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sezione II civile; sentenza 9 febbraio 1994, n. 1340; Pres. D'Avino, Est. Preden, P.M. Jannelli(concl. conf.); Vicari e Denaro (Avv. Denaro, Isola) c. Fiorito (Avv. Milana). Conferma App.Catania 5 settembre 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 611/612-613/614Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188842 .
Accessed: 28/06/2014 13:23
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PARTE PRIMA
su di esso vi sia stata una situazione confessoria o ammissiva
da parte della società di leasing in causa, rientra nella normalità
contrattuale di qualsiasi tipo di leasing finanziario. È ovvio che
l'utilizzatore, anche nel leasing di godimento, eserciterà il ri
scatto se ed in quanto alla fine del rapporto, per cosi dire a
consuntivo, riterrà per sé conveniente l'operazione sulla base
di una constatazione finale, e proprio a quel fine risponde co
munque la previsione dell'opzione e del modesto prezzo di ri
scatto. Ciò che bisogna determinare, per la differenziazione dei
tipi, è sempre il fattore soggettivo più volte indicato e, cioè, se secondo l'intenzione delle parti e le situazioni di conoscenza
ad esse possibili al momento della conclusione del negozio, il
riscatto era dato come situazione possibile (primo tipo) o neces
sitata (secondo tipo). Sulla base di tali considerazioni, il mezzo di cassazione deve
essere accolto. La corte del rinvio, nella nuova valutazione del
la situazione, darà attuazione ai principi ed ai criteri sopra de
lineati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 9 feb
braio 1994, n. 1340; Pres. D'Avino, Est. Preden, P.M. Jan
nelli (conci, conf.); Vicari e Denaro (Aw. Denaro, Isola) c. Fiorito (Aw. Milana). Conferma App. Catania 5 settem
bre 1989.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Nullità — Rile
vabilità d'ufficio — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 1385, 1421; cod. proc. civ., art. 99, 112, 183).
La nullità del contratto è rilevabile d'ufficio solo nella contro
versia promossa per far valere i diritti presupponenti la vali
dità del contratto medesimo, in considerazione del potere dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione, non anche nelle diverse ipotesi in cui la domanda
prescinde dalla suddetta validità (come nel caso in cui sia ri
chiesto lo scioglimento del contratto per ragioni diverse dalla
nullità: nella specie, recesso ex art. 1385 c.c.). (1)
(1) Netta la spaccatura fra dottrina e giurisprudenza su una questione i cui termini sono ormai noti da tempo.
Il principio dispositivo (art. 112 c.p.c.) impone il limite invalicabile della domanda attorea e consente al giudicante una pronuncia d'ufficio solo sulle eccezioni che non rientrino fra quelle proponibili esclusiva mente dalle parti e, soprattutto, che non amplino il campo della do
manda, ma, inquadrandosi fra le difese del convenuto, vi si opponga no, tendendo al rigetto della stessa. Quindi, la nullità del contratto, secondo giurisprudenza quasi unanime, può essere rilevata d'ufficio so lo se si pone in contrasto con la domanda dell'attore, e perciò solo nella ipotesi in cui questi abbia chiesto l'adempimento del contratto, e non invece l'annullamento, la rescissione o la risoluzione (cfr. Cass. 15 febbraio 1991, n. 1589, Foro it., Rep. 1991, voce Procedimento civi
le, n. 12; 23 giugno 1990, n. 6358, id., Rep. 1992, voce Contratto in
genere, n. 338; 25 marzo 1988, n. 2572, id., Rep. 1989, voce cit., n.
329; 11 marzo 1988, n. 2398, id., Rep. 1988, voce cit., n. 367; 12 ago sto 1987, n. 6899, id., 1989, I, 1937. Fra le rare pronunce di segno contrario si segnalano invece: Cass. 3 aprile 1989, n. 1611, id., Rep. 1989, voce cit., n. 327, annotata da P. Carbone, in Nuova giur. civ., 1989, I, 348; Trib. Cagliari 9 agosto 1986, Foro it., Rep. 1989, voce
cit., n. 335; Cass. 28 gennaio 1986 n. 550, id., Rep. 1986, voce Società, n. 585, e Giur. comm., 1986, II, 401; 6 marzo 1970, n. 578, Foro it., 1970, I, 1721).
Il Foro Italiano — 1995.
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 4 feb
braio 1986, Carmelo Fiorito conveniva innanzi al Tribunale di
Catania i coniugi Giovanni Vicari e Lucia Denaro, con i quali aveva concluso, in data 28 marzo 1985, contratto preliminare
per l'acquisto di un edificio, dichiarando di voler recedere dal
contratto per inadempimento dei promittenti venditori, dei qua li chiedeva la condanna al pagamento del doppio della caparra. A sostegno della domanda deduceva che non era stato possibile
stipulare l'atto definitivo di compravendita dell'immobile, in
quanto si trattava di edificio abusivo, per il quale i convenuti
La deroga alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto ha però sollevato forti perplessità in dottrina e consistenti dubbi si sono appun tati sulla stessa tenuta logico-giuridica di tale orientamento della Supre ma Corte (v. S. Monticelli, Fondamento e funzione della rilevabilità
d'ufficio della nullità negoziale, in Riv. dir. civ., 1990, I, 669). Si osser
va, innanzitutto, che le domande di annullamento, rescissione o risolu zione presuppongono, non meno di quella di adempimento, un contrat to valido (v. V. Marano, Limiti alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto, in Giust. civ., 1990, II, 57; N. Irti, Risoluzione di un contratto nullo?, in Foro pad., 1971, I, 742) e che la risoluzione è af fiancata alla domanda di adempimento persino dalla stessa disciplina codicistica, che all'art. 1453 c.c. regola espressamente la conversione di una domanda nell'altra (v. E. Grasso, La pronuncia d'ufficio, Mila
no, 1967, I, 320). Difficile poi da accettare l'inspiegabile deroga alla regola della ineffi
cacia ab origine del contratto nullo, non solo per la sua apparente in
congruenza logica (v. C.M. Bianca, Diritto civile, Milano, 1987, III, 590), ma anche per i suoi possibili inconvenienti pratici; da più parti si è infatti avvertito che seguendo i principi giurisprudenziali niente im
pedirebbe, in via teorica, di ottenere il risarcimento del danno a seguito dell'inadempimento di una clausola di un contratto nullo (v. Monti
celli, op. ult. cit., 683; Irti, Risoluzione di contratto nullo?, cit.; F.
Amato, Risoluzione, rescissione, annullamento di un contratto nullo?, in Giur. it., 1971, I, 1, 444).
Con la sentenza in epigrafe quei timori si sono in parte avverati. Un preliminare di vendita di un immobile abusivo è stipulato in pen denza del procedimento volto ad ottenere la concessione in sanatoria. A seguito del diniego della concessione, l'immobile è sottoposto a se
questro penale ed i promittenti venditori sono convenuti in giudizio e condannati, in primo grado, alla restituzione della caparra in conse
guenza di una pronuncia di risoluzione del contratto per mancato avve ramento della condizione, ed in secondo, al pagamento del doppio della
caparra in accoglimento alla domanda di recesso ex art. 1385 per ina
dempimento. Il ricorso in Cassazione dei promittenti venditori per l'o messa dichiarazione d'ufficio della nullità del contratto da parte della corte d'appello, viene infine rigettato nei termini di cui alla massima
(sulla natura risarcitoria della caparra confirmataria, v. il commento a questa stessa sentenza di S. Balzaretti, in Contratti, 1994, I, 245).
Passando in rassegna i vari tentativi di risoluzione proposti dalla dot
trina, v. G. Massetani, Ingiustificate limitazioni alla rilevabilità di uf ficio della nullità del contratto, in Foro it., 1989, I, 1937, a cui dire la questione di nullità ha carattere pregiudiziale rispetto alle domande di annullamento rescissione e risoluzione e deve essere decisa in via
incidentale, secondo il dettato dell'art. 34 c.p.c., qualora le parti non richiedano una pronuncia con efficacia di giudicato. La stessa lettera dell'art. 1421 c.c. sembrerebbe deporre in questo senso, affermando che la nullità può essere «rilevata» d'ufficio e non invece «dichiarata» o «pronunziata».
Rigenerato vigore potrebbe tuttavia animare un'altra ipotesi di solu zione, segnalata quasi un quarto di secolo fa da Proto Pisani (osserva zioni a Cass. 18 aprile 1970, n. 1127, id., 1970, I, 1907) che indicava nel 2° comma dell'art. 183 c.p.c. uno spiraglio per «conciliare il princi pio posto dall'art. 1421 c.c. con il rispetto dei principi del contradditto rio e della domanda». Quella norma, diventata oggi, con la riforma del processo civile, il 3° comma dell'art. 183 c.p.c., impone al giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio di cui ritiene oppor tuna la trattazione, e gli attribuisce un potere di direzione del procedi mento che, in questa fase, si sostanzia nella precisazione delle domande e quindi nell'individuazione dell'oggetto del processo (v. C. Mandrio li, Corso di diritto processuale civile, Torino, II, 79).
Se è vero che i limiti della norma in esame non sono ancora ben chiari (v. G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Mi lano, 1991, 85), è pur vero che l'importanza di questa attività del giudi ce assume un rilievo tutto particolare nel nuovo processo civile intro dotto dalla 1. 353/90 (v. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1994, 106 ss.), un rilievo che è sottolineato anche dalla gravità delle conseguenze previste per il mancato adempimento di que sto onere da parte del giudice. Basterà questo a provocare un cambia mento di rotta della giurisprudenza, tradizionalmente restrittiva nell'in terpretazione dell'art. 183 c.p.c.? (cfr. Cass. 29 aprile 1982 n. 2712, Foro it., Rep. 1982, voce Procedimento civile, n. 136).
Iudex non debet lege clementior esse. Se nullità deve essere... [P. LaghezzaJ
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non avevano ottenuto la concessione in sanatoria e che era sta
to sottoposto a sequestro penale. I convenuti contestavano la fondatezza della domanda, dedu
cendo che l'attore ben sapeva che la costruzione era abusiva.
II tribunale dichiarava risolto il contratto per effetto del man
cato verificarsi dell'evento (rilascio della concessione in sanato
ria) elevato dalle parti a condizione, e condannava i convenuti
alla restituzione della caparra di lire 10 milioni.
Pronunciando sull'appello proposto dai coniugi Vicari e su
quello incidentale svolto dal Fiorito, la Corte d'appello di Cata
nia rigettava il primo e, in accoglimento del secondo, dichiara
va risoluto il contratto per inadempimento dei promittenti ven
ditori, che condannava al pagamento del doppio della caparra. Considerava la corte territoriale che l'inadempimento dei coniu
gi Vicari sussisteva sotto l'aspetto dell'impossibilità sopravve nuta della prestazione determinata da causa ai predetti imputa bile (sottoposizione dell'immobile oggetto del contratto prelimi nare a sequestro penale).
Ricorrono per cassazione i coniugi Vicari sulla base di due
motivi, ai quali resiste, con controricorso, il Fiorito. I ricorrenti
hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, deducen
do plurime violazioni di legge (art. 1385, 1453, 1256, 1346 c.c.), i ricorrenti sostengono che la corte d'appello, una volta accerta
ta la natura abusiva dell'edificio e la sua sottoposizione a se
questro penale, avrebbe dovuto, alternativamente:
a) dichiarare nullo d'ufficio il contratto preliminare per illi
ceità dell'oggetto, costituito da un edificio abusivo;
b) dichiarare estinta l'obbligazione per impossibilità della pre stazione per causa non imputabile ai promittenti venditori.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. Quanto al pri
mo, è sufficiente rilevare che la nullità del contratto è rilevabile
d'ufficio solo nella controversia promossa per far valere diritti
presupponenti la validità del contratto medesimo, in considera
zione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza
delle condizioni dell'azione, non anche nella diversa ipotesi in
cui la domanda prescinda dalla suddetta validità, come nel caso
in cui sia richiesto lo scioglimento del contratto per ragioni di
verse dalla nullità, ostandovi il divieto di pronunciare ultra pe tita (sent. 6358/90, Foro it., Rep. 1992, voce Contratto in gene
re, n. 338 , 2398/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 367). E nella
specie ricorreva il menzionato divieto, dal momento che l'attore
aveva chiesto lo scioglimento del contratto per effetto del suo
recesso ex art. 1385 c.c.
Quanto al secondo, va osservato che trattasi di censura del
tutto generica. La corte territoriale ha invero esaminato la que stione dell'imputabilità o meno della sopravvenuta impossibilità della prestazione ai promittenti venditori, risolvendola in senso
positivo, ed al riguardo nessuna censura specifica avverso le
argomentazioni svolte dall'impugnata sentenza viene formulata
dai ricorrenti.
2. - Con il secondo motivo, deducendo violazione degli art.
1385 e 1453 c.c., il ricorrente sostiene che la corte avrebbe fatto
indebita commistione delle suindicate disposizioni, risolvendo
il contratto per inadempimento e condannando i promittenti ven
ditori al pagamento del doppio della caparra. Il motivo è infondato. Il promissario acquirente, in primo
grado, aveva esercitato il diritto di recedere dal contratto, ai
sensi dell'art. 1385 c.c., a fronte dell'inadempimento dei pro mittenti venditori — i quali non avevano conseguito la regola rizzazione dell'edificio abusivo — ed aveva richiesto il paga mento del doppio della caparra ai predetti versata. Il tribunale
non aveva accolto tale domanda, ma aveva pronunciato lo scio
glimento del contratto in dipendenza del mancato rilascio della
concessione in sanatoria — ritenendo che le parti avessero ele
vato tale evento a condizione — con conseguente restituzione
della caparra. Avverso tale decisione il promissario acquirente ha proposto appello incidentale, chiedendo dichiararsi risolto
il contratto preliminare per fatto imputabile ai promittenti ven
ditori, con condanna di questi ultimi alla restituzione del dop
pio della caparra. In tal modo, pur non richiamando espressa
mente la disposizione di cui all'art. 1385, 2° comma, c.c., i
promissari acquirenti, richiedendo la restituzione del doppio della
caparra, dalla citata disposizione prevista, hanno riproposto so
stanzialmente la domanda di recesso formulata in primo grado. E su tale domanda, in riforma della sentenza impugnata, la
corte territoriale ha pronunciato, accogliendola. 3. - In conclusione, il ricorso va rigettato.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 feb
braio 1994, n. 1257; Pres. Anglani, Est. Garofalo, P.M.
Martinelli (conci, parz. diff.); Morra M. (Avv. Bavetta) c. Morra G. (Aw. Blandi, Bongiorno). Cassa App. Paler
mo 29 marzo 1991.
Successione ereditaria — Donazione indiretta — Collazione —
Oggetto — Conferimento di immobile (Cod. civ., art. 737, 809).
Nell'ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del
disponente e di intestazione dello stesso bene ad altro sogget to, che il disponente abbia inteso in tale modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l'attuazione di un complesso pro cedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferi
mento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma del
l'immobile poiché, secondo la volontà del disponente, alla qua le aderisce il donatario, di quest'ultimo bene viene arricchito
il patrimonio del beneficiario; conseguentemente, il conferi
mento, ai sensi dell'art. 737 c.c., avrà ad oggetto l'immobile, con il valore acquisito al tempo dell'apertura della successio
ne e non il denaro impiegato per l'acquisto. (1)
(1) Intestazione del bene in nome altrui: appunti in margine a una
giurisprudenza recente.
I. - Il solco era ormai tracciato, con evidenza, quando le sezioni uite della Cassazione, intervenendo sulla nota questione dell'oggetto della collazione nella ipotesi di intestazione del bene in nome altrui, avevano confermato l'orientamento espresso da due precedenti pronunce di se zione (1).
Ai giudici di legittimità, chiamati ancora una volta a risolvere identi
ca fattispecie, non restava che ripercorrere quel solco, ed affermare, con la sentenza in epigrafe, che «nella ipotesi di acquisto di un immobi le con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente abbia inteso in tal modo benefi
ciare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l'attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazio ne indiretta non già del denaro ma dell'immobile poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest'ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario; conseguentemente il conferimento, ai sensi dell'art. 737 c.c., avrà ad oggetto l'immobile, con il valore acquisito al tempo dell'apertura della successione e non
il denaro impiegato per l'acquisto». Niente di nuovo! — si dirà — se non il segno del progressivo consoli
darsi di una tesi che, affacciatasi timidamente in una risalente pronun cia del 1946 (2), poi sistematicamente disattesa fino ad epoca recente, è stata riproposta dalla giurisprudenza con singolare fermezza, nono
stante le persistenti riserve e le perplessità di autorevolissima dottrina (3). La pronuncia su riportata, allora, se per un verso presenta l'innega
bile sapore del déjà vu, costituisce altresì una buona occasione per veri
ficare la tenuta del nuovo principio rispetto ad alcune sollecitazioni, che una prassi provocatoria e disarmante non ha tardato ad esercitare.
Cosi, in particolare, essa ci svela che, se la donazione ha per oggetto il bene intestato al terzo e non il denaro impiegato per l'acquisto, è
possibile — ed affatto legittimo, come si dirà — donare un bene futu
ro, in barba al divieto dell'art. 771 c.c., tutte le volte che lo schema
contrattuale utilizzato per realizzare la liberalità abbia per oggetto, per
l'appunto, un bene non ancora esistente. In tale ipotesi, il contrasto
con il ricordato divieto è, per la verità, più apparente che reale: esiste infatti più di un motivo per sostenere che l'art. 771 c.c. si riferisca
esclusivamente alle donazioni dirette e non, invece, alle liberalità attua
te per via indiretta. La lettera della norma, in primo luogo, depone univocamente nel
senso indicato: se, infatti, «la donazione non può comprendere che i
beni presenti del donante», è ragionevole dedurre che la futurità del
(1) Cass., sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282, Foro it., 1993, I, 1544, con osservazioni di N. Fabiano e mia nota, cui si rinvia per una rico struzione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale sull'argomento; 6 maggio 1991, n. 4986, id., Rep. 1991, voce Successione ereditaria, n. 96; 31 gennaio 1989, n. 596, id., Rep. 1989, voce Donazione, n. 12.
(2) Cass. 29 marzo 1946, n. 335, Foro it., 1946, I, 714.
(3) P. FoRcmEi.li, Acquisto dell'immobile con denaro del defunto e certezza del diritto, in Contratto e impresa, 1994,1, 47 ss.; M. Maienza, in Corriere giur., 1992, 1346 ss.; L. Mengoni, Acquisto di un immobile con denaro fornito dal «de cuius»: individuazione dell'oggetto della do
nazione soggetta a collazione e a riunione fittizia, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 1994, 183.
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