1. 19 marzo

1990 n. 55, introdotto dall'art. 34 d.leg. 19 dicembre 1991 n.

406, può riservarsi di provvedere essa stessa al pagamento dei

lavori al subappaltatore secondo il loro stato di avanzamento. In

tal caso sorge in capo al subappaltatore un vero e proprio diritto

di credito nei confronti dell'amministrazione appaltante, tutela

bile mediante azione diretta in sede giurisdizionale». B) «Tutto

ciò premesso, la corte osserva che l'impugnata sentenza va con

fermata, integrandosene, peraltro, la motivazione come segue. Ben vero, l'art. 63 d.leg. 267/00 stabilisce che non può ricoprire la carica di sindaco 'colui che, come titolare, amministratore,

dipendente con i poteri di rappresentanza o di coordinamento

ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di

diritti, somministrazioni o appalti' nell'interesse dell'ente. Se

condo il tribunale ... 'l'aver parte' esprime un concetto più

ampio rispetto all'esser parti in quanto implica non semplice mente la partecipazione alla stipula dello stesso [contratto], ben

sì la ricorrenza in concreto di un interesse, giuridicamente rile

vante, alla conclusione ed all'esecuzione di tale contratto. A

conforto del suo assunto, il tribunale ha evidenziato che, solo

interpretando così la norma, acquista senso logico e giuridico la

previsione dell'aver parte 'indirettamente', giacché le parti contrattuali non possono che aver parte 'direttamente' all'ac

cordo in ragione della loro stessa posizione giuridica. Ne conse

gue che, essendo l'appalto ed il subappalto strettamente colle

gati, in quanto appaltatore e subappaltatore sono entrambi inte

ressati all'esecuzione del contratto ed alla regolare accettazione,

entrambi hanno parte, l'uno direttamente, l'altro indirettamente

nel contratto di appalto. Detta incompatibilità permane, a giudi zio del tribunale, fino all'approvazione del collaudo, perché solo da quel momento l'appaltatore è esonerato da ogni respon sabilità nei confronti della stazione appaltante». C) «In punto di

diritto, poi, merita conto evidenziare che la or detta norma è di

stretta interpretazione, a termine dell'art. 14 disp. sulla legge in

generale (preliminari al codice civile), in quanto fa eccezione

alla regola generale della eleggibilità stabilita dall'art. 51 Cost.

La ratio della causa di incompatibilità, or detta, tende chiara

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2501 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2502

mente a prevenire che l'esercizio del potere pubblico possa ve

nire influenzato da un rapporto particolare, in cui venga a tro

varsi, con carattere di relativa durata, l'eletto nei confronti della

pubblica amministrazione comunale, di cui diventa organo, per l'eventualità di un contrasto di termini col comune, generatore di parzialità. Per il suo carattere preventivo e generale, di esclu

sione automatica dal pubblico incarico del soggetto che venga a

trovarsi in potenziale conflitto di interessi col comune, l'istituto

dell'incompatibilità non solo si differenzia da quello della vo

lontaria astensione, ma assume valore oggettivo, implicando non la sospensione di potere, limitatamente ad un affare singolo, ma l'inibizione dell'incarico, in via assoluta e preliminare, onde

non è richiesta la presenza di un conflitto attuale, per l'incom

patibilità, ma è sufficiente una mera potenzialità di contrasto

d'interesse fra l'ente pubblico e il soggetto ...». D) «Men che

meno potrebbe sostenersi che ... il tribunale ha applicato la

norma a casi 'analoghi', non espressamente previsti, equiparan do il contratto di subappalto a quello di appalto, con una (non

consentita) interpretazione sostanzialmente analogica (art. 51

Cost.). Nella specie concreta, infatti, il contratto di subappalto costituisce la prova rigorosa ed inequivocabile che l'appellante 'ha interesse' nelle sorti del contratto d'appalto per le ragioni innanzi compiutamente esposte, essendo ... l'appellante (si

multaneamente) sindaco di Agropoli e subappaltatore (quale amministratore della società I.D.A. di Di Marco Luigino & C.

s.n.c.). Non si tratta, quindi, né di interpretazione estensiva, né

analogica, ma di corretta applicazione della norma in esame alla

luce della ratio legis sottesa alla stessa (evitare conflitti di inte

resse; pericolo di parzialità)». E) «Occorre a questo punto ac

certare la permanenza o meno della incompatibilità al tempo della tornata elettorale (9 giugno 2002). Come innanzi enun

ciato, l'incompatibilità sorge con l'aggiudicazione dei lavori ...

e cessa con l'ultimazione dei lavori e specificamente con il cer

tificato di collaudo — o di regolare esecuzione delle opere —

approvato dall'ente, posto che solo la probatio operis, con cui il

committente constata che l'opera è stata compiuta a regola

d'arte, esonera l'appaltatore da responsabilit ... In dottrina, viene puntualizzato che non rileva il fatto che l'appaltatore si

impegni formalmente a non muovere alcuna riserva all'atto del

collaudo, in quanto la rinuncia del solo appaltatore a far valere

pretese nascenti dal rapporto non è idonea a definire il contratto

di appalto, il quale, essendo di natura sinallagmatica, comporta

obblighi e diritti per entrambe le parti e, quindi, pretese che il

comune può far valere a sua volta nei confronti dell'appaltatore, con conseguente perdurare di una potenziale situazione di con

flittualità ..che, come risulta dalle disposizioni speciali (art. 358 ss. legge sui lavori pubblici; art. 121 reg. cont. Stato) nel

l'appalto di opere pubbliche l'attestazione tecnica del collau

datore e l'approvazione del collaudo da parte dell'amministra

zione costituiscono atti 'obbligatori', 'necessari', 'formali'. Ciò

posto, la corte rileva che, nel caso in esame ... non vi è stato un

collaudo impeditivo dell'incompatibilità in esame. Per vero,

stante il declassamento della causa di ineleggibilità a causa di

incompatibilità, opera nella specie il disposto dell'art. 69 d.leg. 267/00, sennonché non risulta dagli atti che fu posto in essere il

procedimento interno, ivi previsto, onde rimuovere la causa di

incompatibilità. È ben vero che dal verbale consiliare del 27

giugno 2002 risulta che in tale sede il Di Marco produsse certi

ficato (rectius: verbale) di ultimazione dei lavori ... datato 21

maggio 2002, ma è altrettanto vero che il collaudo non può es

sere sostituito dal verbale di ultimazione dei lavori, sottoscritto

dal direttore dei lavori e dall'appaltatore, in quanto tale verbale

rappresenta solo uno degli atti inerenti al collaudo, che è proce dimento ben più ampio e complesso ... Peraltro, nell'or detto

verbale, con riferimento al collaudo tecnico-amministrativo, te

stualmente si legge: 'Per quanto attiene la certificazione di col

laudo tecnico-amministrativo si rinvia alle decisioni del sog

getto appaltante che ai sensi dell'art. 28 1. 109/94 ss. ha facoltà

di scelta con il certificato di regolare esecuzione'. Sennonché in

atti non si rinviene detto ultimo certificato, con relativa delibera

di approvazione da parte del comune. Vero è, invece, che nella

specie il comune si adoperò per il collaudo delle opere appaltate . . . In relazione, poi, al certificato di collaudo tecnico

amministrativo, in atti, datato 11 novembre 2002, vanno eviden

ziate: 1) l'irregolarità formale dello stesso per l'omesso avviso

Il Foro Italiano — 2005.

ai creditori di cui all'art. 189 d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554, con conseguente sua illegittimità ex art. 5 1. 20 marzo 1865 n.

2248, ali. E\ 2) l'irregolarità formale dello stesso, per mancanza

in atti della relativa delibera di approvazione; 3) la provvisorietà dello stesso, in quanto, ove valido, acquisterebbe valenza defi

nitiva decorsi due anni dall'emissione del medesimo e, pertanto, nella specie, in data 11 novembre 2004, posto che ai sensi del

l'art. 28 1. 11 febbraio 1994 n. 109, 'decorso tale termine, il

collaudo s'intende tacitamente approvato ancorché l'atto for

male di approvazione non sia intervenuto entro due mesi dalla

scadenza del medesimo termine'. Conclusivamente, non risul

tando perfezionato il collaudo prima della tornata elettorale e

non essendo stata rimossa la causa di incompatibilità con il pro cedimento di cui all'art. 69 d.p.r. 267/00, il Di Marco è deca duto dalla carica di sindaco e da quella di consigliere». F)

«Ogni ulteriore disquisizione, segnatamente circa la sorte che

subirebbe il subappaltatore nel caso in cui la mancata accetta

zione del collaudo da parte del committente riguardasse le sole

opere effettuate dall'appaltatore, avrebbe valenza puramente di

scorsiva e come tale irrilevante ai fini del decidere, posto che, nel caso in esame, non esiste un tempestivo e valido certificato

tecnico-amministrativo e di collaudo». FI) «Del pari inconfe

rente è l'avvenuto deposito del certificato di collaudo statico,

riguardando solo le opere in conglomerato cementizio ed essen

do stato rilasciato, ai sensi degli art. 7 e 8 1. 1086/71 e dell'art. 2

d.p.r. 425/94 in data 25 giugno 2002, posteriormente, cioè, alle

consultazioni elettorali de quibus. Il richiamo alla sentenza

8384/00 [della Corte di cassazione, id., Rep. 2000, voce Opere

pubbliche, n. 307] non è calzante, in quanto nel caso sottoposto all'esame di questa corte non è fatta questione circa l'estensione

al subappalto della normativa concernente la disciplina dell'ap

palto pubblico ... Nessuno dubita, poi, dell'estraneità del sub

appaltatore rispetto al collaudo dell'opera. Nella specie concre

ta, infatti, il richiamo alla disciplina del collaudo è stato neces

sario per stabilire se, al tempo della tornata elettorale, sussistes

se ancora l'accertato interesse potenziale indiretto fra il Di Mar

co amministratore-subappaltatore ed il Di Marco, eletto sindaco.

È indubbiamente riduttivo limitare l'ampio ma preciso spettro di efficacia dell'art. 63 cit. al solo fenomeno dell'interposizione di persone, ancorché nella sua più ampia prospettazione, tanto

più che nella specie concreta ... non si tratta di applicare la

normativa dell'appalto al subappalto, ma di fornire la prova

inequivoca del potenziale conflitto di interessi col comune ...».

F2) «Ugualmente inconferente è la tesi dell'appellante, secondo

la quale l'inoperatività dell'art. 63 cit. deriverebbe, nella specie concreta, dal fatto che il subappaltante avrebbe già pagato, sen

za riserve, le opere subappaltate al Di Marco, posto che la con

dotta privata del subappaltante non può certamente influire sui

riflessi pubblici esistenti tra il subappaltatore ed il committente,

specie ove si consideri che il comune deve approvare i collaudi

(o il certificato di regolare esecuzione) e quindi accertare che

tutte le opere, anche quelle realizzate dal subappaltatore, siano

pienamente funzionanti ed eseguite a regola d'arte e rispondenti alle esigenze pubbliche, diventando, conseguentemente, il sin

daco (nel caso in esame) controllato e controllante nello stesso

tempo, con inevitabile conflitto di interessi, vietato dall'art. 63

cit. Appunto, l'or detto adempimento, riservato alla commit

tente pubblica amministrazione, vanifica il tentativo dell'ap

pellante di eludere il disposto dell'art. 63 cit., sostenendo che

tutte le opere concesse in appalto furono ultimate anteriormente

alla tornata elettorale de qua. Non senza considerare che il ver

bale di ultimazione dei lavori... non è fornito di data certa (art. 2704 c.c.); che l'unica data certa, risultante dall'allegato conto

finale, come da timbro apposto sullo stesso, è quella del 15 ot

tobre 2002; che anche il certificato di collaudo delle strutture

reca la data del 25 giugno 2002 (posteriore, cioè, al ballottaggio, avvenuto in data 9-10 giugno 2002); che, secondo la più accre

ditata dottrina, la constatazione dell'avvenuta ultimazione lascia

del tutto impregiudicata la questione se l'opera risponda alle

condizioni contrattuali ed alle regole dell'arte, per il che non è

necessario che la pubblica amministrazione faccia espressa ri

serva di collaudo nel verbale di ultimazione». F3) «La tesi del

l'appellante, secondo cui 'il subappaltatore non aveva alcun in

teresse ad effettuare il collaudo, perché, dopo che la precedente amministrazione ha accettato l'opera per fatto concludente, ai

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2503 PARTE PRIMA 2504

sensi dell'art. 1667 c.c., l'appaltatore non era tenuto a prestare la garanzia per i vizi e l'eventuale azione del committente sa

rebbe prescritta per intervenuto decorso del termine biennale

(giugno 2000 - novembre 2002), con la conseguenza che anche

l'azione di cui all'art. 1670 c.c. sarebbe prescritta, non ha pre

gio. Infatti, il carattere 'necessario' del collaudo si manifesta nel

senso che esso non ammette rinunzia ..., né equipollenti, come

invece accade nel diritto privato (art. 1665, 3° e 4° comma,

c.c.), costituendo elemento indispensabile ed insostituibile per l'esaurimento di ogni rapporto con l'appaltatore. La ricezione, l'uso dell'opera da parte dell'amministrazione, l'essere stata

l'opera stessa posta a disposizione del pubblico non sono atti

idonei a sostituire il collaudo ... Il carattere 'formale' del col

laudo si manifesta, poi, nel senso che la volontà di accettare

l'opera deve essere sempre espressa, subordinata, com'è, ad una

particolare procedura. Essa deve rivestire forma scritta. Non è

ammissibile nell'appalto di opere pubbliche un'accettazione

implicita o tacita dell'opera, ovvero un'accettazione dedotta da

fatti concludenti o presunta ope legis ...».

1.3. - Avverso tale sentenza Luigino Di Marco ha proposto ri

corso per cassazione, deducendo nove motivi di censura, illu

strati da memoria e nota di precisazione. Resiste, con controricorso, illustrato da memoria, Antonio

Scuderi.

II procuratore generale della repubblica presso la Corte d'ap

pello di Salerno ed il comune di Agropoli, benché ritualmente

intimati, non si sono costituiti, né hanno svolto attività difensi

va.

Motivi della decisione. — 2.1. - Con il primo (con cui dedu

ce: «Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione del

l'art. 63 d.leg. 267/00. Violazione del principio di tipicità dei contratti. Violazione e mancata applicazione degli art. 1372,

1374 e 1366 c.c. Violazione e mancata applicazione dell'art.

187 d.p.r. 544/99. Violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c. per totale

mancanza di motivazione») ed il secondo motivo (con cui dedu

ce: «Error in iudicando. Violazione della medesima normativa

sotto altro aspetto. Difetto di motivazione. Illogicità e contrad

dittorietà») — i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione — il ricorrente criti

ca la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua moti

vazione, sostenendo: a) che l'affermazione — secondo la quale

l'espressione legislativa «aver parte indirettamente» compren derebbe anche la posizione del subappaltatore

— violerebbe il

principio della tipicità dei contratti, in quanto, anche a voler

ammettere la qualità di «parte indiretta» del contratto d'appalto in capo al subappaltatore, siffatta qualità non potrebbe soprav vivere all'estinzione delle obbligazioni nascenti dal contratto di

subappalto, come avvenuto nella specie, tenuto conto che nel

giugno del 2000 erano intervenuti sia la consegna dell'opera

subappaltata, sia il pagamento del corrispettivo; sicché, al mo

mento delle elezioni (maggio 2002), la società subappaltatrice I.D.A. non aveva in corso alcun rapporto con la società com

mittente P.M.C., né, ovviamente, con il comune di Agropoli; b) che l'estinzione degli obblighi nascenti dal contratto di subap

palto renderebbe giuridicamente e materialmente impossibile la

contestata incompatibilità: giuridicamente impossibile, in ragio ne della esclusiva efficacia inter partes (società P.M.C, e comu

ne di Agropoli) del contratto di appalto; materialmente impossi bile, perché ritenere il ricorrente incompatibile, in quanto sub

appaltatore, con la carica di sindaco anche dopo la predetta estinzione significherebbe procrastinare sine die la causa di in

compatibilità, trasformandola di fatto in causa di ineleggibilità, «atteso che, a seguito dell'estinzione del suindicato contratto, il

ricorrente non avrebbe potuto, proprio perché materialmente

impossibilitato, comunque rimuovere l'attività — il subappalto — ritenuta incompatibile con la carica di amministratore pub blico»; c) che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe

manifestamente contraddittoria, laddove, da un lato, afferma che

la sentenza della Corte di cassazione n. 8384 del 2000 non è

calzante al caso di specie e, dall'altro — contraddittoriamente,

appunto — «richiama diffusamente il collaudo per provare un

presunto conflitto di interessi che, in assenza di rapporti giuridi ci tra pubblica amministrazione e subappaltatore, non esiste»;

mentre, invece, se, come affermato dalla corte salernitana, «non

si tratta di estendere al subappalto la disciplina pubblicistica

dell'appalto», le conclusioni non potrebbero essere che due: «a)

Il Foro Italiano — 2005.

che il sindaco non ha alcun conflitto di interessi nel deliberare

in merito a rapporti pubblicistici — il collaudo — che non lo ri

guardavano; b) l'estinzione del subappalto ha determinato la

cessazione della causa di incompatibilità». Con il terzo (con cui deduce: «Error in indicando. Contrad

dittorietà e illogicità. Violazione e falsa applicazione dell'art.

63 d.leg. 267/00») ed il quarto motivo (con cui deduce: «Error

in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 63, 1°

comma, n. 2, d.leg. 267/00. Violazione e mancata applicazione

degli art. 14 disp. prel. c.c. e 51 Cost.») — che possono, del pa

ri, essere esaminati congiuntamente — il ricorrente critica la

sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazio

ne, sostenendo: a) che l'espressione legislativa «aver parte indi

rettamente» sarebbe volta a colpire situazioni «elusive» della

comminata incompatibilità, nelle quali l'eletto, pur avendo sot

toscritto il contratto d'appalto, attraverso meccanismi (legali,

ma) elusivi appunto (quali l'interposizione fittizia di persona, il

negozio fiduciario, la rappresentanza indiretta, il collegamento od il controllo societario), risulterebbe il vero dominus del con

tratto stesso; b) che la stessa espressione legislativa si riferireb

be, in realtà, all'istituto del negozio giuridico «indiretto», ca

ratterizzato dalla divergenza tra scopo perseguito dalle parti e

funzione tipica del negozio stesso, ovvero dalla prevalenza del

motivo personale sulla causa del negozio medesimo; ipotesi,

questa, non ricorrente nel caso del contratto di subappalto de

quo, che, nella specie, avrebbe prodotto i suoi effetti giuridici

tipici; c) che — siccome l'espressione medesima presupporreb be pur sempre un rapporto giuridico, che, in via mediata, vincoli

il subappaltatore alla pubblica amministrazione — l'art. 63, 1°

comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000 sarebbe inapplicabile alla

fattispecie, in quanto, «coerentemente con la tipicità del subap

palto, la stretta interpretazione delle cause di incompatibilità e

l'art. 1372 c.c. ... vincola [le parti del contratto] esclusiva

mente al patto da esse sottoscritto».

Con il quinto motivo (con cui deduce: «Error in iudicando.

Violazione e mancata applicazione dell'art. 6 del contratto di

subappalto. Violazione e falsa applicazione dell'art. 18, comma

3 bis, 1. 55/90 e dell'art. 353 legge sui lavori pubblici. Ultrapeti zione. Violazione dell'art. 14 disp. prel. c.c. Violazione dell'art.

112 c.p.c.»), il ricorrente lamenta che i giudici d'appello — nel

l'evocare l'applicabilità alla specie degli art. 18 comma 3 bis 1.

n. 55 del 1990 e 353 1. n. 2248 del 1865, all. F — avrebbe del

tutto omesso di considerare che, nella specie, la società subap

paltatrice è stata pagata dalla società committente e non già dal

comune di Agropoli. Con il sesto motivo (con cui deduce: «Error in iudicando.

Violazione e mancata applicazione degli art. 1655, 1656, 1667, 3° comma, e 1670 c.c. Contraddittorietà e illogicità della moti

vazione»), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche

sotto il profilo della sua motivazione, e — premesso che, «qua

lora si dovesse ritenere il collaudo elemento dirimente, si osser

va quanto segue» — sostiene che, siccome la società subappal

tatrice ha consegnato alla società committente le opere subap

paltate nel giugno del 2000, il subappaltatore non avrebbe alcun

interesse al collaudo, perché, essendo trascorso il termine bien

nale (giugno 2000 - novembre 2002) di cui all'art. 1667, 3°

comma, c.c., la P.M.C, sarebbe decaduta dal diritto di garanzia nei suoi confronti e, quindi, dall'azione di regresso di cui al

successivo art. 1670.

Con il settimo (con cui deduce: «Error in iudicando. Ultra

petizione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 63 d.leg. 267/00. Violazione e falsa applicazione degli art. 1655, 1656 e 1670 c.c. Violazione e mancata applicazione dell'art. 187 d.p.r. 544/99. Difetto di motivazione. Illogicità e ultrapetizione») e

l'ottavo motivo (con cui deduce: «Error in iudicando. Illogici tà») — i quali possono essere esaminati congiuntamente

— il

ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione, sostenendo: a) che il ritenere il subap

paltatore «parte indiretta» dell'appalto — in quanto pienamente

interessato alla regolare accettazione, da parte della pubblica amministrazione, dell'opera appaltata, al fine di evitare l'azione

di regresso (art. 1670 c.c.) contro di lui esperibile dal proprio committente —

significherebbe rendere indeterminate le cause

di incompatibilità, affidandone l'individuazione, anziché' alla legge, all'interprete; e ciò, in contrasto con la regola, secondo

cui le disposizioni che pongono cause di incompatibilità all'as

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sunzione di cariche elettive, in quanto derogatorie di un diritto

costituzionalmente garantito, sono di «stretta interpretazione»; b) che, contrariamente a quanto opinato dalla corte salernitana, la giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata nell'atto

d'appello sarebbe assolutamente conferente al caso di specie, tenuto conto che essa avrebbe chiarito che l'espressione «avere

parte indirettamente in appalti» si riferirebbe ali'«interposizione di persona» ed a «rapporti fattuali».

Infine, con il nono motivo (con cui deduce: «Error in indi

cando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 187 d.p.r. 544/99. Violazione e mancata applicazione degli art. 28, 3° e 7°

comma, 1. 109/94. Ultrapetizione»), il ricorrente critica la sen

tenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. E) — in merito alle

presunte irregolarità del certificato di collaudo — sostenendo

che l'art. 189 d.p.r. n. 544 del 1999 sarebbe inapplicabile al ca

so di specie, mancandone i presupposti; e che sarebbe «inconfe

rente il fatto che il suindicato collaudo avesse carattere provvi sorio per la semplice ragione che, a seguito di siffatto ragiona mento, si arriverebbe all'assurda conclusione secondo la quale

l'incompatibilità opererebbe anche dopo il collaudo».

2.2. - Il ricorso deve essere respinto, previa parziale correzio

ne ed integrazione in diritto della motivazione della sentenza

impugnata, ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., essendo il

suo dispositivo conforme al diritto.

2.3. - Dal momento che l'oggetto della presente causa è co

stituito dall'accertamento della sussistenza, o no, in capo al ri

corrente, eletto sindaco del comune di Agropoli nella tornata

elettorale del maggio-giugno 2002, della causa di «incompatibi lità di interessi» prefigurata dall'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, cit. — in ragione della sua posizione, quale amministratore della I.D.A. di Di Marco Luigino & C. s.n.c., di

subappaltatore, incaricato della realizzazione delle opere elet

tromagnetiche dall'appaltatrice del comune di Agropoli, P.M.C,

di Di Palo Rosario Eutimio s.n.c., nell'ambito del contratto di

appalto, stipulato da quest'ultima con il comune ed avente ad

oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento

dell'impianto di depurazione comunale — è evidente che, al

centro del giudizio della corte, stanno l'interpretazione della

predetta disposizione, nella parte in cui stabilisce che «non può

ricoprire la carica di sindaco ... colui che, come ... ammini

stratore ..., ha parte, direttamente o indirettamente, in ... ap

palti, nell'interesse del comune ...» (cfr., supra, n. 1.1); non

ché, per la prima volta, la specifica questione se, éd eventual

mente — in caso di risposta positiva al primo quesito — come e

quando, la posizione del subappaltatore nell'ambito di appalto di opera pubblica di interesse del comune sia idonea ad integra re la causa di incompatibilità prefigurata dalla legge.

Tenuto conto della novità della specifica questione sottoposta all'esame di questa corte, appare indispensabile, in limine, svol

gere alcune considerazioni di carattere generale. La disposizione applicabile nella fattispecie riproduce te

stualmente, anche nella parte rilevante in questa sede, la causa

di incompatibilità prevista dall'art. 3, 1° comma, n. 2, 1. 23

aprile 1981 n. 154 (norme in materia di ineleggibilità ed incom

patibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, co munale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale) —

abrogato dall'art. 274, lett. /), d.leg. n. 267 del 2000 — il quale, a sua volta, ha tra

sformato in causa di incompatibilità quella di ineleggibilità sta

bilita dall'art. 15, 1° comma, n. 7. d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570

(t.u. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), secondo cui «non sono eleggi bili a consigliere comunale ... coloro i quali, direttamente o in

direttamente, hanno parte ... in appalti, nell'interesse del co

mune ...» (articolo poi abrogato dall'art. 10, n. 2, 1. n. 154 del

1981). E noto che — a parte le cause di «incandidabilità» alla carica

di amministratore locale (cfr. art. 58 d.leg. n. 267 del 2000), che

si riferiscono ad uno status di inidoneità funzionale assoluta e

non rimovibile da parte dell'interessato — le cause di ineleggi bilità (cfr. art. 60 e 61 t.u.) sono stabilite allo scopo di garantire la eguale e libera espressione del voto, tutelata dall'art. 48, 1°

comma, primo periodo. Cost. («Il voto è personale ed eguale, li

bero e segreto»), rispetto a qualsiasi possibilità di captatio be

nevolentiae esercitabile dal candidato o di metus potestatis nei

Il Foro Italiano — 2005 — Parte I-44.

confronti dello stesso e che la loro violazione determina l'inva

lidità dell'elezione del soggetto ineleggibile, il quale non abbia tempestivamente rimosso la relativa causa; mentre le cause di

«incompatibilità di interessi» (cfr. art. 63 t.u.), quale quella di specie, sono previste al fine di assicurare il corretto adempi mento del mandato elettivo da parte dell'eletto alla carica pub blica e, quindi, prevalentemente, di garantire la realizzazione

degli interessi tutelati dall'art. 97, 1° comma, Cost., secondo cui

«i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di leg ge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'impar zialità dell'amministrazione». Più specificamente, e con riferi

mento alla fattispecie, la ratio (anche) della causa di incompati bilità in esame (annoverabile, appunto, tra le c.d. «incompatibi lità di interessi») «consiste nell'impedire che possano concorre

re all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti

portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromette re l'imparzialità» (così, Corte cost. n. 44 del 1997, id., 1997, I,

990; cfr. anche, e pluribus e tra le ultime, sent. n. 450 del 2000,

id., 2001,1, 789, e n. 220 del 2003, id., 2003,1, 2888). Del resto, in conformità a questi principi, lo stesso art. 78, 1°

comma, d.leg. n. 267 del 2000, nel disciplinare lo status degli amministratori locali (quali individuati nel precedente art. 77, 1°

e 2° comma) e, più in particolare, i loro «doveri», sancisce, tra

l'altro, che il loro comportamento, «nell'esercizio delle loro

funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione».

Il fondamento costituzionale della previsione (anche) delle cause di incompatibilità di interessi all'esercizio della carica di

amministratore locale sta, oltreché nell'art. 97, 1° comma, nel

l'art. 51, 1° comma, primo periodo. Cost., giusta il quale «tutti i

cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere ... alle

cariche elettive, secondo i requisiti stabiliti dalla legge»; anche se la dottrina ha giustamente sottolineato che l'impedimento al

l'esercizio della carica validamente conseguita incide solo indi

rettamente, a differenza di quanto accade per le cause di ineleg

gibilità, sul diritto di elettorato passivo e ne costituisce una li

mitazione soltanto nel senso che l'esistenza di una causa siffatta —

peraltro sempre tempestivamente rimovibile — potrebbe

rappresentare una remora al concreto esercizio di quel diritto,

scoraggiando la presentazione della candidatura da parte di chi

si trovi in una situazione di incompatibilità di interessi.

In ogni caso, la giurisprudenza della Corte costituzionale è

ferma nel ritenere che il diritto di elettorato passivo —

quale di

ritto politico fondamentale, intangibile nel suo contenuto di va

lore ed annoverabile tra quelli «inviolabili», riconosciuti e ga rantiti dall'art. 2 Cost. —

può essere unicamente disciplinato da

leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizza

re altri interessi costituzionali parimenti fondamentali e generali

(quali, appunto, quelli tutelati dall'art. 97, 1° comma, Cost.:

cfr., e pluribus, Corte cost. n. 235 del 1988, id., 1988, I, 1799; n. 539 del 1990, id., 1991, I, 1672, e n. 141 del 1996, id., 1996, I, 2307); che — anche se è vero che l'incompatibilità, a diffe

renza dell'ineleggibilità, non incide sul rapporto di elettorato, né spiega alcuna influenza sulla validità dell'elezione — la pre detta natura del diritto di elettorato passivo implica che esso non

può non riguardare ogni vicenda relativa alla preposizione del

cittadino ad una carica elettiva (cfr., e pluribus, sent. n. 60 del

1966, id., 1966, I, 1837); che ogni limitazione al diritto mede

simo ha carattere di «eccezione» rispetto al generale e fonda

mentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglian za, di tutti i cittadini alle cariche elettive (cfr., e pluribus, sent,

n. 166 del 1972, id., 1972,1, 3313, e n. 1020 del 1988, id., 1989, I, 2414); che, conseguentemente ed in particolare, è necessario

che il legislatore, nello stabilire i requisiti di eleggibilità, deve tipizzarli con determinatezza e precisione, sufficienti ad evitare,

quanto più possibile, situazioni di persistente incertezza, troppo

frequenti contestazioni, soluzioni giurisprudenziali contradditto

rie, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la pro clamata, pari capacità elettorale passiva dei cittadini (cfr. sent,

n. 166 del 1972, cit.); e che — fermo il divieto di interpretazio ne analogica in materia di cause di ineleggibilità e di incompati bilità — le relative disposizioni possono, tuttavia, essere inter

pretate, nel rispetto del canone della ragionevolezza, in senso

«estensivo» rispetto alla mera littera legis (cfr. la fattispecie di

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2507 PARTE PRIMA 2508

incompatibilità di interessi esaminata dalla Corte costituzionale

nella sent. n. 44 del 1997, cit., segnatamente nel n. 5 del 'consi

derato in diritto'). Siffatti principi sono stati integralmente recepiti dalla giuris

prudenza di questa corte (cfr., e pluribus e da ultimo, sent. n.

489 del 2000, id., Rep. 2000, voce Elezioni, nn. 44, 55, e n.

1073 del 2001, id., 2001, I, 2894). Dall'analisi della quale, pe raltro, emerge la conferma della legittimità del ricorso all'inter

pretazione «estensiva» delle disposizioni che stabiliscono cause

di ineleggibilità (cfr., ad es., sent. n. 10845 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 113, che ha esteso la causa di ineleggibilità,

prevista dall'art. 2, 1° comma, n. 6, 1. n. 154 del 1981 per i giu dici conciliatori, anche ai vice conciliatori; nonché sent. n. 2195

del 2003, id., 2004, I, 836, che ha esteso la causa di ineleggibi lità prevista dall'art. 60, 1° comma, n. 6, d.leg. n. 267 del 2000

ai magistrati onorari addetti ai tribunali ordinari ai sensi dell'art.

42 bis ord. giud., aggiunto dall'art. 8, n. 12, d.leg. n. 51 del 1998). Può aggiungersi, con specifico riferimento alle cause di

«incompatibilità di interessi» che — fermo il divieto di inter

pretazione analogica delle disposizioni che le prevedono — a

maggior ragione l'interpretazione estensiva delle stesse è giusti ficata dalla loro ratio: infatti —

posto che esse sono volte ad

impedire l'esercizio della carica elettiva, validamente conse

guita, da parte di coloro i quali, espressamente menzionati, si

trovino in una delle situazioni di potenziale conflitto di interessi

tipizzate dal legislatore — è ben possibile estendere, al di là

dell'interpretazione letterale della disposizione, la causa di in

compatibilità a soggetti che, pur non essendo stati esplicita mente considerati da questa, per la loro posizione giuridica per sonale nei confronti dell'ente locale ed in ragione della sussi

stenza di un potenziale conflitto di interessi, siano assimilabili

ai soggetti espressamente considerati: altrimenti opinando, in

fatti, resterebbe frustrata l'intenzione del legislatore di impedire a tali soggetti, i quali si trovino nella predetta situazione perso nale di incompatibilità di interessi, l'esercizio della carica me

desima. Infine, ribaditi questi principi — ed in particolare che l'inter

pretazione della disposizione applicabile alla fattispecie deve

essere operata esclusivamente alla luce di essi, e che le fattispe cie concrete di ineleggibilità e di incompatibilità debbono essere

giudicate esclusivamente alla luce della specifica disciplina dettata per la loro regolazione

— non è inutile sottolineare che

la disciplina legislativa, non immediatamente volta a regolare le

limitazioni al diritto di elettorato passivo, può rilevare soltanto

nella misura in cui essa sia coerente, ovvero collida, sotto il pro filo della razionalità, con le ragioni della scelta del legislatore di

stabilire, o no, le predette limitazioni: ad esempio, e con riferi

mento alla fattispecie, come sarà specificamente chiarito dalle

successive considerazioni, la disciplina privatistica e pubblici stica dell'appalto e del subappalto di opere, lavori o servizi

pubblici in tanto può influire sull'interpretazione dall'art. 63, 1°

comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000. nella parte che rileva in

questa sede, in quanto essa sia coerente, o no, con le ragioni della causa di incompatibilità ivi prefigurata; con la conseguen za che il dubbio sulla predetta coerenza può eventualmente tra

dursi in dubbio sulla legittimità costituzionale, sotto il profilo della razionalità appunto, della norma che prevede la causa di

incompatibilità. 2.4. - L'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267, nello stabilire

la causa di «incompatibilità di interessi» («non può ricoprire la carica») ivi prevista e rilevante nella fattispecie, pone, ai fini

della sua sussistenza, una duplice, concorrente condizione: la

prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva. È necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il sog

getto — in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica eletti

va — rivesta la qualità di «titolare» (ad es., di impresa indivi duale), o di «amministratore» (ad es., di società di persone o di

capitali: cfr. il n. 1 del medesimo comma, ove si parla più am

piamente, sia pure ad altri fini, di «amministratore di ente, isti

tuto o azienda»), ovvero di «dipendente con poteri di rappre sentanza o di coordinamento», quale può essere, ad es., l'insti

tore o il procuratore di impresa commerciale (cfr. art. 2203

2209 c.c.), o il direttore generale di società per azioni (cfr. art.

2396 c.c.; per l'individuazione dei criteri distintivi del «potere di rappresentanza o di coordinamento», cfr. Cass. nn. 2144 e

Il Foro Italiano — 2005.

2209 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 162, 161; n. 7153 del 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 77; n. 6131 del 1985, id..

Rep. 1985, voce cit., nn. 96, 111; n. 1162 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 116, e n. 1465 del 1995, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 172). L'ampia formulazione di tali qualità soggettive e

l'analisi della giurisprudenza di questa corte, ora ricordata, mo

strano, per un verso, che le predette qualità debbono risolversi,

in definitiva, in poteri di gestione e/o di decisione (quantomeno) relativamente all'appalto; e dimostrano, per l'altro, a conferma

di quanto dianzi affermato, la legittimità del ricorso alla even

tuale interpretazione estensiva della disposizione. In secondo luogo, il legislatore prevede

— come condizione

«oggettiva», che deve necessariamente concorrere con quella

«soggettiva» per la sussistenza della causa di «incompatibilità di

interessi» — che il soggetto, rivestito di una della predette qua

lità, in tanto è incompatibile, in quanto «ha parte ... in appalti, nell'interesse del comune».

Per la comprensione del senso normativo di tale espressione,

pare indispensabile analizzare partitamente le locuzioni che la

compongono. Se si pone l'accento sul termine «parte» della locuzione «aver

parte» e lo si correla alla successiva locuzione «nell'interesse

del comune», appare chiaro che la locuzione «aver parte» allude

alla contrapposizione tra interesse «particolare» del soggetto, in

ipotesi incompatibile, ed interesse del comune, istituzional

mente «generale», in relazione alle funzioni attribuitegli (cfr.

art. 13 t.u.), e, quindi, allude alla situazione di potenziale con

flitto di interessi, in cui si trova il predetto soggetto, rispetto al

l'esercizio «imparziale» della carica elettiva. In altri termini e

ad esempio, se un imprenditore «ha parte», nel senso ora indi

cato, in un appalto, al quale l'ente locale è «interessato», lo

stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere «imparzialmente» i doveri connessi all'esercizio

della carica elettiva.

La più complessa locuzione «aver parte in [qualche cosa]» non può che assumere il senso — «fatto palese dal significato

proprio delle parole secondo la connessione di esse» (art. 12, 1°

comma, disp. sulla legge in generale) — di «parteciparvi insie

me con altri», «prendervi parte»; mentre — com'è noto — la

diversa locuzione «esser parte di [qualche cosa]» vuol dire es

serne uno degli elementi costitutivi.

La circostanza che il legislatore abbia utilizzato il termine

«appalti» al plurale e senza ulteriori specificazioni legittima

l'interprete a comprendere in esso qualsiasi tipo di appalto «nell'interesse del comune», sia esso d'opera, di lavori o di ser

vizi pubblici (cfr., in tal senso estensivo, Cass. n. 10238 del

1995, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 194, 279). «Aver parte in appalti nell'interesse del comune», dunque, si

gnifica, innanzitutto, parteciparvi, eventualmente insieme con

altri soggetti, ovviamente diversi dall'ente locale committente,

o, comunque, «interessato» all'appalto (cfr. Cass. n. 3918 del

1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 129). Il fatto, poi, che il legis latore — fin dalla più remota formulazione della disposizione

(art. 15, 1° comma, n. 7, d.p.r. n. 570 del 1960, dianzi testual

mente riprodotto) — abbia usato l'espressione «ha parte in ap

palti» — anziché, ad es., «è parte di un contratto di appalto»

imprime all'espressione medesima un significato ampio: esso si

riferisce, infatti, alla partecipazione all'appalto non soltanto,

com'è ovvio, nella qualità di soggetto appaltatore dell'opera, dei lavori o del servizio pubblico, ma anche, più ampiamente

appunto, come soggetto, il quale vi partecipi con le predette

qualità soggettive e come portatore di un proprio specifico e

«particolare» interesse contrapposto a quello «generale» del

l'ente locale committente — o, comunque, «interessato» all'ap

palto — e, quindi, potenzialmente confliggente con l'esercizio

«imparziale» della carica elettiva. Pertanto — fermo che con il

termine «appalti» il legislatore intende riferirsi all'appalto di

opera, lavori o servizi pubblici di cui l'ente locale sia commit

tente o a cui sia, comunque, interessato — spetta al giudice in

dividuare, secondo le circostanze del caso concreto sottoposto

gli e secondo la disciplina applicabile, quale sia la «partecipa zione rilevante» ai fini dell'applicazione della disposizione in

esame.

Deve essere sottolineato, ancora, che il legislatore — usando,

nell'espressione «ha parte», il tempo presente indicativo — ha

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

inteso significare, per un verso, che la condizione oggettiva del

l'incompatibilità di interessi, anche se potenziale, deve sussiste

re «attualmente», vale a dire al momento della elezione; e, per l'altro, che la partecipazione all'appalto, quale impedimento al

l'esercizio della carica elettiva, dura nel tempo fintantoché essa

possa dirsi sussistente: vale a dire, dal momento iniziale della

partecipazione stessa e sino al suo «esaurimento» e, quindi, al

l'esaurimento del potenziale conflitto di interessi; e ciò, restan

do salva, ovviamente, la facoltà del soggetto incompatibile di

rimuovere la relativa causa nei tempi e nei modi stabiliti dalla

legge. Va, infine, precisato che gli avverbi «direttamente o indiret

tamente» — che, nella disposizione in esame, seguono la locu

zione «ha parte» — debbono intendersi riferiti non già alla con

dizione oggettiva, bensì a quella soggettiva. Nel senso ora precisato, militano, infatti, diverse e concor

renti considerazioni. In primo luogo, il testo originario della di

sposizione; infatti, nella formulazione dell'art. 15, 1° comma, n.

7, d.p.r. n. 570 del 1960, i predetti avverbi seguivano immedia

tamente l'individuazione (meno precisa di quella contenuta

nella disposizione vigente) dei soggetti incompatibili («coloro i quali»), facendosi cadere, quindi, inequivocabilmente, l'accento

sulla condizione soggettiva. In secondo luogo, il rilievo, secon

do cui la causa di incompatibilità all'esercizio di una carica

elettiva costituisce limitazione ad un diritto politico fondamen

tale di natura individuale e personalissima, la quale, perciò, non

può che riferirsi, in ultima analisi, ad una condizione soggettiva di conflitto di interessi. In terzo luogo, l'ulteriore e decisivo ri

lievo, secondo cui — ove i predetti avverbi fossero riferiti alla

condizione oggettiva (partecipazione all'appalto) e, quindi, l'a

rea della incompatibilità comprendesse anche una «partecipa zione indiretta» all'appalto —

un'interpretazione siffatta si pre sterebbe a pericolose estensioni delle limitazioni all'esercizio di

un diritto costituzionalmente garantito, che il legislatore costi

tuente ha voluto come «eccezionali», sulla base di una categoria

giuridica (la «partecipazione indiretta» all'appalto, appunto)

generica, di difficile individuazione e, perciò, piuttosto evane

scente (si pensi, ad es., come ipotesi limite, alla posizione del

l'imprenditore, il quale si sia limitato a fornire i materiali neces

sari alla realizzazione dell'opera pubblica). Ed allora, deve concludersi nel senso che il legislatore

qualificando il modo della partecipazione all'appalto — ha inte

so, specificamente, rafforzare l'effettività della norma e limitare il predetto diritto non soltanto nei confronti del soggetto, al

quale, in ragione della partecipazione all'appalto con una de

terminata qualità soggettiva (titolare, amministratore, dipen dente con poteri di rappresentanza o di coordinamento), il con

flitto di interessi sia immediatamente (e formalmente) riferibile, ma anche, con un chiarissimo scopo «antielusivo», nei confronti

del soggetto che, al di là della qualità soggettiva di colui che

partecipa «formalmente» all'appalto, debba, secondo le circo

stanze del caso concreto, considerarsi come il «reale» portatore dell'interesse «particolare» potenzialmente confliggente con

quelli «generali» connessi all'esercizio della carica elettiva.

Sicché, è evidente che la condizione soggettiva di incompatibi lità, nei casi di accertata divergenza tra dato formale e dato so

stanziale relativamente al soggetto partecipante all'appalto, non

può che integrarsi nei confronti del dominus — nel senso di

portatore «sostanziale» e non meramente «formale» — del pre detto interesse. È, naturalmente, difficile — e, comunque, non rileva immediatamente in questa sede — individuare una casi

stica esaustiva delle possibili ipotesi, ma sembra sufficiente, in

prima approssimazione, fare riferimento a casi di interposizione «fittizia» di persona, ovvero a situazioni di collegamento o di

controllo societario prefigurate dall'art. 2359 c.c. (cfr., signifi cativamente, proprio in materia di condizioni per il subappalto, la disciplina dettata dall'art. 18, 9° comma, 1. n. 55 del 1990, nel

testo sostituito dall'art. 9, comma 69,1. n. 415 del 1998, richia

mata dall'art. 141, 3° comma, d.p.r. n. 554 del 1999; nonché la

disciplina sulla rimozione della causa di incompatibilità, esami nata infra al n. 2.6).

Nell'ambito della «cornice» finora delineata il giudice del

merito — ivi compresa questa corte (cfr., e pluribus e da ultimo, sent. n. 1733 del 2001, id., 2001, I, 2882) — è chiamato ad ac

certare, secondo le circostanze del caso concreto, la sussistenza, o no, della causa di incompatibilità di interessi de qua.

Il Foro Italiano — 2005.

2.5. - Dall'analisi che precede discende agevolmente che la

situazione di incompatibilità di interessi tipizzata dalla disposi zione in esame non può non ritenersi integrata nei confronti del

soggetto che, rivestito di una delle qualità soggettive previste dalla disposizione stessa, partecipi, come appaltatore, all'ap

palto nell'interesse del comune: infatti — posto che gli interessi

dell'amministrazione e dell'appaltatore sono «naturalmente»

contrapposti; e che nella disciplina di siffatti contratti i poteri di ingerenza e di controllo dell'amministrazione, committente o

interessata, nei confronti dell'appaltatore sono numerosi e pe netranti dal momento dell'aggiudicazione a quello dell'appro vazione del collaudo finale — la situazione di potenziale con

flitto di interessi, rispetto all'esercizio imparziale della carica

elettiva, in cui versa l'appaltatore, è del tutto evidente, tenuto

conto che questi, quale amministratore locale eletto, verrebbe a

trovarsi, in definitiva, anche nella contraddittoria ed incompati bile posizione di controllato-controllore.

Alla medesima conclusione deve pervenirsi anche per il sog

getto, il quale, rivestito di una delle predette qualità soggettive,

presti la propria attività nell'ambito di un appalto siffatto come

subappaltatore. A tale conclusione conduce la piana interpretazione dell'art.

63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, senza che si renda

immediatamente necessaria la sua — pur possibile e legittima

— interpretazione estensiva: conclusione, questa, che, peraltro,

non collide neppure, sotto il profilo della razionalità, con la di

sciplina dell'appalto di opera, lavori o servizio pubblici, nella

parte in cui regola il subappalto (cfr., supra, n. 2.3, in fine). In proposito e più specificamente, quel che conta sottolineare

non è tanto l'indiscutibile autonomia e distinzione strutturale

dei rapporti di appalto pubblico e di subappalto stipulato nel

l'ambito di questo, quanto, piuttosto, per un verso, la coinciden

za, parziale o totale, dell'oggetto dell'uno con quello dell'altro

e, per altro verso, la natura secondaria, derivata e dipendente del

subappalto rispetto all'appalto. Più in particolare, per quel che riguarda i principi affermati

da questa corte nella sentenza n. 8384 del 2000 (più volte ri

chiamata con contrapposti intenti negli scritti difensivi delle

parti) — secondo cui il contratto di subappalto, stipulato dal

l'appaltatore di opera pubblica, è strutturalmente distinto da

quello principale d'appalto e, in quanto stipulato tra soggetti

privati, è assoggettato alla disciplina del codice civile ed al

contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli, mentre non

gli sono applicabili, se non attraverso il richiamo pattizio delle

parti, le disposizioni di natura marcatamente pubblicistica tipi che dell'appalto di opere pubbliche

— essi non rilevano per

l'applicazione della disposizione in esame: infatti — mentre la

questione sollevata nella fattispecie alla base della ora richia

mata sentenza aveva ad oggetto l'applicabilità tout court, o no, al subappalto, in quanto stipulato nell'ambito di un contratto di

appalto di opera pubblica, della disciplina pubblicistica rego lante quest'ultimo (questione decisa in senso negativo, proprio in ragione dell'autonomia e della distinzione strutturale dei due

negozi) — il quesito che si pone nella presente fattispecie consi ste nello stabilire se siffatte autonomia e distinzione strutturale

siano, di per sé sole, idonee ad escludere, in radice, a differenza

di quanto accade per la posizione dell'appaltatore, l'ipotizzabi lità di un conflitto di interessi in capo al subappaltatore.

Appare decisivo, in tale prospettiva, ribadire che, nell'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, la condizione oggettiva

per la sussistenza dell'incompatibilità di interessi ivi prefigurata è data dalla «partecipazione all'appalto», nei sensi dianzi (cfr.,

supra, n. 2.4) precisati, relativamente alla quale sia ipotizzabile un conflitto di interessi. Ed allora, l'autonomia e la distinzione

strutturale del subappalto rispetto all'appalto valgono a delimi

tare l'ambito soggettivo di efficacia di ciascuno dei due con

tratti (esclusivamente inter partes: pubblica amministrazione

appaltatore e appaltatore-subappaltatore), nonché a determinare

la disciplina applicabile ai relativi rapporti f-d alle conseguenti

responsabilità civili delle parti, mentre, a ben vedere, non influi

scono in alcun modo sulla ratio e sull'applicazione dell'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000. Invece, sia la coinciden

za, totale o parziale, dell'oggetto dei due distinti rapporti, sia la

loro «sovrapposizione», in ragione della natura derivata e di

pendente del subappalto rispetto all'appalto, valgono ad eviden

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PARTE PRIMA

ziare, nella logica della norma di incompatibilità, la comunanza

di interessi «particolari» tra appaltatore e subappaltatore e la lo

ro medesima posizione, sotto tale profilo, rispetto ai contrappo sti interessi «generali» del comune e, quindi, il potenziale con

flitto di interessi di entrambi rispetto all'imparziale esercizio

della carica elettiva.

2.6. - Siffatta interpretazione dell'art. 63, 1° comma, n. 2, è,

inoltre, coerente con le disposizioni legislative che disciplinano il subappalto nell'ambito dell'appalto pubblico.

La sussistenza, in capo al subappaltatore, di un potenziale conflitto di interessi rispetto all'imparziale esercizio della carica

elettiva di amministratore locale trova conferma, innanzitutto,

nella regola generale, secondo la quale, negli appalti di opere

riguardanti la pubblica amministrazione, vige il divieto di sub

appalto in mancanza di autorizzazione dell'autorità competente

(pubblica amministrazione committente o, ad es., suo conces

sionario), stabilita sia dall'art. 339 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. F, sia, attualmente, dalla norma, penalmente sanzionata, dettata

dall'art. 21 1. 13 settembre 1982 n. 646 (disposizioni in materia

di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integra zioni alle 1. 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio 1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di una commissione parla mentare sul fenomeno della mafia) e successive modificazioni

ed integrazioni. Costituisce communis opinio che, con tale di

vieto, il legislatore ha inteso evitare che l'appalto traligni in una

forma di speculazione ed influisca sulla bontà dell'opera per ef

fetto della riduzione del margine di guadagno dell'appaltatore; e

che il controllo esercitato dalla pubblica amministrazione attra

verso l'autorizzazione è preordinato anche alla verifica che i la

vori siano effettuati da imprese tecnicamente e moralmente ido

nee, come è dimostrato dall'inserimento dell'art. 21 cit. in una

legge contenente anche disposizioni di prevenzione di carattere

patrimoniale volte a contrastare la criminalità organizzata e ma

fiosa e, quindi, a prevenire e reprimere infiltrazioni di siffatta

criminalità nell'esecuzione di opere pubbliche (cfr., ad es., per

gli effetti civilistici, della violazione del divieto, sent. n. 11450 del 1997, id., Rep. 1998, voce Opere pubbliche, n. 235).

È sufficiente, poi, leggere la disciplina dettata dall'art. 18 1.

19 marzo 1990 n. 55 (nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di mani

festazioni di pericolosità sociali) e successive modificazioni ed

integrazioni — che regola, relativamente alla partecipazione a

gare per gli appalti di opere o lavori pubblici, condizioni e pro cedimento cui l'autorizzazione al subappalto è subordinata —

per individuare non solo una serie di punti di coincidenza degli interessi del subappaltatore con quelli dell'appaltatore, ma an

che, e soprattutto, la regola, secondo la quale (anche) il subap

paltatore è assoggettato a penetranti controlli della pubblica amministrazione sia preventivi che successivi all'autorizzazio

ne. In primo luogo, infatti, deve ritenersi sempre salvo il potere dell'amministrazione di revocare, a seguito di verifiche succes

sive in ordine alla sussistenza delle predette condizioni, l'auto

rizzazione (erroneamente) data e di esercitare, conseguente

mente, la facoltà di rescissione o di risoluzione del contratto

d'appalto (cfr. art. 21, 1° comma, ultimo periodo, 1. n. 646 del

1982). In secondo luogo, come possibili esempi di controllo

dell'amministrazione successivo all'autorizzazione, possono ri

cordarsi sia la disciplina sui prezzi praticati dall'impresa aggiu dicataria per i lavori e le opere affidati in subappalto (art. 18, comma 3 bis), sia quella sull'osservanza del trattamento eco

nomico e normativo, stabilito dai contratti collettivi nazionale e

territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si

svolgono i lavori, anche nei confronti dei dipendenti del subap

paltatore (art. 18, 7° comma, che prevede la responsabilità in

solido dell'aggiudicatario con il subappaltatore nei confronti dei

dipendenti di quest'ultimo), sia, ancora, quella sulla sicurezza

fisica di tutti i lavoratori operanti nel cantiere (art. 18, 8° com

ma, che prevede un potere di coordinamento dell'aggiudicatario di tutte le imprese operanti nel cantiere e, quindi, anche di

quelle subappaltatrici): orbene, tutte queste discipline prevedo no incisivi poteri di verifica e di controllo, preventivi e succes

sivi all'autorizzazione, esercitabili dalla stazione appaltante an

che nei confronti del subappaltatore. Infine, deve affermarsi, con specifico riferimento alla «rile

vanza temporale» della causa di incompatibilità di interessi in

esame (cfr., supra, n. 2.4), che la «partecipazione» del subap

II Foro Italiano — 2005.

paltatore all'appalto non può ritenersi «esaurita», fintantoché

non sia — o debba considerarsi — intervenuta, al momento

delle elezioni, l'approvazione, da parte del comune committente

(o, comunque, interessato), del collaudo finale (cfr. combinato

disposto degli art. 28, 3° comma, 1. n. 109 del 1994 e 199, 3°

comma, d.p.r. n. 554 del 1999). È noto, infatti, che, con l'ap

provazione del collaudo finale, l'ente pubblico committente (tra

l'altro) «accetta» definitivamente l'opera o i lavori eseguiti an

che per la parte di competenza del subappaltatore. In proposito, deve richiamarsi lo specifico precedente di que

sta corte (cfr. sent. n. 7063 del 1992, id., Rep. 1992, voce Ele

zioni, n. 148), in cui è stato affermato il principio, integralmente condiviso dal collegio, secondo cui «è incontestabile che l'ap

palto di opere pubbliche deve ritenersi pendente finché non sia

intervenuto il certificato di collaudo (o di regolare esecuzione

delle opere) approvato dall'ente pubblico, né può tale situazione

essere superata attraverso interpretazioni 'sostanzialistiche', che

troverebbero ostacolo proprio nello spirito del citato art. 51

[Cost.], la cui funzione, nella parte in cui si riferisce al con

fronto elettorale come metodo di accesso alle cariche pubbliche, è non solo quella di bandire discriminazioni, ma anche quella di

garantire l'uguale diritto di tutti all'osservanza delle regole». Né siffatta affermazione di principio risulta contraddetta dalla

successiva sentenza n. 10238 del 1995, cit., la fattispecie di

pretesa incompatibilità alla base della quale era costituita, non

già da un contratto d'appalto in corso, ma da una mera posizio ne creditoria dell'eletto nei confronti del comune, scaturente da

un contratto d'appalto pacificamente «esaurito» al momento

dell'elezione.

È, comunque, decisivo osservare che, altrimenti opinando,

potrebbe, tra l'altro, accadere — come avvenuto nella specie

(cfr., infra, n. 2.7) — che il subappaltatore, eletto amministrato

re locale (sindaco e/o consigliere comunale), sia chiamato a

concorrere, non solo alla deliberazione di scelta del collaudato

re, ma anche alla deliberazione di approvazione del collaudo fi

nale: situazione, questa, che — prefigurando, nel soggetto elet

to, una contestuale e contraddittoria coincidenza delle posizioni di «controllato» (subappaltatore) e «controllore» (amministrato

re locale) — integra appieno il potenziale conflitto di interessi,

rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva, che la di

sposizione in esame intende impedire. È del tutto evidente, in

fatti, che anche il subappaltatore è «interessato» ad un collaudo

finale favorevole relativamente alle opere od ai lavori dallo

stesso eseguiti, se non altro ed in definitiva perché, in caso di

collaudo sfavorevole, egli potrebbe essere assoggettato all'azio

ne di regresso esercitata dall'appaltatore ai sensi dell'art. 1670

c.c.; e che, nella logica della norma di incompatibilità, quel che

rileva non è già la mera eventualità dell'azione di regresso, ben

sì l'indiscutibile interesse ad un collaudo finale favorevole, de

bitamente approvato dall'ente locale committente.

Né, a confutazione, potrebbe richiamarsi la disciplina relativa

al dovere di astensione degli amministratori locali e dettata dal

l'art. 78, 2° comma, d.leg. n. 267 del 2000: infatti — posto che

tale disposizione stabilisce, tra l'altro, che gli amministratori lo

cali «devono astenersi dal prender parte alla discussione ed alla

votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro pa renti o affini sino al quarto grado»

— è del tutto evidente che, mentre il conflitto di interessi quivi previsto attiene a specifiche situazioni di incompatibilità che possono eventualmente verifi

carsi nel corso dello svolgimento delle funzioni pubbliche con

nesse all'esercizio della carica elettiva (cfr., ad es. e da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2826 del 2003, id., Rep. 2003, voce Co

mune, n. 445), quello disciplinato dalla disposizione in esame

riguarda una situazione di potenziale incompatibilità di interessi

che esiste già al momento della elezione e che, quindi, se non

tempestivamente rimossa, viene considerata dal legislatore co

me ragione di inquinamento originario rispetto allo stesso eser

cizio imparziale della carica.

Neppure può obiettarsi — soprattutto per quel che riguarda il

subappaltatore — che la «pendenza» dell'appalto potrebbe, in

concreto, risolversi in una protrazione sine die della causa di in

compatibilità in esame nei suoi confronti, con conseguente, gra ve compromissione del suo diritto di accesso alla carica elettiva.

In proposito, deve sottolinearsi che — dal momento che colui

che aspira all'esercizio della carica elettiva di amministratore

locale deve sapere che questo si traduce nella cura imparziale

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Page 10: sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia (concl. diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio)

2513 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2514

della res publico e che il legislatore prefigura chiaramente la

causa di incompatibilità di interessi in esame — l'ordinamento

appresta idonei strumenti per la tempestiva rimozione della cau

sa stessa: dal combinato disposto degli art. 68, 3° comma (nella

parte in cui prevede che «ai fini della rimozione ... delle cause

di incompatibilità sono applicabili le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 5, 6 e 7 dell'art. 60») e 60, commi 3 (nella parte in

cui dispone che «le cause ... [di incompatibilità] non hanno ef

fetto se l'interessato cessa dalle funzioni ... non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature») e 6, d.leg. n. 267

del 2000 (il quale statuisce che «la cessazione delle funzioni

importa l'effettiva astensione da ogni atto inerente all'ufficio

rivestito»), infatti, si trae l'inequivocabile regola, secondo la

quale appaltatore e subappaltatore, partecipanti ad un appalto nell'interesse del comune e rivestiti di una delle qualità sogget tive previste dall'art. 63, 1° comma, n. 2, stesso t.u. (titolare,

amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di

coordinamento), al fine di rimuovere la causa di incompatibilità di interessi ivi stabilita, debbono cessare dalle relative funzioni

«non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidatu

re»; fermo restando, ovviamente, che tale cessazione ha da esse

re «effettiva», e che non deve, quindi, ritenersi sussistente, se

condo le circostanze del caso concreto, una delle ipotesi di di

vergenza tra dato formale e dato sostanziale, dianzi (cfr., supra, n. 2.4, in fine) esaminate, tali da integrare una fattispecie «elu

siva» dell'impedimento in questione. Può aggiungersi

— anche se non rileva immediatamente nel

caso di specie — che l'eventuale «impossibilità» di rimuovere,

al momento di una determinata elezione, la causa di incompati bilità in esame (si pensi, ad es., al caso del titolare di impresa individuale, il quale dovrebbe necessariamente rinunciare alla

sua posizione ed alla sua attività di imprenditore) non costitui

sce ragione sufficiente a considerarla tamquam non esset: infatti — ribadito che il legislatore intende impedire l'esercizio della

carica elettiva di amministratore locale al soggetto che, in

quanto partecipe all'appalto, è considerato, secondo previsione

tipica, in conflitto di interessi con l'ente locale — siffatta causa

di incompatibilità non dura indefinitamente, ma, appunto, fin

tantoché non si esaurisca la partecipazione all'appalto e, quindi, il potenziale conflitto di interessi.

2.7. - Le considerazioni svolte debbono considerarsi anche

«correttive» e/o «integrative» della motivazione in diritto della

sentenza impugnata che dalle stesse diverge o con le quali col

lide. 2.8. - Nella specie, costituiscono circostanze rilevanti ed in

contestate tra le parti — e, comunque, emergenti dagli atti di

causa, direttamente esaminati da questa corte — quelle, secondo

cui, al momento della elezione de qua (9 giugno 2002), Luigino Di Marco rivestiva la qualità di amministratore della I.D.A. di

Di Marco Luigino & C. s.n.c.; la società dallo stesso ammini

strata era subappaltatrice (debitamente autorizzata), per la rea

lizzazione delle opere elettromagnetiche, nell'ambito dell'ap

palto, avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento dell'impianto di depurazione, stipulato dal co

mune di Agropoli con la P.M.C, di Di Palo Rosario Eutimio

s.n.c.; non era intervenuta — né poteva considerarsi intervenuta —

l'approvazione del collaudo finale dei lavori da parte del

comune committente; Luigino Di Marco non aveva provveduto a rimuovere la causa di incompatibilità.

Dai medesimi atti risulta anche: — che, con deliberazione

della giunta comunale n. 95 del 28 ottobre 2002 — cui ha parte

cipato, come sindaco, l'odierno ricorrente — è stato conferito

ad un professionista privato l'incarico del collaudo tecnico am

ministrativo dei lavori de quibus; — e che, in data 11 novembre

2002, è stata redatta dal predetto professionista la relazione di

collaudo ed è stato emesso dallo stesso il certificato di collaudo

(cfr. art. 195 e 199 d.p.r. n. 554 del 1999); e ciò, senza che — si

ribadisce — risulti intervenuta l'approvazione espressa del col

laudo finale da parte del comune.

Alla luce di tali circostanze e di tutte le considerazioni dianzi

argomentate, risulta agevole concludere per l'infondatezza o

l'inammissibilità di tutti i motivi del ricorso (cfr., supra, n. 2.1). Esaminando partitamente i singoli motivi, i primi quattro si

incentrano su un triplice ordine di argomentazioni: da un lato, il

subappaltatore non potrebbe essere qualificato, ai sensi della di

II Foro Italiano — 2005.

sposizione di incompatibilità in esame, siccome «partecipe indi

retto» all'appalto in questione, dall'altro, il contratto di subap

palto de quo si sarebbe «esaurito», con la consegna dei lavori

subappaltati all'appaltatore e con il pagamento del relativo cor

rispettivo da parte di quest'ultimo, in data di molto anteriore

(giugno 2000) a quella dell'elezione del ricorrente a sindaco di

Agropoli (9 giugno 2002); ed infine, una volta esaurito il rap porto di subappalto, vi sarebbe stata» comunque, l'impossibilità materiale e giuridica di rimuovere la (negata) causa di incom patibilità. Anche se può convenirsi sull'erroneità dell'interpre tazione della corte salernitana, quanto al riferimento degli av

verbi «direttamente o indirettamente» alla condizione oggettiva, anziché a quella soggettiva (cfr., supra, n. 2.4) — onde la rela

tiva parte di motivazione va corretta in diritto — non può, inve

ce, convenirsi, sulle conseguenze che la difesa del ricorrente ne

fa discendere: sia per gli impropri richiami alla disciplina priva tistica del subappalto, piuttosto che alla norma di incompatibi lità, sia perché, comunque, nella specie, il ricorrente ha parteci

pato all'appalto «direttamente», vale a dire nella sua qualità di

amministratore della società I.D.A., senza che sia stata nemme

no prospettata l'esistenza di un dominus incompatibile. Relati

vamente all'affermato «esaurimento» del contratto di subap

palto, deve ribadirsi che, nella ricostruzione interpretativa in

questa sede operata, non valgono né i richiami alla disciplina ed

agli effetti privatistici del contratto medesimo, né la sostenuta

«irrilevanza» dell'intervento e dell'approvazione del collaudo

finale. Quanto, poi, alla pretesa impossibilità di rimuovere la

causa di incompatibilità, è sufficiente ribadire l'applicabilità al subappaltatore della disciplina dettata dal combinato disposto

degli art. 68, 3° comma, e 60, 3° e 6° comma, d.leg. n. 267 del

2000 (cfr., supra, n. 2.6). Il quinto motivo deve essere dichiarato inammissibile per ca

renza di interesse a proporlo: infatti l'affermazione al riguardo, contenuta nella sentenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. A), è assolutamente parentetica ed è volta a sottolineare, in parziale conformità a quanto osservato in questa sede, insieme ad altre, una delle possibili forme di «ingerenza» del committente pub blico nella sfera giuridica del subappaltatore (cfr., supra, n. 2.6).

Quanto ai motivi dal sesto all'ottavo — che attengono, essen

zialmente, alla pretesa irrilevanza del collaudo finale nei con

fronti del subappaltatore —

gli stessi sono infondati: in propo sito, è sufficiente richiamare le contrarie, specifiche argomenta zioni, dianzi svolte al riguardo (ibid.).

Infine, il nono motivo è inammissibile, nella misura in cui le

affermazioni della sentenza impugnata al riguardo (cfr., supra, n. 1.2, lett. E), nell'ambito della ritenuta illegittimità del certifi

cato di collaudo tecnico-amministrativo, sono palesemente irri

levanti rispetto alla pacifica circostanza della mancata approva zione del collaudo finale al momento dell'elezione del ricor

rente.

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