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sezione II civile; sentenza 18 giugno 1986, n. 4072; Pres. D'Avino, Est. Pierantoni, P. M. Leo...

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sezione II civile; sentenza 18 giugno 1986, n. 4072; Pres. D'Avino, Est. Pierantoni, P. M. Leo (concl. conf.); Comune di Roma (Avv. Delfini) c. Donati (Avv. Lemme) e altri. Conferma App. Roma 7 giugno 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2119/2120-2123/2124 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180633 . Accessed: 24/06/2014 20:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.146 on Tue, 24 Jun 2014 20:12:28 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 18 giugno 1986, n. 4072; Pres. D'Avino, Est. Pierantoni, P. M. Leo(concl. conf.); Comune di Roma (Avv. Delfini) c. Donati (Avv. Lemme) e altri. Conferma App.Roma 7 giugno 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2119/2120-2123/2124Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180633 .

Accessed: 24/06/2014 20:12

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2119 PARTE PRIMA 2120

dell'I.n.p.s. dei valori capitali corrispettivi dei benefici combatten

tistici conseguenti all'applicazione della 1. 336/70; consegue che

l'estinzione è applicabile solo ai giudizi tra l'I.n.p.s. ed i menzio

nati enti rientranti nella c.d. finanza pubblica allargata (comuni, aziende municipalizzate e loro consorzi) e non altri pendenti tra

l'I.n.p.s. ed enti diversi da quelli avanti menzionati.

Sul punto è opportuna un'ulteriore considerazione: la 1.

118/84 è posteriore alla 1. 131/83 per cui non sarebbe spiegabile, ove l'estinzione debba ritenersi come generalizzata, l'applicazione con interpretazione autentica e quindi retroattivamente nei con

fronti dei trattamenti a carico dell'assicurazione generale obbliga toria delle disposizioni della 1. 336/70, pur avendo lo stesso

legislatore precedentemente disposto l'estinzione di ufficio dei

giudizi sorti proprio per la mancata applicazione della legge stessa.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, che consentono di

superare, meditatamente, un diverso precedente avviso di questa stessa corte ed essendo nella fattispecie, pacifico che i consorzi di

bonifica non rientrano tra gli enti c.d. di finanza pubblica

allargata, non va dichiarata l'estinzione del giudizio di

ufficio. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 giugno 1986, n. 4072; Pres. D'Avino, Est. Pierantoni, P.M. Leo

(conci, conf.); Comune di Roma (Aw. Delfini) c. Donati

(Avv. Lemme) e altri. Conferma App. Roma 7 giugno 1982.

Possesso e azioni possessorie — Codice civile del 1865 — Minore

dotato di capacità naturale — Acquisto del possesso — Am

missibilità.

Anche nel vigore del codice civile del 1865 il minore, se dotato

di capacità naturale, poteva compiere atti idonei all'acquisto del possesso (utile, nella specie, ai fini dell'usucapione). (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata in data

28 settembre 1962 Annibale Donati convenne in giudizio innanzi

al Tribunale di Roma il comune di Roma, esponendo che dal

1938, esso istante aveva ininterrottamente posseduto un terreno

sito in Roma, in prossimità di via delle Statue, facente parte del

patrimonio disponibile del comune e che pertanto, ai sensi del

combinato disposto degli art. 1158 e 252 disp. att. c.c., aveva

acquistato in data 29 ottobre 1961 la proprietà di tale terreno in

forza di usucapione ventennale.

Il Donati chiese pertanto che il tribunale dichiarasse l'interve

nuta usucapione e l'esclusiva proprietà di esso attore sul terreno.

Il comune, costituitosi, contestò la domanda, eccependo che

l'invocata usucapione non aveva potuto verificarsi a causa della

sospensione dei termini per effetto dell'art. 1 d.l.lgt. n. 1 del 1944

e dell'art, unico d.l.lgt. n. 392 del 1944 ed in via riconvenzionale

chiese che il Donati venisse condannato al rilascio dei beni con

la restituzione dei frutti percetti e percipiendi ed il risarcimento

dei danni. In corso di causa il Donati dedusse di aver posseduto il terreno per un periodo superiore ad un trentennio. Nelle more

di tale giudizio Pietro Batti, con citazione notificata in data 29

aprile 1965, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma

Mariano ed Annibale Donati nonché il comune di Roma, soste

(1) Questione risolta, di regola, nel senso della massima, sia nel

vigore del codice civile del 1865 (cfr., indicativamente, G. C. Consolo,

Del possesso3, Torino, 1915, 177-78), sia alla luce di quello del 1942

(v., infatti, L. Barassi, Diritti reali e possesso, II, Il possesso, Milano,

1952, 151, 253; e già C. A. Funaioli, La trascrizione, Padova,

1942, 250; nonché, riassuntivamente, F. S. Gentile, Il possesso2, in

Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1977, 86-87: in

giurisprudenza, v., ma per sola massima, Cass. 25 febbraio 1952, n.

504, Foro it., Rep. 1952, voce Possesso, n. 18). Qua e là, comunque, emergono ambiguità, senza che sia dato

chiarire se esse esprimano un vero e proprio dissenso ovvero, più

semplicemente, facciano di tutte l'erbe un fascio, omettendo di distin

guere tra incapacità naturale e d'agire: v., ancora una volta per sola

massima, App. Trento 11 febbraio 1955, Giust. civ., Mass. App. Tren

to, 1955, 14, secondo cui « i minori non possono acquistare o mantenere

il possesso che per mezzo di chi li rappresenta » e F. De Martino, Del possesso', in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bolo

gna-Roma, 1984: « quanti si trovano in stato di incapacità di agire,

infanti, furiosi ed interdetti... non possono acquistare direttamente il

possesso, perché essi non possono compiere un'azione volontaria e co

sciente ».

nendo di aver acquistato dal comune detto, con atto 25 marzo

1942, l'appezzamento di terreno in questione, che era occupato abusivamente dai fratelli Donati e chiedendo che questi ultimi

fossero condannati alla restituzione del terreno e, in caso di

soccombenza nella lite, che il comune fosse dichiarato responsabi le per avere venduto il lotto garantendone la piena ed assoluta

proprietà. Il comune di Roma restò contumace; Mariano Donati, costitui

tosi, eccepì la sua estraneità alla lite per non aver mai posseduto il fondo de quo, che era stato sempre posseduto da suo fratello

Annibale; quest'ultimo, costituitosi a sua volta, affermò di aver

acquistato per usucapione la proprietà del terreno in questione.

Le due cause vennero riunite.

A seguito del decesso del Batti il processo venne interrotto e

quindi riassunto, a cura di Annibale Donati, nei confronti degli eredi del Batti.

L'adito tribunale, con sentenza del 12 maggio-30 dicembre 1978, accolse la domanda di Annibale Donati e rigettò la riconvenzione del comune nonché le domande degli eredi del Batti.

Tale decisione, gravata di appello del comune di Roma, venne confermata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza del 14

aprile-7 giugno 1982.

I giudici d'appello rilevarono che la retrodatazione della data

di inizio dell'usucapione da parte di Annibale Donati non com

portava mutatio libelli; che, ai fini della maturazione del termine

trentennale di usucapione, era sufficiente la prova che il possesso era iniziato il 16 ottobre 1929, tenuto conto della sospensione dei

termini per ragioni belliche e della data di costituzione del

comune (23 novembre 1962); che le prove testimoniali assunte

avevano dimostrato che Annibale Donati aveva provveduto alla

coltivazione del fondo facendone propri i frutti dall'epoca indica ta ed anche precedentemente; che non era affatto provato che gli altri membri della famiglia Donati possedessero il terreno nel

1926 come affittuari, anzi ciò era contraddetto dalla circostanza dichiarata da Annibale Donati nel suo interrogatorio formale, secondo cui egli e la sua famiglia erano subentrati nel fondo

liquidando con una somma di danaro i precedenti occupanti; che

ben può un minore, quale era Annibale Donati alla data 16

ottobre 1929 (alla quale data egli aveva l'età di anni 17 e mesi

10), acquistare il possesso ad usucapionem: tale acquisto non

nasce infatti da un negozio, che richiede la dichiarazione di

volontà diretta ad un determinato effetto giuridico e che deve

provenire da un soggetto pienamente capace ma, mirando l'acqui rente del possesso solo a porre in essere a proprio favore uno

stato di fatto con l'intenzione di esercitare una signoria sulla

cosa, richiede la sola capacità naturale di intendere e di volere, come argomentato dalla dottrina sulla base degli art. 1191 e 2046

c.c.; che tale capacità si rinviene nel minore quasi diciottenne a

differenza degli infanti e dei dementi, per cui poteva condiversi

l'opinione del tribunale che, in mancanza di elementi indicativi

contrari, si poteva riconoscere al Donati la capacità naturale, sufficiente per l'acquisto del possesso; che l'avvenuta stipulazione, in data 18 ottobre 1932, di un contratto di fitto concernente

cinque ettari, facenti parte del terreno de quo, tra l'ente S.m.i.r.

(dante causa del comune di Roma) e Mariano Donati, non

dimostrava la perdita del possesso da parte di Annibale Donati, che possedeva già il fondo da tre mesi né che questi fosse stato

privato del possesso del fondo o fosse divenuto detentore di esso

ed in ogni caso la privazione del possesso non avrebbe superato l'anno e quindi non sarebbe stata idonea ad interrompere l'usu

capione; che l'usucapione era altresì sostenuta dalle presunzioni di possesso e di possesso intermedio di cui agli art. 1141 e 1142

c.c. e che non risultava affatto che Annibale Donati avesse mai

riconosciuto la proprietà del terreno a favore del comune, mentre

i solleciti, gli inviti ed altri simili atti posti in essere dai

dipendenti del comune ai fini del rilascio del fondo non solo non

risultavano effettuati specificamente nei confronti di Annibale

Donati ma inoltre non costituivano atti idonei ad interrompere l'usucapione.

Avverso tale sentenza il comune ha proposto ricorso, chieden

done la cassazione per due motivi nei confronti di Annibale

Donati, che ha resistito con controricorso. All'udienza 15 gennaio 1984 questa corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi del Batti, al che ha provveduto il

ricorrente, nel termine all'uopo fissato. I detti eredi non si sono

costituiti in giudizio. Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso il

comune di Roma — dedotta violazione degli art. 323-685-686 c.c.

del 1865 nonché dei principi generali in materia secondo tale codice — censura la decisione di merito nel punto in cui questa

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ha riconosciuto da un lato, in linea astratta, la possibilità per un

minore di acquistare il possesso e da un altro, in linea concreta, la sussistenza del Donati Annibale di quel minimo di capacità necessria per realizzare tale acquisto.

Il ricorrente si duole anzitutto che i giudici d'appello abbiano in punto richiamato la sentenza n. 504 del 1952 di questa Suprema corte (Foro it., Rep. 1952, voce Possesso, n. 18) senza controllare se essa riguardasse le applicazioni del codice civile del 1865 o di quello attuale e che inoltre tali giudici abbiano fatto richiamo agli art. 1191 e 2046 c.c. vigente al fine di stabilire la

possibilità per un minore di acquistare il possesso: sostiene il ricorrente che invece deve applicarsi alla fattispecie il codice

civile del 1865, poiché l'acquisto del possesso avvenne, secondo i

giudici di merito, nel 1929, e che detto codice conteneva norme

assolutamente difformi dal codice attuale in materia, in quanto non esisteva alcuna norma corrispondente all'art. 1191 c.c. 1942 mentre in tema di obbligazioni naturali l'art. 1933 poneva il minore in una posizione distinta da quella dell'incapace ed infine

non esisteva alcuna norma corrispondente all'art. 2046 c.c. vigente.

Soggiunge il ricorrente che in base agli art. 323-224-221 c.c. del 1865 il minore non poteva compiere alcun atto della vita civile che avesse effetto giuridico e che conseguentemente la dottrina italiana in tema negava la possibilità per il minore di acquistare in modo originario il possesso, che inoltre non si comprende con

quali elementi si possa determinare la capacità naturale ai fini del

possesso utile alla usucapione e che fare riferimento, come ha fatto la corte di merito, ad un'età più o meno vicina a quella stabilita dalla legge per la capacità di agire significa introdurre

un'incertezza di tempo, in una situazione in cui ha importanza anche un solo giorno del termine; d'altra parte tale corte ha

operato una distorsione del concetto di capacità di intendere e di

volere (capacità naturale), in quanto tale capacità viene in

considerazione nell'ambito dell'età stabilite dalla legge (cosi il

minore degli anni 14 non è imputabile secondo il diritto penale e

cosi la interdizione e l'inabilitazione possono pronunciarsi solo

nei confronti del maggiore di età); infine, la corte di merito non

ha considerato che l'animus possidenti va comunque manifestato

e si concretizza in una serie di comportamenti che corrispondono all'esercizio dei poteri del proprietario e consistono in atti nego ziali che richiedono la piena capacità di agire e d'altronde non è

stato dai giudici considerato affatto che il minore, acquistando il

possesso, non sarebbe poi in grado di esercitare le azioni posses sorie intese alla sua eventuale tutela.

Tali doglianze non sono fondate. Va anzitutto tenuto presente che si è in presenza, per quanto attiene alle indagini in ordine al

la possibilità astratta per un minore di acquistare il possesso, di

un problema di puro diritto, per cui il fatto che la corte d'appel lo abbia fatto riferimento a norme del codice civile vigente e non

si sia preoccupata di accertare se la sentenza n. 504/52 di questo

Supremo collegio si riferisse alla disciplina del codice vigente o di quello precedente non è sufficiente a far cadere la statuizione di tale corte in ordine alla possibilità per il minore di acquistare il possesso nell'anno 1929, cioè in vigenza del codice civile del

1865; trattasi, infatti, di una questione che va direttamente esami

nata, in questa sede, in base alla normativa vigente appunto nel

1929, in base cioè al codice civile del 1865, onde accertare se la

soluzione accolta dai giudici di merito sia conforme o meno alla

disciplina della materia da applicare alla fattispecie. Ciò posto, va poi ricordato che nell'ambito degli atti giuridici

umani è tradizionale la distinzione tra meri atti giuridici e negozi giuridici: i primi sono quegli atti che non solo sono posti in

essere dall'uomo ma richiedono altresì la consapevolezza e la

volontà dell'agente e perciò si distinguono dai fatti giuridici in

senso stretto, che comprendono tra l'altro i fatti umani la cui

rilevanza giuridica non dipende affatto da dette consapevolezze e

volontà; i secondi sono quegli atti che l'agente compie non solo

con coscienza e volontà ma altresì con l'intento di raggiungere determinati effetti giuridici. Nei primi, quindi, gli effetti, come

per i fatti in senso stretto, derivano direttamente dalla legge e

non sono affatto stabiliti dalla volontà privata, mentre nei secon

di gli effetti sono quelli cui è diretta la volontà dell'agente

purché dalla legge non riprovati.

È appunto per tale motivo che per i primi è sufficiente la

capacità di intendere e di volere e per i secondi occorre la

capacità di agire, che è quella necessaria per porre in essere i

negozi giuridici. In vigenza del codice del 1942 la dottrina ha ricavato, tra

l'altro, dalle norme di cui agli art. 1191 (relativa agli atti leciti) e

2046 (relativa agli atti illeciti) il principio che per porre in essere

meri atti giuridici non occorre la capacità di agire ma va subito

detto che la normativa era assolutamente identica anche in

vigenza del codice civile del 1865.

Vero è che non esisteva in tale codice alcuna norma corrispon dente all'attuale art. 1191 ma vero è anche che, pur esistendo

l'art. 323 del tutto corrispondente, in tema di capacità di agire, all'art. 3 c.c. del 1942, una serie di norme attribuivano chiara

mente al minore la capacità di porre in essere atti non costituenti

negozi. Sarebbe sufficiente ricordare l'art. 1306 secondo cui « il minore

è pareggiato al maggiore di età per le obbligazioni nascenti da

delitto o quasi-delitto », norma che dottrina e giurisprudenza intendevano non in senso strettamente letterale ma in quello,

pienamente corrispondente al contenuto dell'attuale art. 2046, che

il minore rispondeva per atti illeciti solo se era capace di

intendere e di volere; di tali norme sono chiari corollari, per il

codice del 1865, l'art. 1153, 1° e 2° comma, e, per il codice del

1942, gli art. 2047 e 2048, secondo i quali i genitori rispondono

per mancata vigilanza nel caso di atti illeciti compiuti da minori

incapaci e rispondono anche per omessa congrua educazione per

gli atti illeciti compiuti da minori capaci di intendere e di volere.

Lo stesso richiamo che il ricorrente opera al codice penale non

è felice, in quanto tale codice prevede appunto che, in relazione

al minore di età tra 14 e 18 (era 21) anni, il giudice debba di

volta in volta accertare se lo stesso sia o meno capace di

intendere e di volere (v. art. 98 c.p.).

Infine, non è esatto che, in tema di obbligazioni naturali, l'art.

1804 c.c. del 1865 distingua il minore dagli incapaci, in quanto invece tale articolo, con formula pressoché corrispondente a

quella dell'art. 1933 c.c. del 1942, ammette la ripetizione del

pagamento di obbligazioni naturali se il pagamento sia o « minore

di età, interdetto o inabilitato » (l'art. 1933 dice in una parola « incapace »).

Tutto ciò dimostra che sia il codice civile del 1865 che quello attuale riconoscono la possibilità per il minore, purché dotato di

capacità naturale, di porre in essere meri atti giuridici, per cui

esattamente i giudici d'appello hanno in punto richiamato la

sentenza n. 504 del 1952 di questa corte, che, con riferimento

espresso alla disciplina del codice del 1865, ha statuito che

l'infermità mentale da cui un soggetto è affetto non gli impedisce di porre in essere atti di acquisto del possesso ove il soggetto sia

dotato quanto meno della capacità naturale necessaria per l'ani

mus rem sibi habendi.

Con ciò si passa all'altra indagine che è necessaria onde

verificare se per l'acquisto del possesso sia o meno necessaria la

capacità di agire e cioè all'indagine intesa ad accertare se l'atto

di acquisto del possesso sia un atto di carattere negoziale o

meno.

Al riguardo va subito osservato come non abbia rilevanza la

circostanza che il possesso sia o meno un diritto, pur essendo

ormai prevalentemente riconosciuto che il possesso è una situa zione di fatto che la legge riconosce e tutela di per sé a prescinde re dalla sua corrispondenza al diritto.

Tale questione — ripetesi — non ha rilevanza, in quanto l'atto di acquisto della signoria su un dato bene può, secondo l'ordi

namento, produrre anche l'acquisto del diritto di proprietà sul bene stesso senza che sia necessario per l'agente la volontà di

acquistare tale diritto: basta pensare all'istituto dell'occupazione che, in relazione alle cose mobili, determina l'acquisto della

proprietà del bene a favore dell'occupatore quando si tratti di res nullius o derelictae o di animali che formano oggetto di caccia e

pesca (vedi, per c.c. del 1865, l'art. 711 e, per il c.c. attuale, l'art.

922).

Sia nell'occupazione che nell'atto di acquisto del possesso è

indispensabile la volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa mentre l'effetto è determinato direttamente dalla legge in relazione a circostanze che esulano del tutto

dall'elemento interiore o spirituale e cioè al fatto che non esista

alcun diritto di proprietà alieno sul bene oggetto dell'adprehen sio: qui si coglie in pieno la differenza tra mero atto giuridico e

negozio giuridico, in quanto l'adprehensio postula la mera volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa, mentre

l'effetto giuridico che ne deriva ex lege non è affatto voluto

dall'agente ma consegue, appunto per volontà di legge, in relazio

ne a fattori assolutamente estranei all'animus dell'agente.

È quindi evidente che, per l'acquisto del possesso (come per l'occupazione), non è affatto necessaria la capacità di agire ma

basta la capacità naturale di intendere e di volere, per cui, poiché si è già dimostrato che già il codice del 1865 riconosceva

per il minore dotato di tale capacità la possibilità di porre in

essere meri atti giuridici, ne consegue che anche in vigenza di

Il Foro Italiano — 1986.

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2123 PARTE PRIMA 2124

detto codice il minore, se dotato di capacità naturale, ben poteva compiere atti idonei ad acquistare il possesso.

Quanto, poi, ai criteri per determinare in ciascun caso concreto la sussistenza nel minore della capacità naturale, essi rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che nel caso si è basato sulla circostanza che si era in presenza di un minore quasi diciottenne e che non esistevano elementi indicativi di una sua minorata capacità giuridica: trattasi, come detto, di una valuta zione di fatto, che è pienamente logica, in quanto corrisponde ad un principio di comune esperienza in ordine alla capacità natura le dei minori: invero la capacità di concepire e di attuare l'inten zione di tenere per sé un bene di norma si raggiunge appunto con la pubertà.

Priva di pregio è poi l'argomentazione del comune ricorrente che l'animus possidendi va comunque manifestato e si concretizza in una serie di comportamenti corrispondenti all'esercizio dei po teri del proprietario, comportamenti costituenti tutti atti negoziali; invero, non solo l'esercizio del possesso non richiede sempre atti

negoziali (non sono tali, ad es., la coltivazione di un terreno, la raccolta dei relativi frutti e cosi via) ma inoltre gli eventuali atti

negoziali posti in essere dal minore come la compravendita dei frutti possono ben essere posti in essere tramite il rappresentante legale del minore stesso, e, comunque, anche se posti in essere

direttamente dal minore, non sono giuridicamente inesistenti né nulli ma solo annullabili ad istanza del genitore o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa e non già ad istanza della controparte (art. 227 e 1107 c.c. e 323 c.c. del 1942) e sono quindi ben

suscettibili di acquisire piena validità.

Quanto, infine, all'impossibilità per il minore di esercitare le

azioni a difesa del possesso (ulteriore argomentazione addotta dal

ricorrente per contestare la possibilità per il minore di acquisto del possesso), è agevole rispondere che è chiaro che tali azioni

vanno esercitate dal legale rappresentante del minore così come

in ogni altro caso di tutela dei diritti patrimoniali del minore.

Il primo motivo di ricorso va quindi rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 giugno

1986, n. 3898; Pres. La Torre, Est. Vercellone, P. M. Marti

nelli (conci, conf.); Ravasio (Aw. Pinto, Rescigno, Malava

si) c. Fondazione Unitas Catholica; Fondazione Unitas Catholi

ca (Avv. Romeo, Panuccio) c. Ravasio. Conferma App. Roma

22 marzo 1983.

Comitato — Intestazione di beni immobili a persona fisica —

Natura fiduciaria — Trasferimento a favore di fondazione

succeduta al comitato — Inadempimento — Esecuzione spe cifica — Ammissibilità (Cod. civ., art. 37, 39, 2932).

Qualora un comitato proceda all'acquisto di beni immobili, la

loro intestazione, ai fini della trascrizione, in capo ad un

soggetto dotato di personalità giuridica, non fa venir meno

l'attribuzione della proprietà al comitato-, a carico dell'intestata

rio sorgono, tuttavia, le obbligazioni fiduciarie di conservare i

beni nel patrimonio del comitato e di non trasferirli ad altri

soggetti; quando, poi, sia specificamente previsto, nell'accordo

costitutivo del comitato, che esso dovrà evolversi in fondazione, in capo all'intestatario sorge, altresì, l'obbligo fiduciario di

procedere a quanto necessario perché il bene immobile acqui stato divenga proprietà della fondazione; in caso di inadempi mento, il trasferimento potrà essere disposto con sentenza

costitutiva degli effetti del contratto non concluso. (1)

(1) Dopo Cass. 10 giugno 1981, n. 3773, Foro it., 1983, I, 1996, che ha confermato a chiare lettere la possibilità per le associazioni non riconosciute di acquistare per usucapione la proprietà di beni immobili, la sentenza in epigrafe porta un nuovo duro colpo alle argomentazioni degli ultimi fautori della « incapacità immobiliare » degli enti non

personificati (in tal senso v. ancora Bianca, Diritto civile, Milano, 1978, I, 353 ss.).

Uno dei due cardini su cui era ormai consuetudine far perno a

sostegno di tale tesi — e cioè quello della intrascrivibilità degli atti di

acquisto — è stato, del resto, forse definitivamente divelto, almeno per il futuro (come si evidenzia in motivazione) dalla modifica apportata all'art. 2659 c.c. dall'art. 1 1. 27 febbraio 1985 n. 52, modifiche al libro VI del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento all'in troduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservato rie dei registri immobiliari (su cui v. il commento di Vascellari, in Nuove leggi civ., 1986, 93, e Mariconda, La trascrizione, in Trattato di

Motivi della decisione. — Col primo motivo del ricorso princi

pale si assume essersi violato l'art. 345 c.p.c. ciò in quanto la

pretesa di ottenere il trasferimento degli immobili in applicazione dell'art. 40 c.c., assumendosi essere la Fondazione Unitas Catholi

ca l'evoluzione del precedente omonimo comitato, sarebbe del

tutto nuova rispetto a quella sostenuta in primo grado che si

fondava sull'asserito inadempimento ad un negozio fiduciario. Si

retto da Rescigno, 19, Torino, 1985, 155). Cosi come riformulata, la norma prevede ora la possibilità di trascrizione anche a favore di asso ciazioni non riconosciute, purché nella nota siano indicate, oltre alla de

nominazione, alla sede ed al numero di codice fiscale, anche le generalità delle persone che le rappresentano secondo l'atto costitutivo. Non è stato chiarito, però, se debbano essere annotati nei registri anche tutti i mutamenti delle persone dei rappresentanti.

Non rimane, a chi voglia ancora sostenere l'« incapacità immobilia re », che aggrapparsi alla mancata previsione dell'autorizzazione gover nativa richiesta per le persone giuridiche dall'art. 17 c.c.: Cass. 3898/86 non prende esplicitamente posizione sul punto, ma sembra ritenere

superflua ogni discussione, ammettendo con tutta tranquillità che l'ente non riconosciuto (nella specie, il comitato) possa acquistare anche beni immobili. D'altronde, se, come sembra, la ratio della norma non deve più (o non deve più solamente) essere ricercata nell'esigenza di

impedire la concentrazione del patrimonio immobiliare in capo ad

organizzazioni non imprenditoriali, avvertita in una precisa, ma ormai

risalente, fase della storia del capitalismo (cfr., sulla evoluzione storica della disciplina, dalle leggi Siccardi all'art. 17 c.c., Galgano, Delle

persone giuridiche, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1969, 241 ss., sub art. 17; sulle ragioni politiche della norma v. anche De Giorgi, Le persone giuridiche, in Trattato diretto da Rescigno, 2, Torino, 1982, 212), quanto, piuttosto, nell'esigenza di

tutela del credito, necessaria perché nelle persone giuridiche la respon sabilità è limitata al patrimonio sociale, la conclusione è d'obbligo: la

responsabilità personale e solidale di coloro che agiscono per gli enti

di fatto fa venir meno ogni preoccupazione in tal senso, dunque, rende

superflua anche l'autorizzazione governativa (cfr. Galgano, op. cit., 245

ss.; Tamburrino, Persone giuridiche e associazioni non riconosciute.

Comitati, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1980,

456). Ma veniamo alla ricostruzione del rapporto tra ente non personifica

to e intestatario del bene immobile operata da Cass. 3898/86. Espe diente cui si è spesso fatto ricorso per superare gli ostacoli frapposti nella pratica all'acquisto di beni immobili da parte di associazioni non

riconosciute e di comitati è stato quello di intestare il bene ad uno

dei membri, trascrivendo l'acquisto a nome dello stesso. Secondo la

comune opinione in tal caso si verifica un'ipotesi di intestazione fiduciaria nella quale l'intestatario deve essere considerato l'effettivo

proprietario del bene nei rapporti esterni, anche se obbligato, nei

rapporti interni, a rispettare le pretese spettanti agli altri associati (cfr., in tal senso, Bianca, op. cit., 355; e, anche se in senso critico verso il

ricorso ad espedienti di tal genere, per gli inconvenienti che vi sono

connessi, Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1967, 200 s.).

Secondo Cass. 3898/86, invece, l'intestazione in capo al fiduciario

non fa venir meno l'attribuzione della proprietà effettiva al comitato.

Si tratta di una ricostruzione del fenomeno dell'intestazione fiduciaria

in termini di dual ownership certamente inusuale nel nostro ordina

mento, quanto meno con riferimento alla proprietà immobiliare, che

sembra riecheggiare la distinzione tra proprietà e legittimazione soste

nuta da una parte della dottrina commercialistica con riferimento

all'intestazione fiduciaria di titoli azionari. Ed in effetti, la distinzione

tra proprietà effettiva e proprietà « apparente » (anche se non fittizia,

perché effettivamente voluta) dell'intestatario formale è stata di recente

avanzata proprio con riferimento all'ipotesi di intestazione di titoli

azionari a società fiduciarie, anche se sotto altri profili, da Cass., sez.

un., 10 dicembre 1984, n. 6478, Foro it., 1985, I, 2325, con nota di

Mazzi A, Intestazione fiduciaria e successione «mortis causa». Contrariamente a quanto affermato nella sentenza in epigrafe, per

Salani, Se le associazioni non riconosciute possano effettuare operazio ni immobiliari, in Riv. dir. civ., 1964, II, 379, non solo l'associazione

che intende acquistare beni immobili deve costituirsi per iscritto, ma

per iscritto devono farsi anche le adesioni successive alla costituzione ed i recessi. In senso conf. a Cass. 3898/86, invece, Galgano, op. ult.

cit., 205. La necessità della forma scritta per il patto fiduciario che importi

l'obbligo di trasferire beni immobili è stata ritenuta superflua da Lipari, Il negozio fiduciario, Milano, 1964, 430 ss.; per una puntuale registrazione del dibattito sulla forma del mandato ad acquistare beni immobili v. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato

già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1984, 372 ss., nonché II mandato e la commissione, in Trattato diretto a Rescigno, 12, Torino, 1985, 56 ss.

Sull'art. 2932 c.c., da ultimo, v. Mazzamuto, L'esecuzione forzata, in Trattato diretto da Rescigno, 20, Torino, 1985, 313 ss.

Sulla trasformazione di comitato in fondazione e la successione nei relativi rapporti giuridici, v. Cass. 12 novembre 1977, n. 4902, Foro it., 1978, I, 40. [N. Mazzia]

Il Foro Italiano — 1986.

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