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sezione I penale; sentenza 18 maggio 2005; Pres. Mocali, Est. Silvestri, P.M. Viglietta (concl....

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sezione I penale; sentenza 18 maggio 2005; Pres. Mocali, Est. Silvestri, P.M. Viglietta (concl. conf.); ric. Ben Dhafer Sami. Annulla Trib. sorv. Bologna, ord. 11 novembre 2004 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 641/642-645/646 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201501 . Accessed: 28/06/2014 12:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:40 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 18 maggio 2005; Pres. Mocali, Est. Silvestri, P.M. Viglietta (concl.conf.); ric. Ben Dhafer Sami. Annulla Trib. sorv. Bologna, ord. 11 novembre 2004Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 641/642-645/646Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201501 .

Accessed: 28/06/2014 12:23

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641 GIURISPRUDENZA PENALE 642

CORTE DI CASSAZIONE; CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 18

maggio 2005; Pres. Mocali, Est. Silvestri, P.M. Viglietta

(conci, conf.); ric. Ben Dhafer Sami. Annulla Trib. sorv. Bo

logna, ord. 11 novembre 2004.

Ordinamento penitenziario — Misure alternative alla deten zione — Straniero — Espulsione amministrativa — Com

patibilità (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limi

tative della libertà, art. 47, 47 ter, 48; d.p.r. 9 ottobre 1990 n.

309, t.u. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei

relativi stati di tossicodipendenza, art. 94; d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 13).

Lo straniero extracomunitario detenuto in espiazione di pena

può fruire delle misure alternative previste dall'ordinamento

penitenziario, benché destinatario (anche) di un provvedi mento di espulsione amministrativa dal territorio nazionale,

per difetto di permesso di soggiorno (in motivazione, si preci sa che l'accertamento giudiziale delle effettive probabilità di

recupero sociale del detto straniero va effettuato in concreto

e non — in modo negativo — sulla base di premesse generi che di tipo presuntivo). (1)

(1) I. - La pronuncia in epigrafe opera un revirement rispetto a Cass. 11 novembre 2004. Hadir, Ced Cass., rv. 230191; 5 giugno 2003, Me

ma. Foro it.. Rep. 2003, voce Sorveglianza (magistratura di), n. 7, e 20

maggio 2003, Calderon, ibid., voce Ordinamento penitenziario, n. 77, secondo cui, invece, sussiste un'assoluta incompatibilità della posizio ne del clandestino con l'esecuzione di misure alternative alla detenzio

ne, che comportino la permanenza nel territorio dello Stato. Tale condi

zione, infatti, rende illegala la sua permanenza in Italia, non potendosi ammettere che l'esecuzione.della:pena abbia luogo con modalità tali da

comportare la violazione o l'elusione delle norme che rendono configu rabile detta illegalità.

II. - Pervero, Cass. 14 dicembre 2004, Sheqja, Ced Cass., rv. 230586, risulta molto vicina alla sentenza in rassegna, avendo ritenuto corretta l'ammissione alla semilibertà di un extracomunitario detenuto, pur col

pito da provvedimento amministrativo di espulsione. Infatti, l'istituto

previsto dall'art. 48 1. 354/75, quale fonte di «(. ..) spazio di libertà molto ridotto e quindi più controllabile dalle forze dell'ordine», è stato

conseguentemente ritenuto inidoneo a determinare «(. . .) violazione o elusione delle norme in materia di immigrazione clandestina». In moti

vazione, peraltro, si sottolinea che nel caso di specie il cittadino stranie

ro, coniugato con moglie munita di permesso di soggiorno ed inqua drato come operaio in una piccola azienda edile gestita da un parente, aveva ottenuto — sette mesi prima dell'udienza di legittimità — il

permesso di soggiorno (come da documentazione appositamente depo sitata dalla difesa).

Tali concomitanti e peculiari circostanze di fatto hanno, quindi, in

dotto la Suprema corte a concludere per «(. . .) la sussistenza delle con dizioni per un graduale reinserimento del condannato nella società

(• • •)»• In realtà, precedenti giurisprudenziali del tutto omogenei alla pro

nuncia de qua sono Cass. 31 gennaio 1985, Ortiz, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 30 (espressamente richiamata), e 5 maggio 1982, Schubeyr, id., 1983, II, 461, ambedue favorevoli alla (possibile) concessione delle misure alternative extradetentive in favore di straniero, detenuto e de stinatario (anche) di provvedimento espulsivo (penale) ex art. 235 c.p.

Anche Cass. 3 ottobre 1995. Padilla Chaves, id.. Rep. 1996, voce

Sorveglianza (magistratura di), n. 32, ha evidenziato che «non può es sere dichiarata inammissibile de plano l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale del condannato extracomunitario, del quale debba essere disposta l'espulsione dal territorio dello Stato, giacché quest'ul tima sospende, ma non fa cessare l'esecuzione della pena, che deve ri

prendere qualora il condannato vi rientri (. . .)». Nello stesso senso, si

era già espressa Cass. 13 dicembre 1993, Mirbazki, id.. Rep. 1994, vo

ce Ordinamento penitenziario, n. 92.

III. - La sentenza in epigrafe, quindi, negando l'esistenza de iure

condito di un divieto di applicazione delle misure alternative al carcere

nei confronti degli stranieri espulsi con decreto prefettizio, opta per una

interpretazione costituzionalmente orientata — ex art. 3, 1° comma, e

27, 3° comma, Cost. — delle norme relative alle misure extra

detentive; all'uopo, essa tiene conto dei principi affermati in subiecta materia dalla Consulta (Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 569, id., 1991,

I, 1708, e 30 dicembre 1997, n. 445, id., 1998, I, 2732) nonché di una

consolidata favorevole prassi amministrativa — desunta da circolari

Il Foro Italiano — 2005 — Parie II-18.

Ritenuto in fatto. — Con ordinanza dell' 11 novembre 2004, il

Tribunale di sorveglianza di Bologna rigettava le richieste di af

fidamento in prova al servizio sociale, di affidamento terapeuti

co, di semilibertà e di detenzione domiciliare presentate da Ben

Dhafer Sami, rilevando che costui era stato espulso con decreto

prefettizio e che non esistevano, dunque, valide prospettive di

reinserimento sociale sul territorio nazionale.

Il difensore del condannato proponeva ricorso per cassazione

denunciando mancanza di motivazione, per non essere stata in

ministeriali appositamente citate — riprendendo in toto le argomenta zioni di Renoldi, L'affidamento in prova al servizio sociale è incom

patibile con la condizione di clandestinità dello straniero che si trova

irregolarmente in Italia?, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2004, fase. 1, 87.

Conseguentemente, il provvedimento di espiazione della pena viene ritenuto ex se quale peculiare titolo giustificativo della presenza (anche se non volontaria) dello straniero sul territorio nazionale, idoneo, ex le

ge: 1) a sospendere l'efficacia del provvedimento amministrativo di

espulsione; 2) a determinare (possibili) modalità alternative di espiazione della

pena, anche in deroga alle (restrittive) regole amministrative, fissate

dagli art. 5 bis d.leg. 286/98 ed 8 bis d.p.r. 394/99 (come modificato dal

d.p.r. 334/04) in materia di avviamento al lavoro («volontario») dei cittadini extracomunitari.

IV. - In sostanza, l'illecito amministrativo relativo all'ingresso o al

soggiorno contra legem non può operare a priori in modo «perpetuo ed

insanabile», sì da costituire il presupposto (implicito) di «un diritto

speciale dei migranti», fondato — essenzialmente — su rigidi principi repressivi, preordinati solo all'allontanamento — appena possibile —

dello straniero, quale «nemico della società» (sul punto, tra gli altri, cfr.

Caputo, L'immigrazione: ovvero, la cittadinanza negata, in AA.VV., Attacco ai diritti a cura di L. Pepino, Bari, 2003, spec. 40, nonché, Im

migrazione, diritto penale e sicurezza, in Questione giustizia, 2004,

spec. 364). Del resto, non da oggi in dottrina è stata sottolineata l'importanza del

dictum letterale dell'art. 1, 2° comma, 1. 354/75. secondo cui il tratta

mento penitenziario è (tra l'altro) «improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni eco

nomiche e sociali (. . .)»: in tal modo, infatti, è stata riaffermata la vali

dità, anche nel sistema penitenziario, del principio di non discrimina zione fra i vari individui, sancito nell'art. 3 Cost, (così, Di Gennaro

Bonomo-Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla

detenzione, Milano. 1987. 4i i.

V. - In conclusione, p. .■ ' i Suprema corte i giudici di merito devono

accertare, caso per caso, «le effettive probabilità di recupero sociale»

dello straniero detenuto, benché destinatario di espulsione amministra

tiva. considerando le «specifiche condizioni personali» dello stesso, «le

diverse opportunità trattamentali offerte da ciascun tipo di misura» e le

«documentate opportunità di lavoro esterno rappresentate dalla difesa». Non a caso, viene rammentata l'ampia portata della funzione riedu

cativa della pena, non correlata necessariamente alla presenza in Italia del condannato anche nella fase post-carceraria.

Sotto questo aspetto, va ricordato che proprio di recente è stata sot

tolineata l'importanza del sistema carcerario (anche) ai fini della riso cializzazione degli stranieri «clandestini», destinati a rientrare nei pro pri paesi d'origine (cfr. Turco-Tavella, I nuovi italiani. L'immigra zione, i pregiudizi, la convivenza, Milano, 2005, 265).

Quindi, tra l'altro, ben potrebbero essere valorizzate anche ipotesi lavorative extramurarie, idonee a garantire — in una prospettiva «so

pranazionale» — un positivo reinserimento nella terra natia dello stra niero da espellere, come già opinato expressis verbis da Cass. 5 maggio 1982, Schubeyr, cit.

VI. - Per completezza informativa, va citata Trib. Perugia 9 febbraio

1983, Foro it.. Rep. 1984, voce cit., n. 130, secondo cui la misura di si

curezza dell'espulsione dal territorio nazionale costituisce condizione

ostativa per lo straniero condannato all'ammissione alla semilibertà, in

considerazione della gravità del delitto commesso, della particolare pe ricolosità, della necessità di difesa sociale.

Per ulteriori richiami a recenti (contrastanti) pronunce di merito in

subiecta materia, cfr. Renoldi, op. cit., 96, sub nota 12. In dottrina, da

ultimo, ampiamente, cfr. Santoro, L'esecuzione penale nei confronti dei migranti irregolari e il loro «destino» a fine pena, in Dir. immigra zione e cittadinanza, 2004, fase. 4, 23.

VII. - In ultimo, occorre rammentare una recente testimonianza del

citato «diritto speciale dei migranti»: ci si riferisce all'art. 3 1. 1° agosto 2003 n. 207, in tema di sospensione condizionata dell'esecuzione della

pena detentiva nel limite massimo dei due anni. Invero, tale norma pre

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PARTE SECONDA

alcun modo valutata la documentazione influente sul giudizio

prognostico, e violazione di legge, sull'assunto che la decisione

era in contrasto con i principi sulla funzione rieducativa della

pena e con le circolari ministeriali relative alla condizione degli stranieri extracomunitari ammessi a misure alternative.

Considerato in diritto. — 1. - Il ricorso è fondato, in quanto l'ordinanza impugnata è inficiata dai vizi logici e giuridici pro spettati dal ricorrente.

Preliminarmente occorre stabilire se nei confronti dello stra

niero extracomunitario espulso dal territorio dello Stato con de

creto prefettizio l'espiazione della pena possa o non avvenire

nelle forme delle misure alternative previste dall'ordinamento

penitenziario. Ricorrono precisi ed inequivoci argomenti di ordine logico e

sistematico per ritenere che la soluzione debba essere affermati

va e che il regime delle misure alternative alla detenzione in

carcere possa essere applicato anche allo straniero entrato ille

galmente in Italia e colpito da provvedimento di espulsione amministrativa operante solo dopo l'esecuzione della pena.

Come ha lucidamente osservato il procuratore generale presso

questa corte nella sua requisitoria scritta, le misure alternative

previste dall'ordinamento penitenziario trovano diretto ed im

mediato referente nella funzione rieducativa della pena sancita

dall'art. 27, 3° comma, della Carta costituzionale.

Nella giurisprudenza della Corte costituzionale è stato chia

rito come ciascun istituto previsto dall'ordinamento penitenzia rio si modelli e viva nel concreto come strumento dinamica

mente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena, non soltanto nei profili che ne caratterizzano l'essenza, ma an

che per i riflessi che dal singolo istituto scaturiscono sul più ge nerale quadro delle varie opportunità trattamentali che l'ordi

namento fornisce (Corte cost. 30 dicembre 1997, n. 445, Foro

it., 1998, I, 2732). E, a proposito dell'affidamento in prova, il

giudice delle leggi ha precisato che tale misura non costituisce

un provvedimento premiale o di clemenza, ma corrisponde ad

un esperimento penitenziario, condotto sotto altre modalità di

espiazione, per agevolare ed affrettare il reinserimento sociale

del condannato, consentendogli di espiare la residua pena in

condizioni di relativa libertà al fine di favorire la disponibilità alla collaborazione rieducativa (Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 569, id., 1991,1, 1708).

Il preminente valore costituzionale della funzione rieducativa

della pena, sotteso ad ogni misura alternativa alla detenzione in

carcere, deve costituire la necessaria chiave di lettura delle di

sposizioni dell'ordinamento penitenziario, di talché l'interpreta zione costituzionalmente orientata della normativa consente di

affermare che l'applicazione di dette misure non può essere, a

priori, esclusa nei confronti degli stranieri privi di permesso di

soggiorno, destinatari di espulsione amministrativa da eseguire

dopo l'espiazione della pena. Infatti, in materia di misure alter

native deve essere senz'altro negata la possibilità di introdurre

discriminazioni tra cittadini (e stranieri muniti di permesso di

soggiorno) e stranieri in condizione di clandestinità, per la deci

siva ragione che le relative disposizioni di legge sono dettate a

tutela della dignità della persona umana, in sé considerata e

protetta indipendentemente dalla circostanza della liceità o non

della permanenza nel territorio italiano: sicché un'eventuale di

sparità di trattamento normativo risulterebbe indubbiamente

contraria ai principi di uguaglianza e al canone della ragione volezza di cui all'art. 3 Cost.

A simili coordinate interpretative si è uniformata, già in pas sato, la giurisprudenza di questa corte allorché ha stabilito che

le misure alternative devono essere applicate nei confronti di

elude radicalmente la fruizione del c.d. indultino proprio agli stranieri in espiazione di pena ed attinti anche da provvedimento espulsivo am

ministrativo; in proposito, sono stati sollevati dubbi di costituzionalità da Barbieri, in AA.VV., Commento articolo per articolo alla 1.1° ago sto 2003 n. 207, in Legislazione pen., 2003, 411.

Vili. - Per un'aggiornata (e critica) valutazione sulla situazione car ceraria italiana e sull'importanza delle misure alternative al carcere, cfr. Monteverde, Carceri: contro il sovraffollamento la strada corretta delle misure alternative, in Guida al dir., 2005, fase. 26, 11. [G. Gior

gio]

Il Foro Italiano — 2005.

tutti coloro che si trovano ad espiare pene, inflitte dal giudice italiano in istituti italiani, senza differenziazione di nazionalità, con la precisazione che non esiste incompatibilità tra espulsione da eseguire a pena espiata e misura alternativa volta a favorire il

reinserimento del condannato nella società, posto che non è pos sibile distinguere tra società italiana e società estera e che «la ri

socializzazione non può assumere connotati nazionalistici, ma

va rapportata alla collaborazione fra gli Stati nel settore della

giurisdizione» (Cass. 31 gennaio 1985, Ortiz, id., Rep. 1985, voce Ordinamento penitenziario, n. 30).

Tale orientamento merita piena conferma, in quanto la nor

mativa dell'ordinamento penitenziario e quella del t.u. sull'im

migrazione, neppure dopo le modifiche introdotte dalla 1. 30 lu

glio 2002 n. 189, non contiene alcun divieto, esplicito o impli

cito, di applicazione delle misure alternative ai condannati stra

nieri che siano entrati illegalmente in Italia.

2. - Le considerazioni appena svolte spiegano esauriente

mente le ragioni per le quali non può essere condiviso l'opposto

principio stabilito da questa corte, improntato a linee ermeneuti

che del tutto difformi da quelle esposte, secondo cui «l'affida

mento in prova al servizio sociale e, in genere, tutte le misure

extramurarie alternative alla detenzione, non possono essere ap

plicate allo straniero extracomunitario che si trovi in Italia in

condizione di clandestinità, atteso che tale condizione rende il

legale la sua permanenza nel territorio dello Stato e che non può ammettersi che l'esecuzione della pena abbia luogo con moda

lità tali da comportare la violazione o l'elusione delle norme che

rendono configurabile detta illegalità» (Cass. 20 maggio 2003,

Calderon, id., Rep. 2003, voce cit., n. 77). Nella sua portata di generalizzata ed inderogabile operatività

del divieto di applicazione delle misure alternative, la decisione

testé citata non solo appare totalmente divergente dall'interpre tazione «adeguatrice» imposta dai precetti contenuti negli art.

27, 3° comma, e 3 Cost., alla luce dei quali deve essere rico

struito il contenuto delle disposizioni dell'ordinamento peniten

ziario, ma muove dalle errate premesse che la condizione di

clandestinità rimanga comunque insanabile per tutto il periodo di permanenza in Italia e che l'unica condizione possibile per lo

straniero sia quella della detenzione in carcere. Quest'ultima

posizione, tuttavia, è certamente inaccettabile, dato che l'espia zione della pena rappresenta essa stessa il titolo che, sospenden do l'esecuzione dell'espulsione amministrativa, giustifica la

presenza dello straniero nel territorio nazionale e che il provve dimento giurisdizionale che la legittima ben può determinare

modalità di espiazione alternative al carcere.

È opportuno segnalare, del resto, che una consolidata prassi amministrativa riconosce che lo straniero privo di permesso di

soggiorno possa essere ammesso alle misure alternative. Con

circolare del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 23 marzo 1993, trasmessa alle questure con circolare del

ministero dell'interno n. 8 del 2 marzo 1994, è stato precisato che i cittadini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno «so

no tassativamente obbligati in forza di una decisione giurisdi zionale a permanere sul territorio italiano ed a svolgere attività

lavorativa in alternativa alla pena detentiva ...». Le medesime

regole sono state ribadite, anche successivamente all'entrata in

vigore del d.leg. n. 286 del 1998, con circolari del ministero

della giustizia del 16 marzo 1999, prot. 547899, e del ministero

dell'interno n. 300 del 2 dicembre 2000: in quest'ultima è dato

atto che «riguardo alla posizione di soggiorno dei cittadini stra

nieri detenuti ammessi alle misure alternative previste dalla leg

ge, quali la possibilità di svolgere attività lavorativa all'esterno

del carcere, si rappresenta che la normativa vigente non prevede il rilascio di un permesso di soggiorno ad hoc per detti soggetti. In queste circostanze non si reputa possibile rilasciare un per messo di soggiorno per motivi di giustizia né ad altro titolo, ben

potendo l'ordinanza del magistrato di sorveglianza costituire ex

se un'autorizzazione a permanere nel territorio nazionale».

3. - Le precedenti riflessioni convergono univocamente nel

comprovare che nell'ordinamento vigente non esiste un divieto

di applicazione delle misure alternative al carcere nei confronti

degli stranieri espulsi con decreto prefettizio. Non può considerarsi compatibile con tale conclusione nep

pure la decisione di questa corte con cui è stato stabilito che «è

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GIURISPRUDENZA PENALE

inammissibile per manifesta infondatezza dei presupposti di

legge, ex art. 666, 2° comma, c.p.p., la richiesta avanzata dallo

straniero — espulso ai sensi dell'art. 13 d.leg. n. 286 del 1998, e

per il quale è previsto il divieto di rientrare nel territorio dello

Stato per cinque anni — di affidamento al servizio sociale e di

semilibertà, non essendo possibile instaurare un'interazione tra

condannato e servizio sociale, presupposto su cui si basano i

due istituti» (Cass. 5 giugno 2003, Mema, ibid., voce Sorve glianza (magistratura di), n. 7).

A ben vedere, una simile posizione, che autorizza la genera lizzata declaratoria d'inammissibilità de plano delle richieste

dei condannati stranieri, finisce inevitabilmente per condurre al

l'indiscriminata esclusione delle misure alternative sulla base di

una sorta di presunzione assoluta d'inidoneità delle stesse a

realizzare il recupero sociale dello straniero presente illegal mente in Italia. In proposito deve, però, obiettarsi che il giudizio

prognostico richiesto per l'applicazione di dette misure non può essere formulato alla stregua di premesse astratte, generiche, di

tipo presuntivo, che aprioristicamente muovono dal postulato

dell'irrecuperabilità sociale di un'intera categoria di persone, dovendo, invece, ritenersi che la concedibilità o non delle misu

re extramurarie implichi inderogabilmente, sempre e comunque, la valutazione delle peculiari situazioni che connotano la posi zione dei singoli condannati, cittadini o stranieri. In altri termi

ni, anche per gli stranieri, privi di permesso di soggiorno e de

stinatari di espulsione amministrativa, l'accertamento delle ef

fettive probabilità di recupero sociale deve essere compiuto in

concreto, caso per caso, tenendo conto delle specifiche condi

zioni personali del condannato e delle diverse opportunità trat

tamentali offerte da ciascun tipo di misura.

4. - A conclusione delle precedenti considerazioni va ricono

sciuto che la ratio decidendi dell'ordinanza impugnata è del

tutto divergente dalle linee interpretative necessarie ad una coe

rente ed organica analisi ricostruttiva della normativa, per la

duplice ragione che il tribunale di sorveglianza, affermando che

«il condannato non ha valide prospettive esterne di reinseri

mento sociale sul territorio nazionale, essendo colpito da de

creto di espulsione già in esecuzione», ha escluso apodittica mente la possibilità di recupero sociale ed ha inammissibilmente

attribuito alla funzione rieducativa della pena una portata pre cettiva più ristretta di quella effettiva perché destinata ad opera re soltanto nel caso in cui il condannato rimanga, a pena espiata, nel territorio italiano.

Pertanto, poiché il giudizio negativo non è sorretto da idonea

motivazione, deve pronunciarsi l'annullamento del provvedi mento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di

Bologna, che, nel nuovo esame delle istanze, dovrà formulare il

giudizio prognostico attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e valutando, a tal fine, anche le documentate opportu nità di lavoro esterno rappresentate dalla difesa del condannato.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 19

aprile 2005; Pres. Zumbo, Est. Franco, P.M. Siniscalchi

(conci, conf.); ric. Tarantino. Conferma Trib. Trieste, ord. 11

novembre 2004.

Frode in commercio e nelle industrie — False o fallaci indi cazioni di provenienza — Magliette — Realizzazione al

l'estero — Produttore italiano — Etichetta «made in

Italy» — Reato (Cod. pen., art. 517; 1. 24 dicembre 2003 n. 350, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), art. 4, comma

49).

In tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci di

cui all'art. 517 c.p., quale integrato dall'art. 4, comma 49, l.

24 dicembre 2003 n. 350, costituisce falsa indicazione di pro venienza l'apposizione dell'etichetta «made in Italy» su ma

gliette in realtà fabbricate all'estero, con l'assemblamelo di

semilavorati provenienti dall'Italia, in quanto idonea a trarre

in inganno i consumatori, indotti ad acquistare il prodotto solo in quanto fabbricato in quel determinato luogo geografi co, in base alle più svariate considerazioni soggettive, atteso

che tale indicazione può essere apposta solo su prodotti inte

gralmente fabbricati in Italia, ovvero che ivi hanno subito

l'ultima trasformazione o lavorazione, alla stregua della

normativa europea sull 'origine, in particolare il regolamento Cee 2913/92 del 12 ottobre 1992, di istituzione del codice do ganale comunitario, non rilevando invece che la realizzazione

all'estero del prodotto sia avvenuta per conto ed in nome di

un produttore italiano, che sovrintende al processo produtti

vo, assumendosene la responsabilità economica, tecnica e

giuridica, anche con l'apposizione del proprio marchio. (1)

(1) La III sezione penale della Cassazione torna nuovamente sul

reato di frode in commercio, di cui all'art. 517 c.p., come ampliato dal

l'art. 4, comma 49, 1. 350/03, su cui v. già Cass. 17 febbraio 2005, Acanfora, e 21 ottobre 2004, Soc. Fro, rispettivamente in Foro it., 2005, II, 374 e 203, entrambe con note di Casaburi (la sentenza Acan

fora è riportata anche in Dir. ind., 2005, 372, con nota di Casucci). La sentenza Tarantino, in rassegna, richiama espressamente i due

precedenti (d'altronde prossimi), di cui dichiara di condividere ampia mente l'iter motivazionale, giungendo però a conclusioni opposte. Da

qui anche l'interesse dei media (pur se la sentenza si caratterizza per

ampie digressioni, che si risolvono in meri obiter dicta). In particolare, la sentenza in rassegna conferma che per origine e

provenienza di un prodotto non agroalimentare s'intende la provenien za da un dato produttore, non da un dato luogo; tuttavia nei casi definiti

dalle sentenze precedenti non era specificato, sull'etichetta, che il pro dotto era fabbricato in Italia, ma solo che il produttore era italiano (v. anche Trib. Bari 15 aprile 2005, Foro it., 2005, II, 375). Nel caso og getto della sentenza Tarantino, invece, vi è l'etichetta «made in Italy»,

per un prodotto (magliette) in realtà assemblato all'estero, e non quali ficabile di origine italiana neanche alla stregua del richiamato codice

doganale europeo, regolamento Cee 2913/92 del 12 ottobre 1992. Da

qui allora — secondo la Suprema corte — l'elemento differenziatore

dalle precedenti pronunce, nonché la configurazione del reato di cui al l'art. 517 c.p. (poco rilevando le modifiche apportate alla norma dalla 1.

350/03), in quanto quella in oggetto si risolve in una falsa indicazione sulla provenienza del prodotto.

La decisione in epigrafe fonda quindi la configurazione del reato su

un mero dato formale, la presenza, o no, dell'indicazione «made in

Italy» (o, deve supporsi. altra equivalente). Lascia perplessi, in parti colare, il rilievo per cui il consumatore — a fronte dell'indicazione sur richiamata — «potrebbe» essere indotto all'acquisto di un prodotto solo

perché ivi fabbricato (o meno), ciò «in base alle più svariate considera zioni soggettive, anche non attinenti alla qualità del prodotto stesso». In

altri termini, l'attitudine ingannatoria/confusoria del prodotto con l'in

dicazione in oggetto sarebbe in re ipsa, pertanto svincolata da ogni pa rametro obiettivo e concreto, in particolare da ogni valutazione in ordi

ne alle effettive caratteristiche qualitative del prodotto e dal livello di

attenzione del consumatore di riferimento.

Nel caso di specie, ad esempio, si tratta di magliette assemblate in

Romania, su semilavorati forniti da società italiana; è incontroverso che

i prodotti finiti sono conformi al campione originale e alla relativa

scheda tecnica, e che — in generale — il produttore italiano, nono

stante la delocalizzazione, sovrintende in ogni sua fase al processo pro duttivo. È allora difficile configurare, in termini oggettivi, la lesione alla «libertà di scelta» del consumatore italiano, ovvero l'attitudine de

cettiva, pur a fronte dell'etichetta «made in Italy» (si consideri che, nel

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