+ All Categories
Home > Documents > sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.);...

sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.);...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: phungkien
View: 229 times
Download: 8 times
Share this document with a friend
4
sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25 novembre 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 625/626-629/630 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193581 . Accessed: 28/06/2014 08:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:38 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25

sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.);ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25 novembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 625/626-629/630Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193581 .

Accessed: 28/06/2014 08:23

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25

GIURISPRUDENZA PENALE

La consulente della parte civile, Gioia Anastasi, nominata e sentita ai sensi dell'art. 233 c.p.p., ha posto l'accento sulla con flittualità dei rapporti della V. con la propria famiglia e sull'as senza della figura paterna; aspetto quest'ultimo destinato, vero

similmente, a svolgere un ruolo primario nella etiologia della relazione instauratasi fra la minore ed il Brescia.

Il quadro complessivo è quello di una ragazza certamente sa na di mente e non affetta da alcuna menomazione patologica e tuttavia sofferente di un forte stato di disagio psicologico e relazionale suscettibile di tradursi in una condizione di vera e

propria inferiorità dinanzi all'approfittamento di una persona adulta, di molto più anziana di lei.

Alcuni particolari della vicenda per cui è processo sono illu minanti dell'azione di induzione e di abuso da parte del Brescia.

È l'imputato che prende l'iniziativa di richiedere alla persona offesa il numero di telefono e successivamente, la sera del 18 dicembre 1996, di telefonarle per combinare l'incontro poi sfo ciato negli atti sessuali oggetto del processo.

Non va trascurato il fatto che, in origine, la V. provava at trazione per il figlio dell'imputato, V., suo coetaneo.

Lo stesso ha infatti dichiarato in dibattimento di essere stato

oggetto delle attenzioni e dell'interessamento, peraltro non cor

risposto, della ragazza, tanto che per sfuggire ai suoi tentativi di approccio, in più occasioni si era fatto negare al telefono.

Sappiamo, al riguardo, che la minore si era risolta a dare il proprio numero telefonico al Brescia proprio nella speranza di poterne avvicinare il figlio.

Già da questi elementi può desumersi il comportamento pro fittatore dell'uomo il quale non ha esitato ad inserirsi in un

rapporto fra adolescenti per ottenere il soddisfacimento dei propri impulsi sessuali.

Che poi, come emerso al dibattimento, la ragazza stessa non fosse indifferente alle attenzioni dimostratele dall'imputato, di

chiarando a più riprese i propri sentimenti nei suoi confronti, non attenua, ma anzi aggrava la posizione del medesimo, non

potendosi certamente interpretare gli incontri sessuali avuti con la minore quale esplicazione di un rapporto sentimentale consa

pevolmente vissuto dalla vittima.

Poiché lo stato di inferiorità psico-fisica esprime una situa zione essenzialmente relazionale, da accertarsi attraverso l'ana

lisi in concreto della dinamica dei fatti (Cass. 14 marzo 1984, Germani, id., Rep. 1985, voce Violenza carnale, n. 11), devono essere opportunamente valorizzate, in questa sede, alcune circo stanze relative all'incontro del 18 dicembre.

Anche se non risulta provato che l'imputato abbia approfit tato dell'erroneo convincimento della vittima di essere stata in

vitata, unitamente all'altra ragazza incontrata sull'autobus due

giorni prima, a mangiare una pizza, come concordato in quella occasione, tuttavia permane il ragionevole sospetto che il Bre

scia abbia giocato intenzionalmente sull'equivoco, decidendo di

telefonare alla V., non a caso, a distanza di pochissimi giorni da quell'incontro.

Vi è di certo che, pur dovendosi rendere ben conto dell'asso

luta immaturità della vittima e dell'affidamento in lui riposto dalla stessa, non si sia astenuto dallo sfruttare a proprio van

taggio la situazione ed anzi abbia accentuato lo squilibrio del

rapporto, portando la minore, contro ogni previsione e pro gramma, in una zona isolata e buia ed ottenendo così che una

condizione già di per sé evidente di generica sudditanza psicolo gica si traducesse, in virtù delle particolari circostanze di tempo e di luogo, in un vero e proprio stato di assoluta soggezione

rispetto alle sue iniziative e richieste di natura sessuale.

Se il cosiddetto dissenso inerte non ha alcuna rilevanza pena le quando si contesti l'uso della violenza, assume, nel caso di

specie, la drammatica significatività dell'impotenza del soggetto debole ad opporre la sia pur minima resistenza all'azione del reo.

Dal quadro degli elementi fattuali emersi al dibattimento e

sin qui illustrati appare evidente la sussistenza, oltre che di un'o

biettiva condizione di inferiorità psichica e fisica della persona

offesa, anche di una concreta e rilevante attività di induzione

dell'imputato, tradottasi nell'abuso di quelle stesse condizioni

di inferiorità. Devono, conseguentemente, ravvisarsi nella condotta conte

stata al Brescia, limitatamente ai fatti del 18 dicembre 1996, tutti gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall'art.

609 bis, 2° comma, n. 1, c.p., nonché di quella di cui agli art.

61, n. 2, e 527 c.p., contestata al capo b), attesa la natura pub blica dei luoghi ove gli atti sessuali sono stati commessi.

Ai fini della determinazione della pena non può disconoscersi

che dalle dichiarazioni, non univoche sul punto, della persona

Il Foro Italiano — 1999.

offesa e della ginecologa, dr. Giuliana Santilli, è emerso che

l'imputato non ha portato la propria condotta alle estreme con

seguenze, arrestando gli atti sessuali a livello di toccamenti e

strofinamenti, senza arrivare a congiungersi carnalmente con la minore.

Deve inoltre aggiungersi, sul piano dell'elemento soggettivo e, più specificamente, dell'intensità del dolo, che, pur dovendo si ribadire la strumentalizzazione da parte del Brescia della con dizione di inferiorità della ragazza, tuttavia, tale comportamen to è maturato sulla base di atteggiamenti iniziali della stessa vittima pienamente consensuali, manifestazione di un interesse

per l'uomo e della disponibilità ad instaurare con lo stesso un

rapporto di frequentazione. Deve, pertanto, ritenersi la ricorrenza dei presupposti per l'ap

plicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall'ul timo comma dell'art. 609 bis c.p., giacché il fatto, considerato nelle sue componenti oggettive e soggettive, può essere valutato di lieve entità.

Parimenti, tenuto conto della totale incensuratezza dell'im

putato, possono essere concesse le circostanze attenuanti ge neriche.

I reati contestati ai capi a) e b) possono intendersi commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, se non addi rittura in concorso formale fra loro.

Ne consegue, comunque, quoad penam, l'applicabilità del trat tamento previsto dall'art. 81 c.p.

Rilevati i criteri di cui all'art. 133 c.p., pena congrua appare quella di anni due e mesi quattro di reclusione, così determina ta: pena base (per il capo a), anni cinque—609 bis, ultimo comma = anni tre e mesi quattro-art. 62 bis c.p. = anni due e mesi tre + art. 81= anni due e mesi quattro.

Alla condanna consegue, a carico del Brescia, ai sensi del l'art. 535 c.p.p., il pagamento delle spese processuali e, a teno re dell'art. 609 nonies, l'applicazione delle pene accessorie pre viste al n. 2 della norma medesima.

L'imputato deve essere inoltre condannato al risarcimento, in favore delle parti civili, dei danni dalle stesse sofferti, nella misura che verrà determinata dal giudice civile, dinanzi al quale le parti vanno rimesse, nonché alla rifusione delle spese proces suali dalle stesse sostenute e che si stima equo quantificare, per ciascuna, in complessive lire 2.300.000, di cui lire 1.200.000 per onorari e lire 900.000 per diritti.

Peraltro, nei limiti della somma di lire 5.000.000 per ciascu

na, deve ritenersi già raggiunta la prova dell'ammontare di par te dei danni predetti e, pertanto, può senz'altro concedersi in relazione a tale somma una provvisionale, ex art. 539, 2° com

ma, c.p.p. Come anticipato sopra, l'imputato deve essere assolto, in vir

tù della disposizione dell'art. 530, 2° comma, del codice di rito, dagli altri episodi delittuosi a lui ascritti al capo a) della rubri

ca, in quanto insussistenti. Stante la delicatezza delle questioni affrontate e della conse

guente complessità dello sviluppo dei motivi a sostegno della

presente decisione, deve fissarsi in giorni trenta il termine per la redazione ed il deposito della motivazione.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 8 feb

braio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (conci,

diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. An

nulla App. Palermo, decr. 25 novembre 1997.

Misure di prevenzione — Sospensione temporanea dall'ammini

strazione dei beni — Confisca — Presupposti — Fattispecie

(L. 31 maggio 1965 n. 575, disposizioni contro la mafia, art.

3 quater, 3 quinquies).

Con le nuove misure di prevenzione patrimoniali antimafia del

la sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni e del

l'eventuale confisca che ne può conseguire, il legislatore ha

previsto un complesso procedimento che — caratterizzato dalla

radicale e peculiare rottura del nesso di presupposizione fra

pericolosità qualificata della persona che dispone del bene e

provvedimento ablatorio — risulta articolato in due fasi net

This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25

PARTE SECONDA

tornente distinte per presupposti e finalità; la prima, di natu

ra più propriamente cautelare, culmina nella sospensione tem

poranea dall'amministrazione dei beni allo scopo di impedire che determinate attività economiche e/o imprenditoriali, pure di per sé lecite, vengano esercitate in posizione di contiguità

rispetto a persone proposte per la misura di prevenzione per sonale o sottoposte a procedimento penale per gravi delitti

di criminalità organizzata, presentando così connotazioni age volative e rafforzative della presenza sul territorio del feno meno mafioso; la seconda fase si risolve, invece, nella confi sca di quegli stessi beni a conclusione della prima, qualora

emergano pregnanti ed univoci elementi indiziari idonei a far ritenere che essi siano il frutto di attività illecite o ne costitui

scano il reimpiego, di talché si appalesa al riguardo un'obiet

tiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività

mafiosa, pure riferita quest'ultima ad altre persone anche sol

tanto proposte per una misura di prevenzione personale (nel la specie, la corte ha censurato il provvedimento impugnato che aveva revocato il decreto di confisca di tutte le quote di una società a responsabilità limitata e del relativo patrimo nio sociale emesso dal giudice di prime cure al termine della

sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni, rile

vando a carico dei giudici d'appello un'insufficiente valuta

zione del quadro indiziario disponibile alla luce dei peculiari

presupposti che giustificano la misura ablatoria applicabile ai sensi dell'art. 3 quinquies l. 31 maggio 1965 n. 575). (1)

(1) La sentenza in epigrafe merita attenzione perché riguarda un isti tuto dall'incerta e discussa collocazione nel sistema delle misure di pre venzione patrimoniali antimafia, e cioè la sospensione temporanea dal l'amministrazione dei beni e la conseguente confisca, previste dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 31 maggio 1965 n. 575 (introdotti dall'art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in 1. 7 agosto 1992 n. 356).

In particolare, la Cassazione, dopo aver lumeggiato i tratti peculiari del regime giuridico della sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni e della conseguente confisca, censura App. Palermo per non aver «correttamente inteso la reale portata innovativa della richiamata normativa, appiattendo i presupposti e le finalità del procedimento di

prevenzione de quo su quelli del procedimento tradizionalmente deli neato dall'art. 2 ter della tessa legge per la distinta ipotesi che i beni confiscati siano nella disponibilità, diretta o indiretta, di persona indi ziata di essere affiliata ad associazione di tipo mafioso».

In effetti, App. Palermo non soltanto aveva ritenuto insussistenti i

presupposti per la confisca di cui all'art. 3 quinquies, cit., ma, una volta riqualificato il «fatto» sottoposto a cognizione come ipotesi di confisca ai sensi dell'art. 2 ter (sul mutamento della qualificazione giu ridica del fatto nel corso del procedimento, cfr. App. Palermo 14 gen naio 1997, Foro it., Rep. 1998, voce Misure di prevenzione, n. 98), si era pure pronunziata negativamente in ordine all'esistenza delle con dizioni richieste dalla legge per l'applicazione di tale misura.

Da un lato, quindi, il contrasto tra i giudici d'appello e quelli di

legittimità appare sostanzialmente frutto di valutazioni rispettivamente diverse del quadro indiziario emerso nel caso di specie, dall'altro, però, secondo la Cassazione, esso celerebbe anche una disparità di vedute sullo spettro applicativo da riconoscere in generale all'istituto della so

spensione temporanea dall'amministrazione dei beni e alla relativa confisca.

Sotto quest'ultimo profilo, i giudici di legittimità mettono in risalto

soprattutto tre aspetti della normativa in parola: a) la «rottura» ivi consumatasi del nesso di presupposizione tra pericolosità qualificata del

soggetto che dispone del bene ed applicazione delle misure patrimonia li; b) la «netta» distinzione, sul piano dei presupposti e delle finalità, tra il «subprocedimento» che porta alla sospensione temporanea dei beni e quello che conduce alla confisca dei beni medesimi; c) la peculia rità dei requisiti della confisca ex art. 3 quinquies 1. cit., rispetto a quel la prevista nell'ordinario procedimento antimafia.

Ebbene, sui punti a) e ti), non può che concordarsi con la corte. D'altro canto, per quanto rigurda a), basta osservare che il legislato

re ha espressamente riservato l'applicazione delle misure in discorso sol tanto nei confronti di soggetti per i quali non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione personali. Del pari, con riferimento a ti), non v'è dubbio che la sospensione mira a distogliere cautelarmente una determinata attività economica dalla posizione di og gettiva agevolazione assunta nei riguardi dei membri di un sodalizio criminale, mentre la confisca persegue l'obiettivo di sottrarre definitiva mente al circuito criminale beni ritenuti di provenienza illecita, per re stituirli alla collettività mediante l'incameramento coattivo nel patrimo nio dello Stato.

Anche il rilievo di cui al punto e) è condivisibile, ma soltanto con la precisazione che segue.

Invero, il tratto differenziale tra i due tipi di confisca deve essere esclusivamente ravvisato nel fatto che — come per altro osservato dalla corte — per l'adozione del provvedimento ablatorio ex art. 2 ter 1. cit., assume decisiva importanza l'accertamento in capo al proposto di una disponibilità, anche indiretta, dei beni di cui «non sia stata dimostrata

Il Foro Italiano — 1999.

1. - Con decreto in data 17 luglio 1996 il Tribunale di Paler

mo, ai sensi degli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 575/65, nel con

fermare i provvedimenti di sospensione temporanea dall'ammi

nistrazione dei beni della società Rocche s.r.l. e di nomina del

l'amministratore giudiziario, ordinava la confisca di tutte le quote sociali della predetta società intestate a Crimi Vita, Aiuto Fran

cesco, Calamusa Paolo, Galuppo Michele e Ciaravolo Giusep

pe, e, per l'effetto, di tutti i beni aziendali, mobili ed immobili, ad essa appartenenti, sul rilievo che il denaro impiegato nel fi

nanziamento della società, alla luce dei dati investigativi raccol

ti, proveniva da flussi finanziari frutto di attività illecite, inve

stiti per il reimpiego dei proventi delle medesime attività, facen

ti capo «al contesto della famiglia mafiosa di Vita»: la società

era sostanzialmente «nelle mani» del predetto sodalizio crimi

noso, come testimoniavano il decisivo riscontro contabile

patrimoniale e l'occulta partecipazione ad essa di Crimi Salva

tore e Ciaravolo Giacomo, entrambi appartenenti alla medesi

ma cosca in posizioni di preminenza e proposti per l'applicazio ne della misura di prevenzione personale, il secondo sottoposto altresì a procedimento penale per il delitto di cui all'art. 416 bis

c.p. Sulle impugnazioni dei soci intervenienti la Corte d'appello

di Palermo, ricondotta la fattispecie di confisca in esame, sotto

il profilo della diversa definizione giuridica, nell'ambito della

disciplina prevista dall'art. 2 ter 1. 575/65, revocava, con decre

to 25 novembre 1997, le statuizioni ablatorie del citato provve

dimento, sul duplice rilievo, da un lato, che nei confronti del

Crimi Salvatore era stato deciso il non luogo a provvedere in

merito alla misura di prevenzione personale (donde l'irrilevanza

dell'asserita interposizione fittizia mediante i soci Crimi Vita, Aiuto Francesco e Calamusa Paolo, rispettivamente zia, cogna to e uomo di fiducia del proposto) e, dall'altro, che la capacità economica e reddituale di Ciaravolo Giuseppe (figlio di Ciara

volo Giacomo, sottoposto invece a misura di prevenzione per sonale e imputato del reato di cui all'art. 416 bis c.p.) appariva

compatibile con il valore della quota societaria a lui intestata.

Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazio

ne, per violazione di legge, il procuratore generale presso la

Corte d'appello di Palermo, non condividendone l'interpreta zione restrittiva degli istituti previsti dagli art. 3 quater e

3 quinquies 1. 575/65 ed evidenziando come la società Rocche

la legittima provenienza», mentre nella confisca di cui all'art. 3 quinquies non rileva la riconducibilità dei beni alla disponibilità diretta od indiret ta di chicchessia, bensì che gli stessi «siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego» (su quest'ultima locuzione normativa, cfr. Trib. Trapani 27 gennaio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 87).

In altre parole: nel primo caso, si dispone la confisca dei beni di

provenienza illecita riconducibili al proposto, ossia al presunto mafio so; nel secondo, invece, la misura ablativa riguarda beni sempre di pro venienza illecita, ma di pertinenza e nella disponibilità effettiva di sog getti estranei — e cioè non indiziati di appartenere alla mafia — che, tuttavia, con «il libero esercizio» delle loro attività economiche agevo lano oggettivamente gli interessi illeciti di persone in qualche modo le

gate alla criminalità organizzata. Ancorché la sentenza in rassegna rappresenti un passo importante

per la loro esatta comprensione, va comunque osservato che le fattispe cie preventive disciplinate dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. cit., per l'indubbio carattere di novità che presentano rispetto alle altre misure

patrimoniali e, nel contempo, per la farraginosa e oscura formulazione normativa che pure le contraddistingue, hanno sollevato una lunga se rie di problemi interpretativo-applicativi e di legittimità costituzionale, nei confronti dei quali non pare si sia pervenuti ancora a soluzioni pie namente soddisfacenti, né in sede di sindacato sulle leggi (Corte cost. 20 novembre 1995, n. 487, id., 1997, I, 345); né nella poca giurispru denza ordinaria formatasi in materia (cfr. App. Catania 21 novembre 1997, Cass, pen., 1998, 2726, con nota critica di Molinari, Effetti per versi della sospensione temporanea dall'amministrazione temporanea dei beni, nonché App. Palermo 6 ottobre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 43, e Cass, pen., 1998, 1492, con nota di Molinari, Verso una

confisca antimafia senza regole?)-, né infine nell'ormai vasto dibattito dottrinale (tra i tanti, cfr. Cassano, Misure di prevenzione patrimoniali ed amministrazione dei beni, Milano, 1998; Gialanella, Patrimoni di

mafia, Napoli, 1998; Grillo, Gli art. 3 quater e 3 quinquies I. 575/65: nuove misure di prevenzione nella lotta contro la criminalità organizza ta, in Arch, nuova proc. pen., 1998, 129, 347; Mangione, La contigui tà alla mafia fra prevenzione e repressione: tecniche normative e cate gorie dogmatiche, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1996, 705; AA.VV., Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione, in Qua derni Cons. sup. magistratura, 1998, fase. 104; Gallo, Misure di pre venzione, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1996, XX, 33). [C. Visconti]

This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25

GIURISPRUDENZA PENALE

appariva titolare di beni costituenti frutto o reimpiego di attivi

tà illecite facenti capo al sodalizio criminoso.

Il p.g. presso questa corte ha concluso per il rigetto del ricor

so, sul rilievo dell'insufficienza del quadro indiziario delineatosi

in merito al presupposto della c.d. «agevolazione». Con memoria difensiva depositata il 21 gennaio 1999 il Ga

luppo, sull'assunto che si configurerebbe nel ricorso del p.g. una sostanziale richiesta di riesame nel merito del provvedimen to impugnato, ne ha eccepito l'inammissibilità in sede di legit timità.

2. - Con la nuova disciplina dettata in materia di misure di

prevenzione di natura patrimoniale dall'art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in 1. 7 agosto 1992 n. 356, che ha intro

dotto, fra le disposizioni contro la mafia di cui alla fondamen

tale 1. 31 maggio 1965 n. 575, gli art. 3 quater e 3 quinquies, il legislatore ha dato vita ad un complesso procedimento, carat

terizzato innanzitutto dalla radicale rottura del nesso di presup

posizione fra pericolosità qualificata della persona che dispone del bene e provvedimento ablatorio, ed articolato in due fasi

subprocedimentali nettamente distinte per presupposti e finalità.

La prima fase, di natura più propriamente cautelare, culmina — alla stregua di un motivato apprezzamento da parte del giu dice della prevenzione di un consistente e convergente quadro indiziario — nella misura della sospensione temporanea dall'am

ministrazione dei beni ed eventualmente in quella del sequestro, allo scopo di impedire che l'esercizio di determinate attività eco

nomiche, comprese quelle imprenditoriali, pure di per sé lecite,

operino tuttavia in posizione di contiguità rispetto a persone

proposte per la misura di prevenzione personale o sottoposte a procedimento penale per gravi delitti di criminalità organizza

ta, e presentino così connotazioni agevolative e rafforzative del

la presenza, anche economica, sul territorio del fenomeno

mafioso.

E la Corte costituzionale (con sentenza n. 487 del 1995, Foro

it., 1997, I, 345), scrutinando positivamente la legittimità costi

tuzionale della normativa in esame, ha avvertito come, nella

suindicata prospettiva, i titolari di quelle attività economiche

non possano affatto ritenersi «terzi» rispetto alla realizzazione

degli interessi delle cosche mafiose, poiché la consapevole scelta

di svolgere un'attività che presenta le connotazioni agevolative di cui innanzi consente di escludere ogni situazione soggettiva di sostanziale «incolpevolezza».

Ove poi, a conclusione del procedimento, emergano pregnan ti ed univoci elementi indiziari idonei a far ritenere che quei

beni «siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reim

piego» — nel senso che esista una chiara connessione dei beni

con un'attività illecita —, il giudice della prevenzione ne delibe

ra la confisca, palesandosi di conseguenza realizzata una «obiet

tiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività

mafiosa», pure riferita quest'ultima ad altre persone, anche sol

tanto proposte per una misura di prevenzione personale. Gli effetti del provvedimento ablatorio si riflettono legittima

mente sui beni di un imprenditore, non sospetto né indiziato

di appartenere ad un'associazione di tipo mafioso, e però, per

il ruolo oggettivamente agevolatore dell'attività economica da

lui esercitata rispetto agli interessi di quest'ultima, «certamente

non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimo nio mafioso» (Corte cost. 487/95, cit.).

3. - Tanto premesso circa le linee interpretative della recente

disciplina recata dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 575/65, ri

tiene il collegio che, nella fattispecie in esame, la corte territo

riale non abbia correttamente inteso la reale portata innovativa

della richiamata normativa, appiattendo i presupposti e le fina

lità del procedimento di prevenzione de quo su quelli del proce

dimento tradizionalmente delineato nell'art. 2 ter stessa legge,

per la distinta ipotesi che i beni confiscati siano nella disponibi

lità, diretta o indiretta, di persona indiziata di essere affiliata

ad associazione di tipo mafioso.

Ed invero, il giudice di primo grado aveva ancorato il prov

vedimento ablatorio delle quote sociali della società Rocche s.r.l.

intestate a Crimi Vita, Aiuto Francesco, Calamusa Paolo, Ga

luppo Michele e Ciaravolo Giuseppe, e, per l'effetto, dei beni

aziendali, mobili ed immobili, ad essa appartenenti, ad una coe

rente piattaforma indiziaria, comprovante la provenienza dei flus

si finanziari necessari per le attività economiche della società

da fonti illecite di finanziamento facenti capo «al contesto della

famiglia mafiosa di Vita»:

a) taluni soci fungevano da meri prestanome di Crimi Salva

tore e Ciaravolo Giacomo, sicuramente appartenenti a quel so

II Foro Italiano — 1999.

dalizio criminale in posizioni di preminenza, proposti entrambi

per l'applicazione della misura di prevenzione personale e il Cia

ravolo sottoposto altresì a procedimento penale per il delitto

di cui all'art. 416 bis c.p., come poteva desumersi dagli stretti

collegamenti interpersonali fra loro esistenti (fra i soci fondato

ri c'erano Vita Crimi, sorella del defunto capofamiglia Leonar

do Orimi e zia di Salvatore Crimi, e Angela Cappella, moglie del Ciaravolo, la cui quota risultava poi trasferita al figlio Giu

seppe Ciaravolo; Aiuto Francesco, succeduto a Carlino M. Con

cetta, moglie di Leonardo Crimi, era a sua volta cognato di

Salvatore Crimi; Calamusa Paolo veniva indicato come uomo

di fiducia di Leonardo Crimi); b) i collaboratori di giustizia Pietro Scavuzzo e Vincenzo Cal

cara indicavano Giacomo Ciaravolo come stretto collaboratore

del defunto capofamiglia Leonardo Crimi, padre di Salvatore

Crimi; c) i rilievi e gli accertamenti della G.d.F. evidenziavano l'as

soluta incompatibilità delle modeste risorse economiche e patri moniali dei singoli soci rispetto all'entità degli investimenti (ad dirittura nella rilevante misura di lire 350.000.000 nell'anno 1991) e dei flussi finanziari della società.

L'esercizio imprenditoriale della società, anche mediante l'oc

culta partecipazione dei proposti Crimi Salvatore e Ciaravolo

Giacomo, agevolava dunque l'attività e gli scopi criminosi della

famiglia mafiosa di Vita. Il giudice di secondo grado, facendo invece leva esclusiva

mente sul primo dato (quello, cioè, della postulata situazione

d'interposizione fittizia di taluni soci rispetto ai proposti Crimi

Salvatore — per il quale, nelle more del giudizio, era stato pe raltro dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di ap

plicazione della misura personale — e Ciaravolo Giacomo, in

capo ai quali era astrattamente ravvisabile l'indiretta ma effetti

va disponibilità di una compartecipazione societaria), ha omes

so affatto di considerare gli ulteriori riscontri economico

finanziari del complessivo intreccio degli interessi patrimoniali della società e di quelli della famiglia mafiosa di Vita facente

capo al defunto Leonardo Crimi, comprovanti la gestione da

parte della medesima società di un'attività imprenditoriale in

un'area contigua e agevolatrice rispetto al contesto criminale

organizzato in cui risultava inserito quale indiziato mafioso quan tomeno il Ciaravolo.

Di talché, ha escluso l'applicabilità del provvedimento ablati

vo di confisca con criteri riconducibili alla normativa di cui al

l'art. 2 ter 1. 575/65, anziché fare riferimento ai distinti para metri dello schema procedimentale disegnato dagli art. 3 quater e 3 quinquies stessa legge, come originariamente prospettato dal

l'accusa e ritenuto dal primo giudice. Avendo pertanto la corte territoriale illegittimamente trascu

rato l'ineludibile vaglio critico (oltre il dato, pure significativo, della reale situazione di compartecipazione societaria, idoneo

di per sé a giustificare eventualmente la diretta confisca a nor

ma dell'art. 2 ter 1. 575/65 della quota o delle quote societarie

imputabili, in virtù d'interposizione fittizia, al soggetto indizia

to di appartenere alla mafia) degli indici di contiguità e d'infil

trazione mafiosa identificati mediante l'analisi della composi

zione societaria originaria e di quella attuale, nonché dei flussi

economici e finanziari riguardanti l'impresa, dev'essere annul

lato il decreto impugnato con rinvio alla medesima Corte d'ap

pello di Palermo.

Questa procederà a nuovo ed approfondito esame della va

lenza degli elementi indiziari, offerti dall'accusa, circa le conno

tazioni agevolatrici dell'attività e degli scopi criminosi della lo

cale cosca mafiosa di Vita facente capo al defunto Leonardo

Crimi, nonché, conseguentemente, del profilo proprio della con

fisca ex art. 3 quinquies 1. 575/65, qualora, all'esito dell'indagi

ne, si abbia «motivo di ritenere che i beni siano il frutto di

attività illecite o ne costituiscano il reimpiego», possa cioè rav

visarsi la necessaria connessione di quei beni con un'attività il

lecita.

This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:23:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended