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sezione II civile; sentenza 18 febbraio 1986, n. 963; Pres. Lo Coco, Est. Nardi, P. M. Zema (concl....

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sezione II civile; sentenza 18 febbraio 1986, n. 963; Pres. Lo Coco, Est. Nardi, P. M. Zema (concl. diff.); Gagliano (Avv. Della Rocca, Salvago) c. Galifi (Avv. Cassarà). Conferma App. Palermo 5 aprile 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1311/1312-1315/1316 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187266 . Accessed: 24/06/2014 22:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.162 on Tue, 24 Jun 2014 22:40:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 18 febbraio 1986, n. 963; Pres. Lo Coco, Est. Nardi, P. M. Zema (concl.diff.); Gagliano (Avv. Della Rocca, Salvago) c. Galifi (Avv. Cassarà). Conferma App. Palermo 5aprile 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1311/1312-1315/1316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187266 .

Accessed: 24/06/2014 22:40

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1311 PARTE PRIMA 1312

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 feb

braio 1986, n. 963; Pres. Lo Coco, Est. Nardi, (P. M. Zema

(conci, diff.); Gagliano (Avv. Della Rocca, Salvago) c. Galifi

(Avv. Cassarà). Conferma App. Palermo 5 aprile 1982.

Persona fisica e diritti delia personalità — Commorienza — Prova

della sopravvivenza (Cod. civ., art. 4).

Chi intende avvalersi degli effetti giuridici scaturenti dalla so

pravvivenza di una persona ad un'altra deve fornire prova certa. (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione del 12 aprile 1972

Attilio Gagliano, padre di Gagliano Rosa — premesso che nel

pomeriggio del 17 aprile 1971, sulla strada a scorrimento veloce

Catania/Gela, in territorio di Catania contrada Anania Passitti, era accaduto un gravissimo scontro tra due autovetture a seguito del quale, erano deceduti i coniugi Sillitti Giuseppe e Gagliano Rosa, nonché la loro unica figlia Santina — convenne in

giudizio dinanzi al Tribunale di Agrigento Santa Galifi, madre di Sillitti Giuseppe, perché fosse dichiarato che l'eredità di costui si

era trasmessa alla figlia Santina — la cui morte sarebbe avvenuta

dopo quella dei genitori, anche se a brevissima distanza di tempo — e quindi ai nonni in ragione di metà ciascuno, e perché, previa ricostruzione del patrimonio ereditario, fosse ordinata la

divisione ed assegnata a lui la metà spettantegli con la relativa fruttificazione.

La convenuta, costituitasi, chiese il rigetto della domanda

nonché, in riconvenzionale, che fosse dichiarata la commorienza dei coniugi Sillitti Gagliano e della loro figlia e la simulazione della cessione di credito di cui all'atto 7 giugno 1966, che fi

gurava a favore della Gagliano Rosa mentre in effetti era stata

compiuta dal cedente Francesco Gallo a vantaggio di Giuseppe Sillitti, suo creditore.

All'udienza del 23 marzo 1973 l'attore modificò la domanda e chiese l'attribuzione dell'intero asse ereditario, sull'assunto che nel sinistro Gagliano Rosa era deceduta dopo il marito e la figlia.

Nel corso del giudizio intervennero Marianna e Michelangelo Gagliano, germani della defunta Gagliano Rosa, i quali chiesero di essere riconosciuti coeredi della sorella per un terzo ciascuno.

Il tribunale con sentenza 21 ottobre-12 novembre 1980 dichiarò

che l'eredità dei coniugi Sillitti Giuseppe e Gagliano Rosa si era devoluta alla loro figlia Sillitti Santina deceduta successivamente, e quindi, alla morte di costei, ai nonni Gagliano Attilio e Galifi Santa in ragione di metà ciascuno; rigettò le altre domande.

Ritenne che la Sillitti Santina fosse sopravvissuta di pochi minuti al padre ed anche alla madre, ma che quest'ultima non risultasse deceduta dopo il marito; che di conseguenza tutta

(1) Non constano precedenti specifici sul punto. Tuttavia, la rara giurisprudenza sul problema in esame è costante nel ritenere che la norma sulla c.d. commorienza sia una semplice applicazione dei principi in materia di prova: cfr. Cass. 3 aprile 1962, n. 683, Foro it., 1962, I, 620, secondo cui la prova della sopravvivenza o premorienza di una persona rispetto ad un'altra può essere raggiunta anche mediante le presunzioni legali di cui agli art. 58 e 61 c.c., che fanno coincidere, fino a prova contraria, la morte con il momento cui risale l'ultima notizia dell'assente; App. Firenze 4 maggio 1959, id., Rep. 1959, voce Commorienza, n. 1.

La decisione in epigrafe è perfettamente aderente alla tesi prospetta ta in dottrina da Santoro Passarelli, Commorienza, voce dell'Enci clopedia del diritto, Milano, 1970, VII, 978. L'a. ha rilevato che, ai sensi dell'art. 4 c.c., va fatta una distinzione fondamentale: « se la sopravvivenza viene invocata a fondamento della domanda o dell'ecce zione non si ha effettivamente una deroga al principio dell'onere della prova, ma se la sopravvivenza viene negata, perché la domanda o l'eccezione si fonda sulla non sopravvivenza di un'altra persona, allora si ha effettivamente una deroga al principio sull'onere della prova, questo viene invertito, e dunque non può negarsi l'introduzione con l'art. 4 c.c. di una presunzione legale beninteso non come la legge dice impropriamente di '

commorienza ' ma di ' non sopravvivenza

senza che rilevi al riguardo una distinzione tra premorienza e commo rienza». Luzzatto, Commorienza, voce del Novissimo digesto, Torino, 1959, IV, 674, ritiene che l'art. 4 c.c. tende ad escludere le conseguen ze giuridiche derivanti dalla sopravvivenza di un soggetto ad un altro, qualora questa non possa dimostrarsi con certezza e che pertanto deve ricorrersi a norme supplementari (soprattutto in materia di successioni e di atti di liberalità in genere) per ottenere l'ulteriore effetto subordinato alla sopravvivenza delle persone. Cfr., inoltre, Ondei, Le persone fisiche ed i diritti della personalità, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1965, 77; Protettì, Persone fisiche e giuridiche, in Comm. cod. civ., diretto da De Martino, Novara, 1971, 54; e Dogliotti, Le persone fisiche, in Trattato di diritto civile, diretto da Rescigno, 2, 1982, 26.

Il Foro Italiano — 1986.

l'eredità dei coniugi Sillitti-Gagliano si fosse devoluta alla

predetta loro unica figlia e pertanto, ai sensi dell'art. 569 c.c., agli ascendenti della linea paterna per una metà e per l'altra metà a

quelli della linea materna.

Sull'appello principale di Galifi Santa e su quelli incidentali di

Marianna e Michelangelo Gagliano, la Corte d'appello di Palermo con sentenza 19 settembre 1981-5 aprile 1982, in riforma della decisione impugnata, dichiarò aperta la successione legittima dei

coniugi Sillitti Giuseppe e Gagliano Rosa e della loro figlia Sillitti Santina, morti tutti contemporaneamente il 17 aprile 1971; rigettò ogni altra domanda dell'appellante Galifi e tutte quelle proposte con gli appelli incidentali.

Osservò in motivazione che esattamente i primi giudici non avevano ritenuto attendibili le indicazioni dell'ora della morte trascritte nei registri dello stato civile, perché sicuramente privi di certezza e di affidamento risultavano, in proposito, gli accerta menti medico-legali che costituivano la comune unica fonte delle comunicazioni in conformità delle quali erano stati formati gli atti di morte; che in mancanza di elementi certi di prova generica, ai fini dell'accertamento delle pretese ereditarie in con

troversia, dovevasi ricercare se fossero state fornite prove spe cifiche della sopravvivenza della moglie o della figlia del Sillitti, riferite al ristretto arco di tempo tra il verificarsi del sinistro e l'arrivo in ospedale delle donne già morte, e cioè dalle ore 16,30 alle ore 16,50; che l'onere di questa prova incombeva certamente

agli appellati, eredi legittimi di Gagliano Rosa, che di costei avevano affermato la sopravvivenza al marito ed alla figlia, essendo indiscutibile che in difetto dovesse trovare applicazione il criterio sussidiario della commorienza sancito dall'art. 4 c.c.

La corte di merito ritenne quindi che la prova assunta in

prime cure non consentisse di considerare certa la sopravvivenza della Gagliano, e che non molto diversi risultassero gli elementi

probatori riguardanti Sillitti Santina, la cui sopravvivenza ai

genitori — affermata dal tribunale — era stata con ragione esclusa dall'appellante Galifi.

Conseguentemente, secondo i giudici d'appello, nessuna devolu zione di eredità vi era stata tra i Sillitti Giuseppe, la figlia Santina e la moglie Gagliano Rosa, dovendosi, a norma dell'art. 4

cit., considerare tutti deceduti nello stesso tempo, onde per ciascuno di essi si era aperta la successione legittima.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la

Gagliano Marianna, in base a due motivi di censura. Resiste, la Galifi, con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., 132, n. 4, stesso codice, 1362 ss. e 2729 c.c., nonché difetto e contraddit torietà di motivazione, sostenendo che la corte di merito, anziché

seguire i dettami della logica ed i criteri interpretativi stabiliti dalla legge, si è affidata a congetture, supposizioni ed affermazio ni apodittiche, contrarie agli insegnamenti della comune esperien za e del buon senso, basando il suo ragionamento su un

presupposto errato, e cioè che le due donne vittime dell'incidente avessero entrambe subito gravi lesioni cranio-encefaliche contusive, di entità tale da causarne il decesso immediato al momento del sinistro; inoltre, interpretando e valutando in modo inesatto e distorto le disposizioni dei testi e le altre risultanze processuali.

La censura è destituita di fondamento. Giova innanzitutto premettere che nel giudizio di cassazione non è consentito un riesame del merito della controversia neppure attraverso la de nuncia di un vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto tale norma nei suoi limiti e nella finalità sua propria, è volta unicamente al controllo della legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice del merito nella motivazione della sua decisione, al fine di accertare se questa sia coerente nella esposi zione delle ragioni e delle fonti di convincimento, in modo da rendere possibile la verifica ed il riscontro del processo logico seguito. Pertanto, un riesame nel merito delle risultanze di causa è vietato in questa sede, in cui è legittimo invece il controllo sulla congruità e logicità della motivazione ed a tale fine va controllato se il giudice abbia fatto buon governo del potere di esame degli elementi processuali, tenendo conto di tutto il mate riale probatorio emergente dagli atti e valutandone in contenuto in maniera che sia logicamente coerente.

La valutazione dell'attendibilità dei testi, sulla maggiore o minore credibilità delle loro affermazioni e sulla rilevanza delle singole deposizioni a confronto di altre risultanze processuali, è rimessa, di conseguenza, all'apprezzamento del giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento con una

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. Cass. 16 febbraio 1984, n. 1182, Foro it., Rep. 1984, voce Prova

testimoniale, n. 27; 11 luglio 1979, n. 4002, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 54; 7 maggio 1977, n. 1758, id., Rep. 1977, voce cit., n.

16).

Consegue che alla cassazione della sentenza per vizio di

motivazione si può giungere solo quando esso emerge dall'esame

del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente o illogico e non anche

quando il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi di causa un significato ed un valore difformi dalle

aspettative e dalle deduzioni delle parti (v. Cass. 14 giugno 1978, n. 2947, id., Rep. 1978, voce Cassazione civile, n. 122; 17 maggio

1974, n. 1468, id., Rep. 1974, voce cit., n. 131).

Orbene, nella specie, per comprendere l'iter logico seguito dai

giudici d'appello, occorre in primo luogo mettere in rilievo che

« commorienza », nel significato in cui il termine viene assunto

dalla norma ex art. 4 citato, sta ad indicare non il fatto della

morte contemporanea di più persone, ma la situazione di non

sopravvivenza stabilita dalla legge quando siavi incertezza circa

la sopravvivenza di una rispetto all'altra di più persone defunte e

la circostanza della sopravvivenza rilevi per l'acquisto di un

diritto o per la produzione di un altro effetto giuridico. La legge, secondo l'indirizzo già adottato dal codice abrogato (art. 924), non accoglie infatti i criteri che davano luogo in passato a

presunzioni legali di « premorienza », fondate sull'età, sul sesso,

ecc., e dispone che « quando un effetto giuridico dipende dalla

sopravvivenza di una persona a un'altra e non consta quale di

essa sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso

momento » (art. 4 cit.).

Già sollevata per la norma del codice anteriore e variamente

risolta, si è riproposta per la norma del codice vigente la

questione se la disposizione sostituisca alle presunzioni di premo rienza dei precedenti ordinamenti, fatte oggetto di vivaci critiche,

perché arbitrarie e macchinose, una « presunzione di commorien

za ». L'opinione prevalente in dottrina era ed è che si tratti non

di una presunzione legale, determinante un'inversione dell'onere

della prova, ma della pura e semplice applicazione della regola fondamentale in materia di prova, secondo cui spetta a chi

afferma un fatto, nel caso il fatto della sopravvivenza, darne la

prova. Pur aderendo in linea di massima a tale interpretazione, non

ritiene però questo Supremo collegio che sia solo questa la portata della norma in esame, occorrendo fare una distinzione fondamen

tale, come suggerito da autorevole indirizzo dottrinale, a seconda

che venga invocata a fondamento della domanda o della eccezio

ne la sopravvivenza di una data persona o la non sopravvivenza di un'altra.

Mentre nel primo caso non si ha una deroga al principio dell'onere della prova, nel secondo caso invece si ha effettivamen

te una deroga a tale principio, che viene invertito, e dunque non

può negarsi l'introduzione, con l'art. 4, di una presunzione legale, beninteso non, come la legge dice impropriamente, di « commo

rienza », ma di « non sopravvivenza », senza che riveli in propo sito una distinzione fra premorienza e commorienza.

Né vale obiettare che la norma sarebbe dettata soltanto per

l'ipotesi in cui s'invochi la sopravvivenza, e non per quella in cui la sopravvivenza si neghi. Se la norma del codice anteriore, per la sua diversa formulazione, sembrava prestarsi a quest'interpreta zione restrittiva, la norma del codice vigente, con riferimento ad

ogni ipotesi in cui un effetto giuridico dipenda dalla sopravviven

za, senza nessuna distinzione fra l'ipotesi in cui la sopravvivenza

venga invocata e quella in cui essa venga negata, toglie infatti

ogni fondamento ad una siffatta obiezione.

In conclusione, quando non consti la morte anteriore di una a

quella di altra persona, la disposizione che « tutte si considerino

morte nello stesso momento « non importa una presunzione legale allorché venga affermata e debba essere provata la sopravvivenza, in conformità del principio dell'onere della prova; importa invece

una presunzione legale allorché venga affermata la non sopravvi venza e questa dovrebbe essere provata, secondo lo stesso princi

pio. Nel caso specifico, quindi, i giudici d'appello erano tenuti a

verificare se effettivamente in primo grado fosse stata fornita

dall'attore la prova certa e sicura della sopravvivenza della Sillitti

Santina, o se invece tale onere non fosse stato assolto, cosi come

sostenuto dall'appellante principale, che, assumendo la non so

pravvivenza della predetta, correttamente aveva invocato la pre sunzione legale sancita dall'art. 4 c.c.

Il Foro Italiano — 1986.

Ed è proprio ciò che essi hanno fatto, riesaminando e vaglian do criticamente l'intero materiale probatorio acquisito in primo

grado, per giungere quindi alla conclusione negativa, cioè esclu

dere che la sopravvivenza della Sillitti Santina risultasse provata.

Dalla motivazione, ampia ed esauriente, della sentenza impu

gnata si evince, invero, che la corte di merito ha desunto il

principio convincimento dalla valutazione di tutte le risultanze

processuali, ottemperando al dovere di spiegarne le ragioni. Innanzitutto sono state ritenute non attendibili le indicazioni

dell'ora del decesso trascritte nei registri dello stato civile, perché effettuate sulla base di accertamenti medico-legali privi di certez

za e di affidamento, come rilevato del resto già dal tribunale.

Le due fonti di prova specifica, quella testimoniale e quella documentale (costituita dalle dichiarazioni scritte stragiudiziali), sono state sottoposte nella sentenza ad un esame comparativo che

ha portato ad escludere ogni affidamento circa la loro piena attendibilità.

In particolare, per quanto riguarda la deposizione del teste Di

Martino — l'unico tra i testi escussi che avrebbero sentito

respirare la Sillitti durante il trasporto e ne avrebbe percepito il

successivo decesso — è stato messo in rilievo che nella dichiara

zione stragiudiziale dal lui rilasciata agli appellati quatto anni

prima della deposizione giudiziale, quando cioè la memoria dei

fatti era di certo più recente e più completa, non v'era accenno

alcuno a quei segni effettivi di vita dei quali ha fatto menzione

nella dichiarazione orale.

L'apprezzamento sulla inattendibilità del teste suindicato trova

pertanto precisi riferimenti nelle argomentazioni svolte nella mo

tivazione della sentenza, nella quale si dà inoltre rilievo a quanto dichiarato in senso contrario dagli altri testi, con richiamo altresì

di massime di esperienza e di principi acquisiti della tanatologia. Non si rinviene, quindi, nella esposizione delle ragioni, che

hanno indotto la corte di merito a ritenere inattendibile il teste

citato, nessuna incoerenza logica, essendo i riferimenti contenuti

nella motivazione sufficienti a consentire una adeguata compren sione del ragionamento sul punto in esame.

Ed è pacifico, sia in giurisprudenza che in dottrina, che la

valutazione di una prova da parte dei giudici di merito in modo

difforme da quello che ne abbiano fatto le parti, non si concreta

in un vizio di omessa motivazione, e si risolve in una questione di fatto sottratta, se esaminata come nella specie con esatti criteri

logici e giuridici, a qualsiasi sindacato di questa Suprema corte.

D'altra parte, la mera possibilità che tale elemento probatorio

potesse essere considerato e valutato in senso opposto, non vale

a far cadere la costruzione unitaria dei giudici di merito, basata

su una visione complessiva e sintetica delle risultanze processuali, delle quali è stata dimostrata la convergenza verso la spiegazione

più probabile dei fatti di causa, cioè la insussistenza nella specie di elementi certi e sicuri da cui desumere la sopravvivenza della

Sillitti Santina.

Le pretese violazioni delle regole sulla prova presuntiva e sulla

interpretazione dei contratti, nonché la denuncia di un supposto errore di fatto (che, se sussistente, avrebbe potuto costituire

eventualmente motivo di revocazione, ma non di ricorso in

Cassazione), si risolvono in doglianze riguardanti la motivazione

dell'impugnata sentenza, il cui iter logico-giuridico risulta invece

ineccepibile alla stregua delle premesse fatte.

In sostanza, si è in presenza di una valutazione di merito che

può essere validamente critica solo se se ne dimostri l'insufficienza

logica, non già per il solo fatto che sia stata accolta una

soluzione opposta a quella coltivata dalla parte che ora se ne

duole in sede di legittimità. Escluso che fosse stata fornita dalla parte in cui ne incombeva

l'onere, la prova della sopravvivenza della giovane, i giudi ci d'appello hanno correttamente ritenuto provata, richiamando la

presunzione legale ex art. 4 cit., la non sopravvivenza della

stessa, eccepita in primo grado dalla convenuta e dedotta poi con

l'appello principale.

Privo di pregio anche il secondo motivo, con cui la ricorrente

lamenta che la corte di merito, pur dichiarando aperta la succes

sione di Sillitti Santina, avrebbe respinto, senza motivazione

alcuna, le domande di rendiconto e di rilascio spiegate dai

Gagliano, quasi che la predetta fosse impossidente, laddove

invece la Sillitti possedeva dei beni, rimasti in possesso della

nonna paterna (Galifi Santa), dei quali costei doveva rendere il

conto e corrispondere la metà. È sufficiente, in proposito, osservare che una tale domanda

poteva trovare accoglimento solo se fosse stato provato da chi

l'aveva proposta, che la Sillitti Santina possedeva dei beni, aveva cioè un proprio patrimonio distinto e separato da quello dei

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1315 PARTE PRIMA 1316

genitori, rimasto dopo la sua morte in possesso della Galifì; ma una tale prova non risulta essere stata fornita ed in ciò è la

ragione del rigetto della domanda, del tutto legittima, anche se non enunciata espressamente (da ritenere implicita nella motiva zione svolta per il rigetto di tutte le istanze proposte con gli appelli incidentali).

Il ricorso va, pertanto, rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 febbraio

1986, n. 684; Pres. La Torre, Est. Borre, P. M. Pedace (conci, conf.); Vitali (Aw. Pecchioli) c. Min. tesoro e Min. finanze.

Regolamento di competenza avverso Pret. Firenze 16 giugno 1984.

Cambio e valuta — Infrazioni valutarie — Disciplina applicabile — Opposizione — Competenza del giudice ordinario (Cod. proc. civ., art. 8, 9; r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, norme per la repressione delle violazioni delle leggi valutarie, art. 2, 3; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 12, 22, 23, 39, 42).

La disciplina prevista dalla l. 24 novembre 1981 n. 689 non si

applica alle infrazioni valutarie, le quali restano soggette alla

disciplina di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 e successive

modificazioni; pertanto, la opposizione avverso il decreto del ministero del tesoro deve essere proposta dinanzi al giudice ordinario competente per valore secondo le regole generali. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Deduce il ricorrente che argo mento contrario alla competenza del pretore, prevista dall'art. 22 1. n. 689/81, non può trarsi dall'art. 12 della legge stessa. Questo, infatti, afferma l'applicabilità delle norme del capo primo (com prensivo tanto dei principi generali concernenti le sanzioni am ministrative quanto della disciplina della procedura di accerta mento e della successiva opposizione) a tutte le violazioni per le

quali è prevista una sanzione amministrativa (ancorché non sostitutiva di una precedente sanzione penale), « in quanto (le norme stesse siano) applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito ».

Il primo inciso (« in quanto applicabili ») implica la possibilità, secondo il ricorrente, dell'applicazione di una parte delle norme

stesse, il che comporterebbe, nel caso in esame, la persistente vigenza del sistema previsto dal r.d. del 1938 per la fase amministrativa di accertamento dell'illecito e di applicazione della

sanzione, e per converso l'applicabilità della normativa del 1981

(1) I. - Non risultano precedenti in termini, salvo la contraria decisione Pret. Roma 28 novembre 1984, Foro it., 1986, I, 581, con nota di richiami anche in dottrina (generalmente sulle stesse posizioni della pronunzia riportata).

Per altri problemi connessi alla opposizione ex 1. 689/81, cfr. anche Corte cost. 11 ottobre 1985, n. 232, id., 1986, I, 1137.

II. - Sui problemi sorti in merito ai procedimenti di opposizione ex r.d.l. n. 1928/38, si segnalano: a) Corte cost. 27 gennaio 1959, n. 1, id., 1959, 1, 186, che ha dichiarato illegittimo l'art. 11 r.d. 1. n. 1928/38 per il quale non era ammesso alcun ricorso, né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale, contro i provvedimenti emanati dal ministero del tesoro per l'accertamento delle violazioni in materia valutaria e di scambi con l'estero e per l'applicazione delle relative sanzioni; b) Cass. 12 dicembre 1983, n. 5536, id., Rep. 1983, voce Cambio e valuta, n. 135; sez. un. 13 luglio 1981, n. 4548, id., 1982, I, 142, con nota di F. Matacchioni, e Cons. Stato, ad. plen., 28 ottobre 1980, n. 42, id., 1981, III, 68, con nota di richiami, che assegnano alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative alla concessione dell'oblazione amministrativa al trasgressore di norme valutarie, ed alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla irrogazione delle sanzioni pecu niarie connesse a quelle violazioni; c) App. Milano 20 maggio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 42, e Cass. 15 novembre 1976, n. 4221, id., 1976, I, 2802, con nota di richiami, che affermano la legittimazio ne passiva del minsitero del tesoro e non di quello delle finanze in tutti i procedimenti di opposizione avverso i provvedimenti emessi per sequestro di titoli e valute o per pagamento di pene pecuniarie (legittimazione passiva del ministero del tesoro che, implicitamente, è anche ribadita in motivazione nella sentenza riportata).

In dottrina, nello stesso senso della giurisprudenza dianzi citata, cfr. Guerreri, La giurisdizione sull'irrogazione di sanzioni in materia valutaria, in Temi romana, 1983, 558; Di Stefano, Lineamenti del sistema valutario italiano, 1982, I, 791 ss.; Capriglione-Mezzacapo, Il sistema valutario italiano, 1981, II, 970 ss.

Il Foro Italiano — 1986.

per quanto riguarda l'opposizione giudiziaria e la relativa compe tenza del pretore.

Quanto all'altro inciso (« salvo che non sia diversamente sta bilito »), assume il ricorrente che esso si riferisce a leggi successi ve a quella in esame, le quali intendano derogare alla disciplina generale del 1981.

Di ostacolo alla competenza del pretore non sarebbe, infine, l'art. 39 della 1. n. 689: infatti tale norma (cui la sentenza

impugnata accenna, pur senza fondare su di essa la propria ratio

decidendi) riguarda le violazioni finanziarie, categoria alla quale le infrazioni valutarie non possono essere ricondotte.

2. - Premesso che il collegio intende prestare adesione all'orien tamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di litispendenza, la Corte di cassazione, in sede di regolamento di competenza, deve

indicare, indipendentemente dalla prevenzione, il giudice cui la

competenza effettivamente spetta (v., in tal senso, la sentenza n.

3263/81, Foro it., Rep. 1981, voce Competenza civile, n. 267, di questa stessa sezione), è da ritenere infondato, per le ragioni che seguono, l'assunto del ricorrente.

Non è possibile, anzitutto, condividere l'ipotesi interpretativa secondo cui l'art. 12, con l'inciso « salvo che non sia diversamente stabilito », si riferirebbe a disposizioni di leggi successive: cosi

inteso, esso sarebbe privo di significato normativo, essendo sem

pre possibile che leggi posteriori deroghino ad una precedente disciplina generale indipendentemente dal fatto che questa preve da tale eventualità. Assai più lineare e ragionevole è la lettura che di tale norma fanno le amministrazioni resistenti, sostenendo che il complessivo inciso « in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito » esprime un limite derivante da nor mative preesistenti. Nel momento stesso, cioè, in cui l'art. 12 attribuisce alla disciplina dettata dalla legge del 1981 una portata generale, concernente tutti i casi di illecito punito con sanzione amministrativa pecuniaria, l'inciso viene a far salve talune pre esistenti discipline speciali nella misura in cui esse, stabilendo

diversamente, regolano aspetti del procedimento in maniera tale che la nuova disciplina generale si riveli inapplicabile, in tutto o in parte, per incompatibilità. In altri termini l'inciso vale a conservare in vita, a tali condizioni e in tali limiti, certe

discipline anteriori che altrimenti sarebbero travolte dall'efficacia

abrogativa insita nella qualificazione di generalità attribuita alla nuova disciplina (art. 15 delle preleggi). E in tale ottica è

pienamene ragionevole ritenere che sia stata fatta salva la disci

plina procedimentale delle infrazioni valutarie dettata dal r.d. del

1938, essendo essa caratterizzata da forti peculiarità (competenza amministrativa, forma del provvedimento, modalità del contrad dittorio, pareri) che decisamente la distinguono dalla disciplina generale introdotta nel 1981.

Né tale ipotesi interpretativa trova impedimento nell'art. 42 1. n. 689/81, il quale abroga espressamente una serie di leggi, « nonché (con generica formula di chiusura) ogni altra disposi zione incompatibile con la presente legge ». Appare fondato, al

riguardo, il rilievo delle amministrazioni resistenti secondo cui tale norma abroga, nominatim, le leggi che — a partire dalla 317/67, con la quale si è avviato il processo di depenalizzazione, e fino alla 706/75, costituente la prima legge generale in tema di

depenalizzazione — hanno in vario modo regolato aspetti sostan ziali, procedimentali e processuali degli illeciti depenalizzati o da allora in poi configurati come illeciti amministrativi, di talché sembra coerente ritenere che anche la clausola generale, la quale fa seguito all'elenco di tali -leggi, copra disposizioni dello stesso tipo di quelle espressamente richiamate ai fini dell'abrogazione. Del resto, se tale clausola finale dovesse essere intesa nel senso di una generalizzata abrogazione di qualsiasi disciplina incompatibile con la legge del 1981 (e quindi anche del r.d. del 1938 sulle infrazioni valutarie), ciò sarebbe in contrasto con il già analizzato art. 12, dal quale l'incompatibilità è assunta come criterio di

possibile sopravvivenza di discipline anteriori.

Poiché le esposte considerazioni consentono di ritenere che la

disciplina procedimentale della repressione degli illeciti valutari, di cui al r.d. del 1938, non è rimasta abrogata, è possibile pervenire alla conclusione dell'inapplicabilità delle norme proces suali contenute nella legge n. 689/81 e, in particolare, dell'art. 22, che prevede la competenza funzionale del pretore. Esattamente, infatti, osservano le amministrazioni resistenti che il momento di collegamento fra tale competenza del pretore e la fattispecie di illecito punito con la sanzione amministrativa è rappresentato dal provvedimento che conclude il procedimento di applicazione della sanzione stessa: provvedimento che, nella costruzione legislativa del 1981, è la «ordinanza-ingiunzione» emessa da uno degli organi periferici dello Stato indicati nell'art. 17, 1° comma, della

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