sezione II civile; sentenza 11 febbraio 1987, n. 1487; Pres. Sagnelli, Est. Anglani, P. M. Minetti(concl. diff.); Torre (Avv. Mancuso) c. Triolo e altri (Avv. Siracusa). Cassa App. Messina 16gennaio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 5 (MAGGIO 1987), pp. 1445/1446-1451/1452Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178699 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 11 feb
braio 1987, n. 1487; Pres. Sagnelli, Est. Anglani, P. M. Mi
netti (conci, diff.); Torre (Aw. Mancuso) c. Triolo e altri
(Avv. Siracusa). Cassa App. Messina 16 gennaio 1985.
Edilizia e urbanistica — Costruzioni in zone sismiche — Discipli na relativa ai «vecchi centri abitati» — Costruzioni su aree pre cedentemente non edificate — Applicabilità (R.d.l. 22 novembre
1937 n. 2105, norme tecniche di edilizia con speciali prescrizio ni per le località colpite dai terremoti, art. 33).
Edilizia e urbanistica — Costruzioni in zone sismiche — «Vecchi
centri abitati» — Distanze legali — Mancanza di strumenti ur
banistici e di direttive delle competenti autorità — Disciplina
applicabile (Cod. civ., art. 873; r.d.l. 22 novembre 1937 n. 2105, art. 12, 33).
Nell'ambito delle misure di prevenzione previste dall'ordinamen
to per le costruzioni edilizie nelle zone sismiche, le norme spe ciali dettate per gli edifici che sorgono nei «vecchi centri abitati»
si applicano anche alle costruzioni eseguite su aree, comprese nel perimetro del vecchio centro, precedentemente non edifica te e non solo a quelle eseguite su aree già coperte da edifici distrutti dal terremoto. (1)
In assenza di piani regolatori e regolamenti edilizi, la mancata
richiesta o la mancata emanazione da parte delle competenti autorità amministrative delle direttive riguardanti gli allinea
menti, le larghezze stradali, gli intervalli di isolamento e le al
tezze per le ricostruzioni e nuove costruzioni di edifici situati
nei vecchi centri abitati delle zone sismiche non comporta l'as
soggettabilità delle costruzioni stesse alle prescrizioni legislative
riguardanti l'attività costruttiva nelle altre zone de! comune,
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini. In relazione al concetto di «vecchio centro abitato» la Suprema corte
ha più volte precisato che esso si riferisce ai nuclei urbanisticamente so
pravvissuti alla devastazione del movimento tellurico: Cass. 29 giugno 1979, n. 3675, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia e urbanistica, n. 826; 17 febbraio 1979, n. 1044, ibid., n. 827; 13 febbraio 1979, n. 961, ibid., n. 828; 12 dicembre 1977, n. 5401, id., Rep. 1977, voce cit., n. 984; 3 dicembre 1976, n. 4522, ibid., n. 895, in cui si precisa che non bastano caratteri costruttivi moderni per escludere che un edificio sorga nel vec chio centro abitato; 9 giugno 1975, n. 2294, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1412; 9 settembre 1970, n. 1377, id., 1970, I, 2411, con nota di richia
mi, che esclude, in base alla suddetta nozione, l'applicabilità della disci
plina relativa ai vecchi centri abitati nelle città (nella specie: Avezzano) interamente rase al suolo dal terremoto.
Altre decisioni precisano che la disciplina relativa ai centri abitati di
nuova costruzione si riferisce tanto agli edifici che sorgono in nuove loca
lità, quanto a quelli costruiti in zone di ampliamento del vecchio centro abitato: cfr. Cass. 8 novembre 1983, n. 6590, id., Rep. 1983, voce cit., n. 903; 16 marzo 1976, n. 964, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1717; Trib.
Palermo 21 ottobre 1970, id., Rep. 1971, voce cit., n. 771; Cass. 3 agosto 1968, n. 2794, id., 1969, I, 450, con nota di richiami. È evidente, tutta
via, che non vi è identità tra l'ipotesi di edificio costruito in zona di
ampliamento del vecchio centro abitato e quella, esaminata per la prima volta dalla Suprema corte nella sentenza qui riportata, di nuova costru zione su area precedentemente non edificata ma compresa nel perimetro del vecchio centro, pur se potrebbero verificarsi, di fatto, casi di dubbia
qualificazione. La stessa sentenza del 1968 da ultimo citata, chiamata a determinare sul punto in questione la portata applicativa della 1. 25 novembre 1962 n. 1684, ricorda che l'art. 9 r.d.l. 22 novembre 1937 n 2105 previgente, «che corrisponde sostanzialmente all'attuale art. 6», di
sponeva in modo esplicito nell'ultimo comma che «non sono considerate
come ampliamenti di centri abitati le nuove costruzioni da elevare nei
vecchi centri, dovunque non esistevano precedentemente, sia pure lungo strade esistenti in adiacenza a fabbricati esistenti» (art. 9 cit.); a tali co
struzioni si applicavano le disposizioni del successivo art. 33, corrispon dente in sostanza all'art. 17 1. n. 1684/62. La norma testualmente citata
sembra rappresentare un utile riferimento normativo, che la Cassazione,
peraltro, non ha utilizzato nell'odierna pronuncia.
L'applicazione della disciplina speciale prevista per i vecchi centri abi
tati delle zone sismiche anche alle nuove costruzioni ivi realizzate, pur
già chiaramente rilevabile dalla lettera della legge (tanto del 1962, che
del 1937), è ribadita da Cass. 10 luglio 1975, n. 2723, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1419. Cass. 6 agosto 1977, n. 3604, id., Rep. 1977, voce
cit., n. 904, precisa che la stessa disciplina si applica anche alle sopraele vazioni degli edifici nei vecchi centri abitati.
Per la rilevanza anche penale delle nozioni di nuovo e vecchio centro
abitato, cfr. Pret. Cetraro 25 gennaio 1975, id., 1975, II, 197.
In dottrina cfr. M. Mazzanti, La nozione di «centro abitato» agli
effetti della legge urbanistica, in Giur. it., 1963, II, 59.
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-95.
bensì, per quanto concerne le distanze fra costruzioni, l'appli cabilità delle norme del codice civile. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 29 gennaio 1964 Triolo Antonino «in proprio e quale cittadino
contribuente ed elettore del comune di Barcellona Pozzo di Got
to» premise di essere proprietario di due fabbricati siti in detto
comune, confinanti nella parte posteriore con un immobile di pro
prietà di Torre Rocco.
(2) È questo l'orientamento costante della Suprema corte: cfr. sent. 26 agosto 1985, n. 4535, Foro it., Rep. 1985, voce Edilizia e urbanistica, n. 415, e 26 agosto 1985, n. 4536, ibid., n. 426, entrambe citate nell'o dierna sentenza; inoltre: Cass. 8 novembre 1983, n. 6590, id., Rep. 1983, voce cit., n. 903; 28 gennaio 1983, n. 804, ibid., n. 895; 15 giugno 1982, Scrima, ibid., n. 902; 4 aprile 1981, n. 1920, id., Rep. 1981, voce cit., n. 841; 4 ottobre 1980, n. 5370, id., Rep. 1980, voce cit., n. 934; 20
maggio 1980, n. 3314, ibid., n. 933; 6 maggio 1980, n. 2969, ibid., n.
917; 17 febbraio 1979, n. 1044, ibid., n. 827; 13 febbraio 1979, n. 961, ibid., n. 828 (parzialmente riportata, id., 1979, I, 974, con nota di Bran ca in materia di prevenzione e distanze legali tra costruzioni in zone si
smiche); 12 gennaio 1978, n. 121, id., Rep. 1978, voce cit., n. 791; 28
aprile 1977, n. 1622, id., Rep. 1977, voce cit., n. 906; 14 aprile 1976, n. 1317, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1729; 10 luglio 1975, n. 2723, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1418; 6 ottobre 1972, n. 2875, id., 1973, I, 67, con nota di richiami. Nello stesso senso anche Trib. Messina 18 marzo
1973, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1732, unico precedente edito di una corte di merito, che fonda il proprio orientamento sulla individuazione di un rapporto di specialità tra la legislazione per le costruzioni in zone sismiche e le norme del codice civile; pertanto, quando, come nell'ipotesi in esame, la fattispecie è al di fuori della previsione legislativa (per la
inapplicabilità del piano regolatore, del regolamento edilizio comunale e delle direttive delle competenti autorità amministrative, mancanti), «es sa non può che essere recepita nell'ambito della legge comune, ossia delle norme sulle distanze del codice civile». Né può farsi applicazione analogi ca, continua la sentenza, delle norme dettate direttamente dalla legge an tisismica per le costruzioni in nuovi centri, dato il carattere speciale della
legge in questione, nonostante essa, sia nel testo del 1937, che in quello del 1962 (1. 25 novembre 1962 n. 1684, provvedimenti per l'edilizia, con
particolari prescrizioni per le zone sismiche), prescriva che le direttive, emesse rispettivamente dal genio civile e dal provveditorato regionale alle
opere pubbliche (sezione urbanistica), debbano armonizzarsi con le nor me relative ai centri di nuova costruzione. Le decisioni della Cassazione sono per lo più motivate rilevando che le leggi antisismiche del '37 e del '62 alternativamente rilevanti, ma spesso prese in considerazione con
giuntamente, in quanto prive di differenze sul punto, pongono per le costruzioni nei vecchi centri abitati un sistema sostitutivo, rispetto alle norme dettate per i nuovi centri, articolato gerarchicamente e che, in
mancanza delle fonti specificamente previste, devono essere osservate le norme comuni del codice civile in materia di distanze. Da segnalare, in
argomento, anche Cass. 2 febbraio 1973, n. 314, id., 1973, I, 1423, in cui si qualifica il potere di impartire preventivamente direttive per le ope re da eseguire nei centri abitati come potere autonomo e non come potere di deroga alle norme direttamente poste dalla legge per i nuovi centri.
Le decisioni n. 4536 del 1985 e n. 804 del 1983 della Cassazione, già citate, precisano, con riferimento alla legge del 1962, che le costruzioni nei vecchi centri abitati devono comunque rispettare anche le direttive
emanate dal genio civile per assicurare la rispondenza del singolo edificio ai requisiti costruttivi necessari ad assicurare la sua resistenza alle scosse
telluriche. Cass. 6 maggio 1980, n. 2969, cit., precisa inoltre che, qualora l'unica disciplina applicabile sia quella del codice civile, resta fermo il diritto dei cittadini di agire nella competente sede amministrativa e con i mezzi che l'ordinamento vigente loro consente per ottenere che vengano emanate le direttive previste dalla legge, in presenza delle quali essi po tranno tutelare i loro interessi nelle sedi competenti.
Sempre in relazione alla legge del 1962, Trib. Catanzaro 15 settembre
1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1733 (in motivazione in Giust. civ.,
1976, I, 1705, con nota critica, sul punto, di Alvino), sul presupposto che le direttive impartite dalla sezione urbanistica del provveditorato re
gionale alle opere pubbliche al comune sono operanti solo in quanto co
stituiscono oggetto di successiva valutazione da parte del genio civile, cui è demandato di stabilire, caso per caso, l'ammissibilità e quindi la
legittimità dei singoli progetti, afferma che l'apprezzamento della sezione
urbanistica può esser manifestato anche nella forma del «parere» espres so sul singolo progetto ai sensi dell'art. 25, 4° comma, 1. n. 1684/62
e non necessariamente tramite «direttive» richieste in via generale dal co
mune, secondo la prescrizione dell'art. 17 stessa legge. Secondo Cass.
4 aprile 1981, n. 1920, Foro it., 1982, I, 1385, al contrario, ove manchino
prescrizioni sulle distanze e altezze ad opera degli strumenti urbanistici
locali e non siano state richieste dal comune le direttive del provveditora to regionale alle opere pubbliche, non può l'ufficio del genio civile, in
sede di rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 25 citato, dettare ca so per caso specifiche prescrizioni, con la conseguenza che l'unica disci
plina applicabile resta quella del codice civile.
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1447 PARTE PRIMA 1448
Questi «in tempi diversi aveva eseguito alcune costruzioni e
sopraelevato di un piano altra costruzione, in violazione delle di
stanze previste dal codice civile, dalla legge antisismica e dal re
golamento edilizio comunale; aveva altresì' appoggiato dette opere su un muro di proprietà esclusiva di esso istante; infine aveva
aperto abusivamente vedute dirette e laterali verso il fondo dell'i
stante».
Tanto premesso il Triolo convenne il Torre in giudizio dinanzi
al Tribunale di Messina chiedendo «che fosse condannato alla
demolizione della parte di fabbricato costruito in violazione delle
distanze previste dalla legge e dai regolamenti ed al risarcimento
dei danni». Il convenuto resistette alla domanda deducendo, fra l'altro, di
aver eseguito le opere contestate in conformità del progetto ap
provato dalle autorità competenti e di una transazione conclusa
il 21 marzo 1955 con la quale era stato posto termine ad altro
procedimento pendente tra le parti. Propose inoltre domanda ri
convenzionale di eliminazione di una veduta abusivamente aperta dall'attore. Chiamato in causa il comune di Barcellona Pozzo
di Gotto in relazione all'azione popolare proposta dall'attore ed
espletata consulenza tecnica per accertare se le opere fossero state
eseguite in conformità oppure no del progetto approvato dal ge nio civile e quali fossero «le misure tecniche necessarie ed idonee
ad eliminare le riduzioni dedotte», l'adito tribunale con sentenza
del 30 maggio 1979, «dichiarata non procedibile l'azione popola re nei confronti del comune», condannò, fra l'altro, il convenuto
«alla demolizione di una parte del fabbricato di sua proprietà fino a formare uno spazio d'isolamento di metri 5,75 e l'attore
alla regolarizzazione di una luce».
Proposto appello da entrambe le parti, la Corte d'appello di
Messina con sentenza del 30 giugno 1982, ora denunziata, rigettò entrambi gli appelli, confermando integralmente quella di primo
grado. La corte d'appello per quanto ancor interessa in questa
sede, osservò:
1) Infondatamente il Torre si era doluto per avere il tribunale
ritenuto la nullità della transazione del 21 marzo 1955, nonostan
te la mancanza di apposita domanda o di impugnativa in tal sen
so. Invero il tribunale aveva giustamente ritenuto inoperante l'accordo transativo (anche in mancanza di domanda o impugna tiva del Triolo) «rilevando che lo stesso doveva considerarsi con
trario a norme imperative nella parte in cui era prevista la facoltà
per il Torre di edificare senza la rigorosa osservanza delle norme
che regolano le costruzioni in zone sismiche».
2) Era infondato il motivo con il quale l'appellante si era dolu
to — sulla premessa che il fabbricato facesse parte del vecchio
centro urbano di Barcellona — per essere state ritenute applicabi li le norme nelle distanze previste dalla legge antisismica, anziché
quelle del codice civile.
Invero, «a parte la considerazione che la circostanza dell'ubi
cazione del fabbricato non era stata mai dedotta nel giudizio di
Da segnalare poi Cass. 2 febbraio 1979, n. 722, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 829, secondo cui la misura fissata dal codice civile per le costru zioni in zone non sismiche vale comunque come valore minimo che anche l'ufficio del genio civile, cui è demandata, in base all'art. 33 r.d.l. 22 novembre 1937 n. 2105, la determinazione dell'intervallo di isolamento tra gli edifici da ricostruirsi nei vecchi centri abitati delle zone sismiche, deve osservare. Con riferimento alla stessa legge Cass. 2 febbraio 1974, n. 300, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1424, precisa che nell'emanazione delle direttive (le quali anche in base alla normativa del 1937, secondo le prescrizioni dell'odierna sentenza della Cassazione, devono intervenire in via preventiva e generale, su richiesta del comune) l'ufficio del genio civile non è vincolato alla previsione dell'art. 12 circa l'intervallo di isola
mento, ma aggiunge che le prescrizioni sulle distanze sono implicite nel
l'approvazione del progetto da parte dello stesso genio civile ai sensi dell'art. 33 (deve rilevarsi, tuttavia, che solo nel successivo art. 34, e con riferi mento all'utilizzazione delle vecchie fondazioni, è menzionata una appro vazione dell'ufficio del genio civile).
Sull'applicabilità della disciplina codicistica sulle distanze tra costruzio ni anche nell'ipotesi in cui gli strumenti urbanistici locali non abbiano
acquistato efficacia giuridica per mancato intervento dell'approvazione da parte dell'autorità tutoria e in pendenza di approvazione di nuovi stru menti urbanistici v. rispettivamente Cass. 20 luglio 1973, n. 2131, id., 1974, I, 1175 e Cass. 4 marzo 1983, n. 1625, id., 1983, I, 1926 (relativa mente a costruzioni in zona non sismica).
In dottrina v. G. Roehrssen, Zona sismica, voce del Novissimo dige sto, Torino, 1975, XX, 1141 e, sulla legge del 1974 che ha sostituito la n. 1684 del 1962, M. Cicala, Prime note sulla l. 2 febbraio 1974 n. 64, in Riv. giur. edilizia, 1975, II, 61. [C. Mondatore]
Il Foro Itallano — 1987.
primo grado e, solo in quello di appello, era stato prodotto un
certificato del comune attestante che il rione S. Giovanni Batti
sta, in cui sorge il fabbricato del Torre, fa parte del vecchio cen
tro urbano», la circostanza era irrilevante ai fini per i quali era
stata dedotta, posto che per vecchi centri abitati, ai sensi della
1. 22 novembre 1937 n. 2105 vigente all'epoca della esecuzione
dei lavori ed anche di quella del 25 novembre 1962 n. 1684, devo
no intendersi «i nuclei urbanistici scampati alla devastazione dei
movimenti tellurici che siano rimasti ancora in piedi» e che «nella
specie era dato stabilire che, al fabbricato del Torre, costruito
in base a progetto approvato dalla commissione edilizia nel 1953, non preesisteva altra costruzione che fosse stata devastata da al
cun movimento tellurico». Era peraltro decisiva la considerazione
che «mai il Torre aveva richiesto all'ufficio del genio civile com
petente le direttive riguardanti gli intervalli di isolamento del pro
prio fabbricato». Peraltro il Torre «non aveva mai fornito od
offerto la prova che la zona in cui era stato realizzato il fabbrica
to non fosse compresa in alcun piano regolatore»
3) Era stata esattamente disattesa la richiesta del Torre «di eli
minare come alternativa alla demolizione le conseguenze delle vio
lazioni oggetto del procedimento, mediante la costruzione nello
spazio libero tra i due fabbricati di una intelaiatura in cemento
armato costituito da quattro pilastri e relative travi di collega mento». Invero siffatta soluzione suggerita dal consulente tecnico
(non vincolante per il tribunale) «era di difficile se non impossi bile realizzazione, essendo necessaria la preventiva autorizzazione
dell'ufficio del genio civile e la successiva licenza edilizia da parte del comune e dovendo essere eseguita su terreno di pertinenza del Triolo».
Avverso questa sentenza il Torre propose istanza per revoca
zione con atto notificato il 23 e 24 settembre 1982 a Vasta Anto
nia, coniuge superstite di Triolo Antonino, deceduto nella more
del giudizio di appello, ed ai figli Triolo Francesca, Marta, Rita,
Maria, Maddalena, Salvatore e Salvatrice.
Il Torre propose anche ricorso per cassazione sulla base di tre
motivi avverso la medesima sentenza. Gli intimati Vasta. Triolo
Maddalena, Marta, Rita, Maria e Francesca resistettero con con
troricorso.
Nel giudizio di revocazione si costituivano la Vasta, nonché
Triolo Francesca, Marta, Rita, Maria e Maddalena, chiedendo
dichiararsi inammissibile e, in ogni caso, rigettare la domanda
di revocazione.
Rimessa la causa in decisione la Corte d'appello di Messina
con ordinanza del 9 luglio 1983, rilevata la nullità della citazione
nei confronti di Triolo Salvatore e Triolo Salvatrice (residenti in
luoghi appartenenti alla circoscrizione di altra corte d'appello)
per essere stato loro assegnato un termine a comparire inferiore
a sessanta giorni, dispose l'integrazione del contraddittorio nei
confronti dei predetti fissando per la notificazione il termine di
venti giorni decorrente dalla comunicazione dell'ordinanza.
Il procuratore del Torre dichiarò di «aver provveduto alla di
sposta integrazione». Rimessa nuovamente la causa in decisione, la corte con senten
za del 16 gennaio 1985 ora denunziata, dichiarata la contumacia
di Triolo Salvatore e Salvatrice, rigettò la domanda.
In relazione alla dedotta inammissibilità della impugnazione sol
levata dalle convenute «sotto il profilo della nullità della citazio
ne eseguita nei confronti di Triolo Salvatore e Salvatrice con
termine a comparire inferiore a quello minimo, nullità che, essen
dosi tradotta in difetto di costituzione del rapporto processuale, avrebbe potuto essere sanata solo con effetto ex nunc dalla costi
tuzione dei medesimi convenuti e non anche mediante il ricorso
all'art. 291 c.p.c. applicabile soltanto nel caso di nullità della
notificazione», la corte d'appello osservò che «la inammissibilità
della impugnazione in ipotesi di litisconsorzio necessario (nella
specie di natura processuale essendo succeduti gli eredi nel pro cesso al soggetto originario) deve escludersi allorché l'impugna zione stessa sia proposta ritualmente, almeno nei confronti di una
sola delle parti, in tal caso infatti è sufficiente disporre l'integra zione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri litisconsor
ti necessari». Nella specie la nullità della citazione nei confronti
di Triolo Salvatore e Salvatrice non poteva pertanto comportare la inammissibilità della revocazione, ma solo la integrazione me
diante la rinnovazione della citazione.
Doveva altresì escludersi che la inammissibilità della impugna zione fosse derivata dalla inosservanza del termine fissato dal
l'ordinanza per la notificazione. Pervero la notificazione nei
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
confronti di Triolo Salvatore era stata eseguita il 14 ottobre 1983, anziché il 20 settembre termine massimo stabilito dall'ordinanza
che aveva disposto la rimozione.
L'inosservanza del termine non era dipesa però da negligenza del Torre — il quale aveva richiesto all'ufficiale giudiziario la
notificazione dell'atto d'integrazione il 19 luglio 1983 e cioè quat tro giorni dopo la comunicazione dell'ordinanza — ma dal fatto
«che il Triolo si era trasferito dal suo domicilio in Varese, che
i due successivi accessi dell'agente postale nell'abitazione del Triolo
in Busto Arsizio non ebbero esito data l'assenza del destinatario;
che, successivamente, l'ufficiale giudiziario di tale città non ave
va potuto eseguire la notifica perché il destinatario era sconosciu
to anche all'anagrafe. L'atto era stato poi notificato a nome della
moglie del Triolo solo il 14 ottobre 1983».
Rilevato quanto sopra e premesso «che il principio della auto
responsabilità, sul quale si fonda la legge processuale civile non
può operare quando non è dato riscontrare alcuna colpa della
parte», la corte concluse che «a fronte della diligente attività spie
gata dal Torre, poteva affermare che lo stesso, per circostanze
non dipendenti dalla sua volontà, venne a trovarsi, data anche
la brevità del termine fissato dall'ordinanza, nella impossibilità di adempiere tempestivamente all'incombente. Tale impossibilità rendeva pertanto inapplicabile la sanzione dell'inammissibilità della
impugnazione». Doveva conseguentemente dichiararsi la contu
macia del Triolo Salvatore e di Triolo Salvatrice, nei confronti
della quale, la notificazione era ritualmente avvenuta il 25 luglio
1985, e nei termini fissati dall'ordinanza.
Esaminato il merito la corte ritenne infondata l'istanza di revo
cazione.
Avverso questa sentenza il Torre ha proposto ricorso per cas
sazione sulla base di un unico motivo. Tutti gli intimati hanno
resistito con controricorso; gli intimati Triolo Salvatore e Salva
trice hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Il predetto ricorso e quello, in precedenza citato, contro la sen
tenza del 30 giugno 1982, sono stati fissati per la discussione alla
stessa udienza. Il ricorrente Torre ha depositato memoria e note
di udienza sulle conclusioni del procuratore generale. Motivi della decisione. — (Omissis). Procedendo ora all'esame
del ricorso per cassazione avverso la sentenza già investita dal
ricorso per revocazione, si reputa di esaminare per primo (per evidenti ragioni di priorità logico-giuridica) il secondo motivo con
il quale il Torre denunzia la «violazione degli art. 33 e 12 r.d.l.
22 novembre 1937 n. 2105, art. 6, 7 e 8 1. 25 novembre 1962
n. 1684, anche in ordine alla ritenuta nozione di vecchio centro
abitato in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.». Il ricorrente — premesso di aver sostenuto che l'immobile sor
ge nel vecchio centro abitato della città; che la costruzione era
avvenuta, vigente la legge antisismica del 1937; che in mancanza
di regolamento edilizio (divenuto operante nel 1965) e di piano
regolatore (divenuto operante nel 1978) era applicabile l'art. 33
di detta legge; che pertanto, ai fini delle distanze e spazi d'isola
mento tra costruzioni, non era applicabile l'art. 12 della citata
legge, bensì quelle del codice civile — lamenta che la corte d'ap
pello abbia disatteso le suesposte tesi difensive e deduce, in parti colare: a) la corte d'appello, pur essendo stato provato da un
certificato rilasciato dal competente ufficio del comune che l'edi
ficio era ubicato all'interno del perimetro delimitante il vecchio
centro abitato, ha considerato, in conseguenza di errata compren sione di tale nozione, l'edificio stesso come nuova costruzione, in difetto di prova della preesistenza di un edificio devastato da
movimenti tellurici; b) la corte ha affermato apoditticamente che
non era provata la mancanza, all'epoca della costruzione, di un
regolamento edilizio o di un piano regolatore; in realtà, l'accerta
mento dell'esistenza e della data di operatività — i cui estremi
erano stati peraltro forniti dal Torre — sarebbe spettato al giudi
ce, trattandosi di atti normativi; c) ha affermato che il Torre
non aveva richiesto preventivamente al genio civile le direttive
per la costruzione, non considerando però che «il comune aveva
approvato il progetto nell'aprile 1953 e che la costruzione era
stata eseguita in conformità a tale progetto»; d) il rilievo della
corte di merito secondo cui «lo spazio d'isolamento attualmente
esistente tra il fabbricato del Torre e quello del Triolo sarebbe
insufficiente, data la sua conformazione, anche se potessero rite
nersi applicabili le distanze previste dal codice civile» è illogico. Il Torre infatti «ha, in ogni caso, interesse all'applicazione delle
norme comuni che prevedono un distacco di tre metri, anziché
quello di metri 5,75 prevista dalla legge antisismica».
Il Foro Italiano — 1987.
Il motivo è in complesso fondato. I giudici d'appello hanno
ritenuto applicabile, ai fini delle distanze e degli spazi di isola mento fra costruzioni, l'art. 12 1. 2105 del 1937 (la cui vigenza,
all'epoca in cui fu eseguita la costruzione de qua è pacifica) anzi
ché l'art. 33 disciplinante le costruzioni site nei vecchi centri abi
tati, in base al rilievo che tale ultima norma postula, per la sua
applicabilità, la preesistenza (non provata nella specie) di una co
struzione devastata da un movimento tellurico.
Siffatto argomento è però in contrasto con l'interpretazione data dalla costante giurisprudenza, fondata non solo sull'elemen
to letterale ma anche e soprattutto sulla ratio della norma in esa
me (e di quella di cui all'art. 17 1. 25 novembre 1962 n. 1684
attualmente vigente). È ben vero che l'elemento caratterizzante il «vecchio centro
abitato» considerato sia dall'abrogato art. 33 che dall'art. 17 ora
vigente, è costituito dalla presenza di «nuclei urbanistici scampati alla devastazione dei movimenti tellurici» (non sarebbe invero qua lificabile vecchio centro abitato quello totalmente distrutto), ma
ciò non comporta che la disciplina speciale prevista dalla norma
sia applicabile soltanto agli edifici costruiti su aree già edificate, le costruzioni sorgenti sulle quali furono distrutte dal ter
remoto.
E decisiva al riguardo la considerazione che nella norma, sono
adoperati i termini, «ricostruzioni» e «nuove costruzioni».
L'uso della seconda espressione non avrebbe infatti senso, se
la disciplina riguardasse soltanto le costruzioni eseguite su aree
già coperte da edifici distrutti, sicché deve ritenersi che esso si
riferisca anche alle costruzioni eseguite su aree (ovviamente com
prese nel perimetro del vecchio centro) precedentemente non edi
ficate.
Ma a siffatto convincimento si previene anche con riguardo alla ratio della norma (sia l'art. 33 che il 17) vale a dire (come ribadito di recente dalla sentenza 26 agosto 1985, n. 4736 (Foro
it., Rep. 1985, voce Edilizia e urbanistica, n. 426) l'esigenza (non sussistente per le zone omogenee destinate ad espansione residen
ziale, economica popolare industriale caratterizzate da vastità di
aree e nelle quali è possibile disporre in modo uniforme distanze
tra fabbricati, spazi di isolamento limitazioni alla altezza di edifi
ci, ecc.) di fissare per le costruzioni o ricostruzioni nell'interno
di centri abitati non totalmente distrutti da precedenti terremoti, una disciplina più flessibile atta a consentire l'utilizzazione delle
scarse aree disponibili ivi comprese quelle precedentemente non
edificate. Per quanto riguarda il rilievo concernente la mancata prova
della inesistenza di regolamento edilizio o di piano regolatore e
all'epoca della esecuzione della costruzione è d'uopo osservare — tanto più che l'odierno ricorrente aveva indicato la data di
entrata in vigore degli stessi — che i giudici di merito avrebbero
dovuto accertare ex officio (essendo il principio iura novit curia
applicabile anche agli atti normativi secondari) l'esistenza o me
no di detti strumenti urbanistici.
Deve infine ritenersi giuridicamente erroneo l'apprezzamento secondo cui l'art. 33 non sarebbe applicabile nella specie, non
essendo mai richieste dal Torre al genio civile le direttive ri
guardanti «gli allineamenti, le larghezze, le larghezze stradali,
gli intervalli di isolamento e le altezze», cosi come richiesto
dall'art. 33. Invero «le direttive che il genio civile competente doveva inpartire» secondo la norma citata postulavano la ri
chiesta da parte del comune e riguardavano direttamente l'inte
ro vecchio centro abitato e non già le singole costruzioni (il cui progetto di costruzione avrebbe dovuto, beninteso, unifor
marsi ai criteri nelle direttive stesse indicati). Tuttavia la manca
ta richiesta delle direttive stesse o la mancata emanazione di
esse da parte del genio civile, non comportano l'assoggettabilità delle costruzioni stesse alle prescrizioni contenute nell'art. 12
della stessa legge e riguardante le costruzioni realizzate nelle
altre zone del comune, ma comportavano, al contrario, per
quanto concerneva le distanze fra costruzioni, l'applicabilità delle norme del codice civile. Tale principio (condiviso da que sto collegio) è stato enunciato di recente dalla sentenza 26
agosto 1985, n. 4535, ibid., n. 415) la quale ha affermato
che nel caso d'inerzia degli organi amministrativi (genio civile
secondo l'art. 33) nell'impartire le direttive, indicate nella nor
ma, e, in mancanza di norme di piani regolatori o di regola menti edilizi, debbono applicarsi, in tema di distanza fra gli
edifici, le disposizioni generali del codice civile. Accolto il motivo, la sentenza va cassata sul punto, restando
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1451 PARTE PRIMA 1452
assorbiti il primo motivo, con il quale i ricorrenti avevano denun
ziato la ritenuta nullità, per contrasto con la norma imperativa, di cui all'art. 12 1. 2105 del 1937 degli accordi transattivi conclusi
tra le parti relativamente alle distanze della costruzione del Torre
da quella del Triolo, ed il terzo motivo proposto in subordine
al rigetto dei primi due, e con il quale il Torre ha denunziato
l'erroneità del rigetto dell'istanza di costruzione di un manufatto
tra i due edifici, ai sensi dell'art. 12, 8° comma, 1. 2105 del 1937,
per l'eliminazione dell'intercapedine tra gli edifici stessi.
Il giudice di rinvio, che si reputa di designare nella Corte d'ap
pello di Palermo, procederà a nuovo esame, accertando nel ri
spetto dei principi di diritto sopra enunciati, se vi sia stata
violazione delle distanze legali nella realizzazione della costruzio
ne del Torre.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 26 gen naio 1987, n. 706; Pres. Carotenuto, Est. Rotunno, P. M.
Paolucci (conci, conf.); De Simone (Avv. Ruggiero) c. De
Simone (Avv. Ricciardelli). Conferma App. Napoli 5 maggio 1982.
Edilizia e urbanistica — Regolamento comunale — Decreto inter
ministeriale approvativo — Modifiche — Fattispecie (Cod. civ., art. 871).
Procedimento civile — Controversia — Domanda riconvenziona
le — Eccezione — Qualificazione — Fattispecie di distanze le
gali (Cod. civ., art. 871, 872, 873, 874, 875, 877; cod. proc.
civ., art. 36, 167, 277, 345). Sentenza civile — Pronuncia di condanna — Sentenza condizio
nale — Compatibilità (Cod. proc. civ., art. 36, 278, 282).
Costituiscono normativa vigente, pur non essendo ancora inserite
nel testo unico, le modifiche prescritte, per una disposizione del regolamento edilizio comunale, dal decreto interministeriale
approvativo di tale regolamento, qualora esista la delibera del
la giunta comunale che stabilisce il coordinamento in un testo
unico delle norme regolamentari originarie con le modifiche ed aggiunte prescritte dal decreto interministeriale. (1)
Nel giudizio proposto contro chi ha edificato a distanza non lega le o non regolamentare, mentre deve essere qualificata ricon
venzionale la domanda presentata dal convenuto per il
riconoscimento del proprio diritto a far avanzare il proprio fab bricato fino ad ottenere la comunione del muro del vicino (po sto sul confine o a distanza minore di quella prescritta); nonché
la domanda diretta all'acquisizione del suolo da occupare con
la nuova fabbrica, dietro pagamento del relativo valore, ai fini della costruzione in aderenza o in appoggio; si ha, invece, ecce
zione (come tale proponibile al di là dei limiti temporali posti dall'art. 167 c.p.c.) qualora il convenuto faccia valere il sem
plice diritto di estendere la sua costruzione, sino a farla aderire
con quella del vicino sorgente sul confine. (2)
(1) Sulla questione non constano precedenti. (2) La giurisprudenza della Corte suprema è stata oscillante nel senso
di qualificare talora come eccezione (sent. 7 aprile 1972, n. 1058, Foro it., Rep. 1972, voce Procedimento civile, n. 163; 7 gennaio 1978, n. 163, id., Rep. 1978, voce Appello civile, n. 43; 5 aprile 1982, n. 2088, id., Rep. 1982, voce Distanze legali, n. 19) e talaltra come domanda (sent. 5 maggio 1965, n. 806, id., Rep. 1965, voce Confini, n. 8; 15 ottobre 1983, n. 6060, id., Rep. 1983, voce Procedimento civile, n. 144; 8 agosto 1985, n. 4395, id., Rep. 1985, voce Appello civile, n. 33) la deduzione del convenuto intesa al riconoscimento del suo diritto di far avanzare il proprio fabbricato sino a farlo aderire con quello del vicino, che ne abbia chiesto l'arretramento o la demoli zione a causa dell'edificazione a distanza non legale o non regolamenta re. La pronuncia in epigrafe, in considerazione del fatto che la prospettata deduzione del convenuto era esclusivamente diretta a fargli riconoscere la facoltà di apportare una modifica nell'ambito della propria sfera
giuridica, con l'effetto di impedire, se esercitata, l'attuazione della
pretesa contraria, ha qualificato tale deduzione come eccezione (ricon venzionale). Cosi operando, è stato applicato quanto statuito da Cass. 6 giugno 1983, n. 3843, id., Rep. 1983, voce Procedimento
Il Foro Italiano — 1987.
Le pronunzie di condanna non sono concettualmente incompati bili con la struttura delle sentenze condizionali: in omaggio al
criterio dell'economia dei giudizi, al verificarsi di una situazio
ne preventivamente ipotizzata, l'efficacia della pronuncia di con
danna, dopo essere stata differita, è destinata a venir meno. (3)
Svolgimento del processo. — Con citazione 10 dicembre 1971,
Alfonso, Filomena, Anna, Catello e Vincenzo De Simone conve
nivano davanti al Tribunale di Napoli la sorella Anna, esponen do che la stessa, proprietaria di un suolo in Castellammare di
Stabia al confine con loro beni, vi aveva edificato una palazzina senza rispettare la prescritta distanza dalle preesistenti loro co
struzioni; chiedevano pertanto che le opere eseguite abusivamente
fossero riportate nei «limiti e termini di legge». La convenuta negava di aver violato le norme regolatrici delle
distanze fra costruzioni e proponeva domanda riconvenzionale,
per la rimozione di un manufatto edificato dagli attori sul viale
comune di accesso alle rispettive proprietà; nel corso istruttorio
chiedeva poi, in subordine, che le «venisse imposto di portare sul confine la sua costruzione» e che, solo in caso di inosservanza
di tale precetto, venisse disposto l'abbattimento.
L'adito tribunale, con sentenza 7 febbraio 1979, accoglieva la
domanda degli attori, condannando la convenuta «ad arretrare
il suo fabbricato fino a dodici metri da quello degli attori», in
applicazione della norma del regolamento edilizio comunale all'e
poca vigente, che all'art. 13, per la zona A/F in cui ricadono
i beni in oggetto, prevede la distanza di dodici metri tra le costru
zioni non unite o aderenti; accoglieva altresì la domanda ricon
venzionale proposta dalla convenuta con la comparsa di
costituzione, condannando gli attori a rimuovere il manufatto co
struito sul viale comune; rigettava invece la «domanda riconven
zionale» proposta dalla stessa convenuta in subordine nel corso
dell'istruzione.
In seguito alle impugnazioni proposte avverso tale pronunzia, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza 5 maggio 1982, riget tava l'appello principale dei fratelli De Simone, concernente la
condanna a rimuovere il manufatto costruito sul suolo comune,
e, in parziale accoglimento dell'appello incidentale di Anna De
Simone, condannava la stessa, in base all'istanza da lei proposta nel giudizio di primo grado all'udienza del 29 novembre 1973
e qualificata diversamente dai primi giudici come eccezione, ad
arretrare il suo fabbricato di dodici metri rispetto alle due costru
zioni dei fratelli, concedendole tuttavia la possibilità di evitare
l'arretramento rispetto alla costruzione rustica facendo aderire la
sua fabbrica al muro cieco della medesima.
Riteneva in particolare che il regolamento edilizio di Castel
lammare di Stabia, adottato con deliberazione consiliare 7 aprile 1959 n. 85 ed approvato con decreto interministeriale 18 marzo
1960 n. 7212 condizionatamente all'introduzione di modifiche, era poi divenuto efficace ed operante con l'accoglimento delle
modifiche stesse nella delibera della giunta municipale 22 giugno 1960 n. 1444, relativa al coordinamento delle norme edilizie co
civile, n. 135, in cui si traccia la distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione: ricorre l'ipotesi della domanda riconvenzionale quando il
convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, op ponga una controdomanda e cioè chieda un provvedimento positivo sfa vorevole all'attore che va oltre il rigetto della domanda principale; resta, invece, nell'ambito dell'eccezione l'istanza del convenuto diretta a far va lere un suo diritto al solo scopo di escludere l'efficacia dei fatti o titoli dedotti dall'attore, ossia al fine di ottenere il rigetto della domanda; sul
punto v. anche Cass. 10 gennaio 1981, n. 246, id., 1981, I, 1640, con note di richiami e osservazioni di L. Lotti.
(3) Il principio enunciato appartiene ad un affermato indirizzo giuris prudenziale della Corte suprema: sent. 2 luglio 1955, n. 2041, Foro it., Rep. 1955, voce Sentenza civile, n. 25; 18 febbraio 1972, n. 434, id., Rep. 1972, voce cit., n. 211; 9 agosto 1973, n. 2316, id., 1974, I, 1480; 27 novembre 1979, n. 6239, id., Rep. 1980, voce Esecuzione forzata in
genere, n. 10. Tale indirizzo riconosce che il nostro ordinamento ammet te la sentenza condizionata quando l'evento futuro e incerto, cui viene subordinata l'efficacia della sentenza, costituisce elemento accidentale della decisione, cosi formulata per economia di giudizio e per evitare ulteriori accertamenti di merito, con conseguenti maggiori spese per le parti in causa.
In dottrina sulle sentenze condizionali, v. F. Vassalli, La sentenza con dizionale, Roma, 1918; Carnelutti, La sentenza condizionale, in Studi di diritto processuale (I), Padova, 1925, 293 ss.; Calvosa, La sentenza condizionale, Roma, 1948; Carnelutti, Istituzioni del processo civile ita liano, 5a ed., Roma, 1956, I, n. 359.
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