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Sezione I civile; sentenza 8 maggio 1961, n. 1064; Pres. Verzì P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M.Colli (concl. conf.); Varrese (Avv. Gargano, Russo Frattasi) c. Fall. Soc. coll. Ciciolla Marchetti ec. (Avv. Cifarelli) ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 757/758-759/760Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150444 .
Accessed: 28/06/2014 11:10
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757 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 758
I
legittimazione, il riconoscimento e la dichiarazione giudi ziale di figlio naturale, fondati entrambi sul fatto naturale
della procreazione, hanno efficacia dichiarativa e quindi ex tunc », ed attribuiscono, quindi, al figlio riconosciuto o
dichiarato tutti i diritti che tale stato determina nei con
fronti del genitore fin dalla nascita, compreso quello del
diritto al mantenimento, all'educazione ed all'istruzione.
Quanto a quest'ultima affermazione e appena il caso di ri
cordare che la sentenza che dicbiara la filiazione naturale
produce gli effetti del riconoscimento (art. 277 cod. civ.), tra i quali l'obbligo a carico dei genitori di mantenere il
figlio riconosciuto, di educarlo e di istruirlo, come b pre scritto dall'art. 147 cod. civ. a carico dei genitori per i
figli legittimi (art. 261 cod. civile). Circa l'applicabilita, al caso in esame, dell'art. 445
cod. civ., il quale, accogliendo l'antico e notissimo principio nemo alitur in praeteritum, dispone cbe : « gli alimenti sono
dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell'obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giu diziale », va osservato che, esattamente, la Corte di Milano
l'ha negata. Come e noto, il principio riferito vale, per concorde
opinione e costante giurisprudenza di questa Suprema
corte, anche per l'obbligazione di corrispondere il manteni
mento e non soltanto gli alimenti. Risulta perõ chiaro, dalla
stessa formulazione testuale della norma riportata cbe
questa puõ essere fatta valere solo nei confronti dei diretti
obbligati, cioe il debitore ed il creditore delle dette obbli
gazioni, come e reso palese dal significato delle parole
«obbligato » e «costituzione in mora dell'obbligato ».
La ragione cbe si adduce per giustificare il principio ac
colto dal nostro ordinamento giuridico, nei limiti preci
sati, b che l'oggetto dell'obbligo (alimentare o mantenere) non puõ piu raggiungersi rispetto al tempo trascorso. Tale
ragione viene meno, come e risaputo, per il pagamento dei debiti che il creditore dell'obbligazione alimentare o
di mantenimento abbia contratto a tale fine e nell'ipotesi cbe un terzo od un coobbligato, oltre i limiti della sua quota, abbia provveduto ad alimentare o mantenere l'avente di
ritto. In quest'ultima ipotesi, la dottrina e la giurisprudenza concordemente banno riconosciuto al terzo od al coobligato, che abbia provveduto nei modo giä precisato al sostenta
mento anzidetto, il diritto ad esercitare l'azione fondata
sull'utile gestione. Nei caso in esame, come si e fatto cenno, si e, corret
tamente, affermata Tutile gestione da parte della madre
naturale. N6 vale ad escluderla la considerazione che la
legge impone ad entrambi i genitori naturali di curare ed
assistere e mantenere i figli, mentre la gestio presuppone cbe
uno o piii affari siano geriti per spontanea assunzione lecita.
La legge impone genericamente anche ai genitori na
turali di assistere e mantenere la prole naturale, e deter
mina in quote proporzionali l'obbligo patrimoniale di
ciascuno. Quel dovere generico di cura e di assistenza e quello
patrimoniale sono adempiuti da entrambi o da uno dei
genitori, in aderenza alle particolari condizioni in cui in
concreto si svolge la vita dei due genitori naturali: in co
mune o separatamente. In quest'ultima ipotesi, il dovere
di assistenza e di cura non 6 adempiuto in comune e l'obbligo
patrimoniale di ciascuno dei due genitori puõ distinguersi
agevolmente, e la differenziazione obiettiva fra l'obbligo
generico di cura e di assistenza e l'obbligo patrimoniale di ciascuno dei due genitori naturali assume netto rilievo
e consente di darne, anche in relazione alle circostanze di
fatto, cbe valgano a cbiarire l'intenzione del genitore che
ha provveduto al mantenimento del figlio, oltre il limite
legale della sua quota. II carattere incondizionato dell'ob
bligo, che, per l'effetto dichiarativo della sentenza di dichia
razione giudiziale di paternitä naturale, sussiste a carico del
genitore dichiarato tale fin dalla nascita del figlio, toglie efficacia alla volontä contraria del genitore, che si sia ri
fiutato di riconoscere il figlio, la cui paternitä giudiziale
gli b stata successivamente attribuita con sentenza pas sata in giudicato. La gestio, in tal caso, assume la figura di
gestio invito domino, unanimemente ammessa.
Come si h giä detto, in occasione della confutazione del
primo motivo del ricorso, i Giudici di appello hanno accer tato le circostanze di fatto, in base alle quali, esattamente, hanno ritenuto die, nella specie, ricorresee l'utile gestione della madre naturale, anche per la parte relativa all'obbli
gazione di mantenimento del figlio naturale, che gravaya fin dalla nascita (per il ricordato effetto dichiarativo ddla sentenza di dichiarazione giudiziale di paternita) del figlio naturale. Trattasi, quindi, di una pretesa autonoma di
rimborso di quanto la Pagani La speso del proprio patri monio, con evidente diminuzione di questo, e non giä della pretesa di ottenere la prestazione del mantenimento
del figlio naturale non soddisfatta dall'Arnone. Ciõ, oltre la interpretazione letterale prima ricordata dell'art. 445
cod. civ., spiega anclie perche il principio nemo alitur in
praeteritum puõ essere fatto valere solo nei confronti dei
diretti obbligati: creditore e debitore dell'obbligazione ali
mentare o di mantenimento e non puõ avere alcun rilievo
nei confronti dei terzi (rispetto ai due obbligati anzidetti), i
quali terzi fanno valere la giä precisata autonoma pretesa.
(<Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
GORTE SÜPREMA DI CÄSSÄZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 8 maggio 1961, n. 1064 ; Pres.
YeezI P., Est. Bianchi d'Espinosa, P. M. Colli (cöncl.
eonf.) ; Yarrese (Atv. Gakgaho, Etjsso Fbattasi) c.
Fall. Soc. coll. Ciciolla Marchetti e c. (Aw. Cifaeelli) ed altri.
(Gonferma A pp. Bari 17 luglio 1959)
Societä — Socielä in nome eollettivo — Coniuge del
socio delunto — Inapplicaliilit a dell'art. 2284 cod.
civ. — Assunzione di qualitä di socio per accordo — Possibility (Cod. civ., art. 2284).
II coniuge del socio di una societa in nome eollettivo, cui non
e applieabile la norma dell'art. 2284 cod. civ., pud dive
nire socio della societä in base ad accordo con i soci
superstiti. (1)
La Corte, ecc. — La ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata avrebbe erroneamente applicato le disposizioni di legge relative alia successione del coniuge superstate, nonche l'art. 2284 cod. civ., avendo ritenuto che possa con
tinuare a far parte di una societä in nome eollettivo, ai
sensi del citato articolo, il coniuge suddetto, che e usufrut
tuario ex lege, e non erede. II coniuge stesso, invece, secondo
la ricorrente, non potrebbe divenire socio, perche e un
terzo di fronte alia societa.
La tesi di diritto riguardante la natura dell'usufrutto
uxorio del coniuge superstate, esposta dalla ricorrente, e
indubbiamente esatta. £ infatti ius receptum cbe non acqui sta la qualitä di erede, ma quella di semplice legatario, il
coniuge al quale, nella successione ab intestato, spettino i diritti precisati nell'art. 581 cod. civ. ; da tale premessa discende la conseguenza, anch'essa indubbiamente esatta, cbe al detto coniuge non puõ essere applicata la disposi zione dell'art. 2284, secondo la quale, in caso di morte di
uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, o
sciogliere la societa, a merio cbe non preferiscano conti
nuarla con gli eredi, e questi vi consentano.
(1) In applicazione delle norme del codice abrogate, la Cas
sazione con sentenza 3 agosto 1942, n. 2392 (Foro it., 1943,
I, 11, con nota di Pescatore) aveva giä affermato che il coniuge
superstite usufruttuario non acquista ope legis la qualitä di
socio. Nello stesso senso Trib. Firenze 26 gennaio 1953, id.,
Eep. 1953, voce Societa, n. 415. Sul subentro ex art. 2284, v. Pekki, La societa semplice,
in Commentario del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca,
1955, pag. 226.
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759 PARTE PRIMA 760
Ma 1'esattezza di questa tesi non fu posta in dubbio dalla
sentenza impugnata, la quale anzi esplicitamente riconobbe,
partendo dalle premesse ora esposte, clie la Varrese non era
erede del marito, e non poteva perciõ essere considerata
socia della Societä failita, in applieazione dell'art. 2284 ;
onde, sotto questo profilo, la sentenza medesima e immune da qualsiasi censura, avendo esattamente applicato le norme
di legge richiamate dalla ricorrente.
La Corte d'appello, perõ, dopo avere premesso tali
esatte considerazioni, ritenne ehe la Varrese fosse divenuta,
dopo la morte del marito, soeia della Societä, in nome col
lettivo (e pertanto con responsabilitä illimitata), in virtü
di apposita convenzione intercorsa tra la stessa Varrese e gli altri soci ; convenzione della cui validity, per il principio deH'autonomia contrattuale, non vi era alcun motivo di
dubitare. E, cosi decidendo, la Corte, dopo avere accertato
in fatto la situazione esistente applicõ ad essa esatti principi di
diritto ; affermando (in c-onformitä del resto ad una decisione, anche se 11011 recente, di questa Corte suprema, 3 agosto 1942, n. 2392, Foro it., 1943, I, 11) ehe il coniuge superstite, se non diventa socio per la sola esistenza del suo diritto di
usufrutto nella quota soeiale del defunto, puõ divenire
socio per effetto di convenzione espressa o tacita con gli altri soei.
E infatt-i evidente ehe ai principio della autonomia con
trattuale (art. 1322 cod. civ.) non si oppone, nella specie, al
cuna norma inderogabile di legge, e ehe i soci di una societä
in nome collettivo, cosi come possono liberamente modi
fieare il contratto soeiale (art. 2252 eod. civ.), possono am
mettere a far parte di una societä giä costituita nuovi
soci (taie possibilitä e prevista espressamente dall'art. 2269
cod. civ.) e perciõ, come potrebbero ammettere quale socio
un qualsiasi terzo estraneo, possono ammettere anche la
vedova di un socio defunto.
Che ciõ sia avvenuto nel caso concreto, lo ha poi rite
nuto, con giudizio incensurabile di fatto, la Corte di merito ; la quale lia dato ragione del suo apprezzamento con ampia ed adeguata motivazione, indicando specificamente gli ele menti probatori, da cui risultava che la Varrese fu accolta
da tutti gli altri soci come membro responsabile dell'ente
soeiale, con assoluta paritä di diritti ; e che come tale svolse
concreta attivitä in seno alla Societä (la qualitä di socia fu
espressamente riconosciuta alla Varese in diverse assemblee; essa prese parte a varie deliberazioni sociali; a lei furono
corrisposti utili da parte della Societä, ecc.). La qualitä di socia con responsabilitä illimitata della
Varrese fu accertata perciõ insindacabilmente dalla Corte
di appello (e la suddetta qualitä imponeva, failita la Societä, la dichiarazione di fallimento della socia, ai sensi dell'art. 147
r. decreto 16 marzo 1942 n. 267). Per questi motivi, rigetta, ecc.
I
GORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 5 maggio 1961, n. 1024 ; Pres. Lorizio P., Est. Albano, P. M. Toro (concl. conf.) ; Linzitto (Ayv. Gallo) c. Giucastro (Aw. Trigilio).
(Cassa Trib. Siracusa 31 marzo 1959)
Kscfii/.ionc forzata <li ubbliyhi <li fare o di Hon tare —
Provvedimento del pretore conform»' al titolo ese cutivo — Appellabilitä (Cod. proc. civ., art. 612).
E appellabile il provvedimento, emanato in forma di ordi
nanza, col quale il pretore, adito per la determinazione delle modalitä d'esecuzione degli obblighi di fare o non fare, dichiari non luogo a deliberare.ritenendo, sulla base del titolo
esecutivo, ehe Vopera sia stata legittimamente eseguita. fl)
(1) In senso conforme, a proposito dell'impugnabilita del provvedimento con il quale il pretore, investito del ricorso di
II
PRETURA DI CORTINA D'AMPEZZO.
Ordinanza 7 iuglio 1961 ; Giud. Zucconi Galli Fonseca ; Colli c. Colli.
Esecuzione forzata cli obhli<|hi di fare o di non fare —
Ricorso ex art. 612 eod. proe. eiv. — Cocjiiizione del pretore — Limiti (Cod. proc. civ., art. 612).
In difetto di opposizione alVesecuzione, il pretore, ai quale sin
stato diretto, in contraddittorio con le parti obbligate, ricorso
per Vesecuzione forzata di un obbligo di fare, puõ emanare
ordinanza di non luogo a deliberare, sia quando accerti ehe Vesecuzione richiesta non pud essere materialmente
compiuta, sia quando il ricorrente pretenda valet si del ti tolo per ottenere una particolare forma d'esecuzione in esso non contemplata. (2)
I
La Corte, ecc. — Con il primo mezzo il ricorrente de nuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1168 e 2931 cod. civ. e 703, 704, 705, 612 cod. proc. civ., in rela zione all'art. 360, n. 5, eod. proc. civ., sostenendo ehe la decisione impugnata era una sentenza, nonostante avesse la forma di ordinanza, in quanto il Pretore, senza dettare le modalitä di esecuzione della precedente sentenza del Tri
bunale, era entrato nel merito della lite, omettendo tuttavia
cui all'art. 612 cod. proc. civ., dichiari non luogo a deliberare ritenendo, in contrasto eol titolo esecutivo, ehe le opere siano state legittimamente eseguite, v. Cass. 13 maggio 1954, n. 1515, Foro it., 1955, I, 1038, con nota di richiami (annotata da Dini in Giur. Cass. civ., 1954, 1° bim., 44), eitata nella motivazione della presente sentenza.
Nel senso ehe il provvedimento, emesso dal pretore a norma dell'art. 612, ha per espressa disposizione di legge natura e forma di ordinanza, se ed in quanto si limiti a determinare le modalita dell'esecuzione, laddove acquista valore di sentenza, divenendo come tale impugnabile, se dirime le controversie, insorte tra le
parti, circa l'ammissibilit& della procedura esecutiva iniziata, v. App. Palermo 14 ottobre 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Esecu zione forzata di obblighi di fare o di non fare, n. 9 ; Trib. Lago negro 31 agosto 1953, id., Rep. 1953, voce eit., n. 8 ; Cass. 12 luglio 1951, n. 1925, id., Rep. 1951, voce eit., nn. 2, 3 (pubbli cata in extenso, con nota di Chieppa, in Giur. Cass. civ., 1951, 3° quadr., 712), pure richiamata in motivazione.
Sulla natura decisoria e la conseguente impugnabilitä del decreto col quale il giudice, anziche provvedere, ai sensi del l'art. 613 cod. proc. civ., alla eliminazione di difficoltä di esecu zione, accerti se lo spontaneo adempimento dell'obbligo di fare attui il diritto del creditore della prestazione quale risulta dal titolo e ne soddisfi l'interesse, producendo l'estinzione dell'obbli gazione e la consumazione dell'azione esecutiva, cons. Cass. 7 maggio 1958, n. 1491, Foro it., Rep. 1958, voce eit., nn. 13, 14, del pari eitata nella motivazione.
In dottrina, per una disamina delle diverse opinioni circa la natura del provvedimento pretorile di cui all'art. 612 cod. proc. civ., v. Andrioli, Commento, IIIs, pag. 331.
(2) Nei precisi termini della massima non si rinvengono pre cedenti. Cass. 8 luglio 1952, n. 2069, Foro it., Rep. 1952, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, nn. 3, 4, richiamata nella presente ordinanza, ha affermato ehe, qua lora sia stata disposta da una sentenza, in sede di cognizione, la condanna di una parte a ricostruire un'opera secondo speci fiche modalitä e 1'altra parte chieda successivamente ehe sia ordinata alla parte condanna ta la pronta ed immediata rimo zione dell'opera, costruita in difformitä dal titolo di condanna, tale istanza non inerisce all'esecuzione degli obblighi di fare o di non fare, secondo le previsioni dell'art. 612 cod. proc. civ. e nemmeno attiene a difficolta sorte nel corso dell'esecuzione di tali obblighi, ma costituisce la premessa di un'azione di accerta mento circa la conformity o meno dell'opera, volontariamente compiuta, ai tenore dell'intervenuta sentenza, di una connessa o conseguenziale azione di condanna alla rimozione delle opere ehe vengano denunziate come arbitrariamente compiute ; azione ehe non puõ ritenersi conosciuta ed esaurita nel processo precorso e ehe rientra nella competenza del giudice di cognizione. In dottrina, v. Andrioli, op. loe. eit.
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