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sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia(concl. diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio) e altri.Conferma App. Salerno 26 marzo 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 9 (SETTEMBRE 2005), pp. 2497/2498-2513/2514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200873 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
art. 38, 1° comma, d.p.r. n. 602 del 1973, 16, 1° e 7° comma,
d.p.r. n. 636 del 1972 (ora art. 19, 1° comma, lett. g, d.leg. n.
546 del 1992), la richiesta di rimborso è idonea a rettificare in
senso favorevole al contribuente la dichiarazione dei redditi
della quale questo dimostri l'erroneità, dato che non vi sono,
prima del 2002, termini di decadenza (diversi da quelli previsti
per il rimborso) per tale rettifica favorevole.
Va comunque avvertito che i termini in discorso debbono co
ordinarsi con quelli inerenti allo stato del procedimento di ac
certamento e riscossione, che, ad esempio, può aver raggiunto, nelle more, uno stadio ormai insuscettibile di regressione.
4.1.5. - Deve pertanto riconoscersi, in riferimento alla nor
mativa vigente all'epoca, l'esattezza del principio di diritto se
guito dai giudici di merito, mentre esula dall'esame di questa corte ogni questione (del resto non prospettata) sulla tempesti vità in concreto della domanda di rimborso.
4.2. - In secondo luogo, nel negare la sussistenza nella specie della prova dell'errore materiale dell'Enpaf nella dichiarazione
dei redditi (per l'asserita non conclusività dei documenti acqui siti in giudizio), il ricorrente censura inammissibilmente una
valutazione di fatto sull'idoneità delle prove documentali, com
piuta dal giudice di appello (tra l'altro) non con acritico richia
mo alla sentenza di primo grado (come incidentalmente affer
mato nel motivo di ricorso), ma con autonoma valutazione, va
gliando gli elementi probatori a disposizione e tenendo conto, in
replica ai motivi d'appello, anche delle integrazioni probatorie
apportate in secondo grado dal contribuente, in particolare circa
la dimostrazione dell'avvenuta registrazione, nel 1992, del con
tratto di locazione.
La doglianza, inammissibile, non può, pertanto, essere presa in considerazione in questa sede.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Pres. Genghini, Est. Di Palma, P.M. Golia
(conci, diff.); Di Marco (Avv. Abbamonte, Lentini, Cuoco) c. Scuderi (Avv. Brancaccio) e altri. Conferma App. Salerno
26 marzo 2003.
Elezioni — Comune — Sindaco — Subappaltatore di opera
pubblica di interesse del comune — Incompatibilità
(D.leg. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull'ordina mento degli enti locali, art. 63).
Elezioni — Comune — Sindaco — Subappaltatore di opera
pubblica di interesse del comune — Incompatibilità —
Limiti (D.leg. 18 agosto 2000 n. 267, art. 63).
E incompatibile con la carica di sindaco chi riveste la qualità di
subappaltatore nell'ambito di un appalto di opera pubblica di interesse del comune. (1)
La causa di incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di
subappaltatore di opera pubblica di interesse del comune
sussiste fintantoché non sia intervenuta l'approvazione del
collaudo finale. (2)
(1-2) I. - La Corte di cassazione conferma l'orientamento dei giudici di merito (per la decisione di primo grado, v. Trib. Vallo della Lucania 18 novembre 2002, Foro it., Rep. 2002, voce Elezioni, n. 39), equipa rando, ai fini della sussistenza di una causa di incompatibilità con l'esercizio della carica elettiva, la condizione del subappaltatore a
quella dell'appaltatore. Sulla previsione della causa di incompatibilità di cui all'art. 63, 1°
comma, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267 (ai sensi del quale «non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere
Il Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. —1.1. - Con ricorso del 17 luglio 2002 al Tribunale di Vallo della Lucania, Antonio Scuderi —
cittadino elettore del comune di Agropoli, nonché consigliere comunale del medesimo comune — con riferimento alla delibe
razione del comune di Agropoli n. 21 del 27 giugno 2002 —
avente ad oggetto la conyalida degli eletti alla carica di sindaco
e di consigliere comunale, a seguito della consultazione eletto
rale tenutasi nelle date del 26 maggio e 9 giugno 2002 — chiese
comunale, provinciale o circoscrizionale [. ..] colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordina mento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di di
ritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della pro vincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovven zionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione»), v., con
riguardo alla disciplina dettata dall'art. 3, 1° comma, n. 2, 1. 23 aprile 1981 n. 154 (e successivamente trasfusa nel testo unico), Cass. 27 set tembre 1995, n. 10238, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 194, 279, la quale ha stabilito che la causa dì incompatibilità con la carica di consigliere comunale nei confronti dell'eletto che «abbia parte», direttamente o in
direttamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, sussiste quando l'eletto è tenuto ad effettuare prestazioni nei confronti del comune in forza di un contratto la cui esecuzione sia in corso al momento delle elezioni; da tale principio, è stato dedotto che la detta causa di incompatibilità non sussiste allorché la prestazione a carico
dell'appaltatore sia già stata eseguita e sia ancora in corso solo l'obbli
gazione del comune committente, tenuto al pagamento del prezzo con venuto.
Conformemente, v. Trib. Pescara 3 febbraio 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 117, secondo cui la situazione di incompatibilità di coloro che partecipano ad appalti nell'interesse del comune sussiste anche
quando i lavori appaltati siano stati da tempo eseguiti, utilizzati e con
tabilizzati, allorché sussiste una proposta del direttore dei lavori per una
perizia di variante sulla quale il comune non si sia ancora pronunciato; Cass. 8 giugno 1992, n. 7063, id., Rep. 1992, voce cit., n. 148, che ha sottolineato come l'esistenza di un rapporto di appalto con l'ente pub blico, quale causa di incompatibilità con la carica di consigliere comu
nale, permanga fino a quando non sia intervenuto il certificato di col laudo — o di regolare esecuzione delle opere — approvato dal detto ente, non rilevando come motivo della sua estinzione la circostanza che
l'appaltatore non vanti più alcun credito o dichiari di rinunciarvi. II. - Per quel che attiene alla diversa ipotesi di limitazione dell'elet
torato passivo che colpisce chi abbia ascendenti o discendenti ovvero
parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appal tatore di lavori o di servizi comunali, v. Corte cost. 31 ottobre 2000, n. 450, id., 2001, I, 789. con nota di richiami, che ha «degradato» la fatti
specie da causa di ineleggibilità a causa di incompatibilità con la carica di sindaco o di presidente della provincia (la declaratoria di incostitu zionalità. diretta principaliter avverso l'art. 6 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, è stata estesa, in applicazione dell'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87, all'art. 61, 1° comma, n. 2, d.leg. 267/00; da ultimo, l'art. 7 d.l. 29 marzo 2004 n. 80, convertito con 1. 28 maggio 2004 n. 140, ha intro dotto un 1° comma bis all'art. 61 d.leg. 267/00, che così recita: «non
possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia colo ro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al se condo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di
appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore»).
Per un'applicazione in concreto di siffatta causa di incompatibilità, v. Cass. 7 febbraio 2001, n. 1733, ibid., 2882, con nota di richiami
(nella specie, trattavasi di un sindaco i cui figli erano soci di impresa titolare di appalti comunali).
III. - In generale, sulle cause di incompatibilità con cariche elettive locali, v. Corte cost. 30 dicembre 2003, n. 377, id., 2004, I, 655, con nota di richiami, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma 62, 1. 28 dicembre 2001 n. 448, nella
parte in cui abroga l'art. 145, comma 82, 1. 23 dicembre 2000 n. 388, il
quale stabiliva che la carica di sindaco, presidente della provincia, con
sigliere comunale, provinciale o circoscrizionale non era incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione di società di capitale a partecipazione mista, costituite, in conformità alla deliberazione Cipe del 21 marzo 1997, come soggetti responsabili dell'attuazione degli interventi previsti dall'art. 2, comma 203,1. 23 dicembre 1996 n. 662.
Cfr., altresì, Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305, ibid., 3156, con nota di
richiami, con specifico riguardo all'incompatibilità per lite pendente con l'ente di appartenenza.
Sulle fattispecie che danno luogo a cause di ineleggibilità, v. Cass. 14 febbraio 2003, n. 2195, ibid., 836, con nota di richiami, che ha sta bilito che è ineleggibile alla carica di sindaco di un comune del territo rio in cui esercita le sue funzioni il giudice onorario presso il tribunale.
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2499 PARTE PRIMA 2500
che Luigi Di Marco, eletto alla carica di sindaco, fosse dichia
rato decaduto dalla carica stessa, nonché da quella di consigliere comunale, ricorrendo la causa di incompatibilità prevista dal
l'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui di spone che «non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscri
zionale: ... 2) colui che, come titolare, amministratore, dipen dente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazione di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune ...».
In particolare, il ricorrente deduceva: a) che il comune di
Agropoli, in data 17 giugno 1999, aveva stipulato con la P.M.C,
di Di Palo Rosario Eutimio s.n.c. contratto di appalto, avente ad
oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento
all'impianto di depurazione, per il corrispettivo di lire
631.981.995; b) che la società appaltatrice aveva successiva
mente subappaltato alla I.D.A. di Di Marco Luigino & C. s.n.c.,
con contratto del 4 aprile 2000, la realizzazione delle opere
elettromagnetiche; c) che, pertanto, il Di Marco, in quanto am
ministratore della società subappaltatrice, versava nella predetta causa di incompatibilità; d) che tale causa di incompatibilità avrebbe dovuto essere rimossa ai sensi dell'art. 68 d.leg. n. 267
del 2000, sicché non aveva alcun valore a tal fine la delibera
zione di convalida degli eletti; e) che i rapporti contrattuali tra il
comune di Agropoli e la società P.M.C, non potevano ritenersi
conclusi sulla base della certificazione prodotta ai sensi della di
sciplina vigente, ed in particolare degli art. 187-210 d.p.r. n. 554
del 1999. Costituitosi, Luigino Di Marco, nel resistere alla domanda,
sottolineava: a) che la fattispecie del subappalto, completamente diversa ed autonoma rispetto all'appalto, esulava dalla previsio ne legislativa d'incompatibilità invocata, da intendersi di stretta
interpretazione, in quanto derogatoria rispetto alla regola del
generale diritto di accedere alle cariche pubbliche; b) che la
causa d'incompatibilità invocata non poteva, in ogni caso, ope rare, perché le obbligazioni nascenti dal contratto di subappalto si erano estinte nell'estate del 2000 con la consegna dell'opera
subappaltata ed il pagamento delle relative fatture; c) che i rap
porti tra il comune e la società appaltatrice erano irrilevanti, avuto riguardo alla diversità ed autonomia dei due contratti.
Si costituì in giudizio anche il comune di Agropoli, che, nel
F associarsi alle difese ed alle conclusioni del Di Marco, preci sava che, in data 25 maggio 2002, era stato emesso il certificato
di collaudo statico dell'opera appaltata alla società P.M.C., con
il quale era stato verificato ed accertato che i lavori erano stati
eseguiti a regola d'arte e secondo le prescrizioni tecniche pre stabilite, conformemente al contratto, alle varianti ed ai conse
guenti atti di sottomissione od aggiuntivi debitamente approvati; e che, conseguentemente, non solo si era concluso il rapporto di
subappalto nell'estate del 2000, come dedotto dal Di Marco, ma
anche il contratto di appalto era stato regolarmente eseguito. Il presidente del consiglio comunale di Agropoli e Salvatore
Coppola — altro consigliere comunale — benché ritualmente
citati in giudizio, rimasero contumaci.
Il tribunale adito, con sentenza n. 677/02 del 18 novembre
2002 (Foro it., Rep. 2002, voce Elezioni, n. 39), accolse il ricor
so e dichiarò la decadenza di Luigino Di Marco dalla carica di
sindaco e di consigliere comunale del comune di Agropoli per
incompatibilità. 1.2. - Avverso tale sentenza il Di Marco propose appello di
nanzi alla Corte d'appello di Salerno, chiedendone l'integrale riforma.
Antonio Scuderi, costituitosi, instò per la conferma della
sentenza impugnata. Il comune di Agropoli, il presidente del consiglio comunale e
Salvatore Coppola rimasero contumaci.
La corte adita, con sentenza n. 260/03 del 26 marzo 2003, ri
gettò l'appello, confermando la decisione impugnata. In particolare, e per quanto in questa sede ancora rileva, la
corte salernitana ha così, testualmente, motivato: A) «Prima di
esaminare la fondatezza o meno della proposta impugnazione,
giova evidenziare che, secondo la migliore dottrina, il subap
palto autorizzato spiega, nei rapporti tra appaltatore e subap
paltatore, l'efficacia di un appalto, essendo i relativi rapporti in
Il Foro Italiano — 2005.
tutto simili a quelli che intercorrono, nell'appalto, tra commit
tente e appaltatore. La nota tipica del subappalto, che è data
dalla 'coincidenza, totale o parziale, dell'oggetto del subappalto con l'oggetto dell'appalto' e dalla coincidenza di uno dei sog
getti dell'appalto (l'appaltatore) con uno dei soggetti del subap
palto, non è tale da influire sull'essenza di questi rapporti. Tut
tavia il subappalto 'non è un negozio, per così dire primario o
autonomo', ma trova ragione della sua esistenza in un altro ne
gozio che ne costituisce il presupposto necessario. E un negozio 'secondario' o 'derivato' o 'dipendente', e ciò nel senso che es
so sorge sul fondamento di un altro negozio similare col quale è
destinato a coesistere e con il quale ha comune lo stesso tipo di
causa. Esso non importa traslazione del rapporto originario
quale sia ha nella cessione, ma determina sovrapposizione di
due rapporti (c.d. successione costitutiva), volendosi con ciò
porre in rilievo che la posizione giuridica del subappaltatore non
deriva da un trasferimento, ma è costituita sulla base della posi zione giuridica dell'appaltatore. Questa situazione, tuttavia, è
destinata a determinare interferenze varie tra l'esecuzione del
subappalto e quella dell'appalto. 11 subappaltatore, infatti, oltre
a subire l'influenza del subappaltante, dovrà, di fatto, sottostare
anche all'ingerenza del committente, ingerenza che è molto in
tensa quando committente è la pubblica amministrazione (come
appunto nella specie concreta). Inoltre le vicende del rapporto
giuridico di appalto sono destinate a ripercuotersi sul subappalto
(così in tema di nullità o annullamento dell'appalto; di risolu
zione; di recesso; di impossibilità sopravvenuta; di esecuzione
di ufficio). Il subappaltatore risponde verso il subappaltante dei
difetti e difformità dell'opera (art. 1667 e 1668 c.c.) nonché
delle evenienze previste dall'art. 1669 c.c. Quando siffatte re
sponsabilità sono fatte valere dal committente verso l'appaltato re, questi deve comunicare la relativa domanda al subappaltato re ... entro sessanta giorni dal ricevimento, ciò a pena di deca
denza (art. 1670 c.c.). Il subappaltatore, per il recupero dei suoi
crediti, può invocare la disposizione di cui all'art. 353 legge sui
lavori pubblici, circa la concessione preferenziale sui sequestri sulle somme dovute all'appaltatore dalla pubblica amministra
zione. L'amministrazione committente, peraltro, avvalendosi
della facoltà prevista dal comma 3 bis dell'art. 18 1. 19 marzo
1990 n. 55, introdotto dall'art. 34 d.leg. 19 dicembre 1991 n.
406, può riservarsi di provvedere essa stessa al pagamento dei
lavori al subappaltatore secondo il loro stato di avanzamento. In
tal caso sorge in capo al subappaltatore un vero e proprio diritto
di credito nei confronti dell'amministrazione appaltante, tutela
bile mediante azione diretta in sede giurisdizionale». B) «Tutto
ciò premesso, la corte osserva che l'impugnata sentenza va con
fermata, integrandosene, peraltro, la motivazione come segue. Ben vero, l'art. 63 d.leg. 267/00 stabilisce che non può ricoprire la carica di sindaco 'colui che, come titolare, amministratore,
dipendente con i poteri di rappresentanza o di coordinamento
ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di
diritti, somministrazioni o appalti' nell'interesse dell'ente. Se
condo il tribunale ... 'l'aver parte' esprime un concetto più
ampio rispetto all'esser parti in quanto implica non semplice mente la partecipazione alla stipula dello stesso [contratto], ben
sì la ricorrenza in concreto di un interesse, giuridicamente rile
vante, alla conclusione ed all'esecuzione di tale contratto. A
conforto del suo assunto, il tribunale ha evidenziato che, solo
interpretando così la norma, acquista senso logico e giuridico la
previsione dell'aver parte 'indirettamente', giacché le parti contrattuali non possono che aver parte 'direttamente' all'ac
cordo in ragione della loro stessa posizione giuridica. Ne conse
gue che, essendo l'appalto ed il subappalto strettamente colle
gati, in quanto appaltatore e subappaltatore sono entrambi inte
ressati all'esecuzione del contratto ed alla regolare accettazione,
entrambi hanno parte, l'uno direttamente, l'altro indirettamente
nel contratto di appalto. Detta incompatibilità permane, a giudi zio del tribunale, fino all'approvazione del collaudo, perché solo da quel momento l'appaltatore è esonerato da ogni respon sabilità nei confronti della stazione appaltante». C) «In punto di
diritto, poi, merita conto evidenziare che la or detta norma è di
stretta interpretazione, a termine dell'art. 14 disp. sulla legge in
generale (preliminari al codice civile), in quanto fa eccezione
alla regola generale della eleggibilità stabilita dall'art. 51 Cost.
La ratio della causa di incompatibilità, or detta, tende chiara
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2501 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2502
mente a prevenire che l'esercizio del potere pubblico possa ve
nire influenzato da un rapporto particolare, in cui venga a tro
varsi, con carattere di relativa durata, l'eletto nei confronti della
pubblica amministrazione comunale, di cui diventa organo, per l'eventualità di un contrasto di termini col comune, generatore di parzialità. Per il suo carattere preventivo e generale, di esclu
sione automatica dal pubblico incarico del soggetto che venga a
trovarsi in potenziale conflitto di interessi col comune, l'istituto
dell'incompatibilità non solo si differenzia da quello della vo
lontaria astensione, ma assume valore oggettivo, implicando non la sospensione di potere, limitatamente ad un affare singolo, ma l'inibizione dell'incarico, in via assoluta e preliminare, onde
non è richiesta la presenza di un conflitto attuale, per l'incom
patibilità, ma è sufficiente una mera potenzialità di contrasto
d'interesse fra l'ente pubblico e il soggetto ...». D) «Men che
meno potrebbe sostenersi che ... il tribunale ha applicato la
norma a casi 'analoghi', non espressamente previsti, equiparan do il contratto di subappalto a quello di appalto, con una (non
consentita) interpretazione sostanzialmente analogica (art. 51
Cost.). Nella specie concreta, infatti, il contratto di subappalto costituisce la prova rigorosa ed inequivocabile che l'appellante 'ha interesse' nelle sorti del contratto d'appalto per le ragioni innanzi compiutamente esposte, essendo ... l'appellante (si
multaneamente) sindaco di Agropoli e subappaltatore (quale amministratore della società I.D.A. di Di Marco Luigino & C.
s.n.c.). Non si tratta, quindi, né di interpretazione estensiva, né
analogica, ma di corretta applicazione della norma in esame alla
luce della ratio legis sottesa alla stessa (evitare conflitti di inte
resse; pericolo di parzialità)». E) «Occorre a questo punto ac
certare la permanenza o meno della incompatibilità al tempo della tornata elettorale (9 giugno 2002). Come innanzi enun
ciato, l'incompatibilità sorge con l'aggiudicazione dei lavori ...
e cessa con l'ultimazione dei lavori e specificamente con il cer
tificato di collaudo — o di regolare esecuzione delle opere —
approvato dall'ente, posto che solo la probatio operis, con cui il
committente constata che l'opera è stata compiuta a regola
d'arte, esonera l'appaltatore da responsabilit ... In dottrina, viene puntualizzato che non rileva il fatto che l'appaltatore si
impegni formalmente a non muovere alcuna riserva all'atto del
collaudo, in quanto la rinuncia del solo appaltatore a far valere
pretese nascenti dal rapporto non è idonea a definire il contratto
di appalto, il quale, essendo di natura sinallagmatica, comporta
obblighi e diritti per entrambe le parti e, quindi, pretese che il
comune può far valere a sua volta nei confronti dell'appaltatore, con conseguente perdurare di una potenziale situazione di con
flittualità ..che, come risulta dalle disposizioni speciali (art. 358 ss. legge sui lavori pubblici; art. 121 reg. cont. Stato) nel
l'appalto di opere pubbliche l'attestazione tecnica del collau
datore e l'approvazione del collaudo da parte dell'amministra
zione costituiscono atti 'obbligatori', 'necessari', 'formali'. Ciò
posto, la corte rileva che, nel caso in esame ... non vi è stato un
collaudo impeditivo dell'incompatibilità in esame. Per vero,
stante il declassamento della causa di ineleggibilità a causa di
incompatibilità, opera nella specie il disposto dell'art. 69 d.leg. 267/00, sennonché non risulta dagli atti che fu posto in essere il
procedimento interno, ivi previsto, onde rimuovere la causa di
incompatibilità. È ben vero che dal verbale consiliare del 27
giugno 2002 risulta che in tale sede il Di Marco produsse certi
ficato (rectius: verbale) di ultimazione dei lavori ... datato 21
maggio 2002, ma è altrettanto vero che il collaudo non può es
sere sostituito dal verbale di ultimazione dei lavori, sottoscritto
dal direttore dei lavori e dall'appaltatore, in quanto tale verbale
rappresenta solo uno degli atti inerenti al collaudo, che è proce dimento ben più ampio e complesso ... Peraltro, nell'or detto
verbale, con riferimento al collaudo tecnico-amministrativo, te
stualmente si legge: 'Per quanto attiene la certificazione di col
laudo tecnico-amministrativo si rinvia alle decisioni del sog
getto appaltante che ai sensi dell'art. 28 1. 109/94 ss. ha facoltà
di scelta con il certificato di regolare esecuzione'. Sennonché in
atti non si rinviene detto ultimo certificato, con relativa delibera
di approvazione da parte del comune. Vero è, invece, che nella
specie il comune si adoperò per il collaudo delle opere appaltate . . . In relazione, poi, al certificato di collaudo tecnico
amministrativo, in atti, datato 11 novembre 2002, vanno eviden
ziate: 1) l'irregolarità formale dello stesso per l'omesso avviso
Il Foro Italiano — 2005.
ai creditori di cui all'art. 189 d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554, con conseguente sua illegittimità ex art. 5 1. 20 marzo 1865 n.
2248, ali. E\ 2) l'irregolarità formale dello stesso, per mancanza
in atti della relativa delibera di approvazione; 3) la provvisorietà dello stesso, in quanto, ove valido, acquisterebbe valenza defi
nitiva decorsi due anni dall'emissione del medesimo e, pertanto, nella specie, in data 11 novembre 2004, posto che ai sensi del
l'art. 28 1. 11 febbraio 1994 n. 109, 'decorso tale termine, il
collaudo s'intende tacitamente approvato ancorché l'atto for
male di approvazione non sia intervenuto entro due mesi dalla
scadenza del medesimo termine'. Conclusivamente, non risul
tando perfezionato il collaudo prima della tornata elettorale e
non essendo stata rimossa la causa di incompatibilità con il pro cedimento di cui all'art. 69 d.p.r. 267/00, il Di Marco è deca duto dalla carica di sindaco e da quella di consigliere». F)
«Ogni ulteriore disquisizione, segnatamente circa la sorte che
subirebbe il subappaltatore nel caso in cui la mancata accetta
zione del collaudo da parte del committente riguardasse le sole
opere effettuate dall'appaltatore, avrebbe valenza puramente di
scorsiva e come tale irrilevante ai fini del decidere, posto che, nel caso in esame, non esiste un tempestivo e valido certificato
tecnico-amministrativo e di collaudo». FI) «Del pari inconfe
rente è l'avvenuto deposito del certificato di collaudo statico,
riguardando solo le opere in conglomerato cementizio ed essen
do stato rilasciato, ai sensi degli art. 7 e 8 1. 1086/71 e dell'art. 2
d.p.r. 425/94 in data 25 giugno 2002, posteriormente, cioè, alle
consultazioni elettorali de quibus. Il richiamo alla sentenza
8384/00 [della Corte di cassazione, id., Rep. 2000, voce Opere
pubbliche, n. 307] non è calzante, in quanto nel caso sottoposto all'esame di questa corte non è fatta questione circa l'estensione
al subappalto della normativa concernente la disciplina dell'ap
palto pubblico ... Nessuno dubita, poi, dell'estraneità del sub
appaltatore rispetto al collaudo dell'opera. Nella specie concre
ta, infatti, il richiamo alla disciplina del collaudo è stato neces
sario per stabilire se, al tempo della tornata elettorale, sussistes
se ancora l'accertato interesse potenziale indiretto fra il Di Mar
co amministratore-subappaltatore ed il Di Marco, eletto sindaco.
È indubbiamente riduttivo limitare l'ampio ma preciso spettro di efficacia dell'art. 63 cit. al solo fenomeno dell'interposizione di persone, ancorché nella sua più ampia prospettazione, tanto
più che nella specie concreta ... non si tratta di applicare la
normativa dell'appalto al subappalto, ma di fornire la prova
inequivoca del potenziale conflitto di interessi col comune ...».
F2) «Ugualmente inconferente è la tesi dell'appellante, secondo
la quale l'inoperatività dell'art. 63 cit. deriverebbe, nella specie concreta, dal fatto che il subappaltante avrebbe già pagato, sen
za riserve, le opere subappaltate al Di Marco, posto che la con
dotta privata del subappaltante non può certamente influire sui
riflessi pubblici esistenti tra il subappaltatore ed il committente,
specie ove si consideri che il comune deve approvare i collaudi
(o il certificato di regolare esecuzione) e quindi accertare che
tutte le opere, anche quelle realizzate dal subappaltatore, siano
pienamente funzionanti ed eseguite a regola d'arte e rispondenti alle esigenze pubbliche, diventando, conseguentemente, il sin
daco (nel caso in esame) controllato e controllante nello stesso
tempo, con inevitabile conflitto di interessi, vietato dall'art. 63
cit. Appunto, l'or detto adempimento, riservato alla commit
tente pubblica amministrazione, vanifica il tentativo dell'ap
pellante di eludere il disposto dell'art. 63 cit., sostenendo che
tutte le opere concesse in appalto furono ultimate anteriormente
alla tornata elettorale de qua. Non senza considerare che il ver
bale di ultimazione dei lavori... non è fornito di data certa (art. 2704 c.c.); che l'unica data certa, risultante dall'allegato conto
finale, come da timbro apposto sullo stesso, è quella del 15 ot
tobre 2002; che anche il certificato di collaudo delle strutture
reca la data del 25 giugno 2002 (posteriore, cioè, al ballottaggio, avvenuto in data 9-10 giugno 2002); che, secondo la più accre
ditata dottrina, la constatazione dell'avvenuta ultimazione lascia
del tutto impregiudicata la questione se l'opera risponda alle
condizioni contrattuali ed alle regole dell'arte, per il che non è
necessario che la pubblica amministrazione faccia espressa ri
serva di collaudo nel verbale di ultimazione». F3) «La tesi del
l'appellante, secondo cui 'il subappaltatore non aveva alcun in
teresse ad effettuare il collaudo, perché, dopo che la precedente amministrazione ha accettato l'opera per fatto concludente, ai
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2503 PARTE PRIMA 2504
sensi dell'art. 1667 c.c., l'appaltatore non era tenuto a prestare la garanzia per i vizi e l'eventuale azione del committente sa
rebbe prescritta per intervenuto decorso del termine biennale
(giugno 2000 - novembre 2002), con la conseguenza che anche
l'azione di cui all'art. 1670 c.c. sarebbe prescritta, non ha pre
gio. Infatti, il carattere 'necessario' del collaudo si manifesta nel
senso che esso non ammette rinunzia ..., né equipollenti, come
invece accade nel diritto privato (art. 1665, 3° e 4° comma,
c.c.), costituendo elemento indispensabile ed insostituibile per l'esaurimento di ogni rapporto con l'appaltatore. La ricezione, l'uso dell'opera da parte dell'amministrazione, l'essere stata
l'opera stessa posta a disposizione del pubblico non sono atti
idonei a sostituire il collaudo ... Il carattere 'formale' del col
laudo si manifesta, poi, nel senso che la volontà di accettare
l'opera deve essere sempre espressa, subordinata, com'è, ad una
particolare procedura. Essa deve rivestire forma scritta. Non è
ammissibile nell'appalto di opere pubbliche un'accettazione
implicita o tacita dell'opera, ovvero un'accettazione dedotta da
fatti concludenti o presunta ope legis ...».
1.3. - Avverso tale sentenza Luigino Di Marco ha proposto ri
corso per cassazione, deducendo nove motivi di censura, illu
strati da memoria e nota di precisazione. Resiste, con controricorso, illustrato da memoria, Antonio
Scuderi.
II procuratore generale della repubblica presso la Corte d'ap
pello di Salerno ed il comune di Agropoli, benché ritualmente
intimati, non si sono costituiti, né hanno svolto attività difensi
va.
Motivi della decisione. — 2.1. - Con il primo (con cui dedu
ce: «Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione del
l'art. 63 d.leg. 267/00. Violazione del principio di tipicità dei contratti. Violazione e mancata applicazione degli art. 1372,
1374 e 1366 c.c. Violazione e mancata applicazione dell'art.
187 d.p.r. 544/99. Violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c. per totale
mancanza di motivazione») ed il secondo motivo (con cui dedu
ce: «Error in iudicando. Violazione della medesima normativa
sotto altro aspetto. Difetto di motivazione. Illogicità e contrad
dittorietà») — i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione — il ricorrente criti
ca la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua moti
vazione, sostenendo: a) che l'affermazione — secondo la quale
l'espressione legislativa «aver parte indirettamente» compren derebbe anche la posizione del subappaltatore
— violerebbe il
principio della tipicità dei contratti, in quanto, anche a voler
ammettere la qualità di «parte indiretta» del contratto d'appalto in capo al subappaltatore, siffatta qualità non potrebbe soprav vivere all'estinzione delle obbligazioni nascenti dal contratto di
subappalto, come avvenuto nella specie, tenuto conto che nel
giugno del 2000 erano intervenuti sia la consegna dell'opera
subappaltata, sia il pagamento del corrispettivo; sicché, al mo
mento delle elezioni (maggio 2002), la società subappaltatrice I.D.A. non aveva in corso alcun rapporto con la società com
mittente P.M.C., né, ovviamente, con il comune di Agropoli; b) che l'estinzione degli obblighi nascenti dal contratto di subap
palto renderebbe giuridicamente e materialmente impossibile la
contestata incompatibilità: giuridicamente impossibile, in ragio ne della esclusiva efficacia inter partes (società P.M.C, e comu
ne di Agropoli) del contratto di appalto; materialmente impossi bile, perché ritenere il ricorrente incompatibile, in quanto sub
appaltatore, con la carica di sindaco anche dopo la predetta estinzione significherebbe procrastinare sine die la causa di in
compatibilità, trasformandola di fatto in causa di ineleggibilità, «atteso che, a seguito dell'estinzione del suindicato contratto, il
ricorrente non avrebbe potuto, proprio perché materialmente
impossibilitato, comunque rimuovere l'attività — il subappalto — ritenuta incompatibile con la carica di amministratore pub blico»; c) che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe
manifestamente contraddittoria, laddove, da un lato, afferma che
la sentenza della Corte di cassazione n. 8384 del 2000 non è
calzante al caso di specie e, dall'altro — contraddittoriamente,
appunto — «richiama diffusamente il collaudo per provare un
presunto conflitto di interessi che, in assenza di rapporti giuridi ci tra pubblica amministrazione e subappaltatore, non esiste»;
mentre, invece, se, come affermato dalla corte salernitana, «non
si tratta di estendere al subappalto la disciplina pubblicistica
dell'appalto», le conclusioni non potrebbero essere che due: «a)
Il Foro Italiano — 2005.
che il sindaco non ha alcun conflitto di interessi nel deliberare
in merito a rapporti pubblicistici — il collaudo — che non lo ri
guardavano; b) l'estinzione del subappalto ha determinato la
cessazione della causa di incompatibilità». Con il terzo (con cui deduce: «Error in indicando. Contrad
dittorietà e illogicità. Violazione e falsa applicazione dell'art.
63 d.leg. 267/00») ed il quarto motivo (con cui deduce: «Error
in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 63, 1°
comma, n. 2, d.leg. 267/00. Violazione e mancata applicazione
degli art. 14 disp. prel. c.c. e 51 Cost.») — che possono, del pa
ri, essere esaminati congiuntamente — il ricorrente critica la
sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazio
ne, sostenendo: a) che l'espressione legislativa «aver parte indi
rettamente» sarebbe volta a colpire situazioni «elusive» della
comminata incompatibilità, nelle quali l'eletto, pur avendo sot
toscritto il contratto d'appalto, attraverso meccanismi (legali,
ma) elusivi appunto (quali l'interposizione fittizia di persona, il
negozio fiduciario, la rappresentanza indiretta, il collegamento od il controllo societario), risulterebbe il vero dominus del con
tratto stesso; b) che la stessa espressione legislativa si riferireb
be, in realtà, all'istituto del negozio giuridico «indiretto», ca
ratterizzato dalla divergenza tra scopo perseguito dalle parti e
funzione tipica del negozio stesso, ovvero dalla prevalenza del
motivo personale sulla causa del negozio medesimo; ipotesi,
questa, non ricorrente nel caso del contratto di subappalto de
quo, che, nella specie, avrebbe prodotto i suoi effetti giuridici
tipici; c) che — siccome l'espressione medesima presupporreb be pur sempre un rapporto giuridico, che, in via mediata, vincoli
il subappaltatore alla pubblica amministrazione — l'art. 63, 1°
comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000 sarebbe inapplicabile alla
fattispecie, in quanto, «coerentemente con la tipicità del subap
palto, la stretta interpretazione delle cause di incompatibilità e
l'art. 1372 c.c. ... vincola [le parti del contratto] esclusiva
mente al patto da esse sottoscritto».
Con il quinto motivo (con cui deduce: «Error in iudicando.
Violazione e mancata applicazione dell'art. 6 del contratto di
subappalto. Violazione e falsa applicazione dell'art. 18, comma
3 bis, 1. 55/90 e dell'art. 353 legge sui lavori pubblici. Ultrapeti zione. Violazione dell'art. 14 disp. prel. c.c. Violazione dell'art.
112 c.p.c.»), il ricorrente lamenta che i giudici d'appello — nel
l'evocare l'applicabilità alla specie degli art. 18 comma 3 bis 1.
n. 55 del 1990 e 353 1. n. 2248 del 1865, all. F — avrebbe del
tutto omesso di considerare che, nella specie, la società subap
paltatrice è stata pagata dalla società committente e non già dal
comune di Agropoli. Con il sesto motivo (con cui deduce: «Error in iudicando.
Violazione e mancata applicazione degli art. 1655, 1656, 1667, 3° comma, e 1670 c.c. Contraddittorietà e illogicità della moti
vazione»), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche
sotto il profilo della sua motivazione, e — premesso che, «qua
lora si dovesse ritenere il collaudo elemento dirimente, si osser
va quanto segue» — sostiene che, siccome la società subappal
tatrice ha consegnato alla società committente le opere subap
paltate nel giugno del 2000, il subappaltatore non avrebbe alcun
interesse al collaudo, perché, essendo trascorso il termine bien
nale (giugno 2000 - novembre 2002) di cui all'art. 1667, 3°
comma, c.c., la P.M.C, sarebbe decaduta dal diritto di garanzia nei suoi confronti e, quindi, dall'azione di regresso di cui al
successivo art. 1670.
Con il settimo (con cui deduce: «Error in iudicando. Ultra
petizione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 63 d.leg. 267/00. Violazione e falsa applicazione degli art. 1655, 1656 e 1670 c.c. Violazione e mancata applicazione dell'art. 187 d.p.r. 544/99. Difetto di motivazione. Illogicità e ultrapetizione») e
l'ottavo motivo (con cui deduce: «Error in iudicando. Illogici tà») — i quali possono essere esaminati congiuntamente
— il
ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione, sostenendo: a) che il ritenere il subap
paltatore «parte indiretta» dell'appalto — in quanto pienamente
interessato alla regolare accettazione, da parte della pubblica amministrazione, dell'opera appaltata, al fine di evitare l'azione
di regresso (art. 1670 c.c.) contro di lui esperibile dal proprio committente —
significherebbe rendere indeterminate le cause
di incompatibilità, affidandone l'individuazione, anziché' alla legge, all'interprete; e ciò, in contrasto con la regola, secondo
cui le disposizioni che pongono cause di incompatibilità all'as
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sunzione di cariche elettive, in quanto derogatorie di un diritto
costituzionalmente garantito, sono di «stretta interpretazione»; b) che, contrariamente a quanto opinato dalla corte salernitana, la giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata nell'atto
d'appello sarebbe assolutamente conferente al caso di specie, tenuto conto che essa avrebbe chiarito che l'espressione «avere
parte indirettamente in appalti» si riferirebbe ali'«interposizione di persona» ed a «rapporti fattuali».
Infine, con il nono motivo (con cui deduce: «Error in indi
cando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 187 d.p.r. 544/99. Violazione e mancata applicazione degli art. 28, 3° e 7°
comma, 1. 109/94. Ultrapetizione»), il ricorrente critica la sen
tenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. E) — in merito alle
presunte irregolarità del certificato di collaudo — sostenendo
che l'art. 189 d.p.r. n. 544 del 1999 sarebbe inapplicabile al ca
so di specie, mancandone i presupposti; e che sarebbe «inconfe
rente il fatto che il suindicato collaudo avesse carattere provvi sorio per la semplice ragione che, a seguito di siffatto ragiona mento, si arriverebbe all'assurda conclusione secondo la quale
l'incompatibilità opererebbe anche dopo il collaudo».
2.2. - Il ricorso deve essere respinto, previa parziale correzio
ne ed integrazione in diritto della motivazione della sentenza
impugnata, ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., essendo il
suo dispositivo conforme al diritto.
2.3. - Dal momento che l'oggetto della presente causa è co
stituito dall'accertamento della sussistenza, o no, in capo al ri
corrente, eletto sindaco del comune di Agropoli nella tornata
elettorale del maggio-giugno 2002, della causa di «incompatibi lità di interessi» prefigurata dall'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, cit. — in ragione della sua posizione, quale amministratore della I.D.A. di Di Marco Luigino & C. s.n.c., di
subappaltatore, incaricato della realizzazione delle opere elet
tromagnetiche dall'appaltatrice del comune di Agropoli, P.M.C,
di Di Palo Rosario Eutimio s.n.c., nell'ambito del contratto di
appalto, stipulato da quest'ultima con il comune ed avente ad
oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento
dell'impianto di depurazione comunale — è evidente che, al
centro del giudizio della corte, stanno l'interpretazione della
predetta disposizione, nella parte in cui stabilisce che «non può
ricoprire la carica di sindaco ... colui che, come ... ammini
stratore ..., ha parte, direttamente o indirettamente, in ... ap
palti, nell'interesse del comune ...» (cfr., supra, n. 1.1); non
ché, per la prima volta, la specifica questione se, éd eventual
mente — in caso di risposta positiva al primo quesito — come e
quando, la posizione del subappaltatore nell'ambito di appalto di opera pubblica di interesse del comune sia idonea ad integra re la causa di incompatibilità prefigurata dalla legge.
Tenuto conto della novità della specifica questione sottoposta all'esame di questa corte, appare indispensabile, in limine, svol
gere alcune considerazioni di carattere generale. La disposizione applicabile nella fattispecie riproduce te
stualmente, anche nella parte rilevante in questa sede, la causa
di incompatibilità prevista dall'art. 3, 1° comma, n. 2, 1. 23
aprile 1981 n. 154 (norme in materia di ineleggibilità ed incom
patibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, co munale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale) —
abrogato dall'art. 274, lett. /), d.leg. n. 267 del 2000 — il quale, a sua volta, ha tra
sformato in causa di incompatibilità quella di ineleggibilità sta
bilita dall'art. 15, 1° comma, n. 7. d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570
(t.u. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), secondo cui «non sono eleggi bili a consigliere comunale ... coloro i quali, direttamente o in
direttamente, hanno parte ... in appalti, nell'interesse del co
mune ...» (articolo poi abrogato dall'art. 10, n. 2, 1. n. 154 del
1981). E noto che — a parte le cause di «incandidabilità» alla carica
di amministratore locale (cfr. art. 58 d.leg. n. 267 del 2000), che
si riferiscono ad uno status di inidoneità funzionale assoluta e
non rimovibile da parte dell'interessato — le cause di ineleggi bilità (cfr. art. 60 e 61 t.u.) sono stabilite allo scopo di garantire la eguale e libera espressione del voto, tutelata dall'art. 48, 1°
comma, primo periodo. Cost. («Il voto è personale ed eguale, li
bero e segreto»), rispetto a qualsiasi possibilità di captatio be
nevolentiae esercitabile dal candidato o di metus potestatis nei
Il Foro Italiano — 2005 — Parte I-44.
confronti dello stesso e che la loro violazione determina l'inva
lidità dell'elezione del soggetto ineleggibile, il quale non abbia tempestivamente rimosso la relativa causa; mentre le cause di
«incompatibilità di interessi» (cfr. art. 63 t.u.), quale quella di specie, sono previste al fine di assicurare il corretto adempi mento del mandato elettivo da parte dell'eletto alla carica pub blica e, quindi, prevalentemente, di garantire la realizzazione
degli interessi tutelati dall'art. 97, 1° comma, Cost., secondo cui
«i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di leg ge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'impar zialità dell'amministrazione». Più specificamente, e con riferi
mento alla fattispecie, la ratio (anche) della causa di incompati bilità in esame (annoverabile, appunto, tra le c.d. «incompatibi lità di interessi») «consiste nell'impedire che possano concorre
re all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti
portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromette re l'imparzialità» (così, Corte cost. n. 44 del 1997, id., 1997, I,
990; cfr. anche, e pluribus e tra le ultime, sent. n. 450 del 2000,
id., 2001,1, 789, e n. 220 del 2003, id., 2003,1, 2888). Del resto, in conformità a questi principi, lo stesso art. 78, 1°
comma, d.leg. n. 267 del 2000, nel disciplinare lo status degli amministratori locali (quali individuati nel precedente art. 77, 1°
e 2° comma) e, più in particolare, i loro «doveri», sancisce, tra
l'altro, che il loro comportamento, «nell'esercizio delle loro
funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione».
Il fondamento costituzionale della previsione (anche) delle cause di incompatibilità di interessi all'esercizio della carica di
amministratore locale sta, oltreché nell'art. 97, 1° comma, nel
l'art. 51, 1° comma, primo periodo. Cost., giusta il quale «tutti i
cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere ... alle
cariche elettive, secondo i requisiti stabiliti dalla legge»; anche se la dottrina ha giustamente sottolineato che l'impedimento al
l'esercizio della carica validamente conseguita incide solo indi
rettamente, a differenza di quanto accade per le cause di ineleg
gibilità, sul diritto di elettorato passivo e ne costituisce una li
mitazione soltanto nel senso che l'esistenza di una causa siffatta —
peraltro sempre tempestivamente rimovibile — potrebbe
rappresentare una remora al concreto esercizio di quel diritto,
scoraggiando la presentazione della candidatura da parte di chi
si trovi in una situazione di incompatibilità di interessi.
In ogni caso, la giurisprudenza della Corte costituzionale è
ferma nel ritenere che il diritto di elettorato passivo —
quale di
ritto politico fondamentale, intangibile nel suo contenuto di va
lore ed annoverabile tra quelli «inviolabili», riconosciuti e ga rantiti dall'art. 2 Cost. —
può essere unicamente disciplinato da
leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizza
re altri interessi costituzionali parimenti fondamentali e generali
(quali, appunto, quelli tutelati dall'art. 97, 1° comma, Cost.:
cfr., e pluribus, Corte cost. n. 235 del 1988, id., 1988, I, 1799; n. 539 del 1990, id., 1991, I, 1672, e n. 141 del 1996, id., 1996, I, 2307); che — anche se è vero che l'incompatibilità, a diffe
renza dell'ineleggibilità, non incide sul rapporto di elettorato, né spiega alcuna influenza sulla validità dell'elezione — la pre detta natura del diritto di elettorato passivo implica che esso non
può non riguardare ogni vicenda relativa alla preposizione del
cittadino ad una carica elettiva (cfr., e pluribus, sent. n. 60 del
1966, id., 1966, I, 1837); che ogni limitazione al diritto mede
simo ha carattere di «eccezione» rispetto al generale e fonda
mentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglian za, di tutti i cittadini alle cariche elettive (cfr., e pluribus, sent,
n. 166 del 1972, id., 1972,1, 3313, e n. 1020 del 1988, id., 1989, I, 2414); che, conseguentemente ed in particolare, è necessario
che il legislatore, nello stabilire i requisiti di eleggibilità, deve tipizzarli con determinatezza e precisione, sufficienti ad evitare,
quanto più possibile, situazioni di persistente incertezza, troppo
frequenti contestazioni, soluzioni giurisprudenziali contradditto
rie, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la pro clamata, pari capacità elettorale passiva dei cittadini (cfr. sent,
n. 166 del 1972, cit.); e che — fermo il divieto di interpretazio ne analogica in materia di cause di ineleggibilità e di incompati bilità — le relative disposizioni possono, tuttavia, essere inter
pretate, nel rispetto del canone della ragionevolezza, in senso
«estensivo» rispetto alla mera littera legis (cfr. la fattispecie di
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2507 PARTE PRIMA 2508
incompatibilità di interessi esaminata dalla Corte costituzionale
nella sent. n. 44 del 1997, cit., segnatamente nel n. 5 del 'consi
derato in diritto'). Siffatti principi sono stati integralmente recepiti dalla giuris
prudenza di questa corte (cfr., e pluribus e da ultimo, sent. n.
489 del 2000, id., Rep. 2000, voce Elezioni, nn. 44, 55, e n.
1073 del 2001, id., 2001, I, 2894). Dall'analisi della quale, pe raltro, emerge la conferma della legittimità del ricorso all'inter
pretazione «estensiva» delle disposizioni che stabiliscono cause
di ineleggibilità (cfr., ad es., sent. n. 10845 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 113, che ha esteso la causa di ineleggibilità,
prevista dall'art. 2, 1° comma, n. 6, 1. n. 154 del 1981 per i giu dici conciliatori, anche ai vice conciliatori; nonché sent. n. 2195
del 2003, id., 2004, I, 836, che ha esteso la causa di ineleggibi lità prevista dall'art. 60, 1° comma, n. 6, d.leg. n. 267 del 2000
ai magistrati onorari addetti ai tribunali ordinari ai sensi dell'art.
42 bis ord. giud., aggiunto dall'art. 8, n. 12, d.leg. n. 51 del 1998). Può aggiungersi, con specifico riferimento alle cause di
«incompatibilità di interessi» che — fermo il divieto di inter
pretazione analogica delle disposizioni che le prevedono — a
maggior ragione l'interpretazione estensiva delle stesse è giusti ficata dalla loro ratio: infatti —
posto che esse sono volte ad
impedire l'esercizio della carica elettiva, validamente conse
guita, da parte di coloro i quali, espressamente menzionati, si
trovino in una delle situazioni di potenziale conflitto di interessi
tipizzate dal legislatore — è ben possibile estendere, al di là
dell'interpretazione letterale della disposizione, la causa di in
compatibilità a soggetti che, pur non essendo stati esplicita mente considerati da questa, per la loro posizione giuridica per sonale nei confronti dell'ente locale ed in ragione della sussi
stenza di un potenziale conflitto di interessi, siano assimilabili
ai soggetti espressamente considerati: altrimenti opinando, in
fatti, resterebbe frustrata l'intenzione del legislatore di impedire a tali soggetti, i quali si trovino nella predetta situazione perso nale di incompatibilità di interessi, l'esercizio della carica me
desima. Infine, ribaditi questi principi — ed in particolare che l'inter
pretazione della disposizione applicabile alla fattispecie deve
essere operata esclusivamente alla luce di essi, e che le fattispe cie concrete di ineleggibilità e di incompatibilità debbono essere
giudicate esclusivamente alla luce della specifica disciplina dettata per la loro regolazione
— non è inutile sottolineare che
la disciplina legislativa, non immediatamente volta a regolare le
limitazioni al diritto di elettorato passivo, può rilevare soltanto
nella misura in cui essa sia coerente, ovvero collida, sotto il pro filo della razionalità, con le ragioni della scelta del legislatore di
stabilire, o no, le predette limitazioni: ad esempio, e con riferi
mento alla fattispecie, come sarà specificamente chiarito dalle
successive considerazioni, la disciplina privatistica e pubblici stica dell'appalto e del subappalto di opere, lavori o servizi
pubblici in tanto può influire sull'interpretazione dall'art. 63, 1°
comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000. nella parte che rileva in
questa sede, in quanto essa sia coerente, o no, con le ragioni della causa di incompatibilità ivi prefigurata; con la conseguen za che il dubbio sulla predetta coerenza può eventualmente tra
dursi in dubbio sulla legittimità costituzionale, sotto il profilo della razionalità appunto, della norma che prevede la causa di
incompatibilità. 2.4. - L'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267, nello stabilire
la causa di «incompatibilità di interessi» («non può ricoprire la carica») ivi prevista e rilevante nella fattispecie, pone, ai fini
della sua sussistenza, una duplice, concorrente condizione: la
prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva. È necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il sog
getto — in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica eletti
va — rivesta la qualità di «titolare» (ad es., di impresa indivi duale), o di «amministratore» (ad es., di società di persone o di
capitali: cfr. il n. 1 del medesimo comma, ove si parla più am
piamente, sia pure ad altri fini, di «amministratore di ente, isti
tuto o azienda»), ovvero di «dipendente con poteri di rappre sentanza o di coordinamento», quale può essere, ad es., l'insti
tore o il procuratore di impresa commerciale (cfr. art. 2203
2209 c.c.), o il direttore generale di società per azioni (cfr. art.
2396 c.c.; per l'individuazione dei criteri distintivi del «potere di rappresentanza o di coordinamento», cfr. Cass. nn. 2144 e
Il Foro Italiano — 2005.
2209 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 162, 161; n. 7153 del 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 77; n. 6131 del 1985, id..
Rep. 1985, voce cit., nn. 96, 111; n. 1162 del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 116, e n. 1465 del 1995, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 172). L'ampia formulazione di tali qualità soggettive e
l'analisi della giurisprudenza di questa corte, ora ricordata, mo
strano, per un verso, che le predette qualità debbono risolversi,
in definitiva, in poteri di gestione e/o di decisione (quantomeno) relativamente all'appalto; e dimostrano, per l'altro, a conferma
di quanto dianzi affermato, la legittimità del ricorso alla even
tuale interpretazione estensiva della disposizione. In secondo luogo, il legislatore prevede
— come condizione
«oggettiva», che deve necessariamente concorrere con quella
«soggettiva» per la sussistenza della causa di «incompatibilità di
interessi» — che il soggetto, rivestito di una della predette qua
lità, in tanto è incompatibile, in quanto «ha parte ... in appalti, nell'interesse del comune».
Per la comprensione del senso normativo di tale espressione,
pare indispensabile analizzare partitamente le locuzioni che la
compongono. Se si pone l'accento sul termine «parte» della locuzione «aver
parte» e lo si correla alla successiva locuzione «nell'interesse
del comune», appare chiaro che la locuzione «aver parte» allude
alla contrapposizione tra interesse «particolare» del soggetto, in
ipotesi incompatibile, ed interesse del comune, istituzional
mente «generale», in relazione alle funzioni attribuitegli (cfr.
art. 13 t.u.), e, quindi, allude alla situazione di potenziale con
flitto di interessi, in cui si trova il predetto soggetto, rispetto al
l'esercizio «imparziale» della carica elettiva. In altri termini e
ad esempio, se un imprenditore «ha parte», nel senso ora indi
cato, in un appalto, al quale l'ente locale è «interessato», lo
stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere «imparzialmente» i doveri connessi all'esercizio
della carica elettiva.
La più complessa locuzione «aver parte in [qualche cosa]» non può che assumere il senso — «fatto palese dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse» (art. 12, 1°
comma, disp. sulla legge in generale) — di «parteciparvi insie
me con altri», «prendervi parte»; mentre — com'è noto — la
diversa locuzione «esser parte di [qualche cosa]» vuol dire es
serne uno degli elementi costitutivi.
La circostanza che il legislatore abbia utilizzato il termine
«appalti» al plurale e senza ulteriori specificazioni legittima
l'interprete a comprendere in esso qualsiasi tipo di appalto «nell'interesse del comune», sia esso d'opera, di lavori o di ser
vizi pubblici (cfr., in tal senso estensivo, Cass. n. 10238 del
1995, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 194, 279). «Aver parte in appalti nell'interesse del comune», dunque, si
gnifica, innanzitutto, parteciparvi, eventualmente insieme con
altri soggetti, ovviamente diversi dall'ente locale committente,
o, comunque, «interessato» all'appalto (cfr. Cass. n. 3918 del
1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 129). Il fatto, poi, che il legis latore — fin dalla più remota formulazione della disposizione
(art. 15, 1° comma, n. 7, d.p.r. n. 570 del 1960, dianzi testual
mente riprodotto) — abbia usato l'espressione «ha parte in ap
palti» — anziché, ad es., «è parte di un contratto di appalto»
—
imprime all'espressione medesima un significato ampio: esso si
riferisce, infatti, alla partecipazione all'appalto non soltanto,
com'è ovvio, nella qualità di soggetto appaltatore dell'opera, dei lavori o del servizio pubblico, ma anche, più ampiamente
appunto, come soggetto, il quale vi partecipi con le predette
qualità soggettive e come portatore di un proprio specifico e
«particolare» interesse contrapposto a quello «generale» del
l'ente locale committente — o, comunque, «interessato» all'ap
palto — e, quindi, potenzialmente confliggente con l'esercizio
«imparziale» della carica elettiva. Pertanto — fermo che con il
termine «appalti» il legislatore intende riferirsi all'appalto di
opera, lavori o servizi pubblici di cui l'ente locale sia commit
tente o a cui sia, comunque, interessato — spetta al giudice in
dividuare, secondo le circostanze del caso concreto sottoposto
gli e secondo la disciplina applicabile, quale sia la «partecipa zione rilevante» ai fini dell'applicazione della disposizione in
esame.
Deve essere sottolineato, ancora, che il legislatore — usando,
nell'espressione «ha parte», il tempo presente indicativo — ha
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
inteso significare, per un verso, che la condizione oggettiva del
l'incompatibilità di interessi, anche se potenziale, deve sussiste
re «attualmente», vale a dire al momento della elezione; e, per l'altro, che la partecipazione all'appalto, quale impedimento al
l'esercizio della carica elettiva, dura nel tempo fintantoché essa
possa dirsi sussistente: vale a dire, dal momento iniziale della
partecipazione stessa e sino al suo «esaurimento» e, quindi, al
l'esaurimento del potenziale conflitto di interessi; e ciò, restan
do salva, ovviamente, la facoltà del soggetto incompatibile di
rimuovere la relativa causa nei tempi e nei modi stabiliti dalla
legge. Va, infine, precisato che gli avverbi «direttamente o indiret
tamente» — che, nella disposizione in esame, seguono la locu
zione «ha parte» — debbono intendersi riferiti non già alla con
dizione oggettiva, bensì a quella soggettiva. Nel senso ora precisato, militano, infatti, diverse e concor
renti considerazioni. In primo luogo, il testo originario della di
sposizione; infatti, nella formulazione dell'art. 15, 1° comma, n.
7, d.p.r. n. 570 del 1960, i predetti avverbi seguivano immedia
tamente l'individuazione (meno precisa di quella contenuta
nella disposizione vigente) dei soggetti incompatibili («coloro i quali»), facendosi cadere, quindi, inequivocabilmente, l'accento
sulla condizione soggettiva. In secondo luogo, il rilievo, secon
do cui la causa di incompatibilità all'esercizio di una carica
elettiva costituisce limitazione ad un diritto politico fondamen
tale di natura individuale e personalissima, la quale, perciò, non
può che riferirsi, in ultima analisi, ad una condizione soggettiva di conflitto di interessi. In terzo luogo, l'ulteriore e decisivo ri
lievo, secondo cui — ove i predetti avverbi fossero riferiti alla
condizione oggettiva (partecipazione all'appalto) e, quindi, l'a
rea della incompatibilità comprendesse anche una «partecipa zione indiretta» all'appalto —
un'interpretazione siffatta si pre sterebbe a pericolose estensioni delle limitazioni all'esercizio di
un diritto costituzionalmente garantito, che il legislatore costi
tuente ha voluto come «eccezionali», sulla base di una categoria
giuridica (la «partecipazione indiretta» all'appalto, appunto)
generica, di difficile individuazione e, perciò, piuttosto evane
scente (si pensi, ad es., come ipotesi limite, alla posizione del
l'imprenditore, il quale si sia limitato a fornire i materiali neces
sari alla realizzazione dell'opera pubblica). Ed allora, deve concludersi nel senso che il legislatore
—
qualificando il modo della partecipazione all'appalto — ha inte
so, specificamente, rafforzare l'effettività della norma e limitare il predetto diritto non soltanto nei confronti del soggetto, al
quale, in ragione della partecipazione all'appalto con una de
terminata qualità soggettiva (titolare, amministratore, dipen dente con poteri di rappresentanza o di coordinamento), il con
flitto di interessi sia immediatamente (e formalmente) riferibile, ma anche, con un chiarissimo scopo «antielusivo», nei confronti
del soggetto che, al di là della qualità soggettiva di colui che
partecipa «formalmente» all'appalto, debba, secondo le circo
stanze del caso concreto, considerarsi come il «reale» portatore dell'interesse «particolare» potenzialmente confliggente con
quelli «generali» connessi all'esercizio della carica elettiva.
Sicché, è evidente che la condizione soggettiva di incompatibi lità, nei casi di accertata divergenza tra dato formale e dato so
stanziale relativamente al soggetto partecipante all'appalto, non
può che integrarsi nei confronti del dominus — nel senso di
portatore «sostanziale» e non meramente «formale» — del pre detto interesse. È, naturalmente, difficile — e, comunque, non rileva immediatamente in questa sede — individuare una casi
stica esaustiva delle possibili ipotesi, ma sembra sufficiente, in
prima approssimazione, fare riferimento a casi di interposizione «fittizia» di persona, ovvero a situazioni di collegamento o di
controllo societario prefigurate dall'art. 2359 c.c. (cfr., signifi cativamente, proprio in materia di condizioni per il subappalto, la disciplina dettata dall'art. 18, 9° comma, 1. n. 55 del 1990, nel
testo sostituito dall'art. 9, comma 69,1. n. 415 del 1998, richia
mata dall'art. 141, 3° comma, d.p.r. n. 554 del 1999; nonché la
disciplina sulla rimozione della causa di incompatibilità, esami nata infra al n. 2.6).
Nell'ambito della «cornice» finora delineata il giudice del
merito — ivi compresa questa corte (cfr., e pluribus e da ultimo, sent. n. 1733 del 2001, id., 2001, I, 2882) — è chiamato ad ac
certare, secondo le circostanze del caso concreto, la sussistenza, o no, della causa di incompatibilità di interessi de qua.
Il Foro Italiano — 2005.
2.5. - Dall'analisi che precede discende agevolmente che la
situazione di incompatibilità di interessi tipizzata dalla disposi zione in esame non può non ritenersi integrata nei confronti del
soggetto che, rivestito di una delle qualità soggettive previste dalla disposizione stessa, partecipi, come appaltatore, all'ap
palto nell'interesse del comune: infatti — posto che gli interessi
dell'amministrazione e dell'appaltatore sono «naturalmente»
contrapposti; e che nella disciplina di siffatti contratti i poteri di ingerenza e di controllo dell'amministrazione, committente o
interessata, nei confronti dell'appaltatore sono numerosi e pe netranti dal momento dell'aggiudicazione a quello dell'appro vazione del collaudo finale — la situazione di potenziale con
flitto di interessi, rispetto all'esercizio imparziale della carica
elettiva, in cui versa l'appaltatore, è del tutto evidente, tenuto
conto che questi, quale amministratore locale eletto, verrebbe a
trovarsi, in definitiva, anche nella contraddittoria ed incompati bile posizione di controllato-controllore.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi anche per il sog
getto, il quale, rivestito di una delle predette qualità soggettive,
presti la propria attività nell'ambito di un appalto siffatto come
subappaltatore. A tale conclusione conduce la piana interpretazione dell'art.
63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, senza che si renda
immediatamente necessaria la sua — pur possibile e legittima
— interpretazione estensiva: conclusione, questa, che, peraltro,
non collide neppure, sotto il profilo della razionalità, con la di
sciplina dell'appalto di opera, lavori o servizio pubblici, nella
parte in cui regola il subappalto (cfr., supra, n. 2.3, in fine). In proposito e più specificamente, quel che conta sottolineare
non è tanto l'indiscutibile autonomia e distinzione strutturale
dei rapporti di appalto pubblico e di subappalto stipulato nel
l'ambito di questo, quanto, piuttosto, per un verso, la coinciden
za, parziale o totale, dell'oggetto dell'uno con quello dell'altro
e, per altro verso, la natura secondaria, derivata e dipendente del
subappalto rispetto all'appalto. Più in particolare, per quel che riguarda i principi affermati
da questa corte nella sentenza n. 8384 del 2000 (più volte ri
chiamata con contrapposti intenti negli scritti difensivi delle
parti) — secondo cui il contratto di subappalto, stipulato dal
l'appaltatore di opera pubblica, è strutturalmente distinto da
quello principale d'appalto e, in quanto stipulato tra soggetti
privati, è assoggettato alla disciplina del codice civile ed al
contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli, mentre non
gli sono applicabili, se non attraverso il richiamo pattizio delle
parti, le disposizioni di natura marcatamente pubblicistica tipi che dell'appalto di opere pubbliche
— essi non rilevano per
l'applicazione della disposizione in esame: infatti — mentre la
questione sollevata nella fattispecie alla base della ora richia
mata sentenza aveva ad oggetto l'applicabilità tout court, o no, al subappalto, in quanto stipulato nell'ambito di un contratto di
appalto di opera pubblica, della disciplina pubblicistica rego lante quest'ultimo (questione decisa in senso negativo, proprio in ragione dell'autonomia e della distinzione strutturale dei due
negozi) — il quesito che si pone nella presente fattispecie consi ste nello stabilire se siffatte autonomia e distinzione strutturale
siano, di per sé sole, idonee ad escludere, in radice, a differenza
di quanto accade per la posizione dell'appaltatore, l'ipotizzabi lità di un conflitto di interessi in capo al subappaltatore.
Appare decisivo, in tale prospettiva, ribadire che, nell'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000, la condizione oggettiva
per la sussistenza dell'incompatibilità di interessi ivi prefigurata è data dalla «partecipazione all'appalto», nei sensi dianzi (cfr.,
supra, n. 2.4) precisati, relativamente alla quale sia ipotizzabile un conflitto di interessi. Ed allora, l'autonomia e la distinzione
strutturale del subappalto rispetto all'appalto valgono a delimi
tare l'ambito soggettivo di efficacia di ciascuno dei due con
tratti (esclusivamente inter partes: pubblica amministrazione
appaltatore e appaltatore-subappaltatore), nonché a determinare
la disciplina applicabile ai relativi rapporti f-d alle conseguenti
responsabilità civili delle parti, mentre, a ben vedere, non influi
scono in alcun modo sulla ratio e sull'applicazione dell'art. 63, 1° comma, n. 2, d.leg. n. 267 del 2000. Invece, sia la coinciden
za, totale o parziale, dell'oggetto dei due distinti rapporti, sia la
loro «sovrapposizione», in ragione della natura derivata e di
pendente del subappalto rispetto all'appalto, valgono ad eviden
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PARTE PRIMA
ziare, nella logica della norma di incompatibilità, la comunanza
di interessi «particolari» tra appaltatore e subappaltatore e la lo
ro medesima posizione, sotto tale profilo, rispetto ai contrappo sti interessi «generali» del comune e, quindi, il potenziale con
flitto di interessi di entrambi rispetto all'imparziale esercizio
della carica elettiva.
2.6. - Siffatta interpretazione dell'art. 63, 1° comma, n. 2, è,
inoltre, coerente con le disposizioni legislative che disciplinano il subappalto nell'ambito dell'appalto pubblico.
La sussistenza, in capo al subappaltatore, di un potenziale conflitto di interessi rispetto all'imparziale esercizio della carica
elettiva di amministratore locale trova conferma, innanzitutto,
nella regola generale, secondo la quale, negli appalti di opere
riguardanti la pubblica amministrazione, vige il divieto di sub
appalto in mancanza di autorizzazione dell'autorità competente
(pubblica amministrazione committente o, ad es., suo conces
sionario), stabilita sia dall'art. 339 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. F, sia, attualmente, dalla norma, penalmente sanzionata, dettata
dall'art. 21 1. 13 settembre 1982 n. 646 (disposizioni in materia
di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integra zioni alle 1. 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio 1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di una commissione parla mentare sul fenomeno della mafia) e successive modificazioni
ed integrazioni. Costituisce communis opinio che, con tale di
vieto, il legislatore ha inteso evitare che l'appalto traligni in una
forma di speculazione ed influisca sulla bontà dell'opera per ef
fetto della riduzione del margine di guadagno dell'appaltatore; e
che il controllo esercitato dalla pubblica amministrazione attra
verso l'autorizzazione è preordinato anche alla verifica che i la
vori siano effettuati da imprese tecnicamente e moralmente ido
nee, come è dimostrato dall'inserimento dell'art. 21 cit. in una
legge contenente anche disposizioni di prevenzione di carattere
patrimoniale volte a contrastare la criminalità organizzata e ma
fiosa e, quindi, a prevenire e reprimere infiltrazioni di siffatta
criminalità nell'esecuzione di opere pubbliche (cfr., ad es., per
gli effetti civilistici, della violazione del divieto, sent. n. 11450 del 1997, id., Rep. 1998, voce Opere pubbliche, n. 235).
È sufficiente, poi, leggere la disciplina dettata dall'art. 18 1.
19 marzo 1990 n. 55 (nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di mani
festazioni di pericolosità sociali) e successive modificazioni ed
integrazioni — che regola, relativamente alla partecipazione a
gare per gli appalti di opere o lavori pubblici, condizioni e pro cedimento cui l'autorizzazione al subappalto è subordinata —
per individuare non solo una serie di punti di coincidenza degli interessi del subappaltatore con quelli dell'appaltatore, ma an
che, e soprattutto, la regola, secondo la quale (anche) il subap
paltatore è assoggettato a penetranti controlli della pubblica amministrazione sia preventivi che successivi all'autorizzazio
ne. In primo luogo, infatti, deve ritenersi sempre salvo il potere dell'amministrazione di revocare, a seguito di verifiche succes
sive in ordine alla sussistenza delle predette condizioni, l'auto
rizzazione (erroneamente) data e di esercitare, conseguente
mente, la facoltà di rescissione o di risoluzione del contratto
d'appalto (cfr. art. 21, 1° comma, ultimo periodo, 1. n. 646 del
1982). In secondo luogo, come possibili esempi di controllo
dell'amministrazione successivo all'autorizzazione, possono ri
cordarsi sia la disciplina sui prezzi praticati dall'impresa aggiu dicataria per i lavori e le opere affidati in subappalto (art. 18, comma 3 bis), sia quella sull'osservanza del trattamento eco
nomico e normativo, stabilito dai contratti collettivi nazionale e
territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si
svolgono i lavori, anche nei confronti dei dipendenti del subap
paltatore (art. 18, 7° comma, che prevede la responsabilità in
solido dell'aggiudicatario con il subappaltatore nei confronti dei
dipendenti di quest'ultimo), sia, ancora, quella sulla sicurezza
fisica di tutti i lavoratori operanti nel cantiere (art. 18, 8° com
ma, che prevede un potere di coordinamento dell'aggiudicatario di tutte le imprese operanti nel cantiere e, quindi, anche di
quelle subappaltatrici): orbene, tutte queste discipline prevedo no incisivi poteri di verifica e di controllo, preventivi e succes
sivi all'autorizzazione, esercitabili dalla stazione appaltante an
che nei confronti del subappaltatore. Infine, deve affermarsi, con specifico riferimento alla «rile
vanza temporale» della causa di incompatibilità di interessi in
esame (cfr., supra, n. 2.4), che la «partecipazione» del subap
II Foro Italiano — 2005.
paltatore all'appalto non può ritenersi «esaurita», fintantoché
non sia — o debba considerarsi — intervenuta, al momento
delle elezioni, l'approvazione, da parte del comune committente
(o, comunque, interessato), del collaudo finale (cfr. combinato
disposto degli art. 28, 3° comma, 1. n. 109 del 1994 e 199, 3°
comma, d.p.r. n. 554 del 1999). È noto, infatti, che, con l'ap
provazione del collaudo finale, l'ente pubblico committente (tra
l'altro) «accetta» definitivamente l'opera o i lavori eseguiti an
che per la parte di competenza del subappaltatore. In proposito, deve richiamarsi lo specifico precedente di que
sta corte (cfr. sent. n. 7063 del 1992, id., Rep. 1992, voce Ele
zioni, n. 148), in cui è stato affermato il principio, integralmente condiviso dal collegio, secondo cui «è incontestabile che l'ap
palto di opere pubbliche deve ritenersi pendente finché non sia
intervenuto il certificato di collaudo (o di regolare esecuzione
delle opere) approvato dall'ente pubblico, né può tale situazione
essere superata attraverso interpretazioni 'sostanzialistiche', che
troverebbero ostacolo proprio nello spirito del citato art. 51
[Cost.], la cui funzione, nella parte in cui si riferisce al con
fronto elettorale come metodo di accesso alle cariche pubbliche, è non solo quella di bandire discriminazioni, ma anche quella di
garantire l'uguale diritto di tutti all'osservanza delle regole». Né siffatta affermazione di principio risulta contraddetta dalla
successiva sentenza n. 10238 del 1995, cit., la fattispecie di
pretesa incompatibilità alla base della quale era costituita, non
già da un contratto d'appalto in corso, ma da una mera posizio ne creditoria dell'eletto nei confronti del comune, scaturente da
un contratto d'appalto pacificamente «esaurito» al momento
dell'elezione.
È, comunque, decisivo osservare che, altrimenti opinando,
potrebbe, tra l'altro, accadere — come avvenuto nella specie
(cfr., infra, n. 2.7) — che il subappaltatore, eletto amministrato
re locale (sindaco e/o consigliere comunale), sia chiamato a
concorrere, non solo alla deliberazione di scelta del collaudato
re, ma anche alla deliberazione di approvazione del collaudo fi
nale: situazione, questa, che — prefigurando, nel soggetto elet
to, una contestuale e contraddittoria coincidenza delle posizioni di «controllato» (subappaltatore) e «controllore» (amministrato
re locale) — integra appieno il potenziale conflitto di interessi,
rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva, che la di
sposizione in esame intende impedire. È del tutto evidente, in
fatti, che anche il subappaltatore è «interessato» ad un collaudo
finale favorevole relativamente alle opere od ai lavori dallo
stesso eseguiti, se non altro ed in definitiva perché, in caso di
collaudo sfavorevole, egli potrebbe essere assoggettato all'azio
ne di regresso esercitata dall'appaltatore ai sensi dell'art. 1670
c.c.; e che, nella logica della norma di incompatibilità, quel che
rileva non è già la mera eventualità dell'azione di regresso, ben
sì l'indiscutibile interesse ad un collaudo finale favorevole, de
bitamente approvato dall'ente locale committente.
Né, a confutazione, potrebbe richiamarsi la disciplina relativa
al dovere di astensione degli amministratori locali e dettata dal
l'art. 78, 2° comma, d.leg. n. 267 del 2000: infatti — posto che
tale disposizione stabilisce, tra l'altro, che gli amministratori lo
cali «devono astenersi dal prender parte alla discussione ed alla
votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro pa renti o affini sino al quarto grado»
— è del tutto evidente che, mentre il conflitto di interessi quivi previsto attiene a specifiche situazioni di incompatibilità che possono eventualmente verifi
carsi nel corso dello svolgimento delle funzioni pubbliche con
nesse all'esercizio della carica elettiva (cfr., ad es. e da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2826 del 2003, id., Rep. 2003, voce Co
mune, n. 445), quello disciplinato dalla disposizione in esame
riguarda una situazione di potenziale incompatibilità di interessi
che esiste già al momento della elezione e che, quindi, se non
tempestivamente rimossa, viene considerata dal legislatore co
me ragione di inquinamento originario rispetto allo stesso eser
cizio imparziale della carica.
Neppure può obiettarsi — soprattutto per quel che riguarda il
subappaltatore — che la «pendenza» dell'appalto potrebbe, in
concreto, risolversi in una protrazione sine die della causa di in
compatibilità in esame nei suoi confronti, con conseguente, gra ve compromissione del suo diritto di accesso alla carica elettiva.
In proposito, deve sottolinearsi che — dal momento che colui
che aspira all'esercizio della carica elettiva di amministratore
locale deve sapere che questo si traduce nella cura imparziale
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2513 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2514
della res publico e che il legislatore prefigura chiaramente la
causa di incompatibilità di interessi in esame — l'ordinamento
appresta idonei strumenti per la tempestiva rimozione della cau
sa stessa: dal combinato disposto degli art. 68, 3° comma (nella
parte in cui prevede che «ai fini della rimozione ... delle cause
di incompatibilità sono applicabili le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 5, 6 e 7 dell'art. 60») e 60, commi 3 (nella parte in
cui dispone che «le cause ... [di incompatibilità] non hanno ef
fetto se l'interessato cessa dalle funzioni ... non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature») e 6, d.leg. n. 267
del 2000 (il quale statuisce che «la cessazione delle funzioni
importa l'effettiva astensione da ogni atto inerente all'ufficio
rivestito»), infatti, si trae l'inequivocabile regola, secondo la
quale appaltatore e subappaltatore, partecipanti ad un appalto nell'interesse del comune e rivestiti di una delle qualità sogget tive previste dall'art. 63, 1° comma, n. 2, stesso t.u. (titolare,
amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di
coordinamento), al fine di rimuovere la causa di incompatibilità di interessi ivi stabilita, debbono cessare dalle relative funzioni
«non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidatu
re»; fermo restando, ovviamente, che tale cessazione ha da esse
re «effettiva», e che non deve, quindi, ritenersi sussistente, se
condo le circostanze del caso concreto, una delle ipotesi di di
vergenza tra dato formale e dato sostanziale, dianzi (cfr., supra, n. 2.4, in fine) esaminate, tali da integrare una fattispecie «elu
siva» dell'impedimento in questione. Può aggiungersi
— anche se non rileva immediatamente nel
caso di specie — che l'eventuale «impossibilità» di rimuovere,
al momento di una determinata elezione, la causa di incompati bilità in esame (si pensi, ad es., al caso del titolare di impresa individuale, il quale dovrebbe necessariamente rinunciare alla
sua posizione ed alla sua attività di imprenditore) non costitui
sce ragione sufficiente a considerarla tamquam non esset: infatti — ribadito che il legislatore intende impedire l'esercizio della
carica elettiva di amministratore locale al soggetto che, in
quanto partecipe all'appalto, è considerato, secondo previsione
tipica, in conflitto di interessi con l'ente locale — siffatta causa
di incompatibilità non dura indefinitamente, ma, appunto, fin
tantoché non si esaurisca la partecipazione all'appalto e, quindi, il potenziale conflitto di interessi.
2.7. - Le considerazioni svolte debbono considerarsi anche
«correttive» e/o «integrative» della motivazione in diritto della
sentenza impugnata che dalle stesse diverge o con le quali col
lide. 2.8. - Nella specie, costituiscono circostanze rilevanti ed in
contestate tra le parti — e, comunque, emergenti dagli atti di
causa, direttamente esaminati da questa corte — quelle, secondo
cui, al momento della elezione de qua (9 giugno 2002), Luigino Di Marco rivestiva la qualità di amministratore della I.D.A. di
Di Marco Luigino & C. s.n.c.; la società dallo stesso ammini
strata era subappaltatrice (debitamente autorizzata), per la rea
lizzazione delle opere elettromagnetiche, nell'ambito dell'ap
palto, avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento dell'impianto di depurazione, stipulato dal co
mune di Agropoli con la P.M.C, di Di Palo Rosario Eutimio
s.n.c.; non era intervenuta — né poteva considerarsi intervenuta —
l'approvazione del collaudo finale dei lavori da parte del
comune committente; Luigino Di Marco non aveva provveduto a rimuovere la causa di incompatibilità.
Dai medesimi atti risulta anche: — che, con deliberazione
della giunta comunale n. 95 del 28 ottobre 2002 — cui ha parte
cipato, come sindaco, l'odierno ricorrente — è stato conferito
ad un professionista privato l'incarico del collaudo tecnico am
ministrativo dei lavori de quibus; — e che, in data 11 novembre
2002, è stata redatta dal predetto professionista la relazione di
collaudo ed è stato emesso dallo stesso il certificato di collaudo
(cfr. art. 195 e 199 d.p.r. n. 554 del 1999); e ciò, senza che — si
ribadisce — risulti intervenuta l'approvazione espressa del col
laudo finale da parte del comune.
Alla luce di tali circostanze e di tutte le considerazioni dianzi
argomentate, risulta agevole concludere per l'infondatezza o
l'inammissibilità di tutti i motivi del ricorso (cfr., supra, n. 2.1). Esaminando partitamente i singoli motivi, i primi quattro si
incentrano su un triplice ordine di argomentazioni: da un lato, il
subappaltatore non potrebbe essere qualificato, ai sensi della di
II Foro Italiano — 2005.
sposizione di incompatibilità in esame, siccome «partecipe indi
retto» all'appalto in questione, dall'altro, il contratto di subap
palto de quo si sarebbe «esaurito», con la consegna dei lavori
subappaltati all'appaltatore e con il pagamento del relativo cor
rispettivo da parte di quest'ultimo, in data di molto anteriore
(giugno 2000) a quella dell'elezione del ricorrente a sindaco di
Agropoli (9 giugno 2002); ed infine, una volta esaurito il rap porto di subappalto, vi sarebbe stata» comunque, l'impossibilità materiale e giuridica di rimuovere la (negata) causa di incom patibilità. Anche se può convenirsi sull'erroneità dell'interpre tazione della corte salernitana, quanto al riferimento degli av
verbi «direttamente o indirettamente» alla condizione oggettiva, anziché a quella soggettiva (cfr., supra, n. 2.4) — onde la rela
tiva parte di motivazione va corretta in diritto — non può, inve
ce, convenirsi, sulle conseguenze che la difesa del ricorrente ne
fa discendere: sia per gli impropri richiami alla disciplina priva tistica del subappalto, piuttosto che alla norma di incompatibi lità, sia perché, comunque, nella specie, il ricorrente ha parteci
pato all'appalto «direttamente», vale a dire nella sua qualità di
amministratore della società I.D.A., senza che sia stata nemme
no prospettata l'esistenza di un dominus incompatibile. Relati
vamente all'affermato «esaurimento» del contratto di subap
palto, deve ribadirsi che, nella ricostruzione interpretativa in
questa sede operata, non valgono né i richiami alla disciplina ed
agli effetti privatistici del contratto medesimo, né la sostenuta
«irrilevanza» dell'intervento e dell'approvazione del collaudo
finale. Quanto, poi, alla pretesa impossibilità di rimuovere la
causa di incompatibilità, è sufficiente ribadire l'applicabilità al subappaltatore della disciplina dettata dal combinato disposto
degli art. 68, 3° comma, e 60, 3° e 6° comma, d.leg. n. 267 del
2000 (cfr., supra, n. 2.6). Il quinto motivo deve essere dichiarato inammissibile per ca
renza di interesse a proporlo: infatti l'affermazione al riguardo, contenuta nella sentenza impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. A), è assolutamente parentetica ed è volta a sottolineare, in parziale conformità a quanto osservato in questa sede, insieme ad altre, una delle possibili forme di «ingerenza» del committente pub blico nella sfera giuridica del subappaltatore (cfr., supra, n. 2.6).
Quanto ai motivi dal sesto all'ottavo — che attengono, essen
zialmente, alla pretesa irrilevanza del collaudo finale nei con
fronti del subappaltatore —
gli stessi sono infondati: in propo sito, è sufficiente richiamare le contrarie, specifiche argomenta zioni, dianzi svolte al riguardo (ibid.).
Infine, il nono motivo è inammissibile, nella misura in cui le
affermazioni della sentenza impugnata al riguardo (cfr., supra, n. 1.2, lett. E), nell'ambito della ritenuta illegittimità del certifi
cato di collaudo tecnico-amministrativo, sono palesemente irri
levanti rispetto alla pacifica circostanza della mancata approva zione del collaudo finale al momento dell'elezione del ricor
rente.
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