sezione I penale; sentenza 8 febbraio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (concl. diff.);ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. Annulla App. Palermo, decr. 25 novembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 11 (NOVEMBRE 1999), pp. 625/626-629/630Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193581 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
La consulente della parte civile, Gioia Anastasi, nominata e sentita ai sensi dell'art. 233 c.p.p., ha posto l'accento sulla con flittualità dei rapporti della V. con la propria famiglia e sull'as senza della figura paterna; aspetto quest'ultimo destinato, vero
similmente, a svolgere un ruolo primario nella etiologia della relazione instauratasi fra la minore ed il Brescia.
Il quadro complessivo è quello di una ragazza certamente sa na di mente e non affetta da alcuna menomazione patologica e tuttavia sofferente di un forte stato di disagio psicologico e relazionale suscettibile di tradursi in una condizione di vera e
propria inferiorità dinanzi all'approfittamento di una persona adulta, di molto più anziana di lei.
Alcuni particolari della vicenda per cui è processo sono illu minanti dell'azione di induzione e di abuso da parte del Brescia.
È l'imputato che prende l'iniziativa di richiedere alla persona offesa il numero di telefono e successivamente, la sera del 18 dicembre 1996, di telefonarle per combinare l'incontro poi sfo ciato negli atti sessuali oggetto del processo.
Non va trascurato il fatto che, in origine, la V. provava at trazione per il figlio dell'imputato, V., suo coetaneo.
Lo stesso ha infatti dichiarato in dibattimento di essere stato
oggetto delle attenzioni e dell'interessamento, peraltro non cor
risposto, della ragazza, tanto che per sfuggire ai suoi tentativi di approccio, in più occasioni si era fatto negare al telefono.
Sappiamo, al riguardo, che la minore si era risolta a dare il proprio numero telefonico al Brescia proprio nella speranza di poterne avvicinare il figlio.
Già da questi elementi può desumersi il comportamento pro fittatore dell'uomo il quale non ha esitato ad inserirsi in un
rapporto fra adolescenti per ottenere il soddisfacimento dei propri impulsi sessuali.
Che poi, come emerso al dibattimento, la ragazza stessa non fosse indifferente alle attenzioni dimostratele dall'imputato, di
chiarando a più riprese i propri sentimenti nei suoi confronti, non attenua, ma anzi aggrava la posizione del medesimo, non
potendosi certamente interpretare gli incontri sessuali avuti con la minore quale esplicazione di un rapporto sentimentale consa
pevolmente vissuto dalla vittima.
Poiché lo stato di inferiorità psico-fisica esprime una situa zione essenzialmente relazionale, da accertarsi attraverso l'ana
lisi in concreto della dinamica dei fatti (Cass. 14 marzo 1984, Germani, id., Rep. 1985, voce Violenza carnale, n. 11), devono essere opportunamente valorizzate, in questa sede, alcune circo stanze relative all'incontro del 18 dicembre.
Anche se non risulta provato che l'imputato abbia approfit tato dell'erroneo convincimento della vittima di essere stata in
vitata, unitamente all'altra ragazza incontrata sull'autobus due
giorni prima, a mangiare una pizza, come concordato in quella occasione, tuttavia permane il ragionevole sospetto che il Bre
scia abbia giocato intenzionalmente sull'equivoco, decidendo di
telefonare alla V., non a caso, a distanza di pochissimi giorni da quell'incontro.
Vi è di certo che, pur dovendosi rendere ben conto dell'asso
luta immaturità della vittima e dell'affidamento in lui riposto dalla stessa, non si sia astenuto dallo sfruttare a proprio van
taggio la situazione ed anzi abbia accentuato lo squilibrio del
rapporto, portando la minore, contro ogni previsione e pro gramma, in una zona isolata e buia ed ottenendo così che una
condizione già di per sé evidente di generica sudditanza psicolo gica si traducesse, in virtù delle particolari circostanze di tempo e di luogo, in un vero e proprio stato di assoluta soggezione
rispetto alle sue iniziative e richieste di natura sessuale.
Se il cosiddetto dissenso inerte non ha alcuna rilevanza pena le quando si contesti l'uso della violenza, assume, nel caso di
specie, la drammatica significatività dell'impotenza del soggetto debole ad opporre la sia pur minima resistenza all'azione del reo.
Dal quadro degli elementi fattuali emersi al dibattimento e
sin qui illustrati appare evidente la sussistenza, oltre che di un'o
biettiva condizione di inferiorità psichica e fisica della persona
offesa, anche di una concreta e rilevante attività di induzione
dell'imputato, tradottasi nell'abuso di quelle stesse condizioni
di inferiorità. Devono, conseguentemente, ravvisarsi nella condotta conte
stata al Brescia, limitatamente ai fatti del 18 dicembre 1996, tutti gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall'art.
609 bis, 2° comma, n. 1, c.p., nonché di quella di cui agli art.
61, n. 2, e 527 c.p., contestata al capo b), attesa la natura pub blica dei luoghi ove gli atti sessuali sono stati commessi.
Ai fini della determinazione della pena non può disconoscersi
che dalle dichiarazioni, non univoche sul punto, della persona
Il Foro Italiano — 1999.
offesa e della ginecologa, dr. Giuliana Santilli, è emerso che
l'imputato non ha portato la propria condotta alle estreme con
seguenze, arrestando gli atti sessuali a livello di toccamenti e
strofinamenti, senza arrivare a congiungersi carnalmente con la minore.
Deve inoltre aggiungersi, sul piano dell'elemento soggettivo e, più specificamente, dell'intensità del dolo, che, pur dovendo si ribadire la strumentalizzazione da parte del Brescia della con dizione di inferiorità della ragazza, tuttavia, tale comportamen to è maturato sulla base di atteggiamenti iniziali della stessa vittima pienamente consensuali, manifestazione di un interesse
per l'uomo e della disponibilità ad instaurare con lo stesso un
rapporto di frequentazione. Deve, pertanto, ritenersi la ricorrenza dei presupposti per l'ap
plicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall'ul timo comma dell'art. 609 bis c.p., giacché il fatto, considerato nelle sue componenti oggettive e soggettive, può essere valutato di lieve entità.
Parimenti, tenuto conto della totale incensuratezza dell'im
putato, possono essere concesse le circostanze attenuanti ge neriche.
I reati contestati ai capi a) e b) possono intendersi commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, se non addi rittura in concorso formale fra loro.
Ne consegue, comunque, quoad penam, l'applicabilità del trat tamento previsto dall'art. 81 c.p.
Rilevati i criteri di cui all'art. 133 c.p., pena congrua appare quella di anni due e mesi quattro di reclusione, così determina ta: pena base (per il capo a), anni cinque—609 bis, ultimo comma = anni tre e mesi quattro-art. 62 bis c.p. = anni due e mesi tre + art. 81= anni due e mesi quattro.
Alla condanna consegue, a carico del Brescia, ai sensi del l'art. 535 c.p.p., il pagamento delle spese processuali e, a teno re dell'art. 609 nonies, l'applicazione delle pene accessorie pre viste al n. 2 della norma medesima.
L'imputato deve essere inoltre condannato al risarcimento, in favore delle parti civili, dei danni dalle stesse sofferti, nella misura che verrà determinata dal giudice civile, dinanzi al quale le parti vanno rimesse, nonché alla rifusione delle spese proces suali dalle stesse sostenute e che si stima equo quantificare, per ciascuna, in complessive lire 2.300.000, di cui lire 1.200.000 per onorari e lire 900.000 per diritti.
Peraltro, nei limiti della somma di lire 5.000.000 per ciascu
na, deve ritenersi già raggiunta la prova dell'ammontare di par te dei danni predetti e, pertanto, può senz'altro concedersi in relazione a tale somma una provvisionale, ex art. 539, 2° com
ma, c.p.p. Come anticipato sopra, l'imputato deve essere assolto, in vir
tù della disposizione dell'art. 530, 2° comma, del codice di rito, dagli altri episodi delittuosi a lui ascritti al capo a) della rubri
ca, in quanto insussistenti. Stante la delicatezza delle questioni affrontate e della conse
guente complessità dello sviluppo dei motivi a sostegno della
presente decisione, deve fissarsi in giorni trenta il termine per la redazione ed il deposito della motivazione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 8 feb
braio 1999; Pres. Fazzioli, Est. Canzio, P.M. Vacca (conci,
diff.); ric. Proc. gen. App. Palermo in c. Crimi e altri. An
nulla App. Palermo, decr. 25 novembre 1997.
Misure di prevenzione — Sospensione temporanea dall'ammini
strazione dei beni — Confisca — Presupposti — Fattispecie
(L. 31 maggio 1965 n. 575, disposizioni contro la mafia, art.
3 quater, 3 quinquies).
Con le nuove misure di prevenzione patrimoniali antimafia del
la sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni e del
l'eventuale confisca che ne può conseguire, il legislatore ha
previsto un complesso procedimento che — caratterizzato dalla
radicale e peculiare rottura del nesso di presupposizione fra
pericolosità qualificata della persona che dispone del bene e
provvedimento ablatorio — risulta articolato in due fasi net
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PARTE SECONDA
tornente distinte per presupposti e finalità; la prima, di natu
ra più propriamente cautelare, culmina nella sospensione tem
poranea dall'amministrazione dei beni allo scopo di impedire che determinate attività economiche e/o imprenditoriali, pure di per sé lecite, vengano esercitate in posizione di contiguità
rispetto a persone proposte per la misura di prevenzione per sonale o sottoposte a procedimento penale per gravi delitti
di criminalità organizzata, presentando così connotazioni age volative e rafforzative della presenza sul territorio del feno meno mafioso; la seconda fase si risolve, invece, nella confi sca di quegli stessi beni a conclusione della prima, qualora
emergano pregnanti ed univoci elementi indiziari idonei a far ritenere che essi siano il frutto di attività illecite o ne costitui
scano il reimpiego, di talché si appalesa al riguardo un'obiet
tiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività
mafiosa, pure riferita quest'ultima ad altre persone anche sol
tanto proposte per una misura di prevenzione personale (nel la specie, la corte ha censurato il provvedimento impugnato che aveva revocato il decreto di confisca di tutte le quote di una società a responsabilità limitata e del relativo patrimo nio sociale emesso dal giudice di prime cure al termine della
sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni, rile
vando a carico dei giudici d'appello un'insufficiente valuta
zione del quadro indiziario disponibile alla luce dei peculiari
presupposti che giustificano la misura ablatoria applicabile ai sensi dell'art. 3 quinquies l. 31 maggio 1965 n. 575). (1)
(1) La sentenza in epigrafe merita attenzione perché riguarda un isti tuto dall'incerta e discussa collocazione nel sistema delle misure di pre venzione patrimoniali antimafia, e cioè la sospensione temporanea dal l'amministrazione dei beni e la conseguente confisca, previste dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 31 maggio 1965 n. 575 (introdotti dall'art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in 1. 7 agosto 1992 n. 356).
In particolare, la Cassazione, dopo aver lumeggiato i tratti peculiari del regime giuridico della sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni e della conseguente confisca, censura App. Palermo per non aver «correttamente inteso la reale portata innovativa della richiamata normativa, appiattendo i presupposti e le finalità del procedimento di
prevenzione de quo su quelli del procedimento tradizionalmente deli neato dall'art. 2 ter della tessa legge per la distinta ipotesi che i beni confiscati siano nella disponibilità, diretta o indiretta, di persona indi ziata di essere affiliata ad associazione di tipo mafioso».
In effetti, App. Palermo non soltanto aveva ritenuto insussistenti i
presupposti per la confisca di cui all'art. 3 quinquies, cit., ma, una volta riqualificato il «fatto» sottoposto a cognizione come ipotesi di confisca ai sensi dell'art. 2 ter (sul mutamento della qualificazione giu ridica del fatto nel corso del procedimento, cfr. App. Palermo 14 gen naio 1997, Foro it., Rep. 1998, voce Misure di prevenzione, n. 98), si era pure pronunziata negativamente in ordine all'esistenza delle con dizioni richieste dalla legge per l'applicazione di tale misura.
Da un lato, quindi, il contrasto tra i giudici d'appello e quelli di
legittimità appare sostanzialmente frutto di valutazioni rispettivamente diverse del quadro indiziario emerso nel caso di specie, dall'altro, però, secondo la Cassazione, esso celerebbe anche una disparità di vedute sullo spettro applicativo da riconoscere in generale all'istituto della so
spensione temporanea dall'amministrazione dei beni e alla relativa confisca.
Sotto quest'ultimo profilo, i giudici di legittimità mettono in risalto
soprattutto tre aspetti della normativa in parola: a) la «rottura» ivi consumatasi del nesso di presupposizione tra pericolosità qualificata del
soggetto che dispone del bene ed applicazione delle misure patrimonia li; b) la «netta» distinzione, sul piano dei presupposti e delle finalità, tra il «subprocedimento» che porta alla sospensione temporanea dei beni e quello che conduce alla confisca dei beni medesimi; c) la peculia rità dei requisiti della confisca ex art. 3 quinquies 1. cit., rispetto a quel la prevista nell'ordinario procedimento antimafia.
Ebbene, sui punti a) e ti), non può che concordarsi con la corte. D'altro canto, per quanto rigurda a), basta osservare che il legislato
re ha espressamente riservato l'applicazione delle misure in discorso sol tanto nei confronti di soggetti per i quali non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione personali. Del pari, con riferimento a ti), non v'è dubbio che la sospensione mira a distogliere cautelarmente una determinata attività economica dalla posizione di og gettiva agevolazione assunta nei riguardi dei membri di un sodalizio criminale, mentre la confisca persegue l'obiettivo di sottrarre definitiva mente al circuito criminale beni ritenuti di provenienza illecita, per re stituirli alla collettività mediante l'incameramento coattivo nel patrimo nio dello Stato.
Anche il rilievo di cui al punto e) è condivisibile, ma soltanto con la precisazione che segue.
Invero, il tratto differenziale tra i due tipi di confisca deve essere esclusivamente ravvisato nel fatto che — come per altro osservato dalla corte — per l'adozione del provvedimento ablatorio ex art. 2 ter 1. cit., assume decisiva importanza l'accertamento in capo al proposto di una disponibilità, anche indiretta, dei beni di cui «non sia stata dimostrata
Il Foro Italiano — 1999.
1. - Con decreto in data 17 luglio 1996 il Tribunale di Paler
mo, ai sensi degli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 575/65, nel con
fermare i provvedimenti di sospensione temporanea dall'ammi
nistrazione dei beni della società Rocche s.r.l. e di nomina del
l'amministratore giudiziario, ordinava la confisca di tutte le quote sociali della predetta società intestate a Crimi Vita, Aiuto Fran
cesco, Calamusa Paolo, Galuppo Michele e Ciaravolo Giusep
pe, e, per l'effetto, di tutti i beni aziendali, mobili ed immobili, ad essa appartenenti, sul rilievo che il denaro impiegato nel fi
nanziamento della società, alla luce dei dati investigativi raccol
ti, proveniva da flussi finanziari frutto di attività illecite, inve
stiti per il reimpiego dei proventi delle medesime attività, facen
ti capo «al contesto della famiglia mafiosa di Vita»: la società
era sostanzialmente «nelle mani» del predetto sodalizio crimi
noso, come testimoniavano il decisivo riscontro contabile
patrimoniale e l'occulta partecipazione ad essa di Crimi Salva
tore e Ciaravolo Giacomo, entrambi appartenenti alla medesi
ma cosca in posizioni di preminenza e proposti per l'applicazio ne della misura di prevenzione personale, il secondo sottoposto altresì a procedimento penale per il delitto di cui all'art. 416 bis
c.p. Sulle impugnazioni dei soci intervenienti la Corte d'appello
di Palermo, ricondotta la fattispecie di confisca in esame, sotto
il profilo della diversa definizione giuridica, nell'ambito della
disciplina prevista dall'art. 2 ter 1. 575/65, revocava, con decre
to 25 novembre 1997, le statuizioni ablatorie del citato provve
dimento, sul duplice rilievo, da un lato, che nei confronti del
Crimi Salvatore era stato deciso il non luogo a provvedere in
merito alla misura di prevenzione personale (donde l'irrilevanza
dell'asserita interposizione fittizia mediante i soci Crimi Vita, Aiuto Francesco e Calamusa Paolo, rispettivamente zia, cogna to e uomo di fiducia del proposto) e, dall'altro, che la capacità economica e reddituale di Ciaravolo Giuseppe (figlio di Ciara
volo Giacomo, sottoposto invece a misura di prevenzione per sonale e imputato del reato di cui all'art. 416 bis c.p.) appariva
compatibile con il valore della quota societaria a lui intestata.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazio
ne, per violazione di legge, il procuratore generale presso la
Corte d'appello di Palermo, non condividendone l'interpreta zione restrittiva degli istituti previsti dagli art. 3 quater e
3 quinquies 1. 575/65 ed evidenziando come la società Rocche
la legittima provenienza», mentre nella confisca di cui all'art. 3 quinquies non rileva la riconducibilità dei beni alla disponibilità diretta od indiret ta di chicchessia, bensì che gli stessi «siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego» (su quest'ultima locuzione normativa, cfr. Trib. Trapani 27 gennaio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 87).
In altre parole: nel primo caso, si dispone la confisca dei beni di
provenienza illecita riconducibili al proposto, ossia al presunto mafio so; nel secondo, invece, la misura ablativa riguarda beni sempre di pro venienza illecita, ma di pertinenza e nella disponibilità effettiva di sog getti estranei — e cioè non indiziati di appartenere alla mafia — che, tuttavia, con «il libero esercizio» delle loro attività economiche agevo lano oggettivamente gli interessi illeciti di persone in qualche modo le
gate alla criminalità organizzata. Ancorché la sentenza in rassegna rappresenti un passo importante
per la loro esatta comprensione, va comunque osservato che le fattispe cie preventive disciplinate dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. cit., per l'indubbio carattere di novità che presentano rispetto alle altre misure
patrimoniali e, nel contempo, per la farraginosa e oscura formulazione normativa che pure le contraddistingue, hanno sollevato una lunga se rie di problemi interpretativo-applicativi e di legittimità costituzionale, nei confronti dei quali non pare si sia pervenuti ancora a soluzioni pie namente soddisfacenti, né in sede di sindacato sulle leggi (Corte cost. 20 novembre 1995, n. 487, id., 1997, I, 345); né nella poca giurispru denza ordinaria formatasi in materia (cfr. App. Catania 21 novembre 1997, Cass, pen., 1998, 2726, con nota critica di Molinari, Effetti per versi della sospensione temporanea dall'amministrazione temporanea dei beni, nonché App. Palermo 6 ottobre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 43, e Cass, pen., 1998, 1492, con nota di Molinari, Verso una
confisca antimafia senza regole?)-, né infine nell'ormai vasto dibattito dottrinale (tra i tanti, cfr. Cassano, Misure di prevenzione patrimoniali ed amministrazione dei beni, Milano, 1998; Gialanella, Patrimoni di
mafia, Napoli, 1998; Grillo, Gli art. 3 quater e 3 quinquies I. 575/65: nuove misure di prevenzione nella lotta contro la criminalità organizza ta, in Arch, nuova proc. pen., 1998, 129, 347; Mangione, La contigui tà alla mafia fra prevenzione e repressione: tecniche normative e cate gorie dogmatiche, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1996, 705; AA.VV., Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione, in Qua derni Cons. sup. magistratura, 1998, fase. 104; Gallo, Misure di pre venzione, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1996, XX, 33). [C. Visconti]
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GIURISPRUDENZA PENALE
appariva titolare di beni costituenti frutto o reimpiego di attivi
tà illecite facenti capo al sodalizio criminoso.
Il p.g. presso questa corte ha concluso per il rigetto del ricor
so, sul rilievo dell'insufficienza del quadro indiziario delineatosi
in merito al presupposto della c.d. «agevolazione». Con memoria difensiva depositata il 21 gennaio 1999 il Ga
luppo, sull'assunto che si configurerebbe nel ricorso del p.g. una sostanziale richiesta di riesame nel merito del provvedimen to impugnato, ne ha eccepito l'inammissibilità in sede di legit timità.
2. - Con la nuova disciplina dettata in materia di misure di
prevenzione di natura patrimoniale dall'art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in 1. 7 agosto 1992 n. 356, che ha intro
dotto, fra le disposizioni contro la mafia di cui alla fondamen
tale 1. 31 maggio 1965 n. 575, gli art. 3 quater e 3 quinquies, il legislatore ha dato vita ad un complesso procedimento, carat
terizzato innanzitutto dalla radicale rottura del nesso di presup
posizione fra pericolosità qualificata della persona che dispone del bene e provvedimento ablatorio, ed articolato in due fasi
subprocedimentali nettamente distinte per presupposti e finalità.
La prima fase, di natura più propriamente cautelare, culmina — alla stregua di un motivato apprezzamento da parte del giu dice della prevenzione di un consistente e convergente quadro indiziario — nella misura della sospensione temporanea dall'am
ministrazione dei beni ed eventualmente in quella del sequestro, allo scopo di impedire che l'esercizio di determinate attività eco
nomiche, comprese quelle imprenditoriali, pure di per sé lecite,
operino tuttavia in posizione di contiguità rispetto a persone
proposte per la misura di prevenzione personale o sottoposte a procedimento penale per gravi delitti di criminalità organizza
ta, e presentino così connotazioni agevolative e rafforzative del
la presenza, anche economica, sul territorio del fenomeno
mafioso.
E la Corte costituzionale (con sentenza n. 487 del 1995, Foro
it., 1997, I, 345), scrutinando positivamente la legittimità costi
tuzionale della normativa in esame, ha avvertito come, nella
suindicata prospettiva, i titolari di quelle attività economiche
non possano affatto ritenersi «terzi» rispetto alla realizzazione
degli interessi delle cosche mafiose, poiché la consapevole scelta
di svolgere un'attività che presenta le connotazioni agevolative di cui innanzi consente di escludere ogni situazione soggettiva di sostanziale «incolpevolezza».
Ove poi, a conclusione del procedimento, emergano pregnan ti ed univoci elementi indiziari idonei a far ritenere che quei
beni «siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reim
piego» — nel senso che esista una chiara connessione dei beni
con un'attività illecita —, il giudice della prevenzione ne delibe
ra la confisca, palesandosi di conseguenza realizzata una «obiet
tiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività
mafiosa», pure riferita quest'ultima ad altre persone, anche sol
tanto proposte per una misura di prevenzione personale. Gli effetti del provvedimento ablatorio si riflettono legittima
mente sui beni di un imprenditore, non sospetto né indiziato
di appartenere ad un'associazione di tipo mafioso, e però, per
il ruolo oggettivamente agevolatore dell'attività economica da
lui esercitata rispetto agli interessi di quest'ultima, «certamente
non estraneo nel quadro della complessiva gestione del patrimo nio mafioso» (Corte cost. 487/95, cit.).
3. - Tanto premesso circa le linee interpretative della recente
disciplina recata dagli art. 3 quater e 3 quinquies 1. 575/65, ri
tiene il collegio che, nella fattispecie in esame, la corte territo
riale non abbia correttamente inteso la reale portata innovativa
della richiamata normativa, appiattendo i presupposti e le fina
lità del procedimento di prevenzione de quo su quelli del proce
dimento tradizionalmente delineato nell'art. 2 ter stessa legge,
per la distinta ipotesi che i beni confiscati siano nella disponibi
lità, diretta o indiretta, di persona indiziata di essere affiliata
ad associazione di tipo mafioso.
Ed invero, il giudice di primo grado aveva ancorato il prov
vedimento ablatorio delle quote sociali della società Rocche s.r.l.
intestate a Crimi Vita, Aiuto Francesco, Calamusa Paolo, Ga
luppo Michele e Ciaravolo Giuseppe, e, per l'effetto, dei beni
aziendali, mobili ed immobili, ad essa appartenenti, ad una coe
rente piattaforma indiziaria, comprovante la provenienza dei flus
si finanziari necessari per le attività economiche della società
da fonti illecite di finanziamento facenti capo «al contesto della
famiglia mafiosa di Vita»:
a) taluni soci fungevano da meri prestanome di Crimi Salva
tore e Ciaravolo Giacomo, sicuramente appartenenti a quel so
II Foro Italiano — 1999.
dalizio criminale in posizioni di preminenza, proposti entrambi
per l'applicazione della misura di prevenzione personale e il Cia
ravolo sottoposto altresì a procedimento penale per il delitto
di cui all'art. 416 bis c.p., come poteva desumersi dagli stretti
collegamenti interpersonali fra loro esistenti (fra i soci fondato
ri c'erano Vita Crimi, sorella del defunto capofamiglia Leonar
do Orimi e zia di Salvatore Crimi, e Angela Cappella, moglie del Ciaravolo, la cui quota risultava poi trasferita al figlio Giu
seppe Ciaravolo; Aiuto Francesco, succeduto a Carlino M. Con
cetta, moglie di Leonardo Crimi, era a sua volta cognato di
Salvatore Crimi; Calamusa Paolo veniva indicato come uomo
di fiducia di Leonardo Crimi); b) i collaboratori di giustizia Pietro Scavuzzo e Vincenzo Cal
cara indicavano Giacomo Ciaravolo come stretto collaboratore
del defunto capofamiglia Leonardo Crimi, padre di Salvatore
Crimi; c) i rilievi e gli accertamenti della G.d.F. evidenziavano l'as
soluta incompatibilità delle modeste risorse economiche e patri moniali dei singoli soci rispetto all'entità degli investimenti (ad dirittura nella rilevante misura di lire 350.000.000 nell'anno 1991) e dei flussi finanziari della società.
L'esercizio imprenditoriale della società, anche mediante l'oc
culta partecipazione dei proposti Crimi Salvatore e Ciaravolo
Giacomo, agevolava dunque l'attività e gli scopi criminosi della
famiglia mafiosa di Vita. Il giudice di secondo grado, facendo invece leva esclusiva
mente sul primo dato (quello, cioè, della postulata situazione
d'interposizione fittizia di taluni soci rispetto ai proposti Crimi
Salvatore — per il quale, nelle more del giudizio, era stato pe raltro dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di ap
plicazione della misura personale — e Ciaravolo Giacomo, in
capo ai quali era astrattamente ravvisabile l'indiretta ma effetti
va disponibilità di una compartecipazione societaria), ha omes
so affatto di considerare gli ulteriori riscontri economico
finanziari del complessivo intreccio degli interessi patrimoniali della società e di quelli della famiglia mafiosa di Vita facente
capo al defunto Leonardo Crimi, comprovanti la gestione da
parte della medesima società di un'attività imprenditoriale in
un'area contigua e agevolatrice rispetto al contesto criminale
organizzato in cui risultava inserito quale indiziato mafioso quan tomeno il Ciaravolo.
Di talché, ha escluso l'applicabilità del provvedimento ablati
vo di confisca con criteri riconducibili alla normativa di cui al
l'art. 2 ter 1. 575/65, anziché fare riferimento ai distinti para metri dello schema procedimentale disegnato dagli art. 3 quater e 3 quinquies stessa legge, come originariamente prospettato dal
l'accusa e ritenuto dal primo giudice. Avendo pertanto la corte territoriale illegittimamente trascu
rato l'ineludibile vaglio critico (oltre il dato, pure significativo, della reale situazione di compartecipazione societaria, idoneo
di per sé a giustificare eventualmente la diretta confisca a nor
ma dell'art. 2 ter 1. 575/65 della quota o delle quote societarie
imputabili, in virtù d'interposizione fittizia, al soggetto indizia
to di appartenere alla mafia) degli indici di contiguità e d'infil
trazione mafiosa identificati mediante l'analisi della composi
zione societaria originaria e di quella attuale, nonché dei flussi
economici e finanziari riguardanti l'impresa, dev'essere annul
lato il decreto impugnato con rinvio alla medesima Corte d'ap
pello di Palermo.
Questa procederà a nuovo ed approfondito esame della va
lenza degli elementi indiziari, offerti dall'accusa, circa le conno
tazioni agevolatrici dell'attività e degli scopi criminosi della lo
cale cosca mafiosa di Vita facente capo al defunto Leonardo
Crimi, nonché, conseguentemente, del profilo proprio della con
fisca ex art. 3 quinquies 1. 575/65, qualora, all'esito dell'indagi
ne, si abbia «motivo di ritenere che i beni siano il frutto di
attività illecite o ne costituiscano il reimpiego», possa cioè rav
visarsi la necessaria connessione di quei beni con un'attività il
lecita.
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