Sezione II civile; sentenza 28 febbraio 1964, n. 440; Pres. Flore P., Est. Pratillo, P. M. Pedote(concl. parz. diff.); Baldassarre (Avv. Giorgianni, Randazzo) c. Banca del sud (Avv. Moschella,Pollicino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 5 (1964), pp. 979/980-983/984Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155078 .
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PARTE PRIMA
vede, per i dipendenti dell'I.n.g.i.c., già iscritti alla cassa
di previdenza, la continuazione obbligatoria dell'iscri
zione, sarebbe stato derogato dalla clausola del successivo
contratto collettivo 30 ottobre 1953 per i dipendenti delle
imprese appaltatrici delle imposte di consumo, che sta
bilisce la iscrizione di tali dipendenti al fondo speciale
presso l'I.n.p.s. L'assunto non lia giuridico fondamento, in quanto si
tratta di una norma legislativa a carattere imperativo e non
dispositivo, che come tale non può essere derogata da un
contratto collettivo, onde la citata clausola deve ritenersi
applicabile unicamente nei confronti dei dipendenti di altre
imprese appaltatrici diverse dall'I.n.g.i.c., o di coloro che,
sebbene dipendenti di tale ente, non si trovino nelle con
dizioni per la continuazione obbligatoria dell'iscrizione.
Non meno infondata è la prima censura del terzo mo
tivo, con cui si sostiene che il citato art. 37 della legge n. 610 del 1952 sarebbe praticamente inapplicabile, data la
diversità della regolamentazione delle retribuzioni dei di
pendenti dell'I.n.g.i.c. da onella dei dipendenti degli enti
locali.
Invero, a parte il rilievo che il ricorrente non ha menoma
mente indicato in maniera specifica il motivo per il quale la diversa regolamentazione delle retribuzioni dovrebbe
importare l'anzidetta impossibilità di applicazione, si os
serva che già prima della citata legge n. 610 del 1952, altra norma di molto anteriore, e precisamente il 3° comma
dell'art. 1 del r. decreto 3 marzo 1938 n. 680, prevedeva per i dipendenti degli enti locali, passati alle dipendenze di un
privato esercente un pubblico servizio, l'analoga possibilità di continuare l'iscrizione alla cassa, senza che mai la di
versa regolamentazione delle retribuzioni ne abbia impedito la pratica attuazione. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 28 febbraio 1964, n. 440 ; Pres.
Flore P., Est. Pkatillo, P. M. Pedote (conci, parz.
diff.) ; Baldassarre (Avv. Giorgianni, Kandazzo) c.
Banca del sud (Avv. Moschella, Pollicino).
(Cassa App. Catania 8 agosto 1961)
Lavoro (rapporto) — Limite d'età pel collocamento a
riposo — Contratto a tempo indetcrminato con
clausola di stabilità — Conseguenze — Malattia
insorta prima del raggiungimento del limite d'età — Periodo di comporto — Recesso « ad nutum » — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2097, 2110, 2118,
2119, 2120; legge 6 luglio 1939 n. 1272, conversione
in legge, eon modificazioni, del r. d. 1. 14 aprile 1939 n. 636, sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e vecchiaia, art. 9 ; legge 4 aprile 1952 n. 218 riordina
mento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, art. 2).
Il contratto di lavoro nel quale è previsto che il dipendente non può essere collocato a riposo prima del raggiungi mento di una determinata età, ove sia interpretato nel
senso che il limite non segni la durata massima del rap porto, è da qualificare come contratto a tempo indetermi
nato con garanzia di stabilità per il lavoratore, onde il
rapporto continua, superato lo stesso limite, fin quando esso non venga risolto ; di conseguenza, lo stato di malattia, insorto prima del raggiungimento del limite d'età,paralizza la facoltà di recesso ad nutum del datore di lavoro per tutto il periodo di comporto previsto nel contratto collettivo
per detta causa sospensiva. (1)
(1) Nel senso che la clausola di stabilità inerisce logicamente ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato, v. App. Trieste 4 dicembre 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Lavoro (rapp.), n. 542,
La Corte, ecc. — (Omissis). Con. il secondo mezzo si
denuncia la violazione degli art. 2097 segg., 2110, 2118
cod. civ., in rapporto all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e
all'art. 43 (lett. b, g) del contratto collettivo di lavoro 7
dicembre 1956, reso efficace erga omnes con decreto pres. n. 501 del 2 gennaio 1962, e si afferma clie la sentenza
impugnata non avrebbe tenuto conto della sostanziale
diversità intercorrente tra un contratto di lavoro a tempo determinato, collegato al raggiungimento di un limite mas
simo di età, ed un contratto a tempo indeterminato in cui
il raggiungimento di un limite minimo di età faccia sorgere nel datore di lavoro la facoltà di recesso. Da questa errata
impostazione di diritto sarebbe derivata la violazione del
l'art. 2110, 2° comma, cod. civ. in relazione all'art. 24 del
suddetto contratto collettivo.
Con il terzo mezzo si lamenta, in rapporto all'art. 360, un. 3, 5, cod. proc. civ., la violazione degli art. 24, 43, 51
del contratto collettivo (efficace) erga omnes del 7 dicembre
1956 e si sostiene che la corte del merito se avesse preso in
esame, come era stato ad essa chiesto, dette norme, ne
avrebbe dedotto elle il raggiungimento dell'età di 60 anni
per il collocamento a riposo dei funzionari di banca non
costituisce nè un termine nè qualcosa di assimilabile al
termine, dato che il collocamento a riposo non sarebbe
automatico con il raggiungimento del suddetto limite d'età, tanto che la banca è obbligata, in caso di licenziamento
successivo al raggiungimento del 60° anno da parte dell'im
piegato, a concedere un termine di preavviso sia pure in
misura ridotta. Osserva che tutto ciò sarebbe confermato da
espresse dichiarazioni dei rappresentanti delle banche in serite nel contratto di lavoro del 1956, delle quali la corte di appello non si sarebbe comunque occupata.
Con il quarto mezzo si denunzia, in riferimento all'art.
360, nn. 3, 5, cod. proc. civ., la violazione degli art. 1703
segg., 2067 segg., 2097 cod. civ., e si sostiene che se l'art. 43, lett. g, del contratto collettivo su nominato avesse, come si afferma nella sentenza impugnata, disposto il colloca mento a riposo dei funzionari di banca, con un termine elastico decorrente dal raggiungimento del 60° anno d'età dei funzionari stessi, detto contratto collettivo avrebbe mutato il precedente rapporto di lavoro a tempo indeter minato in un rapporto a tempo determinato, ponendo così in « . . . essere una normativa che deve considerarsi estra nea ai poteri delle associazioni sindacali attenendo essa,
543, la quale ritenne illegittima la clausola di un contratto collettivo prevedente la risoluzione di diritto del rapporto di lavoro, per raggiunti limiti di età, in caso di malattia insorta nel dipendente poco prima del raggiungimento di detto limite.
Contra, nel senso che è legittimo il licenziamento di un im piegato per raggiunti limiti d'età, anche se il licenziamento è disposto in periodo di malattia, v. Trib. Palermo 10 luglio 1961, id., Rep. 1961, voce cit., n. 454. Non constano altri precedenti specifici.
La giurisprudenza secondo la quale il contratto di lavoro con clausola di stabilità si atteggia, per il periodo previsto, come contratto a termine e che la Corte ha richiamato nella sentenza qui pubblicata chiarendone l'esatta portata, è citata in nota alla Cass. 23 luglio 1963, n. 2045, id., 1963, I, 1896, con riferi menti dottrinali in tema di clausola di stabilità.
La giurisprudenza è ormai pacifica nel senso che lo stato di malattia insorto nel corso del periodo di preavviso lo sospende ; v., in tal senso, App. Venezia 8 giugno 1959, id., Hep. 1959, voce cit., nn. 471-473 ; Trib. Genova 28 gennaio 1959, ibid., n. 468 ; Trib. Roma 29 luglio 1958, ibid., n. 474 ; Cass. 23 maggio 1958, n. 1755, id., 1959, I, 1736 con nota di richiami, ai quali adde Riccio, in Dir. lav., 1961, I, 335 ; Lavagnini, La sospensione det rapp. di lav., 1961, pag. 101 e segg.
Anche il particolare rapporto dei salariati fissi nell'agricoltura, a favore dei quali la legge prevede una durata minima biennale, è stato qualificato come contratto a tempo indeterminato con sta bilità minima : Cass. 21 gennaio 1956, n. 201, Foro it., 1957, I, 1266, con nota di richiami.
Per la sorte del rapporto nell'ipotesi che il lavoratore, po stosi a disposizione dell'imprenditore dopo aver adempiuto agli obblighi del servizio militare, non possa riprenedere in concreto servizio per malattia sopravvenuta, v. Cass. 28 aprile 1955, n. 1185, id., 1956, I, 1863, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
invece, strettamente all'autonomia delle parti riguardo il contenuto del contratto individuale del lavoro ».
Inoltre, con l'interpretazione data dalla corte del merito all'art. 43, lett. g, del contratto collettivo del 1956, si sa rebbe disposta una deroga all'art. 2110, 2° comma, cod. civ. per il caso con cui il recesso dal rapporto di lavoro av
venga oltre il 60° anno d'età dell'impiegato, mentre l'art. 2110 è norma inderogabile e nei contratti collettivi sarebbe soltanto possibile fissare il termine di « comporto », come è stato fatto, nel caso concreto, dall'art. 4 del contratto col
lettivo, in discussione.
Infine con il quinto mezzo si afferma che la corte del merito avrebbe violato l'art. 2097, 3° comma, cod. civ. in quanto, avendo la banca comunicato il recesso con nota dell'11 marzo 1959 con effetto dal 16 successivo, mentre il Baldassarre aveva compiuto il 60° anno di età il 3 feb braio 1959, il contratto, anche se automaticamente ces sato per il limite di età a tempo indeterminato, dato che, nonostante la sopravvenienza del termine, esso era conti nuato. (Omissis)
Sono da accogliere il secondo, il terzo e il quinto mezzo del ricorso, da esaminare insieme essendo tra loro intima
mente connessi, mentre il quarto rimane assorbito, in quanto la corte del merito, nonostante le premesse, ha erronea mente equiparato la scadenza del periodo di minima du rata di un contratto di lavoro a tempo indeterminato al
termine finale di un contratto ad tempus. Questa Corte ha già avuto occasione (cfr. sent. n. 1012
del 22 aprile 1963, Foro it., Eep. 1963, voce Lavoro (rapp.), n. 550 ; n. 1643 del 20 giugno 1963, ibid., n. 551) di indivi
duare le caratteristiche distintive tra il contratto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato con
clausola che conferisca al rapporto una durata minima ; tuttavia la fattispecie in esame si presta ad ulteriori precisa zioni.
Il contratto di lavoro a tempo determinato, il quale,
già visto con sfavore (art. 2097 cod. civ.), come mezzo
potenzialmente idoneo a eludere norme imperative che nel
contratto a tempo indeterminato garantiscono al lavora
tore particolari diritti, è soggetto, ora, a una disciplina giu ridica più restrittiva dalla legge n. 230 del 18 aprile 196 ', e, secondo il codice civile applicabile alla specie, caratteriz
zato dalla tassativa prefissione (art. 2097, 1° comma, cod.
civ.), in forma scritta ad substantiam, o desunta dalla spe cialità del rapporto, di un termine finale, la cui scadenza
determina automaticamente la risoluzione del contratto, senza bisogno d'una particolare manifestazione di recesso
dell'uno o dell'altro contraente, in quanto il termine finale
opera senz'altro per entrambi. È per la proroga del termine
finale del contratto (consentita dall'art. 2 della legge n. 230
del 1962 per una sola volta e per un tempo non superiore alla durata iniziale) che è necessaria una particolare mani
festazione di volontà (ex art. 2097, 3° comma, cod. civ.) ;
mentre, ove la prestazione di lavoro continui, essa è consi
derata dalla legge come implicita manifestazione di vo
lontà delle parti di mutare il contratto di lavoro da tempo determinato a indeterminato (arg. ex art. 2097, 3° comma, cod. civ., e sin dalla data di prima assunzione del lavora
tore dispone l'art. 2 della nuova legge). Invece la clausola eventualmente apposta in un con
tratto di lavoro a tempo indeterminato, tale di regola è
il contratto di lavoro nel nostro ordinamento giuridico
(art. 2097 cod. civ., art. 1 n. 230 del 1962), con la quale il datore di lavoro garantisce al dipendente la conserva
zione del posto per una durata minima, anche, come nella
fattispecie, attraverso la determinazione dell'età prima della quale il lavoratore non può essere collocato a riposo, si risolve in una clausola di stabilità, sia pure relativa, a
favore del prestatore d'opera, che non trasforma affatto la
natura del contratto di lavoro, il quale è e rimane a tempo indeterminato e non si muta ad tempus, poiché il lavora
tore conserva sempre intatta la sua libertà di recedere, in
ogni momento, dal rapporto, dando il regolare preavviso o
corrispondendo la relativa indennità ; mentre al datore
di lavoro è soltanto imposta una temporanea limitazione
alla normale facoltà di recesso ad nutum, che altrimenti
sarebbe anche a lui consentita perchè propria del contratto di lavoro a tempo indeterminato (art. 2119 cod. civ.), nel senso che non può esercitarla per tutta la durata minima del rapporto da lui contrattualmente garantita al dipen dente.
Ne consegue che, pur decorso il periodo di durata mi
nima del contratto, questo prosegue in virtù della sua
naturale caratteristica di continuare nel tempo, indipen dentemente da una manifestazione di volontà esplicita o
implicita delle parti (la quale è, invece, necessaria per la
la prosecuzione del contratto a termine) essendo il rapporto unico e inscindibile, in quanto l'ultimo giorno di sua mi
nima durata non funziona come un termine finale di esso e,
quindi, da elemento accidentale con automatica efficacia
risolutiva del contratto, ma esclusivamente da termine
finale della clausola di garanzia di durata minima del rap
porto per il lavoratore, che restituisce, questo sì automa
ticamente, al datore di lavoro la piena libertà di recedere
ad nutum dal contratto.
Insomma, la suddetta limitazione temporale alla fa
coltà di recesso imposta al datore, ma non al lavoratore, non altera la fattispecie negoziale in esame che si atteggia,
per ogni effetto, come un contratto a tempo indeterminato, e pertanto, sia alla scadenza del periodo di garanzia di
mantenimento al lavoro del prestatore d'opera, sia in
qualunque momento successivo è soggetta alla relativa
disciplina anche per quanto attiene alle modalità e alle con
seguenze giuridiche del recesso, perchè, salvo il concorso
di una giusta causa ex art. 2119, sussiste sempre per cia
scuna delle parti l'obbligo del preavviso o della correspon sione dell'indennità relativa (art. 2118) ed il lavoratore ha,
inoltre, diritto, ai sensi dell'art. 2120, all'indennità di anzia
nità che va determinata anche tenendo conto del servizio
prestato nel periodo di durata minima del rapporto.
Nè, per sostenere che «... il limite d'età, quale causa
di risoluzione. . . funziona praticamente da termine finale
del contratto. . . e che l'impiegato è ben conscio della sca
denza certa del suo rapporto. . . » vale ai giudici d'appello e alla banca resistente richiamarsi alla giurisprudenza di
questa Corte (es. sent. n. 2645 dell'll novembre 1961, Foro it., Rep. 1961, voce Lavoro (rapp.), n. 445) in cui si
è affermato che un contratto di lavoro a tempo indeter
minato si atteggia, rispetto alla durata minima consen
sualmente pattuita, come un contratto a tempo deter
minato ; poiché quelle decisioni non soltanto non affer
mano punto che, in tal caso, il contratto a tempo indeter
minato è da equiparare, ad ogni effetto, a quello a tempo
determinato, ma anzi pongono in particolare rilievo che il
periodo di durata minima contrattuale funziona soltanto
da limite alla facoltà di recesso ad nutum del datore di
lavoro. Il che significa che l'impiegato non ha motivo al
cuno d'essere certo, come si afferma~nella sentenza im
pugnata, della risoluzione del contratto per il solo soprav venire della scadenza del periodo di durata minima del rap
porto a lui garantita, ma lo sarà se e in quanto il datore
gli notifichi il proprio recesso Diverse sarebbero le conclusioni se nel contratto col
lettivo o in quello individuale il limite di età fosse consi
derato come termine di durata massima del rapporto di
esso, oltre il quale il collocamento a riposo fosse obbligatorio, non essendo consentito al lavoratore di permanere in ser
vizio, come avviene, talvolta, in taluni rapporti di pub blico impiego.
Ma questa ipotesi già secondo la motivazione della
sentenza impugnata non sembra ricorrere nella fattispe cie ; nè tanto meno risulta alla lettura degli art. 43 e 51
del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti di aziende di credito del 7 dicembre 1956, divenuti norme
giuridiche regolanti i rapporti di lavoro relativi, in virtù
del decreto legisl. n. 501 del 2 gennaio 1962, emesso ai
sensi delle leggi n. 741 del 14 luglio 1959 e n. 1027 del 1°
ottobre 1960, e pertanto suscettibile di esame in diritto da
parte di questa Corte, dei quali, con il terzo mezzo del ri
corso, giustamente si lamenta il mancato esame da parte della corte di merito.
Invero l'art. 43 del suddetto contratto collettivo di
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983 PARTE PRIMA 984
spone che la cessazione del rapporto può avvenire. . . lett. g) per aver l'impiegato raggiunto il limite d'età di anni 60 (indirettamente stabilito attraverso l'art. 2 della
legge n. 218 del 4 aprile 1952 che ha modificato l'art. 9 della legge n. 1272 del 6 luglio 1939 ; e l'art. 51 che in caso di risoluzione del rapporto di lavoro a sensi dell'art. 43, lett. g) al funzionario spetta, oltre al trattamento previsto all'art. 54 (una indennità pari a una mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di servizio prestato), anche il
preavviso o, in difetto, la corrispondente indennità. Dal che si desume agevolmente che il limite di 60 anni d'età costituisce, per il funzionario che lo abbia raggiunto, soltanto termine finale della stabilità del rapporto a lui
garantita, e non del rapporto stesso. Se dubbio sussistesse, verrebbe eliminato dalla postilla apposta al contratto collettivo citato della quale anche il ricorrente lamenta l'omesso esame da parte della Corte catanese, nella quale testualmente si precisa che «... dalla introduzione della formula in parola (quella dell'art. 43, lett. g) non deriva alcuna norma per un automatico provvedimento di risolu zione del rapporto di lavoro all'atto stesso del compimento, da parte del funzionario, dell'età indicata nel citato art. 2 della legge n. 218 del 4 aprile 1952 ».
Ciò posto, l'art. 24 del contratto collettivo di lavoro del 7 dicembre 1956 stabilisce, in relazione all'art. 2110 cod. civ., che in caso di assenza giustificata da malattia « l'azienda conserva il posto e l'intero trattamento eco nomico al funzionario che abbia (come il Baldassarre) com
piuto il periodo di prova ...» per un periodo di tempo proporzionato all'anzianità di servizio del funzionario stesso (nella specie venti mesi) ; vale a dire che, perii c. d.
periodo di comporto, il datore di lavoro non ha facoltà di recedere ad nutum dal rapporto di lavoro, perchè il licen ziamento può essere notificato al prestatore d'opera sol tanto alla fine del periodo suddetto.
Ha negato, al riguardo, la corte del merito che, nel caso
concreto, la « . . . . malattia denunciata dal Baldassa-re, meno di un mese prima del raggiungimento del limite d'età
posto dal contratto collettivo come giusta causa di risolu zione del rapporto, potesse considerarsi causa di sospen sione della facoltà di licenziamento ; altrimenti di ve-ifi cherebbe l'assurdo che, ove il Baldassarre non si fosse am
malato, il rapporto di lavoro avrebbe potuto essere risolto, mentre, non potendo il funzionario prestare, per malattia, la propria opera, la banca avrebbe dovuto conservargli, per il periodo di comporto, un posto al quale, per il raggiun gimento del limite d'età, non aveva più diritto ... ».
L'erroneità di tale motivazione e delle relative con
seguenze di diritto è palese ; il tutto è determinato dall'ac costamento pieno, fatto dai giudici d'appello, del termine di scadenza del periodo di relativa stabilità, garantita al
prestatore d'opera, in un contratto di lavoro a tempo in determinato, al termine di scadenza di un contratto di la voro a tempo determinato, per il quale si afferma (comun que tale è l'opinione che dimostrano di avere al riguardo, quei giudici) che il trattamento di malattia non si può protrarre oltre la scadenza del termine di durata prefis sato al rapporto.
Intanto, contro la decisione della corte si può già os servare essere pacifico in fatto che il Baldassarre compì il 60° anno d'età il 3 febbraio 1958, e che la banca deliberò il suo collocamento a riposo soltanto il 10 marzo 1958 con decorrenza dal 16 successivo, quando, cioè, era scaduto senza regolare disdetta del contratto da parte del datore di lavoro il termine di durata minima del rapporto garan tito al lavoratore. Cosicché, anche a voler considerare tale termine come finale di un contratto a tempo determinato, essendo la prestazione di lavoro continuata dopo la sua
scadenza, la corte del merito, come fondatamente si afferma nel quindo mezzo, avrebbe dovuto esaminare, tenendo
presente l'art. 2097, 3° comma, cod. civ., se il contratto, per l'implicita manifestazione di volontà delle parti, non si fosse già mutato da a tempo determinato in altro a tempo indeterminato.
Ma una volta precisato che il contratto di lavoro, con clausola di durata minima garantita al prestatore d'opera, è
a tempo indeterminato, le conseguenze di diritto da trarsi
erano del tutto opposte a quelle statuite dalla corte di
merito, poiché, in tale ipotesi, la malattia notificata dal
lavoratore toglie al datore, sino al compimento del periodo di comporto, la facoltà di recesso ad nutum in quanto, come sopra si è chiarito, la scadenza del termine del periodo di durata minima del rapporto non funziona da termine
finale del rapporto, come nel contratto di lavoro ad tempus. Non esiste, pertanto, l'assurdo denunciato nella sen
tenza impugnata che, inveoe, inesatti sono proprio il ragio namento e la decisione della corte di merito. Infatti, se la
clausola di relativa stabilità costituisce, in un contratto
di lavoro a tempo indeterminato, una condizione di favore
per il prestatore d'opera in quanto, garantendogli la conser -
vazione del posto per un certo periodo di tempo, limita la
facoltà di recesso ad nutum dal contratto del datore, la
malattia del lavoratore, sopravvenuta durante il periodo
suddetto, va considerata ulteriore causa limitativa del po tere di recesso ad nutum del datore. Ciò comporta, come
in un qualunque contratto di lavoro a tempo indeterminato
se nel frattempo scada il periodo di stabilità concesso al
lavoratore, la protrazione del divieto di recesso ad nutum
imposto al datore, sino al termine del periodo di comporto relativo alla malattia. Altrimenti, ragionando e decidendo
al modo della Corte catanese, la clausola di relativa sta
bilità, che è di favore per il prestatore d'opera, si mute
rebbe in clausola di sfavore, perchè, se essa non esistesse, il prestatore di opera non potrebbe essere licenziato durante
la malattia e per tutto il periodo di comporto mentre la
esistenza della clausola stessa ne consentirebbe il licenzia
mento, nonostante la malattia, anche durante il periodo di
comporto. Ne vale affermare, come fa la banca resistente, che il
Baldassarre si è ammalato poco prima del compimento del
60° anno d'età, poiché, in tale evenienza, al prestatore di
opera è imposto l'onere di comunicare, al più presto, la
propria malattia e di dimostrarla con certificati medici, mentre al datore è concesso ogni controllo, con medici di
sua fiducia, per accertare la verità della denunciata causa giu stificatrice dell'assenza dal lavoro del proprio dipendente (cfr. Cass. nn. 47 e 985 del 1963, Foro it., Rep. 1963, voce
Lavoro (rapp.), nn. 633, 572) e se la banca non si è valsa
di tale potere, imputet sibi. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 24 febbraio 1964, n. 406 ; Pres.
Pece P., Est. Arienzo, P. M. Silocchi (conci, conf.) ; Merizzi (Avv. Di Pietro, Riva) c. Fall. Vannozzi e Bellofiore (Avv. Ciotola).
(Conferma App. Roma 18 gennaio 1963)
Scrittura — Scrittura privata — Data certa — Ri
produzione in atto pubblico — Estremi (Cod. civ., art. 2704, 2652, n. 3).
Fallimento — Vendita immobiliare non trascritta — Itiproduzioiie in domanda ((indiziale trascritta
prima della dichiarazione di fallimento — Inop poniltililft ai creditori (R. d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina de] fallimento, art. 45).
La riproduzione di una scrittura in un atto pubblico, ai fini della certezza della data, non deve essere integrale, essendo
sufficiente che se ne indichino gli elementi idonei ad una inequivocabile identificazione. (1)
(1) Cons. Cass. 18 luglio I960, n. 1983, Foro it., Rep. I960, voce Scrittura, n. 28 ; App. Genova 26 febbraio 1953, id., Rep. 1954, voce cit., n. 42.
In dotti-ina, si veda H'Onophio, Delle prove, in Commen tario, diretto da D'Amelio, 1963, IV, pag. 382. Sul concetto
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