Sezione I; sentenza 8 giugno 1983, n. 491; Pres. Tozzi, Est. G. Ferrari; Canosa (Avv. A. Bianchi,Nespor, U. Ferrari) c. Consiglio superiore della magistratura, Min. grazia e giustizia (Avv. delloStato Ferri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 401/402-407/408Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175475 .
Accessed: 28/06/2014 15:36
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:41 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Ritiene il collegio di dover condividere l'orientamento già
espresso nelle precedenti pronunce.
Peraltro, in relazione alla peculiarità e varietà delle spese
oggetto della presente indagine, reputa opportuna qualche ulterio
re precisazione.
In ordine alla rispondenza ai fini istituzionali delle attività di
rappresentanza va, innanzitutto, rilevato che essa è determinata
dal grado di idoneità delle medesime a mantenere o ad accresce
re il prestigio dell'amministrazione, inteso quale elevata conside
razione, anche sul piano formale, del ruolo e della presenza attiva della medesima nel contesto sociale, interno ed internazio
nale. È evidente che il predetto grado di idoneità è ravvisabile
soltanto in diretta connessione, da un lato, con la qualità dei
soggetti che, in quanto espressione normativamente riconosciuta
della istituzione, esplicano l'attività, dall'altro, con le circostanze
temporali e modali dell'attività stessa che, per assumere una
precisa valenza rappresentativa, devono avere il carattere dell'ec
cezionalità, rinvenirsi, cioè al di fuori delle ordinarie ed imper sonali operazioni dell'amministrare.
Ne discende che un'attività di rappresentanza non può configu rarsi se svolta da soggetti non particolarmente qualificati — e su
questo punto il collegio si è già in precedenza soffermato — e
che essa non ha ragione di essere nell'ambito dei normali
rapporti istituzionali e di servizio, anche se questi siano intratte
nuti con soggetti estranei all'amministrazione.
Analogamente, e a maggior ragione, l'idoneità al raggiungimento dei fini istituzionali va esclusa per quelle manifestazioni di saluti
o di auguri in occasione di particolari eventi o ricorrenze
(promozioni, trasferimenti, ecc.) nei confronti di appartenenti alla
stessa amministrazione, ovvero per quelle che, travalicando il fine
rappresentativo, si traducano in veri e propri atti di liberalità.
Devono, pertanto, riconoscersi idonee al compimento dei fini
istituzionali tutte quelle attività, eventualmente implicanti oneri
finanziari per forme di ospitalità o atti di cortesia a contenuto e
valore prevalentemente simbolico, che siano da svolgere, per consuetudine affermata o per motivi di reciprocità in occasione
di rapporti, a carattere ufficiale tra organi dell'amministrazione con
precisa veste rappresentativa e organi e soggetti estranei, anch'essi
dotati di rappresentatività. L'ufficialità dell'occasione e la rappre
sentatività di entrambi i soggetti del rapporto costituiscono, infatti,
gli elementi la cui ricorrenza consente all'amministrazione, dismes
sa la veste impersonale ed astratta che caratterizza il normale
espletamento delle sue funzioni, di assumere una soggettività formale specificamente idonea ad esaltare il suo ruolo verso
l'esterno.
Definito il contenuto tipico dell'attività di rappresentanza, in
termini, del resto, che nelle loro grandi linee sostanzialmente
coincidono con quelli delle istruzioni dettate in materia per la
stessa amministrazione della difesa, con decreto del 4 ottobre
1979 citato in narrativa, ritiene il collegio di dover sottolineare
come la presenza di parametri da applicare e verificare nell'azio
ne amministrativa ed il margine non ristretto di discrezionalità,
di cui l'amministrazione dispone circa la scelta delle modalità e
dei mezzi per l'esercizio dell'attività di rappresentanza, postulino,
anche in funzione del riscontro di legittimità, la osservanza, da
parte degli ordinatori di spesa e dei soggetti tenuti alla resa del
conto, di due canoni di comportamento, che nel caso dei rendi
conti in esame, risultano in misura non trascurabile disattesi:
l'adeguata esternazione delle circostanze e dei motivi ohe hanno
indotto a sostenere le spese e la cura, quanto più possibile
puntuale, dell'aspetto documentale, del resto in conformità a
quanto prescritto dalle norme di contabilità (art. 277, 291, 333
reg. di c.g.s.); ciò allo scopo di rendere manifesto il collegamento
tra la natura delle erogazioni e le circostanze che le hanno
occasionate, e, altresì, di evitare ogni esposizione di spesa in
forma globale o forfettaria e senza precisi riferimenti temporali e
modali.
Alla stregua dei criteri suindicati è possibile passare all'esame
dei singoli rendiconti per verificare se e quali spese in essi
rappresentate non siano conformi agli stessi e, conseguentemente, siano da ritenere illegittime. (Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 8 giugno 1983, n. 491; Pres. Tozzi,
Est. G. Ferrari; Canosa (Avv. A. Bianchi, Nespor, U. Fer
rari) c. Consiglio superiore della magistratura, Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Ferri).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 8 giugno 1983, n. 491; Pres. Tozzi,
Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistratura — Delibere — Natura — Autonoma impugnabilità — Fattispe cie (L. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e sul
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art.
17).
Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistratura — Magistrato — Promozione — Delibera di sospensione — Ille
gittimità — Fattispecie (L. 20 dicembre 1973 n. 831, modifiche
dell'ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di cas
sazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori, art. 1).
Non è inammissibile il ricorso contro la deliberazione del Consi
glio superiore della magistratura, con la quale viene sospesa la
promozione di un magistrato a consigliere di cassazione, non
trasfusa in decreto o in altro atto del governo che ad essa
si conformi e dia attuazione. (1) È illegittima la deliberazione del Consiglio superiore della magi
stratura con la quale si dispone la sospensione della procedura di promozione di un magistrato a consigliere di cassazione in
ragione della pendenza di procedimento disciplinare, e in
attesa della conclusione di questo, e non al fine di esplicare l'attività istruttoria supplementare prevista ed autorizzata dal
l'art. 1 l. 20 dicembre 1973 n. 831. (2)
(1) La massima si pone in contrasto con il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale non è ammissibile il ricorso al
giudice amministrativo contro le deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura diverse dalle decisioni disciplinari finché non siano trasfuse in provvedimenti del governo {cfr. TA.R. Lombardia 18 novembre 1982, n. 1093, Foro it., 1983, IH, 107, con nota di richiami), e si riallaccia a Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 1971, n. 567, id., 1971, HI, 213, decisione emessa in diversa materia (verifica dei titoli di ammissione dei componenti del C.S.M.), ma preoccupata, come quella in epigrafe, di non lasciare privi di tutela interessi
legittimi e diritti lesi da delibere dell'organo di autogoverno dei giudici non destinate, per la mancata previsione legislativa, a sfociare in decreti presidenziali o ministeriali.
Sull'impugnabilità delle delibere del Consiglio superiore della magi stratura non recepite in decreti del ministro guardasigilli ma da questo fatte proprie attraverso la pubblicazione nel Bollettino ufficiale del ministero di grazia e giustizia o mediante l'emanazione di atti, diversi dal decreto, che ne costituiscono attuazione, v. T.A.R. Lazio, sez. I, 4 e 11 febbraio 1976, nn. 69 e 92, id., 1977, III, 163.
Riguardo al doppio grado di giurisdizione sui provvedimenti non disciplinari concernenti i magistrati v. Cass. 13 ottobre 1980, n. 5461, id., 1981, I, 91, con nota di richiami.
Quanto alla giurisdizione sui provvedimenti disciplinari v. Cass. 5 febbraio 1983, n. 975, id., 1983, 1, 298, con nota di richiami e osservazioni critiche di C. M. Barone.
Sul costante orientamento giurisprudenziale (derogato nel processo in esame grazie all'accordo delle parti) che ritiene competente il tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio in cui il magistrato presta servizio cfr. TA.R. Piemonte 21 dicembre 1976, n. 432, Jd., 1977, III, 666; T.A.R. Lombardia 21 gennaio 1976, n. 5, ibid., 164, entrambe con nota di richiami.
In dottrina, sulla natura degli atti del Consiglio superiore della
magistratura e il sindacato giurisdizionale su di essi, v. Volpe, Ordinamento giudiziario generale, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1980, XXX, 86 ss., ove ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza.
(2) Nulla in termini. La sentenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, in attesa della quale lo stesso consiglio aveva adottato il
provvedimento di sospensione annullato dalla decisione qui riportata, leggesi in Lavoro 80, 1983, 153.
Sulla vicenda processuale che aveva dato luogo all'instaurazione del
procedimento disciplinare nei riguardi del ricorrente, v. Trib. Milano, ord. 9 luglio e 5 ottobre 1981, e Pret. Milano, ord. 28 luglio e 7 ottobre 1981, Foro it., 1981, I, 2832, con nota di richiami e
osservazioni di G. Silvestri; sull'esito della questione di legittimità costituzionale sollevata con la seconda delle ordinanze pretorili citate, v. Corte cost., ord. 22 giugno 1983, n. 187, che sarà riportata in un
prossimo fascicolo. Sull'assetto della disciplina della nomina a magi strato di cassazione in seguito all'intervento del giudice delle leggi, v. Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, Foro it., 1982, I, 1497, con nota di A. Pizzorusso.
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:41 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
403 PARTE TERZA
Diritto. — 1. - I ricorsi nn. 92/83 e 2378/82 possono essere
riuniti, perché connessi fra di loro.
2. - Punto di partenza, per la definizione delle diverse eccezio ni di inammissibilità dei ricorsi sollevate dalle amministrazioni
resistenti, è l'art. 24, 1° comma, Cost., per il quale « tutti »
possono « agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi ». Dato il tenore della norma, non può essere
posto in dubbio, specie dopo i ripetuti interventi chiarificatori del
giudice delle leggi (Corte cost. 23 dicembre 1963, n. 168, Foro it.,
1964, I, 3; e soprattutto, 14 maggio 1968, n. 44, id., 1968, I,
1396), che anche i componenti l'ordine giudiziario hanno diritto a tutela nei confronti delle deliberazioni del C.S.M., lesivo delle
situazioni soggettive di vantaggio che l'ordinamento loro accorda.
La garanzia generale di tutela giurisdizionale, posta dall'art. 24, esclude infatti qualsiasi soluzione in senso opposto la quale, come ha osservato la corte, avrebbe l'effetto aberrante di esclude
re dalla tutela giudiziaria, essenziale in qualsiasi Stato di diritto, una intera categoria di cittadini (i magistrati), che rimarrebbero
indifesi di fronte a possibili violazioni di legge da parte del loro
organo di autogoverno.
Peraltro, ciò che nella specie va verificato è se possa ravvisarsi
un ostacolo alla proposizione del ricorso giurisdizionale nella
circostanza che l'impugnata deliberazione del C.S.M. (che ha
sospeso nei riguardi del ricorrente la procedura di promozione a
consigliere di cassazione, in attesa che si concluda un procedi mento disciplinare instaurato a suo carico) è stata solo comunica
ta all'interessato, e non travasata in un decreto presidenziale. A
sostegno della prima eccezione di inammissibilità le amministra zioni resistenti si richiamano infatti all'art. 17 1. 24 marzo 1958
n. 195 (recante « norme sulla costituzione e sul funzionamento del C.S.M. ») per il quale « tutti i provvedimenti riguardanti i
magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del
consiglio superiore, con decreto del presidente della repubblica, controfirmato dal ministro », decreto che nella specie non è
intervenuto anche se il ministro di grazia e giustizia è stato
informato, alla pari del ricorrente, della determinazione assunta
dall'organo di autogoverno.
La questione, cosi prospettata, investe in primo luogo la
definizione dei rapporti fra deliberazione del C.S.M. ed atto di
esternazione per la quale, come è noto, sono state proposte in
giurisprudenza ed in dottrina soluzioni diverse, oggi sostanzial
mente abbandonate in conseguenza della continua verifica critica
alla quale le varie tesi sono state periodicamente sottoposte. Ciò
è a dirsi innanzitutto di quella per la quale la deliberazione del
C.S.M. e il decreto del capo dello Stato o del ministro guarda
sigilli configurerebbero un atto complesso ovvero di quella, nel
passato sostenuta anche dal Consieglio di Stato, per la quale la
deliberazione del consiglio avrebbe il solo valore di una proposta, alla quale peraltro il ministro sarebbe tenuto a conformarsi (atto
dovuto), tranne che il contenuto della deliberazione non risulti
contra legem.
In effetti, come ha chiarito la Corte cost., la soluzione del
problema è da ricercarsi negli art. 105 ss. Cost., i quali, imputando direttamente al C.S.M. le deliberazioni concernenti la carriera dei magistrati ordinari, autorizzano a concludere nel senso che sono queste delibere, e non i successivi decreti, gli atti « costitutivi degli effetti giuridici » riguardanti i soggetti che ne
sono destinatari. Dalla circostanza che nei confronti di questi ultimi i suddetti effetti si manifestano solo con l'emanazione dei decreti non può ricarvarsi la conclusione che l'esecutivo abbia il
potere di aggiungere o, addirittura, di sostituire la sua volontà a
quella del CiS.M.: la decretazione è necessaria al solo fine di
sottoporre la deliberazione dell'organo di autogoverno al controllo
preventivo di legittimità e, una volta che questi sia stato supera
to, di conferirle rilevanza esterna. La sua funzione non è quindi
quella di creare le condizioni per l'efficacia dell'atto, ma semmai
di arrestarne l'efficacia ove ricorrano abusi di potere, « quali sono
da temere in qualsiasi corpo chiuso in se stesso ».
Se la premessa è esatta (e la riprova della sua esattezza è
nell'insegnamento della Corte cost.), deve concludersi che quando
l'organo deliberante esterna e porta ad esecuzione un proprio
atto, sottraendolo al preventivo controllo di legittimità, non può essere negata al destinatario dello stesso la possibilità di insorge re contro di esso, rivolgendosi al proprio giudice naturale.
Sono intuitivi gli effetti aberranti cui condurrebbe una conclu
sione in senso opposto: da un lato l'organo di autogoverno, divenuto legibus solutus, avrebbe la possibilità di incidere impu nemente (ed al riparo da ogni controllo) sulla sfera giuridica dei
singoli magistrati; dall'altro questi ultimi non avrebbero alcun
mezzo di difesa. Né è a dirsi che ai destinatari della deliberazio
ne sarebbe possibile provocare l'intervento dell'esecutivo attraver
so lo strumento del silenzio-rifiuto, giacché il ricorso al suddetto
strumento è ipotizzabile in presenza di una deliberazione favore
vole al fine di sollecitarne gli effetti, e non contro una delibera
zione lesiva al solo scopo di precostituire le condizioni per la
sua impugnativa. È il buon senso, prima ancora che il ricorso ai
principi generali, che dimostra la impraticabilità di questa via. Il
problema è, quindi, solo quello — di portata generale — di
verificare se si sono verificati gli effetti voluti dalla delibera e se
l'esistenza di questi effetti è stata portata a conoscenza dell'inte
ressato.
3. - Viene peraltro prospettato un ulteriore ostacolo alla diretta
impugnativa giurisdizionale della deliberazione del C.S.M., e cioè
che comunque quest'ultima (ancorché portata ad esecuzione)
configurerebbe un atto solo oggettivamente, e non anche soggetti vamente amministrativo.
Sembrerebbe, pertanto, che per affermare l'ammissibilità di un
sindacato giurisdizionale due sole sarebbero, ed alternativamente, le strade percorribili: o sostenere l'inquadrabilità del C.S.M. nella
p.a., quale suo organo, oppure dimostrare l'esclusiva imputabilità al ministro guardasigilli e al capo dello Stato della delibera del
consiglio, naturalmente per il tramite del decreto (nella specie non intervenuto). Poiché la seconda alternativa è improponibile,
per le ragioni esposte sub 2), l'indagine necessariamente si riduce
alla prima, la quale va peraltro egualmente disattesa per le
ragioni che seguono.
È indubbio che (tranne che non si verta in materia disciplina re) l'attività posta in essere dal C.S.M. ha natura squisitamente amministrativa, la quale non è affatto contraddetta dalla rilevan
za costituzionale riconosciuta all'organo. Si tratta infatti di qua lificazioni che operano su piani diversi, che rispondono a ragioni diverse e che, come tali, appaiono perfettamente compatibili fra
di loro. Il C.S.M. è chiamato a soddisfare una finalità di rilievo
costituzionale (l'indipendenza della magistratura), ed a ciò prov vede attraverso l'esplicazione di un'attività meramente esecutiva
delle leggi ordinarie alle quali è affidata, in via esclusiva, la
disciplina dello stato giuridico del magistrato. È peraltro pari menti indubbio che la particolare autonomia costituzionalmente
riconosciuta al Consiglio superiore nei confronti dell'esecutivo
conduce intuitivamente ad escludere la sua collocazione nell'am
bito della p.a., intesa quest'ultima come l'insieme delle autorità
che fanno capo al governo e che da questi dipendono.
Però è anche noto che nell'attuale ordinamento esiste una
pluralità di organi che non trovano collocazione in nessuno dei
tre complessi organici che si sogliono definire come « potere
legislativo », « potere giurisdizionale » e « potere esecutivo », ma
ai quali è pure possibile attribuire una qualificazione soggettiva in ragione dell'attività che essi svolgono. Se è esatto quanto da
tempo avverte la dottrina costituzionalista più illuminata, e cioè
che a prescindere dalla possibile collocazione in uno dei tre
poteri è comunque l'attività svolta che qualifica l'organo, non
sembra possa negarsi al C.S.M. la qualifica di organo amministra
tivo, pur se estraneo al corpo unitario degli organi amministrati
vi, allo stesso modo che non è contestabile la qualifica di organo
giurisdizionale spettante al T.A.R. e, in un ambito più definito, al
Consiglio di Stato e alla Corte dei conti, in ragione della
funzione « giurisdizionale » che essi svolgono, quantunque sia
pacifica la loro estraneità al complesso unitario definito come « potere giurisdizionale » e tradizionalmente identificato con la
magistratura ordinaria, organo costituzionale laddove i primi tre
sono poteri a sé stanti, di mera rilevanza costituzionale.
La qualificazione soggettiva (di organo amministrativo delibe
rante) in tale modo riconosciuta al C.S.M. è di conseguenza in
grado di soddisfare appieno la condizione richiesta per la propo sizione del ricorso dall'art. 26 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, per il
quale oggetto dell'impugnativa giustisdizionale deve essere un
atto o provvedimento di un'autorità amministrativa o di « un
corpo amministrativo deliberante ». In effetti la qualificazione anche soggettiva dell'atto amministrativo, come condizione per il
ricorso al giudice amministrativo, è legata alla necessità di indivi duare in un organo, chiamato dalla legge allo svolgimento di
attività amministrativa, il centro di imputazione degli effetti
prodotti dall'atto contro il quale si intende reagire. Nella specie quest'organo esiste, è stato istituito proprio allo scopo di ammi nistrare la carriera dei magistrati ordinari, sono le sue delibera zioni gli atti costitutivi degli effetti giuridici riguardanti i soggetti che ne sono i destinatari.
Non è ravvisabile un ostacolo a tale conclusione nella circo stanza che l'art. 113 Cost, preveda il ricorso agli organi di
giurisdizione ordinaria e amministrativa « contro gli atti della
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:41 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
p.a. », dal momento che la norma in questione (il cui retroterra
storico non deve essere qui ricordato) ha inteso introdurre una
specificazione, e non una limitazione rispetto al quadro generale
della tutela giurisdizionale individuato dall'art. 24. A prescindere dalla opportunità di un maggiore approfondimento circa l'ambito
tradizionalmente assegnato al concetto di p.a. ai fini della propo
sizione del ricorso giurisdizionale (come notò la Corte cost, nella
fondamentale decisione n. 44 del 1968), sta comunque di fatto
che dalla espressa previsione del sindacato giurisdizionale nei
confronti degli atti della p.a. è arbitrario (stante l'ampiezza del
dettato dell'art. 24) dedurre l'insindacabilità dell'atto posto in
essere dall'organo che, pur non rientrando nella p.a., svolge incontestabilmente attività amministrativa destinata ad incidere
sulla sfera giuridica del cittadino. Questa conclusione apparirà ancora più persuasiva ove si rifletta sul fatto che il controllo del
giudice amministrativo si svolge sull'atto, e non sull'organo che
lo ha posto in essere.
4. - Esiste peraltro un terzo profilo di inammissibilità del
ricorso, legato alla necessità dell'attualità della lesione, che viene
dedotto dalle amministrazioni resistenti nella considerazione che
dei due atti impugnati il primo (cioè la delibera del 20 ottobre
1981, con la quale il C.S.M. individuò i casi nei quali si riteneva
autorizzato a sospendere la procedura per la nomina alle qua lifiche superiori) costituirebbe mero atto organizzatorio, di auto
regolamentazione delle attività istituzionali da parte dell'organo di autogoverno, laddove il secondo (cioè la deliberazione 4
novembre 1982, con la quale fu disposta la sospensione della
procedura di promozione nei riguardi del ricorrente) costituirebbe
un mero atto interno, privo di un contenuto valutativo, in
positivo o in negativo, nei riguardi del ricorrente e quindi inidoneo ad incidere sul suo stato giuridico ed economico.
Senonché, se ben si riflette, anche se l'attualità della lesione è
indubbiamente legata all'esistenza dell'atto applicativo, ciò che
rileva agli effetti della definizione dell'eccezione di inammissibilità
è la qualificazione che deve essere riconosciuta alla prima delibera
la quale, individuando i poteri che il consiglio ha inteso attri
buirsi e gli ambiti entro i quali questi possono essere esercitati
ovvero, anche più semplicemente, il modus procedendi prefigurato di fronte a determinate evenienze, condiziona anche la rilevanza
(interna o esterna) dell'atto che atomizza, nei confronti del
singolo soggetto, la previsione generale ed astratta che essa detta.
Ciò premesso, appare insostenibile la pretesa delle amministra
zioni resistenti di attribuire carattere meramente organizzatorio ad un atto che non esaurisce i suoi effetti all'interno dell'orga
no, ma che incide con palmare evidenza sulle posizioni giuridi che dei soggetti interessati. La procedura di promozione non
viene infatti sospesa come conseguenza automatica della penden za di un procedimento disciplinare a carico del singolo magistra to valutato per il conferimento della qualifica superiore, ma solo
perché ed in quanto il C.S.M., nella sua valutazione discreziona
le, abbia giudicato « obiettivamente grave » il fatto che ha dato
origine a detto procedimento. La sospensione è quindi collegata ad una valutazione gravemente negativa di un fatto o di un
comportamento che, anche se non sostituisce quella che più tardi
sarà resa nella sede competente dalla commissione di disciplina, incide con immediatezza sul prestigio e sulla onorabilità del
magistrato, soprattutto perché espressa dall'organo di autogoverno della magistratura.
La mancanza di automatismi e la necessità di un giudizio
negativo sul fatto attribuito al magistrato, come condizione per attribuire rilevanza alla pendenza del procedimento disciplinare,
autorizzano pertanto la conclusione che è il magistrato, che ha
maturato l'anzianità necessaria per l'accesso alla qualifica superio
re, il vero destinatario della deliberazione. Nei suoi confronti la
decisione di soprassedere alla valutazione costituisce un fatto
nuovo e diverso dal giudizio di idoneità o di inidoneità alla
qualifica superiore, rispetto al quale egli vanta una pretesa
giuridicamente protetta una volta che la procedura sia stata
avviata con l'acquisizione della domanda e del parere del consi
glio giudiziario.
Stando cosi le cose, non può essere neppure assecondato
l'ulteriore tentativo delle amministrazioni resistenti di ricondurre
la deliberazione impugnata nella logica dell'art. 1 1. 29 dicembre
1973 n. 831, che autorizza il C.S.M. ad acquisire ulteriori
elementi di giudizio — per la valutazione del magistrato — oltre
quelli che la stessa norma impone specificamente di considerare,
e di prospettarla quindi come un'autoregolamentazione di tale
potere, da esercitare solo in taluni casi e con il sussidio di
determinate garanzie per il soggetto interessato.
Il Foro Italiano — 1983 — Parte 111-29.
Questa suggestiva interpretazione è contraddetta in modo netto
dalla lettura dei verbali (depositati in giudizio), che riportano le
contrastanti e talora aspre prese di posizione dei consiglieri intervenuti nel dibattito che ha preceduto sia la delibera che ha
codificato la norma sia quella che detta norma ha provveduto ad
applicare nei confronti del ricorrente.
1 primi dimostrano che la sospensione della procedura di
promozione è stata intesa e voluta dalla maggioranza non in
vista di un supplemento di istruttoria volto ad acquisire nuovi
elementi di giudizio (sempre possibile in un procedimento che
non risulta legato a termini finali prestabiliti), ma nell'intento
dichiarato di subordinare all'esito del procedimento disciplinare la possibilità di progressione in carriera del magistrato da valuta
re. -
I secondi testimoniano che la proposta formulata da qualche
consigliere (ad es. Carbone) di non adottare alcuna risoluzione, ma di svolgere ulteriori indagini sui fatti contestati disciplinar mente al Canosa, non fu accolta. In effetti la discussione in
ordine alle determinazioni da adottare nei riguardi del ricorrente
diede vita a tre proposte, tutte ampiamente illustrate: promuove re senz'altro il Canosa, sulla base dell'indiscussa preparazione
professionale e della laboriosità da questi dimostrate; sospendere la procedura di promozione in attesa di conoscere l'esito del
procedimento disciplinare già instaurato; non adottare alcuna risoluzione formale, ma acquisire autonomamente ulteriori ele menti utili ad una migliore conoscenza dei fatti imputati al
ricorrente. Dopo un lungo e serrato dibattito prevalse la seconda
proposta, travasata nella deliberazione ora impugnata.
In ogni caso la tesi prospettata dalla difesa delle amministra
zioni resistenti non appare condivisibile neppure in via di princi
pio, cioè indipendentemente dai reali intendimenti coltivati dal
Consiglio superiore.
Ed infatti la globalità del giudizio che deve essere espresso nel
procedimento per la progressione in carriera comporta per il
C.S.M. la possibilità di una valutazione « autonoma » di qualsiasi elemento o fatto al quale possa essere riconosciuto valore sinto
matico della personalità, della preparazione professionale, della laboriosità e dell'equilibrio del magistrato, anche se già assunto a
fondamento di un procedimento disciplinare, sia perché i due
procedimenti hanno natura e finalità diverse sia perché un
eventuale esito sfavorevole del procedimento disciplinare, non
potendo determinare la perdita della qualifica ma, al limite, solo
una perdita di anzianità e, di conseguenza, un arretramento con effetto ex nunc nella posizione di ruolo (art. 21 1. sulle guaranti
gie), non è in grado di porsi in contrasto con la promozione in
ipotesi già disposta sulla base di una diversa valutazione dei fatti
per i quali la misura sanzionatoria è stata successivamente
irrogata.
Non può neppure essere assecondato il tentativo di presentare l'intera operazione siccome studiata al fine di avvantaggiare il
singolo magistrato, in vista del contraddittorio che gli sarebbe
garantito dal procedimento disciplinare. Ed infatti, a prescindere dalla rilevata autonomia dei due procedimenti e dal fatto che la
notoria lungaggine del procedimento disciplinare (da concludersi
entro quattro anni: art. 12 1. 3 gennaio 1981 n. 1) può far
perdere all'interessato in termini di anzianità di qualifica quello che, in ipotesi, potrebbe guadagnare in termini di garantismo, è
assorbente la considerazione che anche nel procedimento per la
promozione il magistrato è assistito da sufficienti garanzie. L'art.
3 1. 20 dicembre 1973 n. 831 prevede, infatti, che il parere reso
dal consiglio giudiziario debba essergli comunicato integralmente onde poter presentare, nei trenta giorni successivi, le proprie controdeduzioni al C.S.M.
5. - Nel merito la sorte dei ricorsi è condizionata dalla
definizione negativa delle eccezioni di inammissibilità degli stessi, sulle quali le amministrazioni resistenti hanno consapevolmente
impostato l'intera loro difesa.
Ed infatti, una volta accertato che la sospensione del procedi mento di promozione non può considerarsi espressione di quel l'attività istruttoria supplementare prevista ed autorizzata dal
l'art. 1, 2° comma, 1. 20 dicembre 1973 n. 831, deve concludersi
che il C.S.M. —- nel codificarla e nel disporla nei confronti del
ricorrente — ha fatto uso di un potere che nessuna norma di
legge gli riconosceva, dal momento che non esiste né nella
normativa concernente i magistrati (assistita dalla riserva di
legge) né in quella relativa al pubblico impiego l'istituto della
sospensione della procedura di promozione in conseguenza della
pendenza di un procedimento disciplinare, ma solo della sospen sione dall'ufficio e dallo stipendio, che può essere disposta cau
telarmente al verificarsi di detta evenienza.
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:41 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA
Il primo motivo, proposto in ambedue i ricorsi, è pertanto fondato e, in considerazione del suo carattere assolutamente
assorbente, dispensa il collegio dalla definizione delle altre
censure.
6. - Per le ragioni sopra esposte i ricorsi devono essere accolti.
(Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione III; sentenza 12 maggio 1983, n. 397; Pres.
Felici, Est. Minicone; Tronci e altri (Aw. Rienzi) e. Min.
pubblica istruzione, Provveditorato agli studi di Roma, Con
siglio scolastico provinciale di Roma (Avv. dello Stato Onu
frio).
Giustizia amministrativa — Ricorso collettivo — Ammissibilità —
Fattispecie. Giustizia amministrativa — Istituti di istruzione secondaria —
Provvedimento di fusione — Ricorsi dei presidenti dei consi
gli d'istituto e dei presidi degli istituti — Ammissibilità — Ri
corsi del gruppo docente e non docente e del gruppo dei geni tori degli alunni — Inammissibilità.
Istruzione pubblica — Istituti di istruzione secondaria — Provve
dimento di fusione provvisoria emesso dal ministero della pub blica istruzione — Mancata consultazione del ministero del te
soro — Illegittimità (L. 31 dicembre 1962 n. 1859, istituzione
ed ordinamento della scuola media statale, art. 10).
È ammissibile il ricorso collettivo proposto, contro il provvedi mento del ministero della pubblica istruzione che dispone la
fusione di due scuole medie statali, dai presidenti dei consigli d'istituto delle scuole oggetto di fusione, dai presidi delle stesse
scuole, da un gruppo che costituisce espressione del personale docente e non docente e da un gruppo di genitori degli alunni
frequentanti le dette scuole, in quanto i ricorrenti sono porta tori di interessi che, seppure articolati, sarebbero ugualmente
soddisfatti dall'annullamento dell'atto impugnato. (1) Avverso il provvedimento di fusione di due scuole medie, che
abbia lasciato immutata sia la situazione logistica delle due
scuole sia le iniziative didattiche facenti capo a ciascun com
plesso, sono ammissibili i ricorsi proposti dai presidenti dei
consigli d'istituto e dai presidi delle due scuole, mentre sono
inammissibili i ricorsi proposti da un gruppo che costituisce
espressione del personale docente e non docente e da un
gruppo di genitori degli alunni frequentanti le dette scuole. (2)
{1) Sull'ammissibilità del ricorso collettivo, ove sia solo presunto il conflitto d'interessi tra i ricorrenti v., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 1982, n. 163, Foro it., 1982, III, 268, con ampia nota di
richiami, nonché T.A.R. Abruzzo 21 aprile 1982, n. 237, Trib. amm.
reg., 1982, I, 2166.
(2) Non constano precedenti specifici in termini. Va segnalato come i giudici, nell'affrontare la dibattuta questione
circa la legittimazione ad agire degli organi collegiali istituiti dal d.p.r.
416/74, nei confronti di altri organi dell'amministrazione cui essi
appartengono, l'abbiano risolta positivamente in base alla considerazio ne secondo cui « il consiglio d'istituto, seppure inserito nell'apparato organizzativo della pubblica istruzione, [è] portatore di interessi esterni che, ancorché riconosciuti come aventi rilevanza pubblica, non coincidono con quelli dell'amministrazione in senso soggettivo, ma anzi da questi possono sovente diversificarsi o, addirittura, come nel caso di specie, contrapporsi », ponendosi cosi in contrasto con Cons.
Stato, sez. VI, 8 luglio 1980, n. 725, Foro it., Rep. 1981, voce Giustizia amministrativa, n. 436, che ha negato la legittimazione ad
impugnare atti emanati dal ministro della pubblica istruzione sia al
preside di istituto secondario sia al consiglio d'istituto in quanto « organi del complesso organizzativo statale preposto all'istruzione
pubblica »; sull'inammissibilità del ricorso proposto dal consiglio sco lastico di circolo contro un provvedimento del provveditore agli studi, v. T.AjR. Piemonte 25 ottobre 1978, n. 516, id., 1980, III, 146, con nota di richiami; nel senso, invece, che « i membri del consiglio d'istituto sono portatori di specifici e qualificati interessi all'im
pugnazione di atti ritenuti lesivi delle prerogative dell'organo stesso ed idonei ad ostacolare l'adempimento delle sue funzioni », cfr. T.A.R. Lombardia 26 marzo 1980, n. 241, id., Rep. 1980, voce Istruzione
pubblica, n. 56; T.AjR. [Piemonte 5 luglio 1978, n. 357, id., Rep. 1979, voce cit., n. 70; 18 ottobre 1977, n. 494, id., Rep. 1978, voce cit., n. 53.
Sulla posizione dei genitori degli alunni quali elettori degli organi collegiali v. T.A.R. Piemonte 24 ottobre 1978, n. 511, id., Rep. 1979, voce cit., n. 71, a cui dire tali soggetti « sono portatori di uno
specifico e qualificato interesse non già all'esercizio della funzione in
È illegittimo il provvedimento di fusione « provvisoria » di due scuole medie disposto dal ministero della pubblica istruzione, senza la preventiva consultazione del ministero del tesoro, in attesa del decreto presidenziale ex art. 10 l. 31 dicembre 1962 n. 1859.(3)
Diritto. — 1. - Il ricorso è rivolto ad impugnare il provvedi mento del 2 luglio 1982, con il quale il ministero della pubblica istruzione ha predisposto, a decorrere dall'anno scolastico 1982
1983, la fusione tra la scuola media statale « De Coubertin » e la scuola media statale « Flajano » di Roma.
I ricorrenti rivestono posizioni differenti nell'ambito dell'ordi namento scolastico.
In particolare, due di essi agiscono nella veste di presidenti dei
consigli di istituto delle scuole oggetto di fusione; due, in qualità di presidi delle scuole stesse; un gruppo come espressione del
personale docente e non docente e un gruppo, infine nella
qualità di genitori di alunni frequentanti le scuole di cui è causa.
Ha depositato, poi, atto di intervento ad adiuvandum un altro
gruppo di soggetti (prevalentemente genitori e docenti), non
tutti, peraltro, esattamente individuabili sia con riguardo alla
generalità, sia con riguardo alla qualifica.
Di tale atto di intervento va, comunque, in limine dichiarata la inammissibilità per non essere stato lo stesso notificato a nessuna delle parti in causa, cosi come previsto dall'art. 22 1. 6 dicembre 1971 n. 1034.
2. - In ordine al ricorso a quo l'avvocatura dello Stato ha
sollevato talune eccezioni preliminari di inammissibilità, che van no partitamente esaminate da questo collegio.
2.1. La prima di tali eccezioni concerne la violazione dei
principi che regolano i ricorsi collettivi, giacché, con un medesi mo atto, sarebbero state dedotte in giudizio posizioni di interesse in conflitto o, comunque, divergenti fra loro.
L'eccezione è infondata. L'inammissibilità del ricorso collettivo è stata affermata dalla giurisprudenza amministrativa nel solo caso in cui le posizioni dei ricorrenti siano tra di loro in evidente conflitto, per cui l'eventuale accoglimento del gravame, pur fondato su identici motivi comuni a tutti gli istanti, torni a
vantaggio di alcuni e a danno di altri (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1979, n. 342, Foro it., Rep. 1979, voce Giustizia
amminitrativa, n. 182).
Nel caso di specie, i ricorrenti mirano a conseguire un comune
vantaggio processuale e sostanziale, essendo portatori di interessi che — seppure articolati — sarebbero ugualmente soddisfatti dall'annullamento dell'atto impugnato.
D'altra parte, la stessa difesa erariale non ha individuato in concreto alcuna situazione di conflitto, limitandosi a porre in evidenza la mancanza nei ricorrenti, in relazione alla posizione da ciascuno fatta valere, di una lesione di interesse attuale e diretto. Senonché la eventuale carenza di interesse, in taluni sottoscrittori del ricorso collettivo, all'azione, ove riconosciuta
sussistente, condurrebbe, tutt'al più, alla inammissibilità del ricor so dagli stessi proposto, ma non impedirebbe l'ingresso del
gravame nei confronti degli altri soggetti portatori di un interesse
concreto, non potendosi, in questo caso, fare questione di conflit tualità in ordine agli effetti della eventuale pronuncia di accogli mento.
sé [da parte degli organi collegiali], ma al controllo diretto su tale funzione » (nella specie, è stato dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, il ricorso proposto dai genitori contro un provvedimento del provveditore agli studi che privava di effetto una deliberazione adottata dal consiglio d'istituto).
In dottrina, v. Rizzi, Organi collegiali delle scuole: spunti giuri sprudenziali, in Trib. amm. reg., 1979, II, 192; Id., Profili giuridico costituzionali della partecipazione scolastica e del diritto allo studio, in Cons. Stato, 1979, II, 241.
(3) Sull'illegittimità del provvedimento adottato dal ministero della pubblica istruzione per la soppressione di una sezione staccata di scuola media, senza il previsto concerto con il ministero del tesoro, v. T.A.R. Umbria 21 giugno 1982, n. 226, Trib. amm. reg., 1982, I, 2579.
Cons. Stato, sez. I, 24 novembre 1972, n. 1907, Foro it., Rep. 1976, voce Istruzione pubblica, n. 49, ha affermato la discrezionalità del ministro della pubblica istruzione nel mutare l'aggregazione delle sezioni staccate di scuola media, anche in assenza di proposte dei presidi interessati, purché il provvedimento risulti sufficientemente motivato (nella specie, è stato ritenuto sussistente tale requisito, in forza delle necessità di equilibrare la popolazione scolastica della scuola media e di evitare che la scuola avente la sezione aggregata superasse il limite massimo di ventiquattro classi, stabilito dall'art. 10 1. 1859/62).
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:41 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions