sezione II civile; sentenza 23 marzo 2001, n. 4270; Pres. Iannotta, Est. Mensitieri, P.M. Marinelli(concl. diff.); Filaci (Avv. Dinacci) c. Condominio piazza Vittorio Emanuele II 138, Roma (Avv.Tomei). Conferma App. Roma 4 marzo 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3223/3224-3233/3234Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197641 .
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3223 PARTE PRIMA 3224
giudizio l'assegno d'invalidità — atteso che tra le due presta zioni relative ad un diverso grado di compromissione della ca
pacità lavorativa ma presupponenti gli stessi requisiti assicurati
vi e contributivi intercorre un necessario rapporto di continenza — non è vero però il contrario in quanto il soggetto, che in sede
amministrativa ha chiesto l'assegno d'invalidità, non può chie
dere in sede giudiziaria la pensione d'invalidità perché in tale
ultima ipotesi la domanda giudiziale relativa alla pensione d'in
validità deve considerarsi radicalmente improponibile in ragione dell'assenza di un indefettibile presupposto all'azione, rappre sentato dalla domanda amministrativa, la cui mancanza può es
sere eccepita dal convenuto nel corso di tutto il giudizio di pri mo grado ed anche in fase d'impugnazione, senza che operino le preclusioni di cui all'art. 416 c.p.c. (cfr., in questi termini, Cass. 17 maggio 1999, n. 4782, id., Rep. 1999, voce Previdenza
sociale, n. 824, cui adde Cass. 1° luglio 1998, n. 6433, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 556).
A ben vedere, l'orientamento in esame, che nega la possibi lità che una volta iniziato un giudizio non possa più
— pur in
presenza di aggravamenti o di nuove infermità che determinino
un'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi at
tività lavorativa — domandarsi la pensione d'inabilità finisce
per operare una frattura con il richiamo effettuato da questa stessa corte ai principi di razionalità e di uguaglianza con ri
guardo a tutte le controversie previdenziali, assistenziali e rela
tive agli infortuni e malattie professionali, investendo tali con
troversie, seppure con diverse modalità, posizioni degli assistiti
meritevoli di una sollecita tutela.
A tale riguardo non può sottacersi che l'art. 11 1. n. 222 del
1984 prescrive che l'assicurato che abbia in corso o presenti una
domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all'as
segno d'invalidità o di pensione d'inabilità non possa presentare una ulteriore domanda per la stessa prestazione sino a quando, nel caso di ricorso in sede giudiziaria, non sia «intervenuta sen
tenza passata in giudicato». Orbene, il negare che l'assicurato, divenuto inabile nel corso
del giudizio instaurato per l'ottenimento dell'assegno d'invali
dità, possa avanzare nello stesso giudizio domanda di pensione ex art. 2 1. 222/84 e costringerlo ad attendere il passaggio in
giudicato della sentenza, significa dare dell'art. 149 disp. att.
c.p.c. una lettura suscettibile di far sorgere consistenti dubbi
d'illegittimità costituzionale.
È evidente, infatti, che una siffatta interpretazione del dato
normativo — contenente in sé un'evidente contraddizione, in
quanto, da un lato imporrebbe all'assicurato un «regresso alla
fase amministrativa» e, dall'altro, gli impedirebbe tale regresso fino all'esito del giudizio
— finirebbe per precludere all'assicu
rato la possibilità di una piena tutela del suo diritto proprio in
quei casi in cui ha più bisogno di una sollecita tutela (in ragione del suo grave stato di salute e della conseguente inabilità ad
ogni proficuo lavoro), tanto da apparire lesiva di diritti fonda mentali, quali quelli garantiti, oltre che dall'art. 38, anche dagli art. 3 e 24 Cost.
6. - Al completamento del copioso orientamento giurispru denziale — di cui si sono segnalati i diversi e più significativi momenti — diretto all'estensione della regola dell'art. 149 disp. att. c.p.c. in ragione della natura delle varie situazioni poste a
raffronto (e della conseguenziale esigenza di sopperire a bisogni indilazionabili dell'assistito) non ostano le preclusioni di carat tere processuale addotte dall'istituto ricorrente. Ed invero, da un
lato il richiamo al divieto del novum in appello appare inconfe
rente stante la ratio sottesa al citato art. 149, il cui carattere più
significativo — è bene ribadirlo ancora una volta — è proprio
quello di valorizzare elementi sopravvenuti nel corso del giudi zio come passaggio obbligato per una tutela effettiva dei diritti
dell'assicurato. Né sotto altro versante può addursi la diversità dei requisiti posti a base dell'assegno d'invalidità e della pen sione d'inabilità perché la diversità delle prestazioni si apprezza unicamente con riguardo al diverso grado di compromissione della capacità lavorativa e non invece con riguardo ai requisiti assicurativi e contributivi (cfr., in motivazione, Cass. 17 maggio 1999, n. 4782, cit.) e perché ancora, come si è precisato in sede
dottrinaria e giurisprudenziale, la rinunzia alla retribuzione e ad
ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della stessa e la contestuale cancellazione da elenchi o albi professionali di cui
all'art. 2, 2° comma, 1. n. 222 del 1984, fungono da semplice condizione di erogabilità del trattamento stesso in relazione ad
Il Foro Italiano — 2001.
un diritto già sorto e riconosciuto per effetto dei soli requisiti
medico-legali e contributivi (cfr. Cass., sez. un., 14 luglio 1993, n. 7783, id., 1994, I, 83, che ha risolto un risalente contrasto
giurisprudenziale sul punto). 7. - Alla luce delle considerazioni sinora svolte il ricorso del
l' Inps va rigettato per la parte in cui critica la sentenza impu
gnata per avere applicato il disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c. nella presente controversia, mentre va accolto — rinvenendosi
sul punto una violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c. —
per la parte in cui lamenta che, pur avendo l'assicurato nell'atto di
appello chiesto il riconoscimento della pensione d'inabilità a
partire dal 1° luglio 1994 (per avere il consulente d'ufficio »n
corato l'insorgere dell'inabilità al giugno 1994), il Tribunale di
Firenze ha condannato l'Inps al pagamento dei ratei di pensione a far data dal 1° febbraio 1993.
Per concludere, quindi, il ricorso va accolto per quanto di ra
gione e la sentenza impugnata va cassata. Alla stregua dell'art.
384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
l'Inps va condannato al pagamento della pensione d'inabilità
dal 1° luglio 1994, oltre al maggior importo tra interessi e riva
lutazione monetaria ai sensi del disposto dell'art. 16 1. 30 di
cembre 1991 n. 412.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 23
marzo 2001, n. 4270; Pres. Iannotta, Est. Mensitieri, P.M.
Marinelli (conci, diff.); Filaci (Avv. Dinacci) c. Condominio
piazza Vittorio Emanuele II 138, Roma (Avv. Tomei). Con
ferma App. Roma 4 marzo 1998.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As
semblea — Deliberazione — Impugnazione — Interesse
ad agire — Fattispecie (Cod. civ., art. 1136, 1137; cod. proc. civ., art. 100, 384).
L'omessa convocazione all'assemblea condominiale legittima il
condomino pretermesso ad agire per l'annullamento della
delibera adottata in quella sede, per contrarietà alla legge, ex
art. 1137 c.c., senza la necessità di allegare e provare uno
specifico interesse, connesso al contenuto della delibera im
pugnata, diverso da quello rappresentato dalla rimozione
dell'atto in conseguenza del vizio (nella specie, peraltro, la
Suprema corte ha confermato, correggendone la motivazione ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., la sentenza del giudi ce d'appello, che aveva rigettato la domanda di annulla
mento della delibera condominiale, non avendo il ricorrente
assolto l'onere di produrre in giudizio il verbale dell'assem
blea). (1)
(1-2) Pur in mancanza di precedenti specifici in termini, la seconda delle sentenze in epigrafe, considerati i motivi di nullità della delibera assembleare nella specie dedotti dal ricorrente (difetto del consenso di tutti i condomini, necessario per la modifica delle tabelle condominiali
contrattuali), sembra porsi in contrasto con il principio, più in generale affermato dalla stessa corte di legittimità — e ribadito dalla più recente delle pronunzie qui riprodotte — secondo cui, quando l'impugnazione della delibera si fonda su vizi formali, l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. come condizione dell'azione di annullamento propo sta dal condomino ad essa legittimato, «è costituito proprio dall'accer tamento dei vizi formali da cui sono affette le deliberazioni», non es sendo richiesta la deduzione e la prova di uno specifico interesse diver so da quello alla rimozione dell'atto impugnato: v., in tal senso, Cass. 4
aprile 1997, n. 2912, Foro it., Rep. 1997, voce Comunione e condomi
nio, n. 212. Analogamente, in tema d'impugnazione di delibere societa rie, Cass. 4 dicembre 1996, n. 10814, id., 1997, I, 828, con nota di ri chiami di R. Rordorf. La sentenza 4270/01 richiama, altresì, la risa lente Cass., sez. un., 16 giugno 1955, n. 1831, id., Rep. 1955, voce Procedimento in materia civile, n. 77, dove si afferma che, quando si tende ad ottenere una pronuncia di annullamento di un atto annullabile.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 1° di cembre 2000, n. 15377; Pres. Calfapietra, Est. Corona, P.M. Uccella (conci, diff.); Buffoni (Avv. Biamonti, Biglia) c. Condominio via Plinio 39, Milano (Avv. Biagi). Conferma
App. Milano 17 marzo 1998.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As semblea — Deliberazione —
Impugnazione — Interesse
ad agire — Fattispecie (Cod. civ., art. 1137; disp. att. cod.
civ., art. 69; cod. proc. civ., art. 100).
La declaratoria della nullità di una delibera dell'assemblea
condominiale presuppone la sussistenza di un interesse del
l'attore alla sua impugnazione, la cui valutazione va effet tuata (da parte del giudice del merito) non in astratto, ma in
concreto, avendo riguardo alla posizione di vantaggio effetti vo che dalla pronunzia può derivargli (nella specie, la Su
prema corte ha confermato la pronunzia del giudice d'ap
pello, che aveva escluso l'interesse del condomino ad impu
gnare una delibera di modificazione delle tabelle millesimali
assunta ai sensi dell'art. 69, n. 2, disp. att. c.c., approvata senza il consenso unanime di tutti i condomini, in base al ri
lievo che da tale modifica non derivava alcun pregiudizio al
ricorrente). (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 5 feb
braio 2000, n. 1292; Pres. Volpe, Est. Corona, P.M. Apice
(conci, conf.); Condominio palazzo Riganello e Bianchi, Cro
tone (Avv. N. Bianchi) c. Gerace. Cassa Conc. Crotone 25
marzo 1997.
Comunione e condominio — Condominio negli edifìci — As
semblea — Convocazione — Omessa comunicazione ad
uno dei condomini — Conseguenze (Cod. civ., art. 1105,
1109, 1136, 1137, 2377, 2379; disp. att. cod. civ., art. 66).
La mancata comunicazione dell'avviso di convocazione del
l'assemblea condominiale a taluno dei condomini comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera condominia
a determinare l'interesse ad agire dell'attore è sufficiente «l'allegata esistenza del vizio» dell'atto, mentre «le diverse conseguenze pratiche costituiscono, se chieste nello stesso giudizio, un plus rispetto alla do manda di annullamento», e quindi, sebbene tutte o alcune di esse siano
inaccoglibili, «ciò non pertanto permane l'interesse a conseguire la ri mozione dell'atto annullabile, qualora non possa escludersi assoluta mente la possibilità che dalla pronuncia di annullamento conseguano effetti pratici a vantaggio di colui che l'ha ottenuta».
Sulla necessità di un interesse ad agire concreto, correlato alla lesio ne di un diritto del condomino che impugna la delibera (ovvero al ca rattere per lui pregiudizievole della decisione assunta), qualora venga contestata, invece, la legittimità nel merito della delibera stessa, cfr. Cass. 15 febbraio 1988, n. 1600, id., Rep. 1988, voce Comunione e
condominio, n. 150; 6 maggio 1987, n. 4197, ibid., n. 142 (nella specie, si trattava di una delibera, adottata a maggioranza, con la quale era stato deciso di ripartire le spese d'installazione della nuova caldaia di riscaldamento in parti uguali tra i condomini, anziché in proporzione ai valori delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, come pre visto dall'art. 1123, 1° comma, c.c.).
Cass. 14 dicembre 1988, n. 6817, id., Rep. 1989, voce cit., n. 190 (e Giust. civ., 1989, I, 2445, con nota di M. De Tilla) sottolinea che l'in teresse ad impugnare la delibera condominiale deve persistere in tutti i
gradi del processo. Secondo Cass. 29 aprile 1993, n. 5084, Foro it.,
Rep. 1993, voce cit., n. 243. l'interesse del condomino pretermesso ad
impugnare la delibera dell'assemblea, a motivo dell'intempestività della convocazione, non viene meno per il fatto che ad essa abbia fatto
seguito una nuova delibera assunta, sullo stesso oggetto, da un'assem blea regolarmente convocata. Costituisce, ad ogni modo, principio con
solidato che la deliberazione condominiale invalida è suscettibile di sa natoria ai sensi dell'art. 2377, ultimo comma, c.c. (v., in proposito, Cass. 29 agosto 1998, n. 8622, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 170; 9 di cembre 1997, n. 12439, id., Rep. 1997, voce cit., n. 197; 27 gennaio 1996, n. 642, id., 1996,1, 3455, con nota di richiami).
Circa l'onere probatorio incombente al condomino che impugna una
delibera dell'assemblea, cfr. Cass. 15 febbraio 1988, n. 1600, cit. (la
quale sottolinea come, quando l'impugnazione si fondi sulla pretesa violazione del regolamento condominiale, sia onere del condomino ri corrente produrre in giudizio tale atto, se l'esame di esso sia necessario
per decidere della fondatezza dell'impugnazione).
Il Foro Italiano — 2001.
le; sicché questa, se non impugnata dai condomini assenti o
dissenzienti nel termine di trenta giorni previsto dall'art.
1137, 3° comma, c.c. (decorrente, rispettivamente, per i primi dalla comunicazione della delibera e per i secondi dalla sua
approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i
partecipanti al condominio. (3)
I
Svolgimento del processo. — Il condominio dello stabile di
piazza Vittorio Emanuele II n. 138 in Roma, formato dai sepa rati condomini delle scale A, B e C dell'edificio, in cui si erano
costituiti i proprietari di ciascuna scala a seguito dello sciogli mento dell'originario unico condominio, e operante unicamente
quale supercondominio, per le cose rimaste in comune, ha pro
posto gravame, dinanzi alla Corte d'appello di Roma, avverso la
sentenza del tribunale di quella città con la quale, in accogli mento della domanda proposta da Maria Carmela Filaci, con
domina della scala C, era stata dichiarata la nullità della delibera
dell'11 aprile 1988 per omesso avviso di convocazione e conse
guente mancata partecipazione della predetta all'assemblea.
Oltre a riproporre l'eccezione di difetto di legittimazione pas siva, deduceva l'appellante:
— che I'll aprile 1988 non si era tenuta una vera e propria assemblea supercondominiale, con l'intervento, previa convo
cazione, dei partecipanti ai singoli condomini, ma una riunione
di consiglieri di amministrazione dei condomini stessi per la
soluzione di problemi riguardanti cose rimaste in comune; — che le riunioni dei soli consiglieri, come risultava dalla
prodotta documentazione, erano state volute e deliberate dai
proprietari delle singole scale, con il voto favorevole della Fila
ci quanto alla scala C; — che, peraltro, non era stata presa alcuna decisione defini
tiva, ma erano state unicamente prospettate delle soluzioni, tan
t'è che i rappresentanti della scala C avevano approvato «con ri
serva»; — che, infine, non era stata adottata alcuna decisione pregiu
dizievole per la condomina la quale, pertanto, non aveva alcun
concreto interesse ad agire.
(3) Con la terza delle sentenze in rassegna, che fa seguito ad altra sostanzialmente identica emessa dallo stesso collegio in altro procedi mento tra le medesime parti (Cass. 5 gennaio 2000, n. 31, Foro it.. Rep. 2000, voce Comunione e condominio, n. 190, che può leggersi in Arch,
locazioni, 2000, 236, con nota di G. Terzago; Corriere giur., 2000, 616, con nota critica di G. De Marzo; Rass. locazioni, 2000, 137, con nota di G. Fortunato; Riv. giur. edilizia, 2000, I, 558, con nota di G. Terzago. La sentenza è commentata criticamente anche da F. Petrola
ti, Sull'omessa convocazione del condomino in assemblea, in Arch, lo
cazioni, 2000, 395), la seconda sezione civile della Cassazione sovverte l'orientamento in precedenza seguito costantemente (e non solo «talo
ra», come si legge in motivazione), secondo cui il difetto di convoca zione anche di un solo condomino determina non già la semplice an
nullabilità, bensì la nullità radicale delle delibere adottate dall'assem
blea condominiale (nullità della quale è, quindi, possibile chiedere l'accertamento, da parte di chiunque vi abbia interesse, anche al di fuo ri dei ristretti limiti d'impugnabilità stabiliti dall'art. 1337 c.c., che ri
guarda soltanto le delibere annullabili: per riferimenti su questo punto, cfr., da ultimo, Cass. 14 dicembre 1999, n. 14037, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 225, e 8 gennaio 2000, n. 126, ibid., n. 203, in tema di mo
difica, adottata senza il consenso unanime dei condomini, rispettiva mente delle tabelle millesimali e dei criteri di ripartizione delle spese comuni; 6 ottobre 2000, n. 13331, ibid., n. 224): in tal senso, v., a parti re dalle più recenti, Cass. 1" ottobre 1999, n. 10886, id., Rep. 1999, vo ce cit., n. 233; 23 febbraio 1999, n. 1510, ibid., n. 226 (intervenuta, pe raltro, solo incidentalmente sul punto); 19 agosto 1998, n. 8199, ibid., n. 210 (che, al pari di altre pronunzie, sottolinea come spetti al condo
minio, convenuto in giudizio per la declaratoria della nullità della deli
bera per il motivo anzidetto, provare che tutti i condomini sono stati
tempestivamente invitati alla riunione dell'assemblea); 12 giugno 1997, n. 5267, id., Rep. 1997, voce cit., n. 206; 12 febbraio 1993, n. 1780, id.,
Rep. 1993, voce cit., n. 245; 19 novembre 1992, n. 12379, ibid., n. 249; 27 giugno 1992, n. 8074, ibid., n. 221 (e Giur. it., 1993, I, 1, 1763, con nota di M.C. Traverso); 15 dicembre 1990, n. 11947, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 206 (e Riv. giur. edilizia, 1991, I, 565, con nota di
M. De Tilla); 9 dicembre 1987, n. 9109, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 142; 27 maggio 1982, n. 3232, id., 1983, I, 1051; 16 luglio 1981, n.
4648, id., 1981, I, 2707; e, ancor prima, Cass. 20 dicembre 1974, n.
4372, id., Rep. 1974, voce cit., n. 55; 12 novembre 1970, n. 2368, id.,
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3227 PARTE PRIMA 3228
Costituitasi in giudizio l'appellata contestava la fondatezza
dell'impugnazione chiedendone il rigetto. Con sentenza 29 gennaio
- 4 marzo 1998 la corte romana, in
accoglimento del gravame, rigettava la domanda proposta in
prime cure dalla Filaci, condannandola alle spese del doppio
grado, sul rilievo che la mancata produzione da parte della pre detta del verbale della riunione non consentiva la verifica del
l'esistenza di una decisione alla stessa pregiudizievole e come tale comportante l'interesse della medesima ad agire ex art. 100
c.p.c. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la
Filaci sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il condominio.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. con
riferimento agli art. 1136 e 1137 c.c.
Osserva la ricorrente che non avendo il condominio provato la convocazione di essa ricorrente all'assemblea dell' lì aprile 1998 del tutto inspiegabile era l'affermazione del giudice d'ap pello secondo cui il mancato rinvenimento in atti del testo della
delibera avrebbe impedito alla corte di valutare se quest'ultima
Rep. 1971, voce cit., n. 166; 20 gennaio 1967, n. 179, id., Rep. 1967, voce cit., n. 174. Conformemente, v., inoltre, tra le pronunzie di merito:
App. Milano 20 maggio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 97; Trib. Palermo 5 settembre 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 220; Trib. Peru
gia 7 settembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 152; Trib. Monza 11 febbraio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 130; Trib. Verona 20 ottobre 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 117; e, in dottrina, tra gli altri, G. Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario Scia
loja-Branca, Bologna-Roma, 1982, 244 ss., 632 (il quale è dell'avviso che l'omessa convocazione di taluno dei condomini determini la nullità delle delibere approvate anche con riferimento all'ipotesi della comu nione pro indiviso, ex art. 1105 e 1109 c.c.); M.- Doguotti-A. Figone, Il condominio, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Tori no, 1992, 335; G. Vidiri, Il condominio nella dottrina e nella giuris prudenza, Milano. 1999, 309 ss. La tesi della nullità si fonda sulla con siderazione che la convocazione di tutti i condomini (per la quale, pe raltro, la legge non prescrive particolari modalità: cfr., da ultimo, Cass. 3 febbraio 1999, n. 875, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 211; 18 feb braio 2000, n. 1830, id., Rep. 2000, voce cit., n. 248) costituisce pre supposto indispensabile per la validità dell'assemblea condominiale, atteso il disposto del 6° comma dell'art. 1136 c.c. («l'assemblea non
può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione»). In quest'ottica, si è quindi ritenuto che la sanzione più grave della nullità assoluta colpisca non soltanto le delibere condomi niali prive di elementi essenziali o riguardanti un oggetto impossibile o illecito, ma anche quelle affette da vizi attinenti alla regolare costitu zione dell'assemblea o alle maggioranze prescritte dalla legge (per esempio, nel caso in cui l'avviso di convocazione non indichi il luogo di riunione, ove questo, in relazione alle circostanze concrete, debba ritenersi assolutamente incerto: v. Cass. 22 dicembre 1999, n. 14461, ibid., n. 185; oppure nel caso in cui sia stato impedito ai condomini convenuti in assemblea l'esercizio dei poteri di discussione e di voto sui punti all'ordine del giorno: v. Cass. 23 febbraio 1999, n. 1510, cit., che ritiene tale ipotesi di nullità assimilabile a quella conseguente al l'omessa convocazione); laddove, invece, una volta soddisfatta l'esi genza che tutti i condomini siano preventivamente avvisati del la riunione, le eventuali irregolarità del processo di convocazione e d'informazione (come, per es., l'inosservanza del termine di cinque giorni previsto dal 3° comma dell'art. 66 disp. att. c.c.: v. Cass. 29
aprile 1993, n. 5084, cit.; oppure l'incompletezza dell'ordine del giorno comunicato ai condomini: v., specificamente, Cass. 23 maggio 1992, n. 6212, id., Rep. 1992, voce cit., n. 216. ma anche, da ultimo. Cass. 27 marzo 2000, n. 3634, id., Rep. 2000, voce cit., n. 195) danno luogo a delibere contrarie alla legge, come tali semplicemente annullabili, ove
impugnate entro il termine di cui all'art. 1137, 3° comma, c.c. (per rife rimenti in proposito, cfr. anche, ex plurimis, Cass. 5 ottobre 1983, n. 5793, id., 1983, I, 3032; 21 settembre 1977, n. 4035, id., Rep. 1977, voce cit., n. 131; 12 giugno 1975, n. 2346, id., Rep. 1975, voce cit., n. 109; 11 giugno 1968, n. 1853, id., Rep. 1968, voce cit.. n. 163).
Il mutamento di indirizzo della corte di legittimità, segnato dalle sentenze 31/00 e 1292/00, trae, invece, argomento:
a) dal combinato disposto degli art. 1105, 3° comma, e 1109 c.c., in base al quale la mancata preventiva informazione dei partecipanti alla comunione determina semplicemente l'impugnabilità, nel termine di decadenza di trenta giorni, delle deliberazioni assunte da parte dei
componenti della minoranza dissenziente; b) dal parallelismo e dall'identità di ratio (individuata nell'esigenza
di certezza dei rapporti giuridici, messa a rischio dalla possibilità di de durre in ogni tempo la nullità) esistente tra la disciplina in materia di società di capitali (art. 2377, 2379 c.c.) e quella in materia condomi niale (art. 1137 c.c.) in tema di delibere dell'assemblea (dei soci, nel
Il Foro Italiano — 2001.
avesse leso in qualche misura il diritto della condomina sì da far
ritenere sussistente la condizione dell'interesse ad agire di cui
all'art. 100 c.p.c. Era evidente, infatti, che la mancata convocazione, proprio
perché lesiva del diritto fondamentale del condomino di parteci
pare all'amministrazione dei beni comuni, costituiva ragione di
per sé sufficiente per far nascere, in capo al condomino escluso
dal processo di formazione della volontà collegiale, l'interesse a
far accertare la nullità della delibera.
Con il secondo mezzo si deduce omessa, contraddittoria ed
insufficiente motivazione.
Rileva la ricorrente che la corte del merito, pur non essendo
stato rinvenuto in atti il proprio fascicolo, sulla base delle am
missioni contenute nell'atto d'appello del condominio avrebbe
potuto tranquillamente decidere se la riunione dell'11 aprile 1988 fosse o meno una vera e propria assemblea dei partecipanti ai tre condomini costituenti il condominio di piazza Vittorio
Emanuele II n. 138 e se la delibera adottata fosse una decisione
relativa a problemi concernenti cose ancora in comune, ovvero
soltanto la prospettazione della soluzione di essi.
primo caso; dei condomini, nel secondo), la prima delle quali espres samente limita le ipotesi di nullità delle delibere assunte dall'assemblea dei soci ai soli casi dell'«impossibilità» e dell'«illiceità» dell'oggetto.
Sennonché, quanto all'argomento sub a), mette conto osservare che il combinato disposto degli art. 1109 e 1105, 3° comma, c.c. si riferi sce, più che all'ipotesi di omessa convocazione, al caso in cui taluno dei condomini «non sia stato preventivamente informato dell'oggetto della deliberazione» da assumere, assimilabile — come nota F. Petro lati, op. cit. — alla situazione (meno grave) che si verifica quando nel l'avviso di convocazione dell'assemblea manca l'indicazione dell'or dine del giorno.
Quanto, invece, all'argomento sub b), va dato conto che l'orienta mento prevalente distingue tra mancata convocazione di alcuni soltanto dei soci e «mancata convocazione dei soci» (ovvero mancata convoca zione dell'assemblea) non seguita da assemblea totalitaria, ritenendo che. mentre in quest'ultimo caso ricorra un'ipotesi di nullità radicale (rectius, inesistenza) della deliberazione assembleare (v. Cass. 24 gen naio 1995, n. 835, id., Rep. 1995, voce Società, n. 576; 3 luglio 1989, Biraghi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 416; 15 marzo 1986, n. 1768, id., Rep. 1986, voce cit., n. 376, e Società, 1986, 850, nella cui massima inesattamente si parla anche d'inesistenza della delibera per «.. . irre
golare convocazione dei soci»; 1° aprile 1982, n. 2009, Foro ir., 1982, I, 1276, nella cui motivazione si precisa che, in caso di vizi riguardanti la convocazione dell'assemblea dei soci, «l'inesistenza può configurar si quando manca del tutto una convocazione ovvero quando un atto di
apparente convocazione non sia neppure astrattamente riconducibile allo schema della fattispecie prevista»), la prima situazione ricada sotto la comminatoria della semplice annullabilità, ai sensi dell'art. 2377 c.c. (v. Trib. Torino 29 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 451, e, per esteso, Società, 1990, 339, con nota di L. Rovelli; difformemente, nel senso della nullità, v., tuttavia, Trib. Milano 24 gennaio 1991, Foro
it., Rep. 1991, voce cit., n. 418). Sulla tassatività dei casi di nullità contemplati dall'art. 2379 c.c., v., d'altra parte. Cass. 9 aprile 1999, n. 3457, id., 1999,1, 2248; nonché, da ultimo, Cass. 15 novembre 2000, n. 14799. id., 2001, I, 487, che sottolinea come in tema di delibere socie tarie la violazione della norma di legge, anche di carattere imperativo, comporta la semplice annullabilità, e non la nullità, in deroga ai princi pi di diritto comune.
Il «nuovo» indirizzo della corte trova comunque conferma, in termini
più generali, nella successiva sentenza 2 ottobre 2000, n. 13013, id., Rep. 2000, voce Comunione e condominio, n. 187 (e, per esteso. Arch, locazioni, 2001, 234), dove si afferma che le delibere dell'assemblea condominiale, analogamente a quelle societarie, «sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella
competenza dell'assemblea, o se incidono su diritti individuali inviola bili per legge; sono invece annullabili, nei termini previsti dall'art. 1137 c.c., le altre delibere contrarie alla legge o al regolamento di con dominio, tra cui quelle che non rispettano le norme sul procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono
qualificate maggioranze per formare la volontà dell'organo collegiale, in relazione all'oggetto della delibera da approvare».
Circa la forma dell'atto d'impugnazione ex art. 1137 c.c., nel senso che questa va proposta con ricorso, e non con atto di citazione, v. Cass. 9 luglio 1997, n. 6205, Foro it., 1998, I, 178. con nota di richiami di D. Piombo e nota di A. Celeste. Quanto, invece, alla legittimazione ad im
pugnare le delibere condominiali annullabili, nel senso che essa spetta non soltanto ai condomini assenti o dissenzienti, ma anche a quelli astenutisi dal voto, v. Cass. 9 gennaio 1999, n. 129, id., 2000, I, 2006, con nota di richiami e nota di E. Bucciante, Recenti orientamenti della
giurisprudenza di legittimità su alcuni profili processuali delle impu gnazioni delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini. [D. Piombo]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto. La corte romana ha motivato l'accoglimento dell'appello del
condominio ed il conseguente rigetto della domanda proposta in
prime cure dalla Filaci sul rilievo che non avendo quest'ultima, la quale peraltro non aveva mosso contro la decisione di primo
grado alcuna censura di merito, prodotto il verbale della riunio
ne, esso giudice del gravame di merito non era in grado di sta
bilire se si fosse tenuta una vera e propria assemblea dei parte
cipanti ai tre condomini costituenti il condominio di piazza Vittorio Emanuele II n. 138, se fosse stata presa una decisione
relativa a problemi concernenti cose ancora in comune, ovvero
se ne fosse stata soltanto prospettata la soluzione e se la deci
sione stessa avesse leso in qualche misura il diritto dell'attuale
ricorrente, sì da far ritenere realizzata la condizione dell'interes
se ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., non essendo sufficiente a tal
fine, ad avviso di quel giudice, la mera affermazione dell'ille
gittimità formale della deliberazione impugnata. In sostanza la corte territoriale, conformemente a Cass.
1600/88 (Foro it., Rep. 1988, voce Comunione e condominio, n.
150), ha inquadrato il mancato assolvimento da parte della Fila
ci dell'onere probatorio sulla stessa incombente, quale attrice
nel giudizio d'impugnazione di una delibera assembleare, di
produzione in giudizio del verbale oggetto d'impugnazione, nell'ottica della necessità di un adeguato esame del suo conte
nuto sul presupposto che per la sussistenza dell'interesse ad agi re in giudizio per l'impugnazione di consimili delibere non fos
se sufficiente affermare genericamente l'illegittimità formale
del provvedimento, ma occorresse anche allegare l'esistenza di
una concreta lesione di un diritto dallo stesso cagionata. Osserva a tal proposito il collegio che la deliberazione del
l'assemblea dei condomini è un atto collettivo — cioè il risul
tato del concorso di più volontà espresso da ciascuno dei parte
cipanti e la cui somma rappresenta la maggioranza semplice o
qualificata (a seconda delle materie che ne costituiscono l'og
getto) delle quote di comproprietà rispetto al totale — conclusi
vo di un procedimento di formazione svolto con l'osservanza di
alcune regole fissate dalla legge o insite nella natura stessa del
l'atto.
Una di queste regole, non prevista espressamente dalla legge, ma derivante da un principio generale secondo cui la volontà di
ciascun partecipante confluente nell'atto collettivo deve essere
liberamente manifestata, è che tale libera manifestazione deve
essere possibile non solo nell'espressione conclusiva (voto di
assenso o dì dissenso) ma anche nelle premesse. In sostanza il condomino ha il diritto di rendere noto agli altri
partecipanti le ragioni per cui ritiene di approvare o rifiutare la
proposta di delibera contenuta nell'ordine del giorno. Ove l'esercizio di tale potere sia impedito o menomato, a ca
gione ad esempio della mancata o intempestiva comunicazione
al condomino della data fissata per l'assemblea, è configurabile una delle ipotesi di contrarietà alla legge, prevista dal 1° comma
dell'art. 1137 c.c., comportante annullamento della delibera, a
prescindere dal suo contenuto decisionale o meramente prepa ratorio, o programmatico (v. Cass. 5084/93, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 243). Benché, quindi, contrariamente all'assunto della corte territo
riale, tale che ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c. ne va cor
retta la motivazione, l'azione di annullamento della delibera non
fosse subordinata all'allegazione e alla prova di uno specifico interesse, diverso da quello rappresentato dalla rimozione del
l'atto deliberato in conseguenza della violazione di legge deri
vante dal denunciato mancato invito della condomina al
la riunione (l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. come condizione dell'azione di annullamento era costituito pro
prio dall'accertamento dei vizi formali dell'atto — v. Cass.
2912/97, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 212 — e ciò conforme
mente ad un orientamento giurisprudenziale per il quale, allor
quando si tratta di rimuovere una situazione determinata con
atto annullabile, quando cioè si tende ad una pronuncia costitu
tiva di annullamento, basta l'allegata esistenza del vizio a de
terminare l'interesse, costituendo le diverse conseguenze prati
che, se chieste nello stesso giudizio, un plus rispetto alla do
manda di annullamento — v. Cass., sez. un., 16 giugno 1955, n.
1831, id., Rep. 1955, voce Procedimento in materia civile, n.
77), è evidente però che, nel caso di specie, pur non interessan
do, ai fini della verifica della sussistenza dell'interesse ad agire, il contenuto della delibera impugnata, quanto la sua esistenza in
rerum natura, era proprio di tale esistenza che la Filaci, come
sarebbe stato suo onere, non aveva fornito la prova non risul
II Foro Italiano — 2001.
tando che essa abbia mai prodotto il verbale della riunione in di
scorso, come rilevato dalla qui gravata sentenza senza che sul
punto la stessa Filaci abbia in ricorso mosso contestazione alcu
na limitandosi, nel vano tentativo di sopperire a tale mancanza
di prova, ad estrapolare frasi delle difese del condominio avver
sario che a tale riunione aveva fatto riferimento.
Ne consegue che correttamente il giudice d'appello ha san
zionato la mancata produzione del relativo verbale con il rigetto della domanda di annullamento avanzata dall'attuale ricorrente
in prime cure.
Alla stregua delle svolte considerazioni, il proposto ricorso va
respinto nella sua integralità.
II
Svolgimento del processo. — Con citazione 3 agosto 1993,
Mistica Buffoni convenne, davanti al Tribunale di Milano, il
condominio di via Plinio n. 39, Milano, in persona dell'ammini
stratore in carica, e i condomini Guia Abbrescia, Gianfranco
Brognara, Giuliano Caldiroli, Carmela Cella, Vittorio De Bari, Raffaele Dilillo, Fausto Provasi e Nunzio Stringaro. Domandò
la pronunzia d'invalidità della delibera approvata dall'assem
blea il 30 giugno 1993, con la quale erano stati modificati i
millesimi dell'appartamento Abbrescia, e l'accertamento del
l'illegittimità delle avvenute variazioni d'uso dei sottotetti, l'i
nibizione di tale diverso uso e dell'eventuale allacciamento di
questi locali all'impianto centralizzato di riscaldamento.
Si costituì il condominio ed i condomini Abbrescia, Caldiroli, Cella, De Bari e Provasi e chiesero il rigetto delle avverse prete se.
Con sentenza 15 giugno 1995, n. 10311, il Tribunale di Mila
no respinse la domanda.
Pronunziando sull'impugnazione proposta da Mistica Buffo
ni, in contraddittorio con il condominio, la Corte d'appello di
Milano respinse il gravame, confermò integralmente la sentenza
appellata e condannò l'appellante alla rifusione delle spese. Si legge nella sentenza che non potevano trovare accogli
mento le doglianze della Buffoni, secondo le quali il suo inte
resse ad impugnare derivava dal duplice fatto che la diminuzio
ne dei millesimi le attribuiva un minor peso nelle future delibe
razioni assembleari e che il suo appartamento, in seguito alla
trasformazione del sottotetto, non si trovava più all'ultimo pia no e, perciò, aveva perduto valore. Per la verità, le nuove tabelle
diminuivano le spese di gestione, ma non toccavano quelle rela
tive alla proprietà, che regolavano la partecipazione all'assem
blea. L'asserita diminuzione di valore dell'appartamento deri
vava dal mutato uso dei sottotetti, contemplato da una parte della sentenza nei cui confronti l'appellante aveva prestato ac
quiescenza. La circostanza che il mutamento delle tabelle mille
simali contrattuali debba essere approvato con il consenso di
tutti i condomini non escludeva la carenza dell'interesse ad agi re della Buffoni, in quanto nella specie non sussisteva alcuna le
sione della sua posizione soggettiva di condomino e, allo stesso
tempo, nel nostro ordinamento non sono ammesse declaratorie
astratte dei principi giuridici. Ricorre per cassazione Mistica Buffoni; resiste con controri
corso il condominio.
Motivi della decisione. — 1. - A fondamento del ricorso la ri
corrente deduce:
1.1.- Omessa e contraddittoria motivazione circa il punto de
cisivo della controversia relativo all'interesse ad agire della sig. Buffoni: art. 360, n. 5, c.p.c.
Dalla sentenza emerge con chiarezza la nullità della delibera
di modifica delle tabelle millesimali: nullità, che poteva farsi
valere al di fuori dei termini di cui all'art. 1137 c.c. Nondimeno, la corte d'appello ha negato la legittimazione a far valere la
nullità per difetto di interesse. La motivazione è contraddittoria,
perché sarebbe del tutto priva di valore la sanzione della nullità
se non venisse riconosciuta la legittimazione in capo al condo
mino dissenziente a farla valere. D'altra parte, seguendo il ra
gionamento della corte, non tutte le delibere di mutamento dei
millesimi affette da nullità sarebbero impugnabili, ma solo
quelle che li aumentano e non quelle che li diminuiscono.
1.2. - Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 1421 c.c. e all'art. 100 c.p.c.: art. 360, n. 3,
c.p.c. Poiché la nullità può esser fatta valere da chiunque abbia inte
resse o d'ufficio dal giudice, una volta accertata la nullità della
delibera, questa doveva essere pronunziata d'ufficio dal giudice
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PARTE PRIMA 3232
indipendentemente dalla sussistenza dell'interesse ad agire in
capo alla Buffoni.
1.3. - Omessa e contraddittoria motivazione circa l'interesse
concreto ad agire della sig. Buffoni: art. 360, n. 5, c.p.c. L'interesse consiste nel rispetto delle norme che, all'interno
del condominio, regolano la formazione delle delibere: la dispo sizione che prescrive l'unanimità dei consensi tutela la posizio ne del singolo e tale tutela deve trovare riscontro nel processo. L'interesse consiste nella diminuzione della quota in assemblea
e, soprattutto, nel non riconoscere il mutamento della destina
zione dei sottotetti. Con riferimento all'interesse ad agire non
rileva la mancata impugnazione di una parte della sentenza.
1.4. - È illogica la condanna alle spese processuali, posto che
il giudice del merito di primo e di secondo grado hanno ricono
sciuto che la delibera impugnata era radicalmente nulla.
2. - Per risolvere la questione più importante, che la ricorrente
propone alla Suprema corte — vale a dire, la sussistenza del
l'interesse della ricorrente ad impugnare la delibera assembleare — conviene premettere che risulta fissata formalmente, in virtù
della cosa giudicata, la legittimità del mutamento d'uso dei lo
cali sottotetto, approvato dall'assemblea con la stessa delibera
30 giugno 1993. È del tutto incontroverso, infatti, non essere
stata impugnata la decisione del tribunale, che ebbe ad afferma
re la legittimità del mutamento d'uso dei locali del sottotetto, alla stregua del vigente regolamento di condominio. La presente controversia, pertanto, resta circoscritta alla sussistenza o no
dell'interesse, in capo alla ricorrente Mistica Buffoni, a impu
gnare l'altra parte della delibera, da cui sono state modificate le
tabelle millesimali di gestione, ma da cui non sono stati immu
tati i millesimi relativi alla proprietà (sulla base dei quali si cal
cola, oltre il contributo alle spese, anche la «misura» della par
tecipazione di ciascun condomino all'assemblea): interesse, da
valutarsi in concreto, alla stregua della situazione processuale delineata sopra.
Premesso ciò, il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità in ogni stato e grado deve essere coordinato con il prin
cipio della domanda, fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c., secondo
cui quando si controverte intorno all'applicazione o all'esecu
zione di un atto, la cui validità rappresenta un elemento costitu
tivo della domanda, il giudice può e deve rilevarne l'eventuale
nullità in qualsiasi stato e grado del giudizio (indipendente mente dall'attività assertiva delle parti): ciò significa che il giu dice può rilevare d'ufficio la nullità se la stessa appare rilevante
ai fini dell'accoglimento della domanda. Segue che se alla do
manda la parte non ha interesse, non ha senso che il giudice ri
levi la nullità dell'atto posto a fondamento della domanda me
desima.
Orbene, la valutazione dell'esistenza di un interesse in con
creto ad impugnare il capo della delibera assembleare di modifi
ca delle tabelle millesimali da parte della ricorrente Buffoni —
ferma restando, in virtù del giudicato, la parte della delibera
concernente la legittimità della modifica della destinazione d'u
so dei locali sottotetto — si sottrae al sindacato di legittimità. Occorre distinguere, invero, due differenti profili dell'interes
se ad impugnare una delibera condominiale: l'interesse in
astratto e l'interesse in concreto. L'interesse in astratto riguarda
qualsiasi posizione di vantaggio, che ipoteticamente può prefi
gurarsi esistente tra il soggetto e l'impugnazione della delibera,
per porre rimedio ad un'asserita situazione antigiuridica; l'inte
resse in concreto, invece, concerne la posizione di vantaggio ef
fettivo, che dalla pronunzia può derivare. Notoriamente l'inte
resse a proporre l'impugnazione davanti all'autorità giudiziaria deve essere concreto ed attuale, non solo teorico e generico,
poiché al giudice non è consentito risolvere questioni puramente astratte ed accademiche, che non siano attinenti ad una posizio ne effettiva di vantaggio per il soggetto che la fa valere. Per
tanto, la sussistenza dell'interesse in astratto può raffigurare una
questione di diritto; la sussistenza dell'interesse in concreto
configura, invece, una questione di merito.
Appurato che, nel caso di specie, la nullità non doveva essere
rilevata d'ufficio, la valutazione della sussistenza in concreto
dell'interesse compiuta dal giudice del merito si sottrae alle
censure, essendo motivata in modo logicamente corretto e suffi
ciente. La delibera 30 giugno 1993 venne assunta dall'assem
blea dei condomini ex art. 69, n. 2, disp. att. c.c., essendo rima
sto notevolmente alterato il rapporto originario dei valori pro
porzionali dei piani, in seguito alle mutate condizioni di una
parte dell'edificio, come conseguenza delle innovazioni di vasta
Il Foro Italiano — 2001.
portata consistenti nel mutamento della destinazione degli im
mobili sottotetto: peraltro, dalla modifica delle tabelle millesi
mali di gestione alla ricorrente non derivava pregiudizio alcuno.
3. - La decisione intorno alla questione della carenza dell'in
teresse in concreto comporta l'assorbimento di tutti gli altri
motivi, compreso l'ultimo riguardante le spese.
Ili
Svolgimento del processo. — Il Conciliatore di Crotone, con
decreto 21 ottobre 1994, ingiunse a Giuseppe Gerace di pagare, in favore del condominio del palazzo Riganello e Bianchi sito in
Crotone, la somma di lire 374.000, oltre gli interessi legali dalla
domanda al saldo e le spese, a titolo di pagamento di una rata
condominiale scaduta e non pagata. Con citazione 15 novembre 1994, Giuseppe Gerace propose
opposizione per conseguire la revoca del decreto, con vittoria di
spese. Dedusse l'invalidità della delibera condominiale in data
18 maggio 1994, posta a fondamento del decreto, per difetto del
quorum richiesto per la validità della costituzione dell'assem
blea, nonché per l'irregolare procedimento di convocazione in
conseguenza del conferimento di deleghe all'amministratore,
vietato dal regolamento di condominio.
Istruita la causa, con sentenza 25 marzo 1997 il conciliatore
revocò il decreto ingiuntivo, dichiarò estinto il credito e con
dannò il condominio nelle spese. Contro la sentenza, notificata il 12 aprile 1997, ricorre per
cassazione il condominio in persona del legale rappresentante; non svolge attività difensiva l'intimato Giuseppe Gerace.
Motivi della decisione. — 1. - A fondamento del ricorso, il ri
corrente condominio deduce:
1.1. - Violazione degli art. 1137, 2727, 2729 c.c., 118 disp. att. c.p.c., 132, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,
stesso codice.
Il conciliatore ha omesso di pronunziare sull'eccezione di
mancata impugnazione della delibera in termini. II verbale del
l'assemblea straordinaria 18 maggio 1994 era stato regolar mente notificato sotto forma di piego postale raccomandato in
data 26 maggio 1994 (e restituito per compiuta giacenza). In tal
modo, il giudice ha omesso di esaminare una questione decisiva, in quanto la mancata impugnazione della delibera nel termine di
trenta giorni dalla comunicazione comportava la decadenza del
relativo potere. 1.2. - Violazione degli art. 1137, 3° comma, e 1138, 1° com
ma, c.c., con riferimento alle norme del regolamento condomi
niale, 67 e 72 disp. att. c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Il regolamento di condominio stabilisce che ogni condomino
non può essere portatore di più di tre deleghe. Il sig. Annibale
Sisia, amministratore all'epoca, era anche condomino e in que sta veste poteva essere portatore almeno di tre deleghe. Ciò con
sentiva di superare il vizio di costituzione dell'assemblea.
2. - Il ricorso deve essere accolto.
2.1. - Per la verità, talora la giurisprudenza afferma che la
mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'as
semblea condominiale anche ad un solo dei condomini com
porta la nullità radicale della delibera e non l'annullabilità
(Cass. 12 giugno 1997. n. 5267, Foro it., Rep. 1997, voce Co
munione e condominio, n. 206; 12 febbraio 1993, n. 1780, id.,
Rep. 1993, voce cit., n. 245; 27 giugno 1992, n. 8074, ibid., n.
221). A fondamento adduce essenzialmente la lettera dell'art.
1136. 6° comma, c.c., secondo cui l'assemblea non può delibe
rare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla
riunione: donde l'inferenza che, in difetto di comunicazione a
tutti i condomini, viene a mancare lo stesso potere dell'assem
blea.
Il dato, che induce a dubitare della validità della soluzione
giurisprudenziale, è raffigurato dal combinato disposto degli art.
1105, 3° comma, e 1109 c.c.
In tema di comunione, l'art. 1105, 3° comma, c.c. prevede che, per la validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devo
no essere stati preventivamente informati dell'oggetto della de
libera. L'art. 1109 c.c. contempla, nel caso in cui non sia stata
osservata la disposizione del 3° comma dell'art. 1105 cit., il
potere di ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente di
impugnare le deliberazioni nel termine di decadenza di trenta
giorni. La statuizione del termine di decadenza esclude che, in
tema di comunione, il difetto d'informazione configuri una cau
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sa di nullità. È ragionevole dubitare che l'art. 1136, 6° comma,
c.c., in tema di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e
usando la stessa formula, alla mancata convocazione di un con
domino abbia ricollegato conseguenze diverse e ben più gravi. 2.2. - D'altra parte, l'orientamento riferito contrasta con i
principi, che la stessa giurisprudenza pone a fondamento della
distinzione tra la nullità e l'annullabilità delle delibere.
Sono nulle — afferma — le deliberazioni dell'assemblea dei
condomini, che sono prive degli elementi essenziali, ovvero
hanno un oggetto impossibile o illecito o esorbitante dalle attri
buzioni dell'assemblea, in quanto provvedono su materie ri
spetto alle quali non è riconosciuto potere deliberativo all'orga no collegiale, oppure riguardano innovazioni lesive dei diritti di
ciascun condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di
proprietà esclusiva. Sono soltanto annullabili, invece, le delibe
re affette da vizi formali, cioè prese in violazione di prescrizioni
legali, convenzionali o regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o d'informazione dell'assemblea. Tra le altre
pronunce: Cass. 21 febbraio 1995, n. 1890, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 207; 5 agosto 1988, n. 4851, id., Rep. 1989, voce cit., n.
188; 10 giugno 1981, n. 3775, id., Rep. 1982, voce cit., n. 116; 9 aprile 1980, n. 2288, id., Rep. 1980, voce cit., n. 138. Per i precedenti più remoti, Cass. 16 aprile 1973, n. 1079, id., 1973,
I, 3082; 11 giugno 1968, n. 1853, id.. Rep. 1968, voce cit., n. 163; 3 agosto 1966, n. 2155, id., 1967,1, 58.
2.3. - La distinzione riproduce, in linea di massima, l'orien
tamento della dottrina che, con riferimento al negozio ed alle
delibere societarie, considera nullo l'atto quando è assente o è
del tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configura zione richiesta dalla legge; pertanto, a causa dell'assenza o del
l'assoluta carenza di un elemento essenziale, l'atto si considera
inidoneo a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto
ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economi
co-sociale che è la sua caratteristica; per contro, ritiene annulla
bile l'atto in presenza di deficienze considerate meno gravi, se
condo la valutazione degli interessi da tutelare fatta dalla legge. Annullabile, quindi, è l'atto in cui un elemento essenziale sia
viziato: l'atto che, pur non mancando degli elementi essenziali
del tipo e dando vita precaria alla nuova situazione giuridica che
il diritto ricollega al tipo legale, può essere rimosso.
2.4. - Allo stesso modo di quanto espressamente stabilito per le deliberazioni assembleari delle società di capitali dall'art.
2379 c.c., anche per le delibere dell'assemblea dei condomini
devono ritenersi rigorosamente circoscritte le cause di nullità
che non sono contemplate dall'art. 1137, 2° e 3° comma, c.c., il
quale, fissando un termine di decadenza per l'impugnazione, evidentemente disciplina le sole ipotesi di annullabilità. Per le
delibere condominiali, valgono le medesime esigenze di certez
za dei rapporti, in ragione delle quali la stabilità delle delibere
societarie viene assicurata con la limitazione della nullità alle
due sole ipotesi dell'impossibilità e dell'illiceità dell'oggetto
(art. 2379 c.c.). In considerazione della stessa ratio, anche in
materia di condominio negli edifici non appaiono ammissibili
cause di nullità diverse dall'impossibilità giuridica e dall'illi ceità dell'oggetto.
Invero, la limitazione delle cause di nullità ai vizi dell'og getto— consistenti nell'inidoneità delle delibere a regolare gli interessi contemplati, in astratto o secondo l'assetto predisposto in concreto, ovvero nella violazione di norme imperative o nella
lesione dei diritti soggettivi dei singoli condomini — si spiega no con i confini, fissati in materia di condominio negli edifici, al
metodo collegiale ed al principio di maggioranza. Tanto l'im
possibilità giuridica, quanto l'illiceità dell'oggetto derivano dal
difetto di attribuzioni in capo all'assemblea, considerato che la
prima consiste nell'inidoneità degli interessi contemplati ad es
sere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a
ricevere dalle delibere l'assetto stabilito in concreto, e che la se
conda si identifica con la violazione delle norme imperative, alle quali l'assemblea non può derogare, ovvero con la lesione
dei diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Se gli interessi, dei quali l'assemblea decide, non sono idonei
ad essere disciplinati con il metodo collegiale e con il principio di maggioranza, o non è ammesso l'assetto conferito agli inte
ressi in concreto, ovvero se vengono violate norme imperative,
oppure sono lesi gli interessi tutelati con l'attribuzione di diritti,
il vizio inerente all'oggetto riveste una gravità tale, per cui
l'atto non produce effetti, non è suscettibile di sanatoria per la
Il Foro Italiano — 2001.
mancanza di impugnazione nel termine di cui all'art. 1137, 3°
comma, da parte dei condomini dissenzienti o assenti e, per contro, può essere sempre impugnato da chiunque abbia interes
se (arg. ex art. 2379 e 1422 c.c.). 2.5. - La formula dell'art. 1137 c.c. deve interpretarsi nel sen
so che per «deliberazioni contrarie alla legge» s'intendono le
delibere assunte dall'assemblea senza l'osservanza delle forme
prestabilite dall'art. 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attri
buzioni specificate dagli art. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.). Mentre le cause di nullità afferenti all'oggetto raffigurano le
uniche cause d'invalidità riconducibili alla «sostanza» degli atti, alle quali l'ordinamento riconosce rilevanza, sono inficiate da
un vizio di forma le deliberazioni quando l'assemblea decide
senza l'osservanza delle forme procedimentali stabilite dalla
legge per assicurare la partecipazione di tutti i condomini alla
formazione della volontà collettiva per gestire le cose comuni.
Perciò, se gli stessi condomini ritengono che dal provvedimento
approvato senza l'osservanza delle forme prescritte non derivi
loro un danno, manca il loro interesse a chiedere l'annullamen
to. Il difetto d'impugnazione nei termini viene considerato come
acquiescenza ad eseguire la delibera.
Dalla disciplina riguardante i soggetti legittimati ad impugna re, il termine e le conseguenze dell'omessa impugnazione si ar
gomenta che la contrarietà alla legge ed al regolamento di con
dominio, contemplata dall'art. 1137, 2° e 3° comma, c.c., ri
guarda soltanto i vizi meno gravi sanzionati con l'annullabilità.
Le delibere affette da questi vizi, se non vengono impugnate dai
condomini dissenzienti ed assenti entro trenta giorni, restano
valide ed efficaci nei confronti di tutti in via definitiva.
Il precetto dell'art. 1137 cit. corrisponde al disposto dell'art.
2377 c.c., dettato in tema di società di capitali, che dell'annul
lamento fa menzione esplicita. Anche nel condominio negli edi
fici, la difformità delle delibere dalla legge o dal regolamento
per quanto attiene al procedimento di formazione produce un
vizio non grave che, se non viene fatto valere dai condomini
dissenzienti o assenti entro il termine prescritto, non inficia gli atti, i quali restano in vita e continuano a produrre gli effetti.
Del resto, la giurisprudenza considera come cause di annulla
bilità, in quanto configurano vizi afferenti al procedimento, la
mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente (Cass. 29 ottobre 1973, n. 2812, id., Rep. 1973, voce cit., n. 115); l'ir regolarità del procedimento di convocazione o di informazione
dei condomini (Cass. 21 settembre 1977, n. 4035, id., Rep.
1977, voce cit., n. 131; 29 gennaio 1974, n. 237, id., 1974, I, 1718); l'incompletezza dell'ordine del giorno (Cass. 23 maggio 1992, n. 6212, id., Rep. 1992, voce cit., n. 216; 9 luglio 1980, n. 4377, id., Rep. 1980, voce cit., n. 142); la partecipazione all'as
semblea di un condomino munito di un numero di deleghe supe riore a quello consentito dal regolamento di condominio (Cass. 12 dicembre 1986, n. 7402, id., Rep. 1987, voce cit., n. 154).
2.6. - Riepilogando, considerato che configurano cause di
nullità non soggette al termine per l'impugnazione soltanto i vi
zi gravi, concernenti l'impossibilità giuridica o l'illiceità del
l'oggetto; che «la contrarietà alla legge o al regolamento di
condominio», di cui all'art. 1137 cit., si riconduce alla violazio
ne di tutte le norme procedimentali; che la mancata convocazio
ne di taluno dei condomini concreta un vizio non grave concer
nente il procedimento di formazione della volontà collettiva;
che al condomino interessato è comunque concessa la tutela
consistente nel potere di impugnare la delibera: tutto ciò valu
tato, appare coerente al sistema considerare la mancata convo
cazione di taluno dei condomini come causa di annullabilità, che deve esser fatta valere nel termine di decadenza di trenta
giorni. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento
degli altri. La Suprema corte, accolto il primo motivo e dichiarati assor
biti gli altri, deve cassare la sentenza impugnata e rinviare la
causa al Giudice di pace di Crotone, il quale giudicherà anche
sulle spese del giudizio di legittimità attenendosi al seguente
principio di diritto: la mancata comunicazione dell'avviso di
convocazione dell'assemblea condominiale anche ad uno solo
dei condomini, in quanto vizio del procedimento collegiale,
comporta non la nullità, ma l'annullabilità della delibera che, se
non viene impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comuni
cazione per i condomini assenti e dall'approvazione per quelli
dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i parteci
panti al condominio.
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